REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Reggio Calabria, Sezione Civile, riunita in camera di consiglio nelle persone dei sigg. magistrati:
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA n. 353/2021 pubblicata il 10/06/2021
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. /2016 R.G., introitata in decisione all’udienza collegiale del 09/11/2020 e vertente
TRA
XXX, (C.F.:), rappresentata e difesa, giusta procura in atti, dagli Avv.ti, ed elettivamente domiciliato presso il loro studio, sito in
APPELLANTE
E
Condominio YYY n. 17 di Reggio Calabria, in persona dell’amministratore e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall’ Avv., ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, sito in
APPELLATO
OGGETTO: – Appello avverso la Sentenza n. 2015 del Tribunale di Reggio Calabria
CONCLUSIONI
All’udienza del 09/11/2020 svoltasi con le modalità di cui all’art. 83, VII comma, lett. H) D.L. n. 18 del 2020 conv. con mod. in L. n. 77 del 2020, i difensori presenti precisano come da note a trattazione scritta depositate telematicamente dagli Avv.ti ti, difensori dell’appellante il 03.11.2020, nonché dall’Avv. difensore dell’appellato il 02.11.2020, nei termini assegnati col provvedimento del 08-10-2020 del Presidente del Collegio integrato coi Giudici Ausiliari, che si riportano:
Avv.ti:
La parte appellante, ritenuta impugnativamente la costituzione avversaria in quanto inammissibile e infondata, precisa le conclusioni riportandosi a quelle già rassegnate nell’atto introduttivo d’appello e confida nella declaratoria di annullamento e/o revoca e/o, comunque, riforma della sentenza di prime cure e conseguentemente nell’accoglimento della domanda di declaratoria di nullità e/o annullamento della delibera assembleare del 29 novembre 2007, con ogni consequenziale statuizione in ordine alla rimozione degli effetti pregiudizievoli e dannosi; con vittoria di spese e compensi difensivi dei due gradi di giudizio>> Avv.:
<< .. Voglia l’Ecc.ma Corte di Appello di Reggio Calabria, disattesa ogni contraria istanza, eccezione o difesa: – rigettare l’appello proposto da XXX perché infondato in fatto e in diritto per le motivazioni illustrate e, per l’effetto, confermare la Sentenza n. /2015 del Tribunale di Reggio Calabria; – condannare la signora XXX al pagamento in favore del Condominio YYY n. 17 di Reggio Calabria delle spese e competenze del presente giudizio.
Si chiede che la causa venga decisa con la concessione dei termini ex art. 190 cpc. >>
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 19 dicembre 2007, la signora XXX, premesso che agiva in qualità di condomina proprietaria di una unità immobiliare facente parte dell’edificio sito in Reggio Calabria YYY n. 17, affermava che:
in data 29 maggio 2007, in seconda convocazione, si svolgeva regolare assemblea condominiale durante la quale si deliberava, con il voto favorevole di quattro condomini ed il dissenso di essa esponente, di installare una autoclave condominiale da collocare nell’androne comune e si approvava il preventivo di spesa per l’esecuzione dei lavori;
avverso la predetta delibera aveva proposto opposizione innanzi al Tribunale di Reggio Calabria (proc. n. /2007 R.G.A.C.) chiedendo l’annullamento previa sospensione dell’esecuzione della determinazione assembleare;
il Giudice del procedimento, ritenendo sussistenti gravi motivi, dapprima sospendeva la deliberazione e poi, a seguito dell’instaurazione del contraddittorio e delle difese del condominio, revocava il proprio decreto;
in data 29 novembre 2007, previo regolare avviso di convocazione, in seconda convocazione si riuniva l’assemblea condominiale con la presenza di essa esponente e di altri 4 condomini, per un totale di cinque su otto, e approvava, con il voto favorevole di 4 condomini esclusa essa deducente dissenziente, “… l’installazione della autoclave per come nel preventivo della *** s.r.l. del 27.06.2007 …”, con evidente riduzione del prezzo che risulta pari ad euro 2.700,00= oltre IVA pari a complessive euro 3.240,00 con allegata piantina di realizzazione;
la piantina richiamata nella deliberazione prevedeva l’installazione della autoclave nel vano scala e, pertanto, nell’androne comune, con grave pregiudizio dei diritti di essa condomina; ed invero:
il posizionamento di un grosso impianto di autoclave nello spazio comune rappresentava una vera e propria innovazione vietata ex art. 1120 c.c. costituendo una sostanziale modificazione materiale del bene ed un mutamento della sua destinazione originaria;
per come deliberato nell’assemblea, la messa in opera dell’impianto avrebbe occupato più della metà dell’androne condominiale con notevole riduzione dello spazio necessario anche alla completa apertura del portone di ingresso;
l’androne in questione, poi, era privo di luci e finestre, dacché l’allocazione dell’impianto e la conseguente incompleta apertura del portone avrebbe fortemente limitato sia la luce sia la sicurezza dei luoghi;
essa deducente, proprietaria dell’appartamento ubicato al piano terra dell’edificio condominiale, avrebbe inoltre sofferto, anche per l’adiacenza ai muri perimetrali del proprio appartamento, una limitazione nell’uso della proprietà esclusiva in conseguenza del rumore provocato dall’impianto;
proprio in ragione del rumore, e della sua intollerabilità in tutti i condomini gli impianti venivano invece collocati nei seminterrati o nei lastrici solari;
l’apposizione dell’impianto alterava decisamente anche il decoro dell’androne condominiale considerando tutti gli elementi di costituzione dell’impianto di autoclave;
per deliberare l’innovazione, poi, occorreva la maggioranza prevista nel quinto comma dell’art. 1136 c.c. e nella fattispecie non era stato raggiunto il quorum previsto dalla norma;
parimenti illegittima si palesava la deliberazione ulteriore di attingere la corrente elettrica necessaria per alimentare l’impianto di autoclave al contatore della luce-scala e la conseguente ripartizione dei consumi solo sui condomini fruitori dell’impianto, atteso che, non era stato valutato il grado di sostenibilità del relativo carico di energia elettrica;
e, tanto premesso chiedeva, previa sospensione dell’esecuzione della stessa, annullarsi la delibera condominiale approvata in data 29 novembre 2007, con vittoria di spese e competenze di lite.
Fissata, con decreto depositato in data 11 gennaio 2008, l’udienza di comparizione delle parti, ed instaurato regolarmente il contraddittorio con comparsa depositata il 17 marzo 2008 si costituiva il Condominio YYY, n. 17, in persona dell’amministratore legale rappresentante pro tempore, il quale, resistendo alla impugnazione avversaria evidenziava che:
non sussistevano i presupposti della sospensione in via cautelare della delibera condominiale, in assenza di prova, neppure presuntiva di fondato pericolo conseguente al funzionamento dell’autoclave condominiale;
non sussisteva alcun pregiudizio alla stabilità e sicurezza degli spazi comuni, stante la conformità del serbatoio alle norme vigenti in materia urbanistica, edilizia, di sicurezza e stabilità dell’impianto, giusta D.I.A. depositata presso il Comune di Reggio Calabria;
l’autoclave non era innovazione vietata né deturpava o alterava il decoro architettonico dell’edificio stante anche lo stato dell’androne condominiale;
l’impianto consentiva ai condomini di potenziare il godimento della cosa comune, era insonorizzato e rivestito di pannelli fono-assorbenti, dacché era impossibile la propagazione di vibrazioni o rumori;
quello posto in essere con la deliberazione impugnata era un mutamento della cosa comune contemplato dall’art. 1102 c.c. e non una innovazione vietata;
anche la deliberazione di ripartire gli oneri di spesa tra i fruitori rendeva pacifica l’applicazione del citato art. 1102 c.c.
Instava, quindi, per la reiezione dell’impugnazione} con il favore delle spese processuali.
Alla prima udienza del 20 marzo 2008, parte ricorrente faceva presente che il Condominio, in data 17 marzo 2008, aveva installato l’impianto di autoclave.
Con ordinanza depositata il 22 settembre 2009, il G.O.T. rigettava la richiesta di sospensione della delibera assembleare impugnata, stante il carattere cautelare del provvedimento e l’assenza dei presupposti di pericolo grave, attuale ed irreparabile.
Concessi i termini di cui all’art. 183, comma 6, n. 1, 2 e 3, c.p.c. per il deposito di memorie difensive anche istruttorie, il G.O.T., con ordinanza depositata il 9 ottobre 2010, disponeva accertamento tecnico d’ufficio.
Depositato l’elaborato tecnico ed i chiarimenti sollecitati dal Giudice sulle osservazioni critiche mosse dalle parti, all’udienza del 1° febbraio 2013 le parti chiedevano un rinvio per la definizione transattiva della controversia.
Seguivano diversi rinvii di udienza al medesimo fine di assunta conciliazione.
Con ordinanza del 26 giugno 2014, il Giudice adito:
“rilevato che l’eccezione di nullità assoluta della consulenza tecnica sollevata da parte convenuta nelle controdeduzioni ai chiarimenti depositati in data 18 gennaio 2013, riferita all’elaborato tecnico depositato in data 30 novembre 2011, ribadita all’udienza del 9 aprile 2014 è inammissibile siccome tardiva, avuto riguardo all’insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità per cui “la nullità della consulenza tecnica d’ufficio — ivi compresa quella dovuta all’eventuale allargamento dell’indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge relazione, restando altrimenti sanata” (cfr. ex multis, Cass. Civ., sent. 31 gennaio 2013 n. 2251); ritenuto che la consulenza tecnica d’ufficio non risulta abbisognevole di ulteriori integrazioni o supplementi, stante la completezza della stessa alla luce di quanto sostenuto con i chiarimenti e soprattutto tenuto conto della res iudicanda”;
dichiarava inammissibile l’eccezione di nullità della consulenza tecnica d’ufficio, chiudeva l’assunzione dei mezzi di prova e rinviava la causa all’udienza del 2 dicembre 2015 per la precisazione delle conclusioni, la discussione orale e la lettura del dispositivo ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c.
Con sentenza n. /2015 del 02/12/2015 e depositata in pari data, il Tribunale di Reggio Calabria così decideva:
<< rigetta l’impugnazione per quanto esposto in parte motiva; – condanna la signora XXX a rimborsare al Condominio YYY p. 17 le spese del giudizio che vengono liquidate nella somma complessiva di € 2.430,00 per compensi, oltre l’importo corrispondente al 15% a titolo di spese forfettarie;
– pone definitivamente a carico di parte ricorrente le spese della consulenza tecnica d’ufficio disposta nel corso del processo e già liquidate per anticipazione con decreti del 19 ottobre 2012.>>
Con atto di appello regolarmente notificato, XXX proponeva appello avverso la suddetta sentenza, chiedendo la riforma della stessa, asseritamente per:
1) violazione degli artt. 112, 113 c.p.c. e 1421 c.c. in punto di qualificazione giudiziale della domanda, divieto di ultra o extra petizione e rilevabilità d’ufficio delle nullità – conseguente omesso esame dei motivi di impugnazione della delibera assembleare – e di fondatezza dei motivi di impugnazione della delibera assembleare;
2) violazione degli art. 115 c.p.c. e 1120 c.c. in punto di quorum deliberativo in materia di innovazioni, mutamento di destinazione e modificazione del bene comune.
Proponeva istanza di sospensione della efficacia della sentenza e chiedeva:
<< accogliere il presente appello e per l’effetto, previa concessione della invocata sospensione, annullare e/o revocare la gravata sentenza per le ragioni ampiamente esposte nella narrativa del presente atto e conseguentemente accogliere la domanda proposta in primo grado dalla sig.ra XXX, e dunque, dichiarare nulla e/o annullare la delibera assembleare del 29 novembre 2007 con ogni consequenziale statuizione in ordine alla rimozione degli effetti pregiudizievoli e dannosi e con vittoria di spese e competenze del doppio grado di giudizio, diritti ed onorari, spese forfettarie, oltre IVA e CPA come per legge>>.
Si costituiva il resistente Condominio che contestava l’appello e chiedeva la conferma della impugnata sentenza.
Instaurato il contraddittorio all’udienza del 09.11.2020 entrambe le parti precisavano telematicamente le proprie conclusioni e la causa andava in decisione con le modalità di cui all’art. 83, VII comma, lett. H) D.L. n. 18 del 2020 conv. con mod. in L. n. 77 del 2020 con provvedimento comunicato in data 30.11.2020, con la concessione dei termini ex artt. 190 e 352 c.p.c. per il deposito di conclusionali e di repliche.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo di gravame lamenta la difesa appellante l’errore in cui sarebbe incorso il primo Giudice allorché, dopo aver rilevato che i motivi dedotti a base dell’impugnazione afferivano a vizi di nullità, concludeva per il rigetto degli stessi essendone stato, invece, domandato l’annullamento.
Sostiene, infatti, che il Giudice di prime cure dopo aver qualificato i motivi di impugnazione a mente del noto arresto delle Sezioni Unite in tema di discriminazione fra motivi di nullità e motivi di annullabilità delle delibere assembleari (Sez. U, Sentenza n. 4806 del 07/03/2005) ha concluso per la reiezione della domanda sull’errato presupposto della ritenuta impossibilità di pronunciarsi (“… non può trovare spazio alcuno il sindacato …”) sulla domanda di annullamento in quanto le deduzioni poste a sostegno della stessa avrebbero potuto semmai sostenere la diversa domanda di nullità della delibera assembleare ed ha limitato la sua pronuncia al solo motivo ritenuto sussumibile nell’alveo della invocata annullabilità.
Assume che il primo Giudice nella non corretta interpretazione del divieto di extra petitum, ha omesso di pronunciarsi ritenendo di non poter qualificare la domanda (di nullità) – pur sostenuta da corrette e pertinenti deduzioni fattuali giuridiche – in modo diverso da quella di annullamento proposta dalla parte nelle conclusioni dell’atto introduttivo.
Rileva il Collegio in proposito quanto appresso.
A mente dell’art. 112 c.p.c., il giudice civile deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa (principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato).
Ciò perché la delimitazione della domanda nei suoi confini soggettivi ed oggettivi (thema decidendum) spetta alle parti, non al giudice, il quale deve astenersi dal decidere sia ultra petita (cioè in linea con la domanda ma superando, nella decisione, quanto richiesto, come nell’ipotesi di condanna al pagamento di una somma superiore a quella precisata nelle conclusioni o a restituzioni non richieste) sia extra petita (cioè mutando sostanzialmente il petitum o la causa petendi).
La decisione ultra petita o extra petita deve considerarsi affetta da nullità.
Il relativo vizio si converte in motivo di gravame ex art. 161 c.p.c. ed è perciò sanabile col passaggio in giudicato della sentenza.
Rileva ancora questa Corte che l’art. 112 c.p.c. impone un vincolo positivo ed un limite negativo al Giudice, nel senso che deve pronunciarsi su <<tutta la domanda comprese le eccezioni e non deve andare oltre i limiti delle domande o delle eccezioni rimesse solo alla esclusiva disponibilità delle parti>>.
Per principio ormai consolidato – iura novit curia – il Giudice è poi libero di applicare le norme di diritto che meglio ritiene adattabili al caso concreto, dandogli la qualificazione giuridica che ritiene corretta prescindendo eventualmente da quelle richiamate dalle parti a fondamento delle rispettive richieste. Compete cioè al giudice il potere-dovere di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire al rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, anche in difformità rispetto alle deduzioni delle parti.
Tale potere, però, trova un limite – la cui sola violazione determina il vizio di ultrapetizione – nel divieto di sostituire l’azione proposta con una diversa, perché fondata su fatti diversi o su una diversa causa petendi, con la conseguente introduzione di un nuovo tema di indagine.
Pertanto, il principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., implica unicamente il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti di causa – alla stregua delle risultanze istruttorie – autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti nonché in base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante (in termini: Cass. 20 giugno 2008, n. 16809; conforme Cass. lav., 19 luglio 2003, n. 10542).
Sicché il vizio di ultrapetizione comporta che il giudice di merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, altera gli elementi obiettivi dell’azione (petitum e causa petendi) e, sostituendo altri fatti a quelli oggetto di controversia, emette un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), ovvero attribuisce un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato).
È chiaro che il vizio in questione si verifica allorquando il giudice, pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contradditori, contravviene alla ratio dell’art. 112 c.p.c. che è proprio quella di garantire il contradditorio impedendo che trovino accoglienza quelle domande sulle quali controparte non sia stata in grado di difendersi.
Ciò premesso, ritiene questa Corte che il primo Giudice, dopo aver esaminato le differenze tra motivi di nullità e motivi di annullabilità – abbia rispettato il disposto dell’art 112 c.p.c.
Si precisa, infatti, sul punto che il Giudice ha valutato le ragioni dell’impugnazione <<a prescindere dalla fondatezza o meno nel merito delle ragioni dell’impugnazione>>, rilevando correttamente che la medesima impugnazione non può essere ricondotta all’annullabilità, bensì al vizio ancor più grave di nullità non dedotto dalla ricorrente.
Pertanto, nessuna violazione ex art. 112 c.p.c. si è verificata.
Assume, ancora, la difesa appellante che la nullità della delibera andava rilevata d’ufficio dal primo Giudice, stante il corretto inquadramento dei motivi di fatto e di diritto dedotti dalla parte istante.
In proposito, le definizioni che i giudici di legittimità danno alle tre categorie di vizi che possono inficiare le delibere condominiali sono le seguenti.
La delibera è “inesistente” nel caso in cui manchi degli elementi essenziali, tanto che non sia possibile identificarla e qualificarla come atto giuridico.
È “nulla” la delibera: contraria alla legge, con oggetto impossibile o illecito, cioè contrario alla legge o all’ordine pubblico, con oggetto non rientrante nella competenza dell’Assemblea, nonché quella che incide sui diritti dei singoli condomini, su cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ogni condomino.
È “annullabile”, infine, la delibera viziata per difetti formali, come quella adottata in mancanza del quorum costitutivo o deliberativo o con l’irregolare convocazione dei condomini, ed anche in generale quelle affette da vizi formali o emesse in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’Assemblea, nonché quelle affette da irregolarità nel procedimento di convocazione.
È importante allora inquadrare correttamente il vizio che inficia la delibera che si vuole impugnare, poiché la legge prevede procedure e termini diversi a seconda del tipo di invalidità.
Nei casi di inesistenza – in verità, molto rari – e di nullità, infatti, il condòmino che ritiene di essere stato danneggiato dalla decisione può agire in qualsiasi momento e chiedere che vengano adottati i provvedimenti opportuni nel suo interesse e la pronuncia fa venir meno tutti gli effetti che si sono verificati ad origine (ha effetto “ex tunc”, letteralmente “da allora”);
l’annullabilità, invece, ai sensi dell’art. 1137 c.c., può essere fatta valere solo impugnando la delibera – cioè opponendosi ad essa tramite ricorso in Tribunale – entro 30 giorni dalla sua adozione per il caso di condomino presente all’Assemblea o, nel caso in cui fosse assente, entro 30 giorni dalla comunicazione del verbale d’Assemblea.
Ancora, la nullità può essere rilevata d’ufficio dal Giudice, mentre l’annullabilità deve essere eccepita dalla parte.
Inoltre, la nullità può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse, a prescindere se fosse presente o assente all’Assemblea, ovvero se fosse favorevole o contrario alla delibera; diversamente, l’annullamento, come già detto, può essere richiesto solo dal condomino assente all’Assemblea, ovvero dal contrario o dall’astenuto.
Il fondamento della superiore distinzione tra deliberazioni nulle e annullabili è rinvenibile nella sentenza a Sezioni Unite della Cassazione n. 4806/2005, che ha affermato che:
“… sono da ritenersi nulle le delibere prive degli elementi essenziali, con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale e al buon costume), con oggetto che non rientra nella competenza dell’Assemblea, che incidono sui diritti individuali, sulle cose, sui servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini o comunque invalide in relazione all’oggetto …“; sono, invece, annullabili:
“… le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’Assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o informazione in Assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che richiedono maggioranze qualificate in relazione all’oggetto”.
Passando all’esame della fattispecie che oggi ne occupa, si rileva che la delibera oggetto di causa non è priva degli elementi essenziali, non ha oggetto illecito o impossibile, rientra nelle competenze dell’assemblea ai sensi dell’art. 1102 cc trattandosi di installazione su parte comune di serbatoio per l’utilizzo dell’acqua quale bene primario da parte dei soli condomini fruitori che ne pagano i relativi costi. Inoltre, non incide su diritti individuali sulle cose o servizi comuni o in danno della proprietà esclusiva di ogni condomino.
Sul punto questa Corte concorda con l’analisi effettuata dal Giudice del primo grado secondo cui <<… l’androne condominiale non è stato mutato nella sua destinazione materiale di corridoio a servizio dei condomini né ha subito alcuna sensibile riduzione nella funzione tale da menomare intollerabilmente l’utilità che i condomini ritraevano secondo l’originaria costituzione della comunione, né l’opera ha comportato alcuna dismissione o trasferimento aliunde dello spazio comune …>>.
Lo stesso Giudice ha evidenziato che il c.t.u. ha accertato che l’androne condominiale, inizialmente libero e sgombero da qualsiasi apparecchiatura, con l’inserimento dell’autoclave “ha subito una riduzione della superficie calpestabile pari secondo congrue e precise misure a 70 cm, ovverossia in termini percentuale, al valore del 17% dell’area. Lo spazio comune successivo all’ingresso, infatti, prima dell’inserimento del gruppo autoclave, era di mq. 19,61 mentre a seguito dell’opera è di mq. 16,26, con una riduzione percentuale del 17%>>.
In realtà, la riduzione dell’androne condominiale non solo non ne muta la destinazione originaria di spazio comune, ma consente la continuazione della fruibilità dello stesso da parte dell’appellante.
Non vi è dubbio poi che l’installazione dell’autoclave consente a tutti i condomini sia fruitori che non di fare parimenti uso della cosa comune e, inoltre, i condomini non fruitori non pagano i costi di funzionamento.
Per cui la delibera non è nulla in base all’oggetto e dalle superiori argomentazioni discende il rigetto di questo motivo di gravame.
2. Col secondo motivo la difesa appellante lamenta la violazione ex art. 115 c.p.c. e 1120 c.c. in punto di quorum deliberativo in materia di innovazioni, mutamento di destinazione e modificazione del bene comune.
Sostiene che il primo Giudice, nonostante che gli accertamenti tecnici assunti in giudizio abbiano confermato la natura e la consistenza di innovazioni delle opere eseguite, ha ritenuto che essi costituiscano meri atti di utilizzazione della cosa comune tali da non richiedere il quorum deliberativo prescritto per esse.
Anche in proposito questa Corte non può che concordare con il primo Giudice che, correttamente, ha ritenuto che << … l’installazione dell’autoclave introdotta nell’interesse di tutti i condomini, esclusa la ricorrente che abita al piano terra dell’edificio condominiale, non arreca mutamento serio né pregiudizio rilevante alla parte “comune dell’edificio, dacché la stessa non costituisce innovazione, tale da richiedere maggioranza di cui all’art. 1136 comma 5 c.c. …>>
In proposito, si rammenti infatti che in sede di legittimità è noto l’insegnamento (fissato dalla risalente Cass. Sez. 2a, sentenza n. 10445 del 21/10/1998 in fattispecie analoga a quella odierna e poi ribadito in via più generale dalla successiva della medesima Sezione n. 15308 del 12/7/2011) per cui:
“… l’installazione (utile a tutti i condomini tranne uno) di un’autoclave nel cortile condominiale, con minima occupazione di una parte di detto cortile, non può ritenersi innovazione vietata ai sensi dell’art. 1120 comma secondo cod. civ. (prevedente il divieto di innovazioni che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino), atteso che il concetto di “inservibilità” espresso nel citato articolo va interpretato come sensibile menomazione dell’utilità che il condomino ritraeva secondo l’originaria costituzione della comunione, con la conseguenza che pertanto devono ritenersi consentite quelle innovazioni che, recando utilità a tutti i condomini tranne uno, comportino per quest’ultimo un pregiudizio limitato e che non sia tale da superare i limiti della tollerabilità …!; atteso che:
“…in tema di condominio negli edifici, nell’identificazione del limite all’immutazione della cosa comune, disciplinato dall’art. 1120, comma secondo, cod. civ., il concetto di inservibilità della stessa non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione – coessenziale al concetto di innovazione – ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della “res communis” secondo la sua naturale fruibilità; si può tener conto di specificità – che possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità della compressione del diritto del singolo condomino – solo se queste costituiscano una inevitabile e costante caratteristica di utilizzo (Fattispecie relativa alla installazione di un impianto di ascensore, recante pregiudizio alla fruibilità di un pianerottolo e di un appartamento) …”; per cui anche questo motivo di gravame non può essere accolto.
3. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Reggio Calabria, Sezione Civile, uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando sull’atto di appello proposto da XXX avverso la sentenza n. /2015 depositata dal Tribunale di Reggio Calabria il 02/12/2015 pubblicata in pari data:
1) rigetta l’appello e conferma l’impugnata sentenza;
2) condanna XXX alla rifusione in favore di parte appellata delle spese del secondo grado di giudizio, che liquida in € 1.577,00, per compensi, oltre spese generali, CPA ed IVA come per legge;
3) dichiara sussistere a carico dell’appellante l’obbligo del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la sua impugnazione ex art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 115/2002.
Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio dell’8/3/2021
Il Giudice ausiliario estensore
Il Presidente
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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