REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Cosenza– Sezione seconda civile – in composizione monocratica ed in persona della dott.ssa, ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 1308/2022 pubblicata il 01/07/2022
nella causa civile iscritta al n. 1274/2019 R.G., trattenuta in decisione all’udienza del 21.3.2022, previa concessione dei termini di cui all’articolo 190 cod.proc.civ., ai fini del deposito in Cancelleria di comparse conclusionali e di memorie di replica, avente ad oggetto: risarcimento danni
tra
XXX, appresentato e difeso dall’avv.;
attrice
e
YYY SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv.;
convenuto
e
***;
convenuto non costituito
Nonché
L’ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE- (C.F. 80078750587- P.I.
02121151001) in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso in giudizio dagli avv.ti;
CONCLUSIONI
Come in atti.
RAGIONI DI FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE
XXX ha evocato in giudizio ***, quale proprietario e conducente dell’autoveicolo Audi A/4 Tg ***, unitamente alla relativa Compagnia assicuratrice YYY S.p.a, per sentir dichiarare la responsabilità esclusiva del primo, in ordine al sinistro avvenuto il 21/11/2017, verso le ore 18,00 sulla strada provinciale 245,al Km 45+200 in località Santo Stefano di Rogliano (CS), nel quale rimaneva coinvolto l’attore con esiti lesivi gravissimi, nonché la condanna dei convenuti, in solido, al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali al medesimo cagionati.
Nel costituirsi, la Compagnia convenuta ha chiesto il rigetto della domanda attorea, nella misura quantificata dall’attore, deducendone l’esorbitanza rispetto al danno effettivamente occorso, anche in relazione al concorso di responsabilità dell’XXX nella verificazione del sinistro.
Nel corso del procedimento, ove ha disertato il dialogo processuale ***, è intervenuto volontariamente l’INPS, con comparsa depositata il 30.7.2020, ed ha chiesto “condannarsi *** e/o la *** S.r.l., ovvero XXX ma quest’ultimo solo nella denegata ed inverosimile ipotesi in cui avesse leso il diritto di surroga, ciascuno per le rispettive responsabilità, al pagamento, allo stato, di complessivi € 52.410,08 di cui € 51.987,66 quale sorte capitale (€ 9.236,29 + € 42.751,37) corrispondente a prestazioni corrisposte e prestazione capitalizzata, nonché € 114,38 a titolo di interessi legali sulle prime ed € 308,04 sulla seconda”.
Espletata prova orale e consulenza tecnica medico legale, la causa viene per la decisione. Ciò posto, e venendo al merito della res controversa, in punto di diritto deve ritenersi applicabile alla fattispecie la presunzione di cui al primo comma dell’art. 2054 c.c., in base alla quale il conducente del veicolo è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o cose dalla circolazione del veicolo, salvo che non provi di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. La responsabilità del conducente si presume, salvo questi non provi di aver fatto tutto il possibile per scongiurare l’evento o che lo stesso danneggiato abbia realizzato una condotta illecita che, concretamente, abbia assunto rilievo eziologico, esaustivo o concorrente, rispetto alla verificazione dell’incidente.
Nell’ipotesi di investimento di un pedone, in particolare, deve escludersi la responsabilità del conducente ai sensi dall’ove risulti provato che non vi era, da parte di quest’ultimo, alcuna possibilità di prevenire l’evento; tale situazione ricorre allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile e anomala, tale da sorprendere il conducente, sicché l’automobilista si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nell’oggettiva impossibilità di avvistarlo e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido e inatteso, dovendo pertanto escludersi la responsabilità del conducente ove risulti provato che non vi era da parte di quest’ultimo alcuna possibilità di prevenire l’evento (in questo senso cfr., ex multis, Cass. 25.09.2014 n. 20307).
Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui il dovere di attenzione del conducente teso all’avvistamento del pedone trova il suo parametro di riferimento (oltre che nelle regole di comune e generale prudenza) nel principio generale di cautela che informa la circolazione stradale e si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali: quello di ispezionare la strada dove si procede o che si sta per impegnare; quello di mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico; quello, infine, di prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada (in particolare cfr., sul punto, Cass. pen., 12.10.2005 n. 44651; Cass. pen., 13.10.2005 n. 40908).
Trattasi di obblighi comportamentali posti a carico del conducente anche per la prevenzione di eventuali comportamenti irregolari dello stesso pedone, siano essi genericamente imprudenti o violativi degli obblighi comportamentali specifici, dettati dall’art. 190 d.lgs. 285/1992. Il conducente, infatti, ha anche l’obbligo di prevedere le eventuali imprudenze o trasgressioni degli altri utenti della strada e di cercare di prepararsi a superarle senza danno altrui (cfr. Cass. civ., 30.11.1992, n. 1207).
Per costante orientamento giurisprudenziale, inoltre, la presunzione di colpa del conducente investitore prevista dalla norma predetta non opera in contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito fondata sul rapporto di causalità fra evento dannoso e condotta umana, nel senso che se il conducente del veicolo investitore non ha fornito la prova idonea a vincere la suddetta presunzione, non è preclusa l’indagine da parte del giudice di merito in ordine al concorso di colpa del pedone investito ai sensi dell’art. 1227 c.c. pacificamente rilevabile ex officio (cfr. Cass. civ. n. 2127/del 2006); accertata la pericolosità e l’imprudenza della condotta del pedone, la colpa dello stesso concorre con quella presunta del conducente, di cui all’art. 2054 c.c. (in tal senso, cfr., ex plurimis, Cass. 13.11.2014 n. 24204; Cass. 13.03.2012, n. 3966, inedita; Cass., 11.06.2010, n. 14064; Cass., 24.11.2009, n. 24689).
Deve infine rilevarsi che l’accertamento del comportamento colposo del pedone non è sufficiente per l’affermazione della sua esclusiva responsabilità, essendo pur sempre necessario che l’investitore superi la presunzione di colpa più volte citata, posta a suo carico, dimostrando così di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno (cfr. Cass. 22.01.2015, n. 1135).
Fatta tale premessa, nel caso di specie deve ritenersi che non sia stata superata la presunzione di colpa del conducente, prevista dall’art. 2054, comma I, c.c., seppur in presenza di un concorso di responsabilità della vittima nel determinismo dell’evento. Il fatto storico è provato, nella sua materialità, sulla scorta della relazione di incidente stradale redatta dai Carabinieri di Rogliano e dell’istruttoria espletata nel corso di questo giudizio.
Quanto alla dinamica del sinistro, deve ritenersi pacifico che *** ha investito XXX, mentre questi aveva iniziato l’attraversamento della strada, lungo la S. Provinciale n. 245, in loc. Vallegiannò, Santo Stefano di Rogliano, procedendo alla velocità di 58 Km/h, quale rilevata dal dispositivo satellitare installato a bordo della vettura. Nessuna traccia di frenata è stata rinvenuta sul posto.
La sede dell’incidente risulta descritta dalla relazione dei Carabinieri intervenuti, che hanno chiarito trattarsi di carreggiata a doppio senso di marcia, in rettilineo, con fondo stradale asciutto, pavimentazione asfaltata, tempo sereno, condizioni di traffico normale. Quanto alla visibilità, la stessa viene indicata come “sufficiente” nella prima pagina del rapporto, ed insufficiente nella seconda parte, in relazione alle condizioni della lampada ad incandescenza a sospensione aerea.
La contraddizione non è stata superata all’esito della prova orale espletata, atteso che i militi intervenuti sul posto hanno riferito di non ricordare tale aspetto.
Di certo, le fotografie ritraenti lo stato dei luoghi successivo al sinistro evidenziano la presenza di lampade ad incandescenza a sospensione aerea lungo il tratto interessato e non risultano documentate segnalazioni di guasti temporanei di tali sistemi di illuminazione nel periodo in cui si è verificato il sinistro. Tanto basta ad escludere che le condizioni esterne al conducente abbiano determinato l’invisibilità del pedone.
Quanto al punto dell’impatto, deve evidenziarsi che non risulta provata la presenza di striscia longitudinale impeditiva del passaggio di pedoni. I testimoni sentiti nell’interesse della Compagnia, invero, non sono stati in grado di confermare la circostanza. Non è stata prodotta documentazione fotografica a sostegno dell’assunto da parte della difesa della Compagnia, mentre le immagini successive al sinistro depositate dall’attore in uno alla memoria istruttoria escludono tale asserzione.
Ciò posto, è la stessa allegazione attorea a descrivere un investimento al di fuori delle strisce pedonali, anche se in prossimità delle stesse.
Deve evidenziarsi che, se la presenza delle strisce sul posto non è stata confermata dai testi escussi, emerge dalla documentazione fotografica prodotta da parte attrice nonché dalle dichiarazioni rese dal Comandante dei Carabinieri della Stazione di Rogliano che il tratto interessato è oggetto di attraversamento continuo da parte di pedoni, per la presenza di esercizi commerciali e di una farmacia.
La natura del tratto di strada in questione, quindi, connota in termini di superficialità ed imprudenza la condotta di guida del conducente.
Ed invero, quando una strada è costeggiata su entrambi i lati da case ed esercizi commerciali, il conducente di un’autovettura, pur non trovandosi nell’immediata prossimità di un attraversamento pedonale, deve considerare possibile l’eventuale sopravvenienza di pedoni e, quindi, tenere un’andatura ed un livello di attenzione idonei ad evitare di investirli; infatti, non è eccezionale ed imprevedibile che, nelle vicinanze di un esercizio commerciale, qualcuno decida di attraversare anche in assenza di strisce pedonali o di un semaforo ed il conducente dell’autovettura deve tenere in debita considerazione tale eventualità.
Conclusivamente, deve ritenersi che non sia stata fornita la prova di una condotta di guida del Grimaldi adeguata alle condizioni di tempo e di luogo in cui si è verificato il sinistro, con particolare riguardo alla velocità tenuta giacché superiore, sia pure in misura minima, al limite di 50 km/h ed al fatto che stesse procedendo all’interno di una località interessata dal continuo attraversamento dei pedoni nonché avuto riguardo al fatto che in condizioni di difficoltà visiva anziché arrestare la marcia, abbia proseguito.
Sul punto, la Cassazione ha più volte espresso il principio secondo il quale il conducente di un veicolo è tenuto a vigilare al fine di avvistare il pedone e porre in essere una serie di accorgimenti (in particolare moderare la velocità e, all’occorrenza, anche arrestare la marcia del veicolo) al fine di prevenire il rischio di un investimento (cfr., ex multis, Cass., 13 febbraio 2013 n. 3542).
In questa prospettiva, la giurisprudenza che si condivide ha affermato: ‘Poiché l’esercizio del diritto di precedenza non può considerarsi illimitato, dovendo essere sempre subordinato al principio del neminem laedere, ove un pedone attraversi la carreggiata fuori dalle apposite strisce, il conducente del veicolo è tenuto a rallentare la velocità e addirittura ad interrompere la marcia al fine di evitare incidenti che potrebbero derivare proprio da mancata cessione della precedenza a suo favore. Se ciò non faccia, la responsabilità per l’eventuale evento colposo verificatosi è sempre a lui attribuibile, pur se al pedone possa, secondo le condizioni del caso, attribuirsi una efficienza causale concorsuale in base all’apprezzamento motivato del giudice di merito’ (Cass. pen. 24/1/94 n. 3347 e Cass. Pen., 06/02/2015 n. 30989).
Ed invero ‘l’accertamento del comportamento colposo del pedone investito da un veicolo, quale che sia la gravità della colpa, non è sufficiente per l’affermazione della sua esclusiva responsabilità, essendo pur sempre necessario che l’investitore vinca la presunzione di responsabilità posta a suo carico dall’art. 2054 c.c., dimostrando di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno (Cass. civ. 21/4/95 n. 4490 e Cass., civ., 05/03/2013, n. 5399).
Nella fattispecie, non può ritenersi raggiunta la prova liberatoria richiesta dall’art. 2054 c.c., considerato peraltro che non risultano tracce di frenata nella fase antecedente all’investimento e tenuto conto dei principi generali sanciti dall’art. 141 d.lgs. n. 285/1992 secondo cui ‘1. È obbligo del conducente regolare la velocità del veicolo in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione. 2. Il conducente deve sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile’.
Ne consegue che deve ritenersi più che verosimile che laddove il *** avesse tenuto una condotta di guida adeguata allo stato e alle condizioni dei luoghi, ben avrebbe potuto conservare il controllo del proprio veicolo, potendo così compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del veicolo dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile, nella specie l’attraversamento del pedone. Nel caso di specie, nell’immediatezza del fatto sono state raccolte dall’autorità giudiziaria intervenuta le spontanee dichiarazioni del ***, il quale ha dichiarato di essere stato abbagliato da un veicolo incrociato e di non aver percepito la presenza del pedone, se non nell’istante del tragico e violento impatto, condizione che gli aveva precluso di frenare. La circostanza, che non risulta provata se non dalle dichiarazioni del convenuto, è, in ogni caso, inidonea ad integrare un caso fortuito, atteso che, in tema di evento colposo verificatosi nel corso della circolazione di veicoli, l’abbagliamento del conducente causato dalla luce dei fari di veicolo procedente in senso inverso non costituisce motivo per la esclusione della punibilità (caso fortuito) poiché chi venga a trovarsi in condizione di limitata visibilità ha il dovere di ridurre la velocità del veicolo condotto o, addirittura, di fermarsi.
Nella specie, quindi, il convenuto avrebbe dovuto adottare opportune cautele onde non creare intralcio alla circolazione ovvero l’insorgere di altri pericoli, ed attendere di superare gli effetti del fenomeno impeditivo della visibilità, anziché procedere nella marcia.
E’ pur vero che anche a carico dell’attore è ravvisabile un concorso di colpa nel determinismo del sinistro che si ritiene di poter quantificare nella misura del 30%, considerato che la condotta dalla stessa tenuta integra una grave violazione di molteplici norme cautelari previste in materia di circolazione stradale e, in particolare, il principio in virtù del quale ‘Gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale’ (art. 140 d.lgs. n. 285/1992) nonché il principio in forza del quale ‘I pedoni, per attraversare la carreggiata, devono servirsi degli attraversamenti pedonali, dei sottopassaggi e dei soprapassaggi. Quando questi non esistono, o distano più di cento metri dal punto di attraversamento, i pedoni possono attraversare la carreggiata solo in senso perpendicolare, con l’attenzione necessaria ad evitare situazioni di pericolo per sè o per altri’ (art. 190, d.lgs. cit.).
Ebbene, le emergenze processuali consentono di affermare la sussistenza di un concorso di colpa del pedone a causa del suo comportamento imprudente, per avere attraversato al di fuori delle strisce di attraversamento pedonale, ivi presenti a distanza di circa pochi metri.
Si ritiene in conclusione che al convenuto, per tutti i motivi sovra espressi, vada addebitata la responsabilità del sinistro in via prevalente, nella misura del 70%, mentre all’attore vada imputato un concorso di colpa pari al 30%.
Così accertata la sussistenza dell’obbligazione risarcitoria in relazione all’illecito extracontrattuale, occorre procedere alla determinazione del danno risarcibile e alla conseguente liquidazione dello stesso.
In relazione ai danni non patrimoniali subiti dall’attrice in conseguenza del sinistro si osserva quanto segue.
I danni alla persona sono stati accertati dalla c.t.u. medico-legale espletata in corso di causa dal dott. ***, il quale ha accertato: che l’attore in conseguenza dell’evento lesivo per cui è causa, ha riportato: esiti di trauma cranio encefalico con focolai lacero contusivi multipli fronto basali e cerebellari e deterioramento neuro cognitivo; esiti di craniectomia decompressiva per ematoma epidurale acuto; esiti di trauma toracico con fratture costali multiple; che tali lesioni hanno comportato, secondo la valutazione espressa dal consulente, un periodo di inabilità temporanea assoluta di giorni 180; di inabilità temporanea al 75% di giorni 60; che sono conseguiti postumi di natura permanente tali da incidere sulla integrità psico-fisica del soggetto nella misura del 60%. Le conclusioni del CTU risultano suffragate da accertamenti specifici nonché da un’esaustiva valutazione dei dati anamnestici e della documentazione sanitaria prodotta, corredate da argomentazioni di indubbio valore scientifico e non inficiate dalle critiche di parte, che pure evidenziano un miglioramento della condizione fisica dell’attore rispetto a quella originariamente prospettata, pertanto, devono essere senz’altro condivise dal Tribunale e poste a base per la valutazione del danno non patrimoniale in capo all’XXX. Sulla base di tali conclusioni spetta pertanto al danneggiato il risarcimento del danno non patrimoniale complessivamente inteso in relazione sia alla lesione dell’integrità psicofisica temporanea e permanente tutelata dall’art. 32 Cost. (Cass. 31/5/2003 n. 8827 e 8828) sia alla sofferenza soggettiva cagionata dal reato di lesioni colpose ravvisabile nel caso di specie.
Con riferimento ai danni non patrimoniali subiti dall’attrice, si rileva che la liquidazione va effettuata tenuto conto dei principi espressi dalla Suprema Corte a Sezioni Unite nella sentenza n. 26972 del 2008. La giurisprudenza di legittimità, a Sezioni Unite, ha chiarito che, nell’ambito del danno non patrimoniale, il riferimento a determinati tipi di pregiudizi, in vario modo denominati, risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno (Cass SS.UU. n. 26972/2008 e, successivamente, Cass., 15 gennaio 2014 n. 687); conseguentemente, è necessario liquidare tale pregiudizio come categoria unitaria non suscettibile di suddivisioni in sottocategorie ed è compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, provvedendo ad un’integrale riparazione, valutando congiuntamente tutte le sofferenze soggettivamente patite dall’attore in relazione alle condizioni personali dello stesso e ai risvolti che concretamente la lesione all’integrità psico-fisica ha comportato, quali ‘pregiudizi esistenziali’ concernenti aspetti relazionali della vita.
In questa prospettiva è stato affermato che ‘Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale’. Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008; analogamente, Cass., 9/12/2010 n. 24864; Cass., 16 maggio 2013 n. n. 11950; Cass., 23 settembre 2013 n. 21716).
Al riguardo, giova evidenziare che non si ignora il diverso orientamento secondo cui non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del risarcimento del danno biologico, quale pregiudizio che esplica incidenza sulla vita quotidiana e sulle attività dinamico-relazionali del soggetto, e di un’ulteriore somma a titolo di ristoro del pregiudizio rappresentato dalla sofferenza interiore (c.d. danno morale, sub specie di dolore dell’animo, vergogna, disistima di sé, paura, disperazione), con la conseguenza che, ove dedotto e provato, tale ultimo danno deve formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (così, Cass., ord., 19 febbraio 2019 n. 4878 ma anche Cass., 3 ottobre 2013 n. 22585, più di recente Cass., 12 ottobre 2020 n. 21970).
Tuttavia, il riconoscimento dell’importanza della funzione nomofilattica affidata al giudice di legittimità, accentuata laddove si pronunci a Sezioni Unite, come confermato dalle previsioni dell’art. 374 comma II c.p.c., e che, in definitiva è funzionale a garantire la certezza del diritto induce questo giudice a dar seguito ai principi espressi dalle medesime Sezioni Unite.
Per quanto riguarda la liquidazione del danno non patrimoniale, trattandosi di lesioni macropermanenti, si ritiene di dover utilizzare i criteri adottati dal Tribunale di Milano con le Tabelle 2021 per la liquidazione del danno non patrimoniale (in base ai principi espressi, tra le altre, da Cass., 13 dicembre 2016 n. 25485).
Nel caso di specie, tenuto conto della gravità delle lesioni, della durata dell’invalidità temporanea, dell’età della persona al momento del sinistro (anni 54 alla stabilizzazione dei postumi: cfr. Cass. civ. 26897/2014 in ordine alla decorrenza del danno biologico di natura permanente soltanto dalla cessazione di quello temporaneo) e dell’entità dei postumi permanenti, alla luce delle citate tabelle milanesi è possibile liquidare in via equitativa, per la voce di danno non patrimoniale, le somme di Euro 33.525,00 in moneta attuale per ciò che riguarda l’inabilità temporanea (reputandosi equo calcolare un parametro giornaliero di Euro 149,00 per ogni giorno di inabilità totale, avuto riguardo ai plurimi interventi cui l’attore è stato sottoposto ed alla particolare complessità del periodo di convalescenza) e di Euro 397.730,00 in moneta attuale per le conseguenze riferibili ai postumi permanenti e alla sofferenza morale (con aumento del 25%) che può ritenersi provata in via presuntiva nonché sulla scorta delle modalità di accadimento del fatto repentine ed improvvise nonché alla stregua della grave incidenza dell’evento sullo stato psicofisico dell’attore, quale descritto dai testimoni escussi nel corso del giudizio, e così per il complessivo importo di Euro 431.255,00 in valori monetari attuali.
Tale importo va ridotto del 30% alla luce dell’accertato concorso di responsabilità nella determinazione del sinistro, con conseguente riconoscimento in favore dell’attore dell’importo di Euro 301.878,50 in valori monetari attuali a titolo di danno non patrimoniale.
Per il resto, deve altresì rilevarsi che ogni ulteriore profilo evidenziato ai fini della liquidazione di una personalizzazione del danno deve ritenersi già congruamente ristorato con i valori tabellari, aumentati della percentuale sopra indicata.
In relazione all’ulteriore danno patrimoniale richiesto da parte attrice, giova preliminarmente osservare che, in caso di illecito lesivo dell’integrità psicofisica della persona, la riduzione della capacità lavorativa generica, quale potenziale attitudine all’attività lavorativa da parte di un soggetto è legittimamente risarcibile come danno biologico – nel quale si ricomprendono tutti gli effetti negativi del fatto lesivo che incidono sul bene salute in sé considerato – con la conseguenza che la predetta voce di danno non può formare oggetto di autonomo risarcimento come danno patrimoniale che andrà, invece, autonomamente liquidato qualora alla detta riduzione della capacità lavorativa generica si associ una riduzione della capacità lavorativa specifica, che, a sua volta, dia luogo ad una riduzione della capacità di guadagno (cfr., ex multis, Cass. Civ. n. 1879 del 2011 e Cass. Civ. n. 25289 del 2009).
La capacità lavorativa specifica consiste, dunque, nella contrazione dei redditi dell’infortunato, determinata dalle lesioni subite, sussistendo quest’ultimo tipo di pregiudizio allorquando, dopo la lesione ed a causa di essa, la vittima non sia più in grado di percepire il medesimo reddito di cui godeva prima del sinistro (cfr. Cass. Civ. n. 13409 del 2001). La riduzione della capacità lavorativa non costituisce un danno di per sé, ma rappresenta una causa del danno da riduzione del reddito, sicché la prova della riduzione della capacità di lavoro non comporta automaticamente l’esistenza del danno patrimoniale ove il danneggiato non dimostri, anche a mezzo di presunzioni semplici, la conseguente riduzione della capacità di guadagno.
Premesso che il diritto al risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante non può farsi discendere in modo automatico dall’accertamento dell’invalidità permanente, poiché esso sussiste solo se tale invalidità abbia prodotto una riduzione della capacità lavorativa specifica, per maturare tale diritto è onere del danneggiato dare prova che stava svolgendo una attività lavorativa al momento del sinistro e di come l’invalidità derivata abbia inciso sulla sua capacità lavorativa (attuale e futura) e sulla capacità di guadagno; inoltre il danneggiato deve dare prova che, all’esito del sinistro, non gli è residuata alcuna capacità di attendere ad altri lavori confacenti alle sue attitudini personali (v. sul punto Cass. 14517/2015; 2758/2015).
Nell’ipotesi in cui il danneggiato non svolga alcuna attività lavorativa al momento del sinistro, ove venga dimostrata la perdita o la riduzione della capacità specifica di guadagno, la liquidazione del danno può essere compiuta per mezzo di presunzioni, considerando il tipo di attività che il soggetto potrebbe svolgere in futuro secondo un criterio probabilistico, tenuto conto delle possibili scelte ed occasioni che, secondo l’id quod plerumque accidit, si offrono in relazione al livello di studi conseguito e all’ambiente familiare e sociale di riferimento (v. Cass. 564/2005; 18945/2003).
Nella specie, l’attore, disoccupato al momento del sinistro, ha documentato di aver svolto nell’intero arco della vita lavori socialmente utili presso il Comune di Mangone, dai quali ha ricavato per il 2016 la somma di euro 1.670,00 e per il 2017 euro 550,00, circostanza confermata dai testi escussi.
Avuto riguardo all’assenza di documentazione reddituale dell’istante che non ha offerto risconto delle specifiche attitudini dell’istante, della relativa formazione, si ritiene inaccoglibile, quindi, la richiesta di riconoscimento dell’ulteriore somma (pari al triplo della pensione sociale ) richiesta dall’attore.
Questi, invero, pretende il riconoscimento di una somma di gran lunga superiore al reddito ricavato nel corso dell’intera vita lavorativa, dalla quale ha ricavato utilità economiche irrisorie e senza fornire alcuna prognosi sulla certezza e presumibile entità dei guadagni ossia delle retribuzioni che avrebbe dovuto percepire per gli anni successivi alla liquidazione.
Sulla predetta somma di Euro 301.878,50 liquidata all’attualità, deve procedere alla detrazione dell’acconto corrisposto dalla Compagnia Essi sono pacifici in causa nell’ammontare complessivo, pari a E 130.000,00, in data 7.6.2019.
In materia di risarcimento del danno da fatto illecito, qualora -prima della liquidazione definitiva – il responsabile versi un acconto al danneggiato, tale pagamento va sottratto dal credito risarcitorio non secondo i criteri di cui all’art. 1194 Cc (applicabile solo alle obbligazioni di valuta, non a quelle di valore, qual è il credito risarcitorio da danno aquiliano), ma attraverso le seguenti operazioni: a) rendere omogeni il credito risarcitorio e l’acconto (devalutando entrambi alla data dell’illecito); b) detrarre l’acconto dal credito; c) calcolare gli interessi compensativi applicando un saggio scelto in via equitativa: c1) sull’intero capitale (a), rivalutato anno per anno, per il periodo che va dalla data dell’illecito al pagamento dell’acconto; c2) sulla somma che residua dopo la detrazione dell’acconto (b), rivalutata anno per anno, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva.
Si procede dapprima, ricorrendo agli indici I.Stat. (FOI), a devalutare la somma di E 301.878,50 da oggi al 21.11.2017, ottenendosi così la somma di euro 275.185,59 (indice di devalutazione 0,869), che esprime il valore della porzione di danno risarcibile al momento in cui l’illecito si verificò. Si devaluta la somma di euro 130.000,00 alla medesima data, ottenendosi l’importo di euro 118.505,01.
Indi, si rivaluta la somma al 21.11.2017 e vi si calcolano gli interessi, raggiungendo l’importo di euro 306.710,44.
Si detrae l’acconto di E 130.000,00 e si ottiene la somma di E 176.710,44, che riprende a rivalutarsi e a produrre interessi, secondo i criteri dati, sino alla odierna data di liquidazione, per un totale di E 196.954,12.
Ed ancora, quanto alla domanda di surroga formulata dall’Inps, la stessa va accolta. L’Inps ha spiegato un intervento autonomo ex art. 105 c.p.c., comma 1. Difatti, l’Istituto, sulla scorta della L. n. 222 del 1984, ex art. 14 e art. 1916 c.c., ha diritto di surrogarsi nei diritti del suo assicurato per le pensioni che abbia erogato ai soggetti divenuti invalidi per cause imputabili a terzi. Sul punto è unanime la costante Giurisprudenza nell’affermare che “La surrogazione ex art. 1916 costituisce una peculiare forma di successione a titolo particolare nel diritto al risarcimento dell’infortunato, che si realizza nel momento in cui l’assicuratore abbia comunicato al terzo responsabile che l’infortunato è stato ammesso ad usufruire dell’assistenza e degli indennizzi previsti dalla legge, al contempo manifestando la volontà di avvalersi della surroga. Nella conseguente azione non ha pertanto rilievo il rapporto assicurativo di carattere pubblicistico concernente gli infortuni sul lavoro, ma soltanto la responsabilità aquiliana dell’autore dell’atto illecito, obbligato a risarcire il danneggiato o l’assicuratore che ne abbia anticipato l’indennizzo, sicché il responsabile non è legittimato ad opporre all’assicuratore eccezioni concernenti il contenuto del rapporto, salvo che esse incidano sulla misura del risarcimento del danno cui egli sarebbe tenuto nei confronti del danneggiato” (Cass. sez. un., n. 8620/2015) Ne consegue che essendo l’Inps titolare di un diritto proprio, l’intervento spiegato in causa costituisce un intervento autonomo e quindi come tale indifferente alle vicende processuali della parte attrice.
E’ evidente che consentire al danneggiato di cumulare l’assegno di invalidità con l’intero risarcimento significa, di fatto, esporre l’assicuratore del responsabile civile all’obbligo di un doppio pagamento per la medesima parte di danno.
Ed invero, la recente giurisprudenza di legittimità ha statuito che le somme erogate da un ente previdenziale a titolo di indennità di malattia o di pensione di invalidità debbano essere sottratte al risarcimento del danno riconosciuto al medesimo soggetto beneficiante delle erogazioni previdenziali (dovendo farsi applicazione, nel caso, della regola della compensatio lucri cum damno) (v. Cass. 18050/2019 ‘In caso di sinistro che comporti la perdita totale o parziale, temporanea o definitiva, della capacità lavorativa, il danneggiato non può cumulare la prestazione previdenziale che abbia eventualmente percepito (a titolo di indennità di malattia o di pensione di invalidità) con l’integrale risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante, essendo entrambe le poste finalizzate al ristoro della lesione del medesimo bene della vita (vale a dire, la capacità di produrre reddito), sicchè, nel caso in cui l’ente previdenziale abbia corrisposto a tale titolo un’indennità al danneggiato, di quest’importo si dovrà tenere conto nella liquidazione del pregiudizio posto, sul piano risarcitorio, a carico del danneggiante’; Cass. 4734/2019 ‘In tema di danno patrimoniale patito dalla vittima di un illecito, dall’ammontare del risarcimento deve essere detratto il valore capitale dell’assegno di invalidità erogato dall’INPS, attese la funzione indennitaria assolta da tale emolumento e la possibilità per l’ente previdenziale di agire in surrogazione nei confronti del terzo responsabile o del suo assicuratore. Non si ritiene, infine, di dover decurtare anche l’ulteriore somma riconosciuta dall’INPS a titolo di indennità di accompagnamento, prestazione previdenziale che ristora il pregiudizio patrimoniale patito dal danneggiato, che si sostanzia nella necessità di ricevere assistenza, e che avrebbe potuto essere scorporato esclusivamente dall’eventuale risarcimento del danno patrimoniale prodotto dall’illecito, nella specie non riconosciuto, e giammai dalla “quota” destinata al ristoro del danno biologico.
In definitiva, in relazione all’importo della prestazione previdenziale riconosciuta all’attore da parte dell’INPS in conseguenza del sinistro, deve evidenziarsi che risulta pacifico che l’INPS ha versato all’XXX un assegno di invalidità, pari a complessivi € 52.410,08 di cui € 51.987,66 quale sorte capitale (€ 9.236,29 + € 42.751,37) corrispondente a prestazioni corrisposte e prestazione capitalizzata, nonché € 114,38 a titolo di interessi legali sulle prime ed € 308,04 sulla seconda.
Tale somma andrà detratta dall’importo di euro 196.954,12, con la conseguenza che all’attore devono essere riconosciuti complessivi euro 144.54,04, quale danno differenziale non coperto dall’indennizzo, mentre i convenuti devono essere condannati al pagamento,
in favore di INPS, della somma di € 52.410,08, oltre interessi in accoglimento della domanda di surroga, in parte qua.
Dal momento della pubblicazione della presente sentenza e fino all’effettiva corresponsione, infine, dovranno essere corrisposti, sulle somme totali sopra liquidate a titolo risarcitorio, gli ulteriori interessi al tasso legale suddetto, ai sensi dell’art. 1282 cod. civ., posto che, al momento della pubblicazione della sentenza, l’obbligazione risarcitoria, che ha natura di debito di valore, si trasforma in debito di valuta, con conseguente applicabilità degli istituti tipici delle obbligazioni pecuniarie in senso stretto, sulla somma globale composta da capitale, rivalutazione e coacervo degli interessi maturati fino alla data predetta (pubblicazione della sentenza: cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 1999, n. 13470; Cass. civ., sez. III, 21 aprile 1998, n. 4030).
Stante l’esito della lite, l’accertato concorso colposo dell’attore nella misura del 30% e il parziale accoglimento delle pretese attoree rispetto a quelle azionate (cfr. al riguardo Cass. civ. 3438/2016 in ordine alla sussistenza delle condizioni per la compensazione totale o parziale delle spese processuali), devono ritenersi sussistenti le condizioni per compensare le spese di lite nella misura di un terzo e di porre i restanti due terzi a carico dei convenuti, in solido tra loro, spese di lite liquidate come in dispositivo in applicazione dei criteri di cui al D.M. 55/2014, come modificato con D.M. 37/2018, da distrarsi a favore dell’avv. ex art. 93 c.p.c..
Tenuto conto dell’esito della lite, nonché dell’accoglimento parziale della domanda di surroga, le spese dell’interveniente devono essere compensate.
Le spese di ctu sono poste definitivamente a carico dei convenuti.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE DI COSENZA – SEZIONE SECONDA CIVILE -, definitivamente pronunziando nella controversia civile come innanzi promossa, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede:
➢ DICHIARA la contumacia di ***;
➢ IN PARZIALE ACCOGLIMENTO della DOMANDA ATTOREA, CONDANNA i CONVENUTI in solido al pagamento, in favore dell’attore, della somma di euro 144.54,04 oltre interessi come indicato in parte motiva;
➢ IN PARZIALE ACCOGLIMENTO della DOMANDA DI SURROGA, CONDANNA i convenuti, in solido, al pagamento, in favore dell’I.N.P.S., della somma di euro 52.410,08, oltre interessi come indicato in parte motiva;
➢ CONDANNA i convenuti in solido al rimborso in favore dell’attrice delle spese del presente giudizio nella misura di 1/3 (un terzo), previa loro compensazione tra le parti nella misura di 2/3 (due terzi), liquidandole per tale parte in complessivi Euro 7.600,00 di cui Euro 450,00 per spese, Euro 7.150,00 per compensi, rimborso forfetario al 15%, oltre spese generali, IVA e CAP ed accessori nella misura di legge, da distrarsi in favore dell’avv. ;
➢ COMPENSA le spese tra l’interveniente I.N.P.S. e le parti;
➢ PONE definitivamente a carico dei convenuti le spese dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio.
Cosenza, 1.7.2022
Il Giudice
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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