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Intermediazione finanziaria, doveri di informazione

Intermediazione finanziaria, violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni.

Pubblicato il 21 January 2022 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI TERNI

in composizione monocratica, in persona del Giudice dott.ssa, ha emesso la seguente

SENTENZA n. 63/2022 pubblicata il 18/01/2022

nella causa civile iscritta al n.r.g. 2221/2018 degli affari contenziosi, trattenuta in decisione all’udienza del 13.10.2021, e vertente

TRA

XXX, rappresentata e difesa dall’avv.

attrice

E

CASSA DI RISPARMIO DI YYY S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti;

convenuta

OGGETTO: intermediazione mobiliare

CONCLUSIONI: come rassegnate all’udienza del 13.10.2021, svoltasi in modalità cartolare, e come da note depositate l’8.10.2021 sia per l’attrice, sia per la convenuta.

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con atto di citazione notificato il 28.9.2018 XXX evocava in giudizio dinanzi al Tribunale di Terni la Cassa di Risparmio di YYY s.p.a. al fine di sentir accogliere le seguenti conclusioni: (1) nel merito e in via principale accertare e dichiarare la nullità del contratto quadro sottostante alle operazioni di investimento finanziario e dei due ordini di acquisto eseguiti e, per l’effetto, condannare la banca convenuta alla restituzione della somma investita, pari ad € 32.383,00, oltre interessi legali dalla data dei due acquisti e rivalutazione monetaria; (2) in via subordinata (a) accertare e dichiarare il grave inadempimento della convenuta agli obblighi informativi gravanti quali intermediario e, per l’effetto, dichiarare la risoluzione del contratto quadro e delle singole operazioni di acquisto delle azioni della somma corrisposta per l’acquisto delle azioni in ***, ed in ulteriori € 18.000,00 a titolo di lucro cessante.

Con comparsa depositata il 20.12.2018 – in vista dell’udienza del 13.3.2019 – si costituiva tempestivamente in giudizio Cassa di Risparmio di YYY s.p.a. chiedendo: (1) in via pregiudiziale di dichiarare improcedibili le domande attoree ed accertare e dichiarare l’incompetenza del Tribunale adito in favore della sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale di Perugia; (2) in via preliminare di merito di accertare e dichiarare la prescrizione delle domande risolutorie e restitutorie, quantomeno in relazione ai contratti e alle operazioni di investimento in titoli della Banca Popolare di *** effettuati dall’attrice sino al 2008, nonché delle domande di nullità relativa e risarcitorie, quantomeno con riferimento alle operazioni di investimento in titoli della Banca Popolare di *** effettuati dall’attrice sino al 2012; (3) nel merito, in via principale, di rigettare le domande attoree per infondatezza; (4) in via subordinata, in caso di accertamento dell’inadempimento, escludere il diritto al risarcimento del danno per grave concorso colposo dell’attrice ex art. 1227, co. 2, c.c.; (5) in ulteriore subordine, quantificare le somme dovute dall’attrice in un importo pari alla differenza tra il valore delle azioni della Banca Popolare di *** per cui è causa al prezzo unitario di Euro 7,50 o, in via gradata, al momento dell’acquisto delle stesse, e quello dei predetti titoli azionari al momento della domanda risarcitoria, e ridurre in ogni caso il risarcimento in ipotesi riconosciuto all’attrice in ragione: (i) del grave concorso colposo di controparte, ai sensi dell’art. 1227, c. 1, c.c., nonché in ragione (ii) dei frutti medio tempore percepiti dall’attrice; (6) infine, condannare l’attrice alla restituzione dei titoli per cui è causa in favore della convenuta in caso di pronuncia di nullità o di risoluzione.

A sostegno delle proprie conclusioni, esponeva che (i) l’attrice intratteneva rapporti presso la filiale Terni – Passavanti dal 31 novembre 2003, ove aveva acceso con il marito *** un dossier titoli per il deposito di strumenti finanziari, previa sottoscrizione di un primo contratto quadro di intermediazione finanziaria; (ii) in tale contratto l’attrice veniva qualificata come investitore di rischio medio e tale valutazione veniva poi confermata nel corso del rapporto, tramite appositi questionari di profilatura; (iii) l’attrice, alla data della citazione, era titolare di n. 3.398 azioni della Banca Popolare di ***, che ella aveva acquistato, incrementando progressivamente il proprio portafoglio dal 9.10.2008, senza che a ciò veniva persuasa dai consulenti della banca, dichiarandosi sempre consapevole del conflitto di interesse tra intermediario ed emittente; (iv) il 6.2.2009 l’attrice impartiva per iscritto un ordine di acquisto di azioni, dichiarando di essere a conoscenza del prospetto informativo pubblicato il 30.1.2009 dalla Banca Popolare di *** e dei fattori di rischio connessi all’investimento ivi descritti; (v) il 22 luglio 2010, previa profilatura come cliente con propensione al rischio medio/alta, l’attrice stipulava un nuovo contratto quadro e, in pari data, acquistava ulteriori n. 1.100 azioni della Banca Popolare di ***, dichiarandosi sempre consapevole del conflitto di interesse; (vi) in data 28.1.2013, sottoscrivendo apposita scheda di adesione, in cui veniva richiamato il prospetto informativo del 20.12.2012, l’attrice acquistava ulteriori titoli *** (azioni ed obbligazioni convertibili), sia dichiarandosi consapevole che, in caso di esercizio del diritto di opzione e/o prelazione riconosciutole in forza del deliberato aumento di capitale, avrebbe superato la soglia del 45% di concentrazione del rischio, sia sottoscrivendo una scheda illustrativa delle caratteristiche dei titoli azionari e obbligazionari acquistati; (vii) il 3.9.2014 l’attrice veniva informata che la Banca Popolare di *** aveva esercitato l’opzione di conversione del prestito obbligazionario subordinato, sicché era divenuta titolare di ulteriori n. 579 azioni; (viii) l’attrice percepiva i frutti dei titoli acquistati per complessivi € 669,79, oltre a dividendi per € 558,48 e a n. 110 azioni assegnatele a titolo gratuito; (ix) l’11 febbraio 2016 l’attrice sottoscriveva un ordine di vendita di n. 1.700 azioni ***, confermato dalla convenuta al prezzo stabilito dall’assemblea dei soci della Banca Popolare di *** in data 24.4.2016 (€ 7,50); (x) il 17.5.2016 l’attrice impartiva un ulteriore ordine di vendita di n. 1.698 azioni *** al prezzo unitario di € 7,50.

Sotto il profilo della legittimazione passiva, la convenuta precisava che il 21.2.2008 il ramo d’azienda di cui faceva parte la filiale presso cui l’attrice nel 2003 aveva acceso il dossier titoli era stato ceduto da *** alla Banca Popolare di ***, cui aveva fatto capo sino al 2011, quando quest’ultima aveva trasferito il ramo aziendale alla Cassa di Risparmio di YYY.

Alla luce di queste premesse in fatto, eccepiva, in via pregiudiziale, l’improcedibilità della domanda di nullità, in quanto non oggetto della mediazione esperita dall’attrice prima di introdurre il giudizio, circoscritta solo all’“inadeguatezza degli investimenti” e all’“invendibilità delle azioni”.

Sempre in via pregiudiziale, eccepiva il difetto di competenza funzionale del Tribunale adito ex art. 3, c. 2, lett. b) del d.lgs. n. 168/2003, sul rilievo che fosse competente il Tribunale di Perugia, sezione specializzata in materia di impresa, vertendo la controversia in tema di trasferimento di partecipazioni sociali.

Nel merito, invece, eccepiva la prescrizione delle domande attoree, anzitutto, sul rilievo che la nullità di protezione prevista dall’art. 23 TUF, in quanto assimilabile all’annullabilità, fosse soggetta al termine di prescrizione quinquennale – decorrente dalla data degli ordini di acquisto o delle schede di adesione – da interrompere solo con domanda giudiziale, tardivamente proposta. In secondo luogo, sosteneva che l’asserita violazione degli obblighi informativi e comportamentali previsti dalla disciplina di settore fosse, al più, fonte di responsabilità precontrattuale, soggetta anch’essa al termine di prescrizione quinquennale quale illecito aquiliano, decorrente dalla stipula dei contratti quadro (31.11.2003 e 22.7.2010), sicché il relativo credito risarcitorio doveva ritenersi ormai prescritto. Da ultimo, eccepiva la prescrizione anche della domanda di risoluzione relativa al contratto quadro del 2003 e di tutte le domande restitutorie relative agli investimenti posti in essere prima del 2008, in quanto soggette all’ordinario termine di prescrizione decennale.

Contestava, comunque, la fondatezza delle domande avversarie sulla scorta dei seguenti rilievi: (i) il contratto quadro sottostante alle operazioni di acquisto delle azioni *** era stato redatto per iscritto sia nel 2003, sia nel 2010, osservando come, comunque, la violazione degli obblighi informativi non potrebbe mai incidere sulla validità negoziale; (ii) prima e dopo l’investimento erano stati pienamente rispettati gli obblighi informativi sulla natura, le caratteristiche ed i rischi legati all’investimento in azioni non quotate su mercati regolamentati, le azioni ***, osservando che, in ogni caso, al caso di specie non si applicava la comunicazione Consob 9019104 del 2.3.2009; (iii) l’investimento proposto era appropriato ed adeguato all’attrice, stante il suo profilo di rischio medio e tenuto conto che, al tempo, le azioni *** risultavano titoli a rischio “medio” e che la stessa aveva un portafoglio titoli diversificato; (iv) l’azione di risoluzione, genericamente proposta, doveva ritenersi rinunciata dall’attrice, avendo quest’ultima posto in essere comportamenti incompatibili con la volontà di impugnare le operazioni di investimento; (v) la domanda risarcitoria risultava infondata sia per assenza del nesso di causa tra l’inadempimento e l’asserito danno, sia per erronea ed in parte omessa quantificazione del danno emergente – da quantificare in misura pari alla differenza tra il valore delle azioni *** al momento dell’ordine di vendita (€ 7,50) ed il loro controvalore al momento della proposizione del giudizio, che l’attrice ometteva di indicare – sia per apodittica allegazione di un lucro cessante pari ad € 18.000,00; (vi) doveva tenersi conto ai fini della quantificazione del danno sia che l’attrice concorreva colposamente al danno ai sensi e per gli effetti dell’art. 1227 c.c., sia che la XXX aveva nelle more percepito frutti per € 1.228,27.

All’esito dell’udienza del 13.3.2019, il giudice assegnatario concedeva alle parti i termini per il deposito delle memorie ex art. 183, co. 6, c.p.c, rinviando la causa per l’ammissione delle istanze istruttorie

all’udienza del 18.9.2019. Con ordinanza del 22.9.2019 rigettava la prova per testi formulata dall’attrice, reputando i capitoli di prova irrilevanti, documentali e generici. La causa veniva, quindi, istruita solo documentalmente e poi trattenuta in decisione all’udienza del 13.10.2021, con concessione di termini ridotti ex art. 190, co. 2, c.p.c., pari a cinquanta giorni per il deposito delle comparse conclusionali e successivi venti giorni per il deposito delle memorie di replica.

*****

2. In primo luogo, va affermata la procedibilità di tutte le domande giudiziali avanzate dall’attrice, poiché sulla scorta della documentazione in atti l’eccezione di improcedibilità della domanda di nullità tempestivamente sollevata dalla convenuta non risulta meritevole di accoglimento.

Invero, risultano prodotti solo il verbale con esito negativo dell’incontro di mediazione tenutosi il 6.12.2017 (cfr. all. 12 atto di citazione), per mancata partecipazione – motivata – della Cassa di Risparmio di YYY e la lettera di risposta della convenuta del 4.12.2017 all’istanza di mediazione (cfr. all. 25 – comparsa di costituzione e risposta). In atti manca, invece, l’istanza di mediazione formulata dall’attrice.

Così ricostruito il compendio probatorio, va osservato, anzitutto, che dal verbale del 6.12.2017 non si ricava se l’istanza di mediazione fosse circoscritta alle domande di risoluzione – con conseguente obbligo restitutorio – e risarcitoria, come eccepito dalla convenuta. Né tale circostanza può trovare conferma nella dichiarazione unilaterale proveniente proprio dalla parte che intende avvantaggiarsi del documento prodotto (cfr. all. 25 – comparsa di costituzione e risposta).

Aderendo al canone interpretativo che la Suprema Corte ha accolto in tema di atti introduttivi – applicabile anche all’istanza di mediazione, stante gli effetti interruttivi della prescrizione che da entrambi gli atti conseguono – deve ritenersi che i fatti costitutivi su cui si fondano le domande attoree avanzate giudizialmente siano stati ritualmente sottoposti al tentativo di mediazione tra le parti. Difatti, va posta attenzione al concreto rapporto dedotto dalle parti e al contenuto sostanziale delle pretese desumibile dalla natura delle situazioni dedotte in controversia, piuttosto che alla mera lettera dell’istanza o all’eventuale qualificazione giuridica indicata dalla parte. A tal fine va considerato che l’oggetto della controversia risultante dal verbale del 6.12.2017 (cfr. all. 12 atto di citazione) appare correttamente inquadrato in “contratti bancari – investimento in titoli azionari ed obblighi informativi”.

Sulla scorta di tutte le considerazioni ora svolte e alla luce della documentazione prodotta, l’eccezione di improcedibilità deve essere rigettata in quanto improbata.

3. In secondo luogo, va esaminata la questione di incompetenza funzionale ex art. 3, co. 2, lett. b) del d.lgs. n. 168/2003 in favore del Tribunale di Perugia, sezione specializzata per le imprese, sollevata dalla convenuta nella comparsa di costituzione e risposta.

Condividendo l’orientamento espresso dalla Suprema Corte ai fini dell’individuazione della competenza in capo alle Sezioni specializzate imprese, il discrimen è dato dal legame diretto della controversia con i rapporti societari e le partecipazioni sociali, “riscontrabile alla stregua del criterio generale del “petitum” sostanziale, identificabile in funzione soprattutto della “causa petendi”, per la intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio” (cfr. Cass., Sez. VI, n. 8738 del 4.4.2017; conf. Cass., Sez. VI, n. 4523 del 21.2.2017).

Peraltro, tale indirizzo esegetico è stato recentemente confermato (Cass., Sez. VI, n. 30622/2019) in occasione di un regolamento di competenza sollevato in una controversia analoga alla presente. In tale vicenda, l’attore chiedeva, tra le varie, la declaratoria di nullità del contratto quadro di investimento e dei singoli ordini di acquisto di azioni della Banca Popolare di *** emesse dalla Banca convenuta, la quale, al tempo, concentrava in sé sia il ruolo di intermediario finanziario, sia quello di società emittente.

Ebbene, secondo la Suprema Corte anche tali specifiche circostanze sono inidonee a determinare uno spostamento di competenza dal Tribunale ordinario alle sezioni specializzate, vertendo il thema decidendum sul rapporto di intermediazione finanziaria, nell’ambito del quale vengono impartiti gli ordini di acquisto che fanno acquisire all’investitore la qualifica di socio.

Pertanto, aderendo ad un’interpretazione restrittiva dell’art. 3, co. 2, lett. b) del d.lgs. n. 168/2003, la questione di incompetenza eccepita dalla convenuta deve essere respinta.

4. Passando al merito, giova premettere, ai fini della delimitazione del thema decidendum, che nel presente giudizio l’attrice ha chiesto dichiararsi la nullità del contratto quadro di intermediazione finanziaria e degli ordini di acquisto dei titoli della Banca Popolare di *** e, per l’effetto, condannare la convenuta alla restituzione delle somme investite, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria. In subordine, ha chiesto accertarsi il grave inadempimento della Banca convenuta e, per l’effetto, di dichiarare la risoluzione del contratto quadro e delle singole operazioni di acquisto delle azioni in ***, condannando la Cassa di Risparmio di YYY alla restituzione dell’investimento eseguito. In via ulteriormente subordinata, ha chiesto di condannare la convenuta al risarcimento del danno, comprensivo di danno emergente e lucro cessante.

5. Ciò posto, da un punto di vista probatorio va segnalato che solo con la memoria di replica la convenuta ha versato in atti il questionario di profilatura somministrato all’attrice il 22.7.2010. Trattandosi di documentazione prodotta tardivamente, in violazione delle preclusioni istruttorie, la stessa non può essere utilizzata ai fini della presente decisione.

6.1. In primo luogo, va esaminata la domanda principale di nullità per asserita violazione dell’art. 23 TUF.

Come noto, tale disposizione prevede che il contratto relativo ai servizi di investimento ed accessori sia stipulato per iscritto, a pena di nullità, e che una copia dello stesso venga consegnata al cliente. E’ del pari noto che trattasi di una nullità “di protezione”, azionabile solo dall’investitore (art. 23, co. 3, TUF).

6.2. Nonostante tale caratteristica dell’azione di nullità, l’eccezione di prescrizione tempestivamente formulata dalla convenuta – che sostiene l’applicazione del regime giuridico dell’annullabilità – non merita accoglimento, stante la diversità ontologica tra le due forme di invalidità, ribadita, anche di recente, dalla Suprema Corte. Non si rinvengono argomenti giuridici per sconfessare il principio secondo cui “la nullità relativa o la nullità di protezione è riconducibile alla disciplina generale della nullità contenuta nel codice civile, per cui a queste norme occorre far riferimento per regolare la nullità relativa quando le varie leggi speciali che di volta in volta introducono tali ipotesi di nullità di protezione non dettino disposizioni specifiche” (cfr. Cass. n. 30555 del 22.11.2019).

6.3.1. Accertata l’imprescrittibilità della domanda di nullità – riferita dall’attrice sia al contratto quadro, sia ai singoli ordini di investimento – per effetto dell’art. 1422 c.c., la stessa, tuttavia, risulta infondata per i motivi di seguito illustrati.

Va ricordato che la forma scritta ad substantiam è impartita dal legislatore per i contratti quadro relativi alla prestazione di servizi di intermediazione mobiliare e non per i singoli ordini di investimento (o disinvestimento) impartiti dal cliente, essendo questi ultimi meri negozi esecutivi del primo (cfr. ex multis Cass. n. 18122 del 31.8.2020). I singoli ordini di acquisto o vendita di prodotti finanziari possono essere eventualmente soggetti alla forma scritta c.d. “convenzionale” solo quando il requisito di forma sia previsto nel contratto quadro di cui sono esecuzione (art. 1352 c.c.).

6.3.2. Facendo applicazione di tali principi, va rilevato che la convenuta ha depositato il contratto quadro del 31.10.2003 stipulato con Banca Intesa s.p.a., con annesso documento “sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari”, sottoscritto dai cointestatari del dossier titoli, XXX e *** (cfr. all. 4 comparsa di costituzione), con cui incaricavano l’intermediario di negoziare, a proprio nome e per proprio conto, strumenti finanziari, dando esecuzione agli ordini di acquisto e di vendita di volta in volta impartiti. Va, poi, evidenziato che a pagina 2 del contratto di negoziazione del 31.10.2003 l’attrice dichiarava di aver ricevuto copia del contratto e delle relative condizioni generali.

Del pari, risulta in atti anche il contratto quadro sottoscritto il 22.7.2010 dall’attrice e dal marito *** con Banca Popolare di *** (cfr. all. 10 comparsa di costituzione). A pagina 4 di tale documento, l’attrice dichiarava di aver ricevuto dalla Banca sia una copia del contratto quadro, sia copia delle norme contrattuali che regolavano i servizi di investimento, tra cui il regolamento intermediari n. 16190 del 29.10.2007.

Alla luce delle risultanze istruttorie, la domanda di nullità dei contratti quadro risulta, quindi, destituita di fondamento.

6.3.3. Passando all’esame della domanda di nullità in relazione ai singoli ordini di investimento per difetto di forma scritta, va osservato che l’art. 1 delle “condizioni generali per il mandato per la negoziazione di strumenti finanziari, ricezione e trasmissione di ordini, mediazione” – parte integrante del contratto quadro del 31.10.2003 (cfr. all. 4 comparsa di costituzione) – prevedeva, di norma, la forma scritta e, solo per taluni clienti, la possibilità di impartire gli ordini di investimento anche telefonicamente. A tal riguardo, a pag. 2 del contratto quadro si legge che nel rapporto negoziale per cui è causa “non sono ammessi ordini telefonici”.

Premesso ciò, la convenuta ha depositato sia la domanda di adesione alla compagine sociale di *** del 9.10.2008 con acquisto di n. 100 azioni (cfr. all. 7 comparsa di costituzione), la scheda di adesione all’offerta in opzione del 6.2.2009 per n. 1760 azioni (cfr. all. 8 comparsa di costituzione), entrambe sottoscritte dall’attrice. Tali ordini di investimento possono, quindi, dirsi validi in quanto redatti per iscritto.

Con riferimento agli ordini impartiti dall’attrice dopo la sottoscrizione del nuovo contratto quadro con Banca Popolare di *** del 22.7.2010, dalla documentazione prodotta risulta redatto per iscritto sia l’ordine di acquisto di n. 1.100 azioni *** per complessivi € 10.340,00 (cfr. all. 12 alla comparsa di costituzione), sia quello del 28.1.2013 (cfr. all. 14 comparsa di costituzione).

Pertanto, alla luce delle risultanze probatorie ora esaminate, la domanda di nullità dei singoli ordini di investimento per difetto di forma scritta non può trovare accoglimento in quanto infondata.

6.4. L’attrice ha, poi, sostenuto la nullità degli ordini di acquisto anche per violazione dell’art. 29 del regolamento Consob, a mente del quale “1. Gli intermediari forniscono ai clienti al dettaglio o potenziali clienti al dettaglio le seguenti informazioni generali, ove siano pertinenti: a) il nome e l’indirizzo dell’intermediario e i relativi recapiti; b) le lingue nelle quali il cliente può comunicare con l’intermediario e ricevere da questo documenti e altre informazioni; c) i metodi di comunicazione che devono essere utilizzati tra l’intermediario e il cliente, anche, se pertinente, per l’invio e la ricezione di ordini; d) una dichiarazione che l’intermediario è autorizzato e il nome e il recapito dell’autorità competente che l’ha autorizzato; e) quando l’intermediario opera tramite un agente collegato in conformità dell’articolo 23 della direttiva n. 2004/39/CE, una dichiarazione in tal senso in cui viene specificato lo Stato membro in cui tale agente è registrato; f) la natura, la frequenza e le date della documentazione da fornire all’investitore a rendiconto dell’attività svolta, di cui agli articoli da 53 a 56; g) se l’intermediario detiene strumenti finanziari o somme di denaro di clienti, una descrizione sintetica delle misure adottate per assicurare la loro tutela; h) il sistema di indennizzo degli investitori o di garanzia dei depositi pertinente, con una descrizione sintetica delle modalità di copertura dello stesso; i) una descrizione, anche in forma sintetica, della politica seguita dall’intermediario in materia di conflitti di interesse; l) ogniqualvolta il cliente lo richieda, maggiori dettagli circa la politica in materia di conflitti di interesse su un supporto duraturo o tramite il sito Internet dell’intermediario purché le condizioni di cui all’articolo 36, comma 2, siano soddisfatte. […].” Tale previsione, tuttavia, non è prescritta a pena di nullità del singolo ordine di acquisto. Analoga considerazione va svolta in relazione alla dedotta nullità dei negozi per inadempimento consistente nella violazione di obblighi di perizia e diligenza e, in particolare, nell’aver sopravvalutato il prezzo di acquisto dei titoli di *** (cfr. pag. 6 citazione).

Come noto, solo la violazione di norme imperative inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità del contratto e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti, la quale può essere, invece, solo fonte di responsabilità risarcitoria. Sulla scorta di questo principio, la violazione dei doveri comportamentali gravanti sull’intermediario finanziario non può determinare la nullità del contratto quadro o dei singoli atti negoziali esecutivi del primo (cfr. da ultimo Cass., Sez. III, n. 15099 del 31.5.2021; conf. Cass., Sez. I, n. 8462 del 10.4.2014).

Alla luce di tutte le considerazioni svolte e dei diversi motivi di invalidità dedotti dall’attrice, la domanda di nullità va integralmente rigettata, sia con riferimento ai contratti quadro di investimento del 31.10.2003 e del 22.7.2010, sia in relazione ai singoli ordini di acquisto dei titoli di *** impartiti dall’attrice.

7.1. Passando all’esame della domanda subordinata di risoluzione per inadempimento del contratto quadro e delle singole operazioni di acquisto va ricordato, quanto alla distribuzione dell’onere probatorio, che il creditore che agisce per la risoluzione o il risarcimento del danno deve dare la prova della fonte negoziale del diritto, mentre può limitarsi ad allegare l’inadempimento della controparte: in tal caso è onere del debitore convenuto fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall’avvenuto adempimento, ovvero di ulteriori fatti estintivi, impeditivi o modificativi (cfr. S.U. n. 13533 del 30.10.2001).

7.2. L’esame di tale domanda deve prendere le mosse dal discrimen tra responsabilità precontrattuale e responsabilità contrattuale. Invero, “in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (cosiddetto “contratto quadro”), mentre è fonte di responsabilità contrattuale, ed, eventualmente, può condurre alla risoluzione del contratto, ove le violazioni riguardino le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del “contratto quadro” (conf. Cass., Sez. III, n. 15099 del 31.5.2021; conf. Cass., Sez. I, n. 8462 del 10.4.2014).

In altri termini, la Suprema Corte ha identificato nel dato cronologico l’elemento discretivo tra la responsabilità precontrattuale, fonte di credito risarcitorio, e la responsabilità contrattuale, eventualmente idonea alla risoluzione giudiziale del negozio: si versa nella prima ipotesi ove le violazioni imputabili all’intermediario siano occorse nella fase antecedente o coincidente con la stipula del contratto quadro, mentre tutte le violazioni inerenti i singoli ordini di investimento rientrano nell’alveo dell’art. 1218 c.c. e possono, in astratto, giustificare una risoluzione contrattuale ex art. 1453 c.c..

Pertanto, l’eventuale inadempimento degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza nella fase che precede la conclusione del contratto quadro non sarebbe, comunque, idoneo a fondare una domanda di risoluzione di tale negozio, legittimando solo una domanda risarcitoria.

A ciò va aggiunto che, nel caso che ci occupa, pur avendo l’attrice genericamente invocato una responsabilità per inadempimento sia nella fase precontrattuale che nella successiva fase esecutiva del negozio (cfr. pag. 10 citazione) ed aver chiesto la risoluzione sia dei contratti quadro, sia degli ordini di acquisto, la stessa ha circostanziato gli inadempimenti imputabili alla convenuta nell’esecuzione dei contratti quadro, facendo precipuo riferimento alla violazione di obblighi informativi in occasione degli ordini di acquisto.

Difatti, l’allegazione del grave inadempimento si fonda (1) sulla violazione degli obblighi informativi inerenti la natura ed il rischio di liquidità dei titoli di *** – sul presupposto che, a fronte della natura illiquida, la Banca non avesse fornito le informazioni prescritte dalla comunicazione Consob n. 9019104 del 2.3.2009 – nonché (2) sulla mancata valutazione dell’adeguatezza delle operazioni di investimento rispetto agli obiettivi dell’attrice, in violazione del regolamento Consob n. 16190/2007 e ciò sul presupposto che la Banca non avesse acquisito informazioni in merito alle conoscenze ed esperienze della XXX in materia di investimenti. Tale violazione si correlava (3) all’inosservanza degli artt. 21 TUF e degli artt. 28 e 29 Consob n. 11522/1998, per non aver l’intermediario effettuato una profilatura di rischio dell’attrice al momento delle operazioni. L’attrice motivava l’inadempimento della convenuta anche per violazione dell’ordine temporale nell’esecuzione degli ordini di vendita imposta dall’art. 49 del reg. Consob n. 16190/2007.

Per tutti i motivi sopra esposti, la domanda di risoluzione dei contratti quadro di intermediazione finanziaria del 31.10.2013 e del 22.7.2010 non può trovare accoglimento.

7.3. Diverse questioni si pongono, invece, nella disamina della domanda di risoluzione dei singoli ordini di acquisto. Come ricordato, “le singole operazioni di investimento in valori mobiliari possono essere oggetto di risoluzione in caso di inosservanza dei doveri informativi nascenti dopo la conclusione del contratto quadro, indipendentemente dalla risoluzione di quest’ultimo” (cfr. Cass., Sez. I, n. 8997 del 31.3.2021; conf. Cass., 4.7.2018, n. 17497). Trattasi di “negozi di contenuto complesso, in cui l’intermediario deve prima rappresentare all’investitore le caratteristiche e le implicazioni della singola operazione e poi, se del caso, porla in essere” (così in Cass. n. 16861 del 7.7.2017).

7.3.1. Anzitutto, deve essere disattesa l’eccezione di prescrizione decennale tempestivamente sollevata dalla convenuta rispetto alle domande risolutorie e restitutorie riferite ai contratti e alle operazioni di investimento compiute sino al 2008. Va, infatti, considerato che il primo ordine di acquisto di azioni della *** risale al 9.10.2008 e che l’istanza di mediazione – idonea ex art. 5, co. 6, d.lgs. n. 28/2010 ad interrompere il corso della prescrizione – risulta certamente inoltrata alla convenuta prima che sia spirato il termine prescrizione decennale, essendo pervenuta alla Cassa di Risparmio di YYY sicuramente prima del 4.12.2017 (cfr. la data di riscontro all’istanza di mediazione – all. 25 comparsa di costituzione).

7.3.2. Chiarito ciò, sulla scorta delle deduzioni svolte e delle risultanze probatorie, gli ordini di acquisto di titoli *** impartiti dall’attrice possono sinteticamente ricostruirsi nei termini che seguono, distinguendoli a seconda che diano esecuzione al contratto quadro del 31.10.2003 o a quello del 22.7.2010.

Con riferimento ai primi, l’attrice risulta aver sottoscritto una dichiarazione per l’ammissione come socio della Banca Popolare di *** in data 9.10.2008, impegnandosi a versare l’ammontare corrispondente a n. 100 azioni (cfr. all. 1 atto citazione). Risulta poi (cfr. all. 8 comparsa di costituzione) che in data 6.2.2009 impartiva un ordine di acquisto di ulteriori n. 1760 azioni.

Con riferimento ai secondi, dalla documentazione prodotta emerge che in occasione della sottoscrizione del nuovo contratto quadro con Banca Popolare di ***, il 22.7.2010, la XXX domandava l’aumento della propria partecipazione sociale, impegnandosi a sottoscrivere n. 1100 azioni *** (cfr. all. 12 comparsa di costituzione) e che, successivamente, il 28.1.2013 ordinava l’acquisto di ulteriori azioni (cfr. all. 13-14 comparsa di costituzione).

7.3.3. Così ricostruito il quadro fattuale, va ora esaminato quello normativo, con riferimento agli obblighi informativi incombenti sull’intermediario, tenendo conto che l’attrice ha in primo luogo lamentato l’omessa profilatura al momento delle operazioni investimento (cfr. pag. 4 e 8 citazione). Ebbene, l’art. art. 21, co. 1, lett. a) e b), del TUF, prevede che “nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e accessori i soggetti abilitati devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati […].” L’obbligo di diligenza si integra con quelli informativi (passivi ed attivi) al fine di eliminare le asimmetrie informative in materia finanziaria tra intermediario ed investitore, affinché quest’ultimo possa manifestare la propria volontà negoziale consapevolmente. A tal fine, il primo è tenuto a valutare il bagaglio culturale del secondo, i suoi obiettivi di investimento e, solo successivamente, a sottoporgli un’operazione adeguata rispetto agli scopi prefissati ed il cui rischio sia appropriato all’esperienza nel settore, rendendolo edotto delle specifiche caratteristiche dello strumento finanziario prospettato (c.d. informazione attiva).

Come noto, a fianco della normativa legislativa primaria si pone in tale settore quella regolamentare e, tenuto conto del tempo in cui sono stati eseguiti gli investimenti, deve farsi riferimento al regolamento Consob n. 16190/2007.

Invero, dal 2.11.2007 – prima delle operazioni di investimento de quibus – il regolamento Consob n. 11522/1998 era stato sostituito (cfr. art. 113, ult. comma per la disciplina intertemporale) dal nuovo regolamento n. 16190/2007 (attuativo della direttiva Mifid n. 2004/39/CE, recepita in Italia con d.lgs n. 164 del 17.9.2007), in base al cui art. 39, gli intermediari sono tenuti ad ottenere dal cliente le informazioni necessarie in merito all’esperienza nel settore di investimento rilevante per il tipo di strumento finanziario, alla situazione finanziaria e agli obiettivi di investimento.

Tale obbligo risulta, tuttavia, rafforzato rispetto al passato, prevedendo che le informazioni di profilatura dovessero includere, ove appropriate per le caratteristiche del cliente, per la natura e l’importanza del servizio e dell’operazione, nonché per la complessità ed i rischi del servizio, del prodotto o dell’operazione, “a) i tipi di servizi, operazioni e strumenti finanziari con i quali il cliente ha dimestichezza; b) la natura, il volume e la frequenza delle operazioni su strumenti finanziari realizzate dal cliente e il periodo durante il quale queste operazioni sono state eseguite; c) il livello di istruzione, la professione o, se rilevante, la precedente professione del cliente.”

Inoltre, ove pertinenti, le informazioni raccolte dovevano includere “dati sulla fonte e sulla consistenza del reddito del cliente, del suo patrimonio complessivo, e dei suoi impegni finanziari”. Infine, a mente del comma 4 dell’art. 39, sempre ove pertinenti, dovevano raccogliersi informazioni anche in relazione ai “dati sul periodo di tempo per il quale il cliente desidera conservare l’investimento, le sue preferenze in materia di rischio, il suo profilo di rischio e le finalità dell’investimento”.

Così ricostruito il quadro regolamentare vigente al momento degli ordini di acquisto (eseguiti tra il 2008 ed il 2013), in relazione all’obbligo di profilatura dell’investitore va segnalato che i questionari sottoposti all’attrice qui di interesse recano le date del 31.10.2003 (cfr. all. 4 comparsa di costituzione), del 22.7.2010 (cfr. pag. 2 del contratto quadro – all. 10 comparsa di costituzione) e del 15.11.2010 (cfr. all. 11 comparsa di costituzione). Non assume, invece, rilevanza il questionario redatto l’11.2.2016 (cfr. all. 3 citazione), non essendo stato eseguito alcun investimento dopo il 2013.

Dall’esame dei contratti quadro risulta, quindi, l’avvenuta profilatura dell’attrice nelle date del 31.10.2003 e del 22.7.2010 (cfr. all. 4 e 10 comparsa di costituzione). Ulteriore questionario risulta, poi, isolatamente sottoposto all’attrice in data 15.11.2010 (cfr. all. 11 comparsa di costituzione).

La disamina di tale questione impone alcune preliminari osservazioni.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, in generale, l’obbligo di acquisire le informazioni sull’investitore circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento e la sua propensione al rischio si colloca nella fase che precede la stipulazione del contratto quadro di intermediazione finanziaria, così potendo essere fonte solo di responsabilità precontrattuale (cfr. Cass., Sez. I, n. 8997 del 31.3.2021).

Nondimeno, una parte della giurisprudenza di merito (cfr. ex multis Corte d’Appello di Milano del 5.2.2019) ha correttamente osservato come l’obbligo di profilatura, pur rispettato nella fase precontrattuale, possa in talune circostanze giustificare la risoluzione del singolo ordine di acquisto, nel circoscritto caso in cui sia accertata una violazione dell’obbligo di informazione c.d. passiva nella fase esecutiva del contratto quadro.

Nel caso di specie, va osservato che non sono state allegate dall’attrice specifiche circostanze che imponessero all’intermediario una nuova profilatura nella fase di esecuzione del contratto quadro del 22.7.2010, sicché, a fronte dei questionari Mifid sottoposti alla XXX nel 2010, deve ritenersi correttamente eseguita la previa profilatura dell’attrice prima degli investimenti del 2010 e del 2013.

Occorre, invece, spendere alcune considerazioni aggiuntive in merito all’adempimento o meno dell’obbligo di profilatura della XXX nella fase di esecuzione del contratto quadro del 31.10.2003, ossia prima degli ordini di acquisto delle azioni *** del 9.10.2008 e del 6.2.2009.

Va, anzitutto, dato atto come anche in tal caso la profilatura dell’attrice sia stata correttamente acquisita dall’intermediario prima della stipula del contratto quadro (cfr. all. 4 comparsa di risposta), in conformità con il previgente art. 28 del regolamento Consob n. 11522/1998, con conseguente infondatezza di ogni pretesa risarcitoria per responsabilità precontrattuale (cfr. Cass., Sez. VI, n. 22513 del 9.8.2021).

In base a tale disposizione l’intermediario doveva genericamente “chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio”, oltre a consegnare “il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari” (art. 28, co. 1, reg. Consob 11522/1998).

Com’è evidente, il nuovo art. 39, co. 2, 3 e 4 del regolamento Consob n. 16190/2007 prescriveva, invece, all’intermediario di acquisire dall’investitore informazioni più dettagliate.

Ciò posto, va accertato se la profilatura eseguita in occasione della stipula del contratto quadro del 2003 – che riporta una “situazione finanziaria media”, un obiettivo di investimento “impiego dinamico del denaro a medio/lungo termine”, una “propensione al rischio media” ed una “esperienza in strumenti finanziari medio/bassa” (cfr. pag. 2 contratto quadro del 31.10.2003 – all. 4 comparsa di costituzione) – possa ritenere ottemperato l’obbligo di profilatura prima degli investimenti del 2008 e del 2009, sebbene, al tempo, fosse entrata ormai in vigore la nuova normativa regolamentare.

Contrariamente a quanto sostenuto da una parte della giurisprudenza di merito (cfr. C.d.A. Milano del 5.2.2019), nella nuova disciplina regolamentare non si ravvisa un dovere di rinnovare la profilatura del cliente già acquisita nel rispetto del previgente art. 28 del regolamento Consob n. 11522/1998. La disciplina intertemporale contenuta nel regolamento Consob n. 16190/2007 (art. 113, co. 2) imponeva agli intermediari soltanto di provvedere “agli adempimenti in tema di informazioni nei confronti della clientela in essere alla data di entrata in vigore del presente regolamento, di cui agli articoli da 29 a 32, 35, comma 2, 46 e 52, comma 1, lettera b1), in occasione del primo contatto utile o, in mancanza, non oltre il 30 giugno 2008”.

Pertanto, non essendo stato richiamato dal legislatore l’art. 39, non può affermarsi che in base alla nuova normativa secondaria di recepimento della direttiva MIFID sussistesse un obbligo per l’intermediario di adeguare le informazioni già acquisite del cliente, eseguendo una nuova profilatura. Per tutti i motivi suesposti, nel caso di specie, l’intermediario risulta aver rispettato la normativa, tempo per tempo, imposta in tema di profilatura dell’investitore sia nella fase precontrattuale, sia nella fase esecutiva dei contratti quadro, non essendo rinvenibile alcuno specifico obbligo normativamente imposto di aggiornare un profilo già al tempo correttamente acquisito. Né, del resto, l’attrice ha fornito elementi di segno contrario.

7.4. Passando all’esame degli obblighi informativi inerenti le caratteristiche dei prodotti finanziari proposti, la disamina deve prendere le mosse dall’art. 21, co. 1, lett. b), TUF, a mente del quale gli intermediari hanno l’obbligo di operare di modo che i clienti siano “sempre adeguatamente informati”. Tale previsione è stata interpretata nel senso che l’intermediario è tenuto ad adempiere gli obblighi informativi in vista della specifica operazione da compiere, precisando tali doveri si esauriscono con il singolo investimento, senza che l’intermediario sia tenuto ad aggiornare il cliente circa l’andamento dei titoli (cfr. Cass., Sez. I, n. 17949 del 27.8.2020).

Quanto alla normativa secondaria, va ricordato che, nelle more del contratto quadro del 2003, il regolamento Consob n. 16190/2007 aveva ridisegnato gli obblighi di informazione dell’intermediario, prevedendo all’art. 27, co. 2, che “gli intermediari forniscono ai clienti o potenziali clienti, in una forma comprensibile, informazioni appropriate affinché essi possano ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari interessati e i rischi ad essi connessi e, di conseguenza, possano prendere le decisioni in materia di investimenti in modo consapevole. Tali informazioni, che possono essere fornite in formato standardizzato, si riferiscono: a) all’impresa di investimento ed ai relativi servizi; b) agli strumenti finanziari ed alle strategie di investimento proposte, inclusi opportuni orientamenti ed avvertenze sui rischi associati agli investimenti relativi a tali strumenti o a determinate strategie di investimento; c) alle sedi di esecuzione; d) ai costi ed oneri connessi”. Nel dettaglio, l’art. 31 prescriveva di fornire ai clienti “una descrizione generale della natura e dei rischi degli strumenti finanziari trattati, tenendo conto in particolare della classificazione del cliente come cliente al dettaglio o cliente professionale. La descrizione illustra le caratteristiche del tipo specifico di strumento interessato, nonché i rischi propri di tale tipo di strumento, in modo sufficientemente dettagliato da consentire al cliente di adottare decisioni di investimento informate.”

In altri termini, l’obbligo di c.d. informazione attiva si declinava in termini differenti a seconda del tipo di cliente, al dettaglio o professionale, e del suo bagaglio conoscitivo.

Difatti, a mente del successivo comma 2, “la descrizione dei rischi include, ove pertinente per il tipo specifico di strumento e lo status e il livello di conoscenza del cliente, i seguenti elementi: a) i rischi connessi a tale tipo di strumento finanziario, compresa una spiegazione dell’effetto leva e della sua incidenza, nonché il rischio di perdita totale dell’investimento; b) la volatilità del prezzo di tali strumenti ed eventuali limiti di liquidabilità dei medesimi; c) il fatto che un investitore potrebbe assumersi, a seguito di operazioni su tali strumenti, impegni finanziari e altre obbligazioni aggiuntive, comprese eventuali passività potenziali, ulteriori rispetto al costo di acquisizione degli strumenti; d) eventuali requisiti di marginatura od obbligazioni analoghe applicabili a tali strumenti.”

Non è, invece, conferente il richiamo compiuto dall’attrice all’art. 32 del citato regolamento (cfr. pag. 11 citazione), nella misura in cui tale disposizione fa riferimento ai costi e agli oneri connessi alla prestazione dei servizi ed atteso che la domanda giudiziale della XXX si incentra su una carente informazione circa le possibilità di smobilizzo dei titoli e la loro redditività, paventata come sicura dagli operatori della Banca.

A mente, poi, dell’art. 34 – in linea con il previgente art. 28, co. 2, reg. Consob n. 11522/1998 – le informazioni devono essere fornite al cliente al dettaglio “in tempo utile prima della prestazione di servizi di investimento” (comma 3) e “su un supporto duraturo o tramite il sito internet dell’intermediario” (comma 5).

Tali ultime due disposizioni, ove lette in combinato con l’art. 21, co. 1, lett. b), TUF, consentono di affermare che il dovere informativo è stato imposto all’intermediario per ciascuna operazione, sicché non può dirsi assolto solo sulla scorta delle informazioni precedentemente rese.

Del resto, anche se viene prospettato l’acquisto del medesimo strumento finanziario – come nella presente vicenda – è astrattamente possibile che ne siano mutate le caratteristiche, come nell’ipotesi in cui l’emittente decida, nelle more tra un ordine di investimento e l’altro, di fare domanda di ammissione alla negoziazione in un qualche mercato regolamentato.

Così ricostruito il quadro normativo, alla luce dell’interpretazione accolta da questo Giudice, va poi segnalato che l’attrice ha lamentato anche la violazione della comunicazione Consob n. 9019104 del 2.3.2009 stante la natura illiquida delle azioni ***. Secondo la convenuta tale comunicazione non troverebbe, invece, applicazione al caso di specie. E’ evidente che già da un punto di vista temporale di essa non potrà tenersi conto al fine di valutare l’adempimento dell’intermediario prima della sua emanazione.

Pertanto, con riferimento agli ordini di acquisto del 9.10.2008 e del 6.2.2009 deve tenersi conto esclusivamente del citato regolamento Consob n. 16190/2007.

Quanto al primo investimento, la Banca convenuta – su cui grava l’onere di provare l’esatto adempimento – non ha dato prova di alcuna dettagliata informativa fornita alla XXX in relazione alla specifica operazione di investimento e in merito alle caratteristiche ed al rischio di liquidità delle azioni ***. Né ciò risulta dal corpo della domanda di ammissione alla compagine sociale della Banca Popolare di *** (cfr. all. 7 comparsa di risposta).

D’altronde, diversamente da quanto ipotizzato dalla convenuta, l’obbligo informativo non è prescritto solo in caso di investimento economicamente rilevante: in assenza di norme derogatorie, non può certo affermarsi che l’intermediario fosse esonerato dallo specificare le caratteristiche delle azioni della Banca Popolare di *** solo perché l’attrice impartiva un ordine di acquisto di sole 100 azioni.

Né possono ritenersi idonee allo scopo le sintetiche informazioni precedentemente fornite alla XXX nel contratto quadro del 31.10.2003 (cfr. articolo 6 delle condizioni generali – all. 4 comparsa di risposta), in quanto riferite agli strumenti finanziari in generale e non essendo, invece, declinate specificamente per le azioni di ***. In particolare, il documento di sintesi integrante il contratto del 31.10.2003 illustrava solo genericamente le caratteristiche ed i profili di rischio degli strumenti finanziari, tra cui quello di liquidità (articolo 2), distinguendo i titoli a seconda che fossero tratti o meno su mercati regolamentati e precisando che, per questi ultimi, poteva “risultare difficoltoso o impossibile liquidare uno strumento finanziario o apprezzarne il valore effettivo e valutare l’effettiva esposizione al rischio” e che, per tali motivi, “tali operazioni comportano l’assunzione di rischi più elevati” (cfr. art. 2 e 4.6 dell’all. 4 – comparsa di costituzione).

Non va, peraltro, sottovalutato che, in base all’ultimo profilo di rischio della cliente del 31.10.2003, la XXX era stata qualificata come una cliente con un’esperienza medio/bassa in materia finanziaria. Sulla scorta di tutte le considerazioni svolte deve ritenersi inadempiuto da parte dell’intermediario l’obbligo informativo circa le caratteristiche delle azioni *** oggetto dell’ordine di acquisto del 9.10.2008.

Invece, in occasione dell’aumento della partecipazione sociale ordinato il 6.2.2009, nel sottoscrivere la scheda di adesione (cfr. all. 8 comparsa di costituzione) l’attrice attestava di aver preso visione del capitolo “fattori di rischio” del prospetto informativo depositato presso la Consob il 30.1.2009 (cfr. all. 9 comparsa di costituzione), al cui punto 4.3.1 si legge che “gli strumenti finanziari oggetto dell’offerta sono azioni ordinarie emesse da Banca Popolare di *** […] che non sono quotate in alcun mercato regolamentato italiano o estero, né l’Emittente intende o prevede di richiedere l’ammissione alla negoziazione ad alcuno di tali mercati.”

Viene ivi precisato che “la sottoscrizione delle azioni della Banca implica l’assunzione tipica dei rischi finanziari connessi ad un investimento in azioni non negoziate su un mercato regolamentato. In particolare: – il valore economico delle azioni potrebbe variare significativamente a fronte di sostanziali cambiamenti nella valutazione del patrimonio e/o delle prospettive di utili futuri della Banca essendo strumenti finanziari rappresentativi del capitale sociale della Banca; – la circostanza che per le azioni oggetto della presente Offerta al momento non sia previsto l’accesso ad un mercato di scambi regolamentato, comporta il rischio di una maggiore difficoltà in caso di disinvestimento delle azioni (il cosiddetto rischio di liquidità)”.

Al successivo punto 4.3.2 del prospetto veniva fornita una puntuale definizione del rischio di liquidità, inteso come il “rischio di non trovare tempestiva e adeguata contropartita alle richieste di vendita delle azioni”, precisando che le azioni *** “non sono quotate in un mercato regolamentato o equivalente, pertanto l’investitore potrebbe subire delle perdite in conto capitale nel disinvestimento dei titoli stessi in quanto l’eventuale vendita potrebbe avvenire ad un prezzo inferiore al prezzo di acquisto dei titoli. Inoltre tali titoli potrebbero presentare problemi di liquidità per l’investitore che intenda alienare i titoli azionari in quanto le richieste di vendita potrebbero non trovare tempestiva ed adeguata contropartita.”

Ed ancora, al punto 4.1 si legge che “le azioni dell’Emittente non sono quotate in alcun mercato regolamentato italiano o estero. Pertanto, in quanto titoli azionari non quotati in un mercato regolamentato, potrebbero insorgere difficoltà di disinvestimento soprattutto nel breve termine, a causa della mancanza di richiedenti il titolo.”

Dalla scheda di adesione si ricava, inoltre, che l’attrice poteva acquisire copia del prospetto informativo delle azioni *** sia sul sito internet della Consob, sia presso la filiale dell’intermediario.

Quindi, che pur non essendovi la prova che l’intermediario avesse materialmente fornito copia del prospetto informativo all’attrice, quest’ultima dichiarava, sotto la propria responsabilità, di averne preso visione con precipuo riferimento ai “fattori di rischio”, tra cui quelli connessi ai conflitti di interesse dell’emittente e di liquidità, e al contempo l’intermediario metteva a disposizione per l’attrice una copia del prospetto informativo.

Se da un lato la dichiarazione resa dalla XXX non può qualificarsi come confessione stragiudiziale (cfr. Cass., Sez. I, n. 28175 del 31.10.2019), dall’altro non può non valorizzarsi il fatto che la XXX avesse sottoscritto un documento nel quale attestava di aver visionato un prospetto informativo, con precipuo riferimento proprio ai rischi connessi al negozio che si accingeva a stipulare, e che l’emittente e l’intermediario avevano messo a sua disposizione per la consultazione.

Quanto ai successivi ordini di acquisto, esecutivi del nuovo contratto di deposito e negoziazione titoli del 22.7.2010, va esaminata la questione della comunicazione Consob n. 9019104 del 2.3.2009, di cui l’attrice ha genericamente lamentato la violazione, senza tuttavia circostanziare le specifiche informazioni omesse. Si è limitata a sostenere che le difficoltà di collocamento delle azioni *** sul mercato – in quanto tratte non su di un mercato regolamentato – imponevano all’intermediario di adempiere i propri obblighi informativi per come interpretati nella citata comunicazione (cfr. pag. 7 citazione).

Così ricostruita la doglianza, non può ritenersi soddisfatto l’onere di allegare specificamente l’inadempimento, che impone “la pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrare” (così Cass., Sez. I, n. 10111 del 24.4.2018). Di conseguenza, rimane assorbita la questione sollevata dalla convenuta circa l’applicabilità della citata comunicazione – peraltro non versata in atti – al caso de quo in ragione della natura liquida od illiquida dello strumento finanziario.

Muovendo l’attenzione sulle ultime due operazioni di investimento, va osservato che l’ordine di acquisto del 22.7.2010 (cfr. all. 12 comparsa di costituzione) non reca alcuna indicazione in merito alle caratteristiche delle azioni *** e del rischio di liquidità, né fa richiamo a prospetti informativi consegnati o altrimenti resi noti alla cliente. In tale documento l’attrice autorizzava l’operazione, dichiarandosi consapevole solo del sottostante conflitto di interesse dell’intermediario (Banca Popolare di ***), che rivestiva, al contempo, anche il ruolo di emittente.

Passando, poi, all’ultimo ordine di acquisto del 28.1.2013, premesso l’incrementato bagaglio conoscitivo che la XXX dichiarava di possedere in occasione della profilatura del 15.11.2010 (cfr. all. 11 – comparsa di costituzione), va rilevato come l’intermediario avesse fornito indicazioni dettagliate in merito alle caratteristiche e al rischio di liquidità delle azioni ***, avendo richiamato nella dichiarazione di adesione del 28.1.2013 sia il prospetto del dicembre 2012 del prodotto (lettera c ed all. 15 alla comparsa di costituzione), sia i rischi relativi all’emittente e ai titoli della Banca Popolare di *** (lettera d), sia, infine, il conflitto di interessi in cui versava tale istituto di credito.

Alla seconda pagina del prospetto veniva evidenziato, con diversa colorazione, che “le azioni presentano gli elementi di rischio propri di un investimento in strumenti finanziari non quotati in un mercato regolamentato, per cui in sede di disinvestimento potrebbero sorgere difficoltà di smobilizzo”. Risulta precisato anche che “il prezzo delle azioni dell’Emittente è fissato dall’Assemblea dei Soci su base annuale e non deriva dalla negoziazione delle stesse azioni su un mercato regolamentato” (pag. 3 all. 15 comparsa di costituzione). Va, infine, osservato che il 28.1.2013 l’attrice sottoscriveva specificamente una scheda riepilogativa degli strumenti finanziari (azioni ed obbligazioni convertibili ***) in cui erano riportate le principali caratteristiche dei titoli, anche in punto di categoria di rischio e rischio di liquidità (cfr. all. 16 comparsa di risposta).

Sulla scorta di tali rilievi, deve concludersi che non vi è prova che l’intermediario avesse esattamente adempiuto al dove informativo imposto dal combinato disposto degli artt. 21, co. 1, lett. b), TUF e 31 del reg. Consob n. 16190/2007 solo in relazione agli investimenti del 9.10.2008 e del 22.7.2010.

7.5. Muovendo l’attenzione su un diverso profilo di inadempimento dedotto dall’attrice, deve porsi l’attenzione sull’obbligo dell’intermediario di valutare l’adeguatezza delle singole operazioni di investimento al profilo di rischio della XXX ed alla sua conoscenza del mercato finanziario.

Nella presente vicenda trovano applicazione, ratione temporis, gli artt. 40 e 41 del regolamento Consob n. 16190/2007.

A mente del primo articolo, l’intermediario deve valutare che la specifica operazione consigliata “a) corrisponda agli obiettivi di investimento del cliente; b) sia di natura tale che il cliente sia finanziariamente in grado di sopportare qualsiasi rischio connesso all’investimento compatibilmente con i suoi obiettivi di investimento; c) sia di natura tale per cui il cliente possieda la necessaria esperienza e conoscenza per comprendere i rischi inerenti all’operazione o alla gestione del suo portafoglio.” In base al successivo art. 41 l’intermediario deve verificare “che il cliente abbia il livello di esperienza e conoscenza necessario per comprendere i rischi che lo strumento o il servizio di investimento offerto o richiesto comporta”.

Nel caso di specie, l’attrice ha fatto sinteticamente richiamo ad entrambi i profili (adeguatezza ed appropriatezza), da un lato contestando l’inquadramento di rischio delle azioni *** alla luce delle difficoltà successivamente incontrate nella dismissione e, dall’altro, evidenziando la sua scarsa conoscenza del settore finanziario.

Non si ritiene di poter accertare se, a suo tempo, l’intermediario avesse o meno rispettato l’obbligo di valutare l’adeguatezza della proposta rispetto al profilo di rischio del cliente in base a considerazioni ex post, solo sulla base di una successiva perdita di valore dello strumento finanziario o delle riscontrate difficoltà di smobilizzo, non essendo emerse dal presente quadro probatorio circostanze atte a sostenere che l’intermediario fosse, al tempo, già consapevole di quanto poi verificatosi. Né l’attrice non ha allegato specifiche circostanze che, al tempo, avrebbero dovuto indurre l’intermediario a classificare gli strumenti finanziari come a rischio “alto” e, conseguentemente, ad astenersi dal proporli a clienti con un profilo di rischio inferiore.

Pertanto, attenendoci alla classificazione operata al tempo delle azioni *** come strumento finanziario a rischio basso sino al 2012 e, poi, a rischio medio (cfr. estratto conto del dossier titoli – all. 26 comparsa di costituzione), va osservato che il profilo di rischio dell’attrice era stato qualificato come “medio” al 31.10.2003 e, poi, al 22.7.2010, come “medio/alto” (cfr. all. 4 e 10 – comparsa di risposta). Di conseguenza, non può ritenersi violato l’obbligo di adeguatezza da parte dell’intermediario, che risulta aver proposto alla XXX prodotti finanziari in linea con il suo profilo di rischio. A ciò si aggiunga che al 31.10.2003 l’attrice aveva mostrato un obiettivo d’investimento nel “medio/lungo termine” (cfr. all. 4 – comparsa di costituzione) sicché non può genericamente ritenersi inadeguata l’offerta di azioni esposte ad un rischio di liquidità.

A fronte del dedotto inadempimento ed alla luce della documentazione versata in atti, la convenuta ha, peraltro, fornito la prova positiva della valutazione di adeguatezza rispetto al profilo di rischio della XXX in occasione dell’ordine di acquisto del 28.1.2013 (cfr. all. 13 – comparsa di costituzione), allorquando l’attrice autorizzava espressamente la Banca a procedere all’investimento nonostante la preavvisata inadeguatezza dell’operazione.

A tal riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la sottoscrizione di una segnalazione di inadeguatezza è idonea a far presumere assolto l’obbligo informativo in capo all’intermediario, salvo che il cliente alleghi che specifiche informazioni a tal fine rilevanti siano state omesse (cfr. ex multis Cass., sez. I, 24.4.2018 , n. 10111). Nel caso che ci occupa, in mancanza di specifica contestazione, deve ritenersi adempiuto l’obbligo di rendere nota l’inadeguatezza dell’operazione di investimento del 28.1.2013.

Tutte le considerazioni svolte sconfessano la mancata valutazione di adeguatezza dell’investimento rispetto al profilo di rischio dell’attrice.

In tema, poi, di appropriatezza delle operazioni, non può non valorizzarsi il fatto nel questionario del 15.11.2010 l’attrice dimostrava un approfondito bagaglio conoscitivo, dando conto di eseguire “fino ad un massimo di 10 operazioni a trimestre” e di aver acquisito specifiche competenze in ambito finanziario (cfr. all. 11 comparsa di costituzione). L’assunto appare, infatti, confortato dall’estratto conto del dossier titoli dell’attrice (cfr. all. 26 comparsa di costituzione), da cui risulta che già dal 2008 la XXX aveva investito in altri strumenti finanziari (“mediobca”). Tali circostanze destituiscono di fondamento l’allegazione attorea circa la sua minima esperienza in materia finanziaria.

7.6. Rimane, invece, solo genericamente dedotto l’inadempimento relativo alla violazione dell’art. 49 del regolamento Consob n. 16190/2007 (cfr. pag. 8 citazione) per mancato rispetto dell’ordine temporale nell’esecuzione degli ordini di vendita, non avendo la XXX neppure allegato che la convenuta avesse dato illegittimamente priorità ad un ordine impartito posteriormente da altri investitori, disattendendo il criterio cronologico. Del resto, le difficoltà di smobilizzo dei titoli in *** erano stati più di una volta rappresentati all’attrice nei diversi prospetti informativi (cfr. all. 9 e 15 comparsa di costituzione).

7.7. Del pari, assolutamente generica risulta anche la dedotta violazione dell’art. 1838 c.c. per omessa custodia ed amministrazione dei titoli nell’interesse del mandante (cfr. pag. 10 citazione).

7.8. Da quanto sopra esposto emergono elementi idonei ad affermare che la violazione dell’art. 21 TUF e della normativa regolamentare pro tempore vigente, per aver l’intermediario omesso di fornire informazioni sulle caratteristiche ed i rischi delle azioni *** in occasione delle operazioni di investimento del 9.10.2008 e del 22.7.2010.

7.9. Accertato l’inadempimento, non merita condivisione la tesi sostenuta dalla convenuta secondo cui la mancata contestazione dello stesso nel corso del rapporto si traduce in una rinuncia all’azione di risoluzione da parte del contraente non inadempiente, tenuto conto che all’inerzia di quest’ultimo viene attribuita efficacia estintiva solo dopo il decorso di dieci anni.

In materia di intermediazione finanziaria, è opportuno ricordare che la giurisprudenza di legittimità si è mostrata univoca nel riconoscere la possibilità di risolvere i singoli ordini di investimento (si veda, oltre alle pronunce sopra richiamate, Cass. 9.8.2016, n. 16820; conf. Cass. 27.4.2016 n. 8394), con la precisazione che tale risoluzione non determina la risoluzione parziale del contratto quadro, limitando la restituzione all’importo pagato e l’eventuale risarcimento dei danni subiti.

Del resto, le successive operazioni di investimento, benché costituiscano il momento attuativo del contratto quadro d’intermediazione, si configurano anch’essi come atti di natura negoziale (cfr. Cass. S.U., 19.12.2007, n. 26724 e n. 26725): “è con il singolo «ordine» che l’investitore decide quale atto porre concretamente in essere avvalendosi dell’operato dell’intermediario” (così in Cass. n. 8997 del 31.3.2021).

Tuttavia, anche in tali pronunce la Corte di Cassazione ha escluso che la violazione dell’obbligo informativo comporti sempre la risoluzione del singolo ordine di investimento, invitando il Giudice a vagliare, alla luce delle specifiche circostanze del caso concreto, la gravità dell’inadempimento e verificando se esso abbia alterato seriamente il sinallagma contrattuale da un punto di vista sia oggettivo, sia soggettivo.

E’ rimesso, quindi, al giudice stabilire se un determinato inadempimento abbia o meno il requisito della gravità di cui all’art. 1455 c.c..

Sebbene tale valutazione vada ancorata al momento in cui la prestazione avrebbe dovuto essere eseguita (cfr. ex multis Cass., Sez. II, 29.9.1994, n. 7937), è pacifico che il giudicante possa valorizzare circostanze posteriori, quali la protratta tolleranza del contraente non inadempiente (cfr. Cass., sez. II, 18.2.2008, n. 3954).

Quanto, poi, all’onere probatorio, la non scarsa importanza dell’inadempimento viene qualificata come condizione dell’azione di risoluzione (cfr. Cass., 11.6.2013, n. 14649) e, pertanto, ove non sia “in re ipsa” – come nel caso di specie – deve essere allegata e dimostrata dall’attrice secondo le regole dell’art. 2697 c.c. (cfr. ex multis Cass., Sez. I, 24.5.1995, n. 5658)

Ebbene, in base ad un criterio oggettivo, non può negarsi la rilevanza attribuita dalla normativa primaria e secondaria agli obblighi di c.d. informazione attiva, tale da assimilarli ad un’obbligazione principale, non meramente accessoria (cfr. in motivazione Cass. n. 16861 del 7.7.2017). Va, infatti, data continuità all’orientamento esegetico secondo cui, “nell’economia della singola operazione, l’obbligo informativo assuma rilievo determinante, essendo diretto ad assicurare scelte di investimento realmente consapevoli: per modo che in assenza di un consenso informato dell’interessato il sinallagma del singolo negozio di investimento manchi di trovare piena attuazione, giustificandosi, per tale via, la risoluzione per inadempimento del medesimo” (così in Cass., Sez. I, n. 16861 del 7.7.2017). Né può negarsi che, nel caso di specie, siano state accertate rilevanti carenze informative in occasione degli investimenti del 9.10.2008 e del 22.7.2010.

Tuttavia, il criterio soggettivo impone di tenere in considerazione anche l’interesse che il contraente non inadempiente intendeva realizzare con il contratto, dando rilievo alle modalità e alle circostanze dello svolgimento concreto del rapporto al fine di verificare se l’inadempimento abbia in concreto generato un’alterazione notevole dell’equilibrio contrattuale (cfr. Cass., Sez. II, 16.6.2015, n. 12417). A tal riguardo, l’attrice ha argomentato la gravità dell’inadempimento sostenendo che, ove fosse stata consapevole del rischio di liquidità e delle difficoltà di dismissione delle azioni *** – per non essere tratte su un mercato regolamentato – non avrebbe investito in tali strumenti finanziari.

Tale allegazione risulta, tuttavia, sconfessata dalla condotta successivamente tenuta in occasione degli ordini di investimento del 2009 e del 2013, nella misura in cui la XXX, pur resa edotta delle caratteristiche delle azioni ***, delle modalità con cui esse venivano collocate sul mercato (non regolamentato) e del connesso rischio di liquidità, manifestava espressamente la volontà di incrementare il numero di azioni del suo portafoglio titoli. Addirittura, il 28.1.2013 l’attrice ordinava alla Banca di procedere all’acquisto, pur consapevole delle caratteristiche delle azioni *** e che tale operazione era inadeguata al suo profilo, accollandosi “un maggior rischio di perdite sul portafoglio di investimento nel caso di insolvenza” (cfr. all. 13 comparsa di costituzione).

Alla luce di tali emergenze, non può non attribuirsi rilevanza a tale reiterata circostanza, tenuto conto dell’identità del prodotto finanziario acquistato, delle sue caratteristiche e del rischio di liquidità connesso al mercato ove veniva tratto. In altri termini, nella vicenda che ci occupa è in atti la prova positiva che tali informazioni non sarebbero state, comunque, determinanti nelle scelte di investimento della XXX e che, anche ove informata, l’attrice si sarebbe accollata il rischio di liquidità delle azioni *** determinandosi nel senso dell’acquisto. In altri termini, le circostanze successive consentono di valorizzare, in sede di una valutazione ex ante, secondo la regola probatoria del più probabile che non, che nel caso concreto l’omissione informativa, per quanto oggettivamente rilevante, non era soggettivamente idonea ad alterare il sinallagma contrattuale al punto da giustificare oggi una risoluzione dell’ordine di acquisto.

Sulla base di tutte le considerazioni svolte, la domanda subordinata di risoluzione dei singoli ordini di investimento – e per l’effetto quella restitutoria consequenziale – deve essere rigettata.

8.1. Come noto, il rigetto della domanda di risoluzione per scarsa importanza dell’inadempimento non esclude l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno contestualmente proposta, da circoscrivere agli unici inadempimenti accertati, riferiti agli ordini di acquisto del 2008 e del 2010 per un totale di n. 2.102 azioni, al prezzo complessivo di € 11.255 (cfr. all. 26 comparsa di costituzione). Va rammentato che, sulla scorta delle considerazioni sopra svolte, non sussistono i presupposti per affermare una responsabilità precontrattuale dell’intermediario.

8.2. Così delimitato il thema probandum, in base all’art. 23, co. 6, TUF, nelle azioni di responsabilità per danni arrecati dall’intermediario all’investitore, il riparto dell’onere probatorio impone a quest’ultimo di allegare l’inadempimento delle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione, dal d.lgs. n. 58/1998 e dalla normativa secondaria, nonché di provare il danno ed il nesso di causalità con l’inadempimento, vuoi anche attraverso presunzioni, mentre è onere dell’intermediario provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito con la specifica diligenza richiesta (così in Cass., Sez. I, n. 810 del 19.1.2016; conf. Cass., Sez. I, n. 14335 del 24.5.2019).

Fatta questa premessa va preliminarmente rigettata l’eccezione di prescrizione della domanda risarcitoria, attesa la natura contrattuale dell’inadempimento sinora accertato dal Giudice, con conseguente applicazione del termine decennale di prescrizione, interrotto dall’istanza di mediazione del 2017 nei termini sopra esposti.

8.3. Passando al nesso causale, si è detto che “dalla funzione sistematica assegnata all’obbligo informativo gravante sull’intermediario finanziario […] scaturisce una presunzione legale di sussistenza del nesso causale fra inadempimento informativo e pregiudizio, pur suscettibile di prova contraria da parte dell’intermediario” (così in Cass., Sez. I, n. 16126 del 28.7.2020; conf. Cass., Sez. I, n. 3914 del 16.2.2018). Nel caso che ci occupa, in assenza di prova contraria fornita dalla Banca convenuta, la citata presunzione legale non può dirsi superata.

8.4. Esaminando, infine, il lamentato pregiudizio, va segnalato che il danno emergente non si quantifica nella somma investita dall’attrice, ma da tale importo deve essere detratto sia il valore corrente delle azioni al momento della proposizione della domanda risarcitoria, sia ogni utilità medio tempore ricavata dagli investimenti (cfr. ex multis Cass., Sez. I, n. 28810 del 31.12.2013; conf. Cass., Sez. I, n. 29864 del 29.12.2011).

La XXX ha dedotto il valore attuale delle azioni ***, quantificandolo in € 7,50 cadauna (cfr. pag. 12 citazione), facendo riferimento all’ordine di vendita impartito nel 2016 e al valore unitario stabilito dall’assemblea dei soci della Banca Popolare di *** il 24.4.2016.

Tuttavia, tale circostanza è stata specificamente contestata dalla convenuta, che ha sollecitato l’attrice ad indicare il controvalore delle azioni *** al momento della proposizione del giudizio. Non trovando applicazione la relevatio ab onere probandi di cui all’art. 115 c.p.c., l’attrice avrebbe dovuto dare dimostrazione dell’attuale valore delle azioni *** al momento della notifica dell’atto introduttivo, ossia al 28.9.2018.

Non essendo stata fornita prova di tale dato, non risulta provato il danno emergente patito e, conseguentemente, la domanda risarcitoria deve essere anch’essa respinta. Ulteriore motivo di rigetto attiene al credito risarcitorio da lucro cessante, che può sì essere oggetto di liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. ma non può essere solo genericamente allegato dal danneggiato. Invero, la valutazione equitativa può operare solo se il creditore, su cui grava l’onere, non sia riuscito a dimostrare il “quantum” del danno, ma non nel caso in cui non abbia documentato l’esistenza del pregiudizio e, nel caso di specie, quello da mancato guadagno.

Per tutte le motivazioni sinora esposte, le domande attoree devono essere integralmente respinte.

9. Ancor prima di respingere la domanda ex art. 96 c.p.c. per esser l’attrice risultata soccombente all’esito del giudizio, va segnalato che tale domanda non veniva richiamata nelle conclusioni rassegnate in vista dell’udienza di precisazione delle conclusioni del 13.10.2021. E’ noto in giurisprudenza che ove la parte richiami solo alcune delle conclusioni rassegnate, con tale atto sta implicitamente rinunciando alle domande non specificamente reiterate. Pertanto, la rinuncia a tale domanda ne preclude l’esame nel merito.

10. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo in base al D.M. n. 55/2014 (aggiornato al D.M. n. 37/2018), avuto riguardo allo scaglione compreso tra € 26.001 ed € 52.000 relativo al valore della controversia e ai parametri medi, salvo che per la fase istruttoria da liquidare secondo i parametri minimi, non essendo state assunte prove costituende (fase istruttoria/trattazione: € 1.204).

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, così provvede:

– rigetta le domande avanzate da XXX nei confronti della Cassa di Risparmio di YYY s.p.a.;

– condanna XXX a rifondere in favore della Cassa di Risparmio di YYY s.p.a. le spese di lite, che si liquidano in € 6.738,00, oltre spese generali al 15%, iva se dovuta e c.p.a..

Terni, 18.1.2021 Il Giudice

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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