REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
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CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA
La Corte, nelle persone dei seguenti magistrati:
ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 1449/2021 pubblicata il 30/09/2021
nella causa civile in II grado iscritta al N° 231 del Ruolo generale dell’anno 2017, promossa da:
KKK S.R.L. (c.f. e p.i.), in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa come in atti dall’Avv.;
– appellante –
CONTRO
XXX S.R.L. (C.F. e p.i.), in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa come in atti dall’Avv.;
– appellata –
OGGETTO: appello avverso sentenza n. 604/16 del Tribunale di L’Aquila pubblicata il 30.06.2016 Conclusioni delle parti.
Per l’appellante.
La difesa dell’appellante disconosce il documento ( denominato 2° atto aggiuntivo al contratto del 30.3.2004) e dichiara di non accettare il contraddittorio su di esso, chiedendone lo stralcio dal fascicolo, risultando la produzione inammissibile . Atteso che non sono stati invece estrapolati a cura della cancelleria gli allegati alla 2^ memoria ex art. 183 c.p.c. di questa difesa, si riallegano gli stessi in via telematica con attestazione di conformità in uno con le memorie medesime.
Si insiste quindi nell’ammissione dei mezzi istruttori come articolati nell’atto di appello e non ammessi nel giudizio di primo grado di cui al capitolo 7 dell’atto di appello. Si insiste altresì per l’accoglimento delle già rassegnate conclusioni.
Per l’appellata
Piaccia alla Corte d’Appello di L’Aquila, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa:
A) previo rigetto per inammissibilità e/o infondatezza di ogni avversa istanza istruttoria proposta e/o reiterata in secondo grado, rigettare per inammissibilità e/o infondatezza l’appello proposto dalla S.r.l. KKK, con l’atto in data 30.01.17 e notificato in pari data alla S.r.l. XXX e per l’effetto confermare integralmente l’impugnata sentenza del Tribunale di L’Aquila n. 604/16 del 07/30.06.16; in ogni caso, respingere per inammissibilità e/o infondatezza sia l’opposizione sia la domanda riconvenzionale proposte dalla S.r.l. KKK, con l’atto di citazione davanti al Tribunale di L’Aquila in data 15/19.05.14, e per l’effetto confermare l’opposto decreto ingiuntivo n. 243/14 del Tribunale di L’Aquila e comunque condannare la S.r.l. KKK al pagamento della somma di € 241.954,40 ovvero di quella che sia ritenuta di giustizia, oltre interessi moratori ai tassi e con le decorrenze fissati dal D.Lgs. 231/02;
B) altresì, condannare l’appellante alle spese sia del procedimento monitorio sia del giudizio di opposizione di primo grado sia del giudizio di opposizione di secondo grado.
Motivi della decisione
Con sentenza pubblicata in data 30.06.2016 il Tribunale di L’Aquila ha rigettato l’opposizione proposta dalla KKK Srl avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore della ING.XXX Srl, per il pagamento della somma di 241.954,40 oltre interessi moratori e s spese, a titolo di residuo corrispettivo per appalto commissionatole, pur revocando il decreto ingiuntivo nella parte in cui conteneva la condanna al pagamento degli interessi moratori dalla data delle fatture, condannando l’attrice opponente al pagamento della somma di €241.954,40 oltre interessi ex art. 4 c.2 lett. a) del D.Lgs.231/02 e delle spese della procedura monitoria, nonchè alla rifusione delle spese di lite liquidate in complessivi €9.234,50.
A fondamento della decisione si è valorizzato il compendio probatorio documentale (esclusa l’ammissibilità del documento denominato 2° atto aggiuntivo al contratto del 30.3.2004 tardivamente prodotto dalla parte convenuta) sulla base del quale si è ritenuta dimostrata la sussistenza del contratto di appalto, la consistenza dell’importo richiesto e la sua debenza come evincibile dai riscontri offerti dalle missive indirizzate dal legale rappresentante della KKK Srl e dal suo legale alla società convenuta, valutandosi per converso non provate le contestazioni mosse dall’opponente in ordine alla quali era stata formulata domanda riconvenzionale per il riconoscimento del proprio credito, eccepito anche in compensazione, relativo ai costi sopportati per l’affidamento a terzi di lavorazioni non eseguite o difettose da parte dell’opposta ed alle penali per il ritardo in quanto le lettere di contestazione erano state inviate prima dell’emissione della nota di credito con la quale l’impresa appaltatrice aveva ridotto la propria pretesa creditoria sulla fattura 39/08 e comunque con successive missive del 2012,2013 e 2014 l’appaltante si era riconosciuta debitrice proprio della somma azionata in via monitoria.
Si è inoltre considerato, quanto ai lavori realizzati dalla *** Srl i cui costi venivano imputati alla Ing. XXX , che la documentazione prodotta (copia di fatture, bonifici, fotografie e contabilità finale dei lavori) non comprovava la loro inerenza agli edifici realizzati da quest’ultima (in quanto non era stato prodotto il contratto di appalto, le fatture si riferivano genericamente alla costruzione di due edifici residenziali non meglio identificati, le foto erano decontestualizzate quanto al luogo e tempo in cui erano state confezionate, dalla contabilità finale della *** i lavori risultavano in parte realizzati in epoca antecedente al 3 settembre 2007, periodo in cui la stessa opponente affermava essere stati ultimati parzialmente i lavori della *** Srl., le ulteriori riparazioni erano meramente indicate senza specificazione e dimostrazione dei costi sostenuti a loro emenda).
Si è infine riconosciuta la debenza degli interessi moratori dovuti ai sensi del D.Lgs.231/02 non dalla data delle fatture, come intimato nel D.I., ma dai trenta giorni successivi alla loro ricezione.
Nel proprio atto di appello la KKK Srl contesta la decisione di cui chiede la riforma sulla base di plurimi motivi di seguito compendiati.
1. Sul capo della sentenza che ha valutato in modo errato le produzioni addotte dall’opposta – Violazione e falsa applicazione degli artt. 1988 e ss c.c. 112, 115 e ss. c.p.c. – violazione e falsa applicazione degli artt. 1965 e 1967 c.c.; omessa motivazione della sentenza sul punto – violazione e falsa applicazione dell’art. 360 co. 1 n. 3 e 5 c.p.c. – caduta di linearità logica della sentenza.
Sotto tale profilo la sentenza viene censurata per aver da un canto rilevato la contestazioni da parte dell’appaltatrice dei vizi e dei ritardi nella consegna dell’opera appaltata e tuttavia attribuito valore al riconoscimento del debito contenuto nelle missive del dicembre 2012, luglio 2013 e marzo 2014, sulla base del mero criterio cronologico, per desumere dal tenore di queste ultime una transazione tra le parti sugli aspetti contestati da essa appellante, pur valendo le stesse al più solo come mero riconoscimento del proprio debito (che ha l’unico effetto di diversamente ripartire l’onere probatorio ponendolo a carico del debitore), ma senza che da esse potesse desumersi l’intenzione di rinunciare a far valere il proprio credito, per il quale era stata spiegata domanda riconvenzionale.
Si è inoltre evidenziato che della supposta transazione non v’era prova scritta (non evincibile dalla nota di credito – riferibile invece alla correzione della contabilità sulla base dei rispettivi conteggi- e dalla corrispondenza in atti, precisandosi inoltre che la missiva del marzo 2014 inviata al difensore dell’appellata valeva quale proposta transattiva, mai perfezionatasi) mentre vi era prova scritta della contestazione dei lavori, del loro completamento da parte della *** per sopperire alle mancanze della appaltatrice, nonché dei vizi ulteriori riscontrati (esattamente descritti, documentati anche dalle foto prodotte e sui quali era stata articolata prova testimoniale e formulata istanza di CTU, entrambe rigettate) e dei ritardi nella esecuzione dell’appalto, di cui mai le parti avevano discusso nelle reciproche missive , che non potevano essere ricompresi nella nota di credito emessa dalla appaltatrice, non potendone formare base imponibile ai sensi dell’art. 15 c.1 n.1 DPR 633/1972 ed il cui importo complessivo (pari ad 184.500,00) era già di per sè ben superiore all’importo della nota di credito (166.285,60, IVA compresa).
Infine l’esistenza dei vizi e del ritardo non era mai stato contestato dalla *** Srl che si era limitata ad eccepire l’intervenuta transazione.
2) Sul capo della sentenza che ha valutato in modo errato le produzioni della KKK s.r.l. – Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e ss. c.p.c.; omessa motivazione della sentenza sul punto – violazione e falsa applicazione dell’art. 360 co. 1 n. 3 e 5 c.p.c. – caduta di linearità logica della sentenza.
Per tale aspetto ha censurato la decisione nella parte in cui aveva ritenuto non probante la documentazione prodotta da essa appellante, sebbene non contestata dalla controparte ;
3) Sul capo della sentenza che non ha ammesso le richieste istruttorie della KKK s.r.l. – Violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e ss. C.p.c. – omessa motivazione della sentenza sul punto – violazione e falsa applicazione dell’art. 360 co. 1 n. 3 e 5 c.p.c. – caduta di linearità logica della sentenza.
Si è doluto sul punto della mancata ammissione della prova orale, la cui richiesta era stata reiterata sino alla precisazione delle conclusioni, con mero richiamo in sentenza della ordinanza che aveva ritenuto generici, senza alcuna specifica motivazione, i capitoli articolati dall’opponente e della CTU che non era diretta a supplire all’onere probatorio incombente sulla KKK avendo la stessa comunque provato la fine esecuzione lavori, le somme pagate alla *** Srl, la ricorrenza dei vizi documentati dalle foto non contestate.
Ha pertanto insistito, previa conferma della revoca del D.I. opposto, per l’accertamento del suo credito nella misura di €286.521,50 o in quella maggiore o minore stabilita dal Giudice all’esito dell’istruttoria anche a mezzo di CTU, con condanna dell’appellata al suo pagamento o compensando le rispettive poste dare-avere, con condanna della *** alla restituzioni e vittoria di spese di entrambi i gradi di giudizio.
Nel costituirsi nel presente grado di giudizio l’appellata, ricostruendo l’evoluzione dei rapporti intercorsi tra le parti sino all’emissione della sentenza di primo grado ha contestato l’ammissibilità e fondatezza dell’appello, ribadendo la correttezza della decisione che aveva accertato la sua pretesa creditoria affermata sulla base della logica e coerente valutazione delle produzioni documentali dalle quali emergeva che il credito azionato in via monitoria era il risultato delle due fatture residue concernenti il pagamento finale, rielaborato alla luce dei conteggi effettuati dalle parti e seguìti dall’emissione di nota di credito emessa dalla stessa appellata, come desumibile anche dagli atti di ricognizione di debito di cui alle missive del 12.12.2012 e del 03.07.2013 e che il diritto di credito fatto valere dall’appellante in via riconvenzionale era insussistente, sia perché assorbito dagli accordi intercorsi tra le parti e culminati con l’emissione della nota di credito a seguito della definizione delle rispettive poste di debito contestate dalla KKK, restando pertanto accertato il credito della ***, pur riconosciuto dalla KKK nelle citate missive, sia perchè era da ritenersi insussistente l’allegato ritardo (non evincibile dal certificato di fine lavori costituente documento unilaterale predisposto dalla stessa KKK, e comunque considerato che il contrario poteva dedursi dagli aggiornamenti dei termini di consegna riferiti ad entrambe le palazzine sulla base di dichiarazioni non acquisite agli atti in quanto allegate alla memoria ex art. 183 c.6 n.2 c.p.c. ritenuta tardivamente prodotta) così come non erano stati dimostrati i vizi e le omesse lavorazioni dedotte.
All’udienza del 9.3.2021, tenuta con le forme della trattazione scritta, precisate le conclusioni nelle rispettive note depositate, la causa è stata trattenuta a decisione previa assegnazione dei termini ex art.190 c.p.c..
L’appello è parzialmente fondato e merita accoglimento per quanto di ragione. Preliminarmente è certo e non contestato, anzi oggetto di espresso riconoscimento del debito, il corrispettivo maturato dalla *** Srl per l’esecuzione dei lavori oggetto dell’appalto come risultante dagli accordi presi dalle parti in relazione alle differenze evidenziate nelle rispettive contabilità.
Non emerge invece, dalla documentazione prodotta, che la decurtazione operata con la nota di credito 3/2009 per €166.285,60 sia il frutto di una transazione stipulata tra le parti per risolvere le problematiche inerenti i già contestati ritardi nella realizzazione delle palazzine nonché le eccepite mancate o erronee esecuzioni di lavorazioni, piuttosto che il frutto della mera rielaborazione delle rispettive contabilità in ordine a quanto preteso ed asseritamente dovuto dalla KKK per i lavori realizzati dalla *** Srl.
E’ ben noto che ai sensi del disposto dell’art. 1967 c.c. la transazione deve essere provata per iscritto e tale prova investe anche le condizioni in essa pattuite (Cass. Sez. 2, 28 aprile 2005, n. 8875; Cass. Sez. 3, 3 marzo 1999, n. 1787; Cass. Sez. 3, 6 gennaio 1983, n. 75; Cass. Sez. 1, 19 luglio 1979, n. 4298). Si è precisato inoltre che , proprio perchè nel contratto di transazione la prova scritta è richiesta dalla legge soltanto ad probationem (quando non ricorrano gli estremi della forma a pena di nullità, ai sensi dell’art. 1350 c.c., n. 12), non osterebbe alla qualificabilità di un contratto come transazione il fatto che le reciproche concessioni tra le parti, intese a far cessare la situazione di dubbio in atto, non siano specificamente indicate nel documento, ma emergano dal complesso dell’atto (di cui comunque è supposta l’esistenza), nonchè da elementi eventualmente esterni ad esso (Cass. Sez. 3, 8 giugno 2007, n. 13389). In forza di tale affermazione e valutata quindi la disponibilità ad opera delle parti dei rapporti definiti con un atto di cui ai soli fini probatori è richiesta la forma scritta, si è ritenuta validamente assunta ed utilizzabile per la decisione la prova orale da cui risulti la stipula della transazione, se non è tempestivamente contestata la sua ammissibilità ai sensi dell’art. 1967 c.c..(Cass. SS.UU.16723/20).
Orbene nel caso di specie appare indubbio il difetto di qualsiasi documento scritto che attesti la stipula ed i termini di un’eventuale accordo tra le parti da cui possa evincersi se e quali delle contestazioni già formalizzate rispetto alla richiesta di pagamento inoltrata dalla *** abbiano trovato soluzione con l’emissione della nota di credito.
La sua stipula nei termini intesi dalla convenuta opposta infatti non può certo desumersi dalla mera decurtazione del saldo preteso, emergente dalla nota di credito che dovrebbe essere atto di adempimento di un accordo di cui tuttavia non sono note le condizioni. Nelle missive depositate dalla *** Srl , sottoscritte dal legale rappresentante della KKK del 2012 e 2013 vi è certamente un riconoscimento del debito e la contestuale promessa di pagamento ma le stesse non contengono anche elementi che attestino inequivocabilmente l’intenzione della stessa società a non far valere le proprie contestazioni già formulate nelle missive del 2008 e del 2009 , sì da poter assumere valenza confessoria sul contenuto della transazione come intesa a rinunciare ai pretesi danni.
Dunque è ben vero che, sulla base delle lettere del 2012 e del 2013, la convenuta opposta era esonerata dall’onere di provare il proprio credito derivante dalla esecuzione del contratto di appalto ma esse hanno valenza neutra rispetto al controcredito vantato dalla opponente (di cui non è noto, in difetto di espressa causale, sicuramente non evincibile dalla nota di credito recante l’indicazione generica “definizione conteggi” l’inglobamento o meno nelle trattative che hanno portato alla sua emissione ed alla definitiva determinazione del saldo nella misura di cui al ricorso monitorio, riconosciuta dalla KKK quale mero credito derivante dall’appalto, impregiudicati i suoi diritti). Ovviamente ciò non esime la parte attrice opponente, creditrice in tale veste, in funzione della riconvenzionale avanzata, dall’onere di provare il proprio credito.
Sotto tale profilo l’appellante invoca innanzitutto il principio di non contestazione.
Tale principio non pare applicabile sulla base di due rilievi.
Innanzitutto va considerato che la convenuta opposta ha dedotto, per contestare tanto la non debenza del suo credito quanto la pretesa riconvenzionale azionata con l’opposizione, fatti del tutto incompatibili con la pretesa risarcitoria fatta valere. Il che equivale a contestazione implicita di quest’ultima .
Inoltre e comunque con motivare la non debenza dell’importo reclamato dall’opponente sulla base di accordi che sono stati a suo dire definitivamente assolti con la restituzione di somme (di cui alla nota di credito) ha in parte riconosciuto il suo debito per le contestazioni mosse dall’appaltante che, ovviamente, per la parte non oggetto della differenza è da ritenersi ancora implicitamente contestato.
Passando all’esame quindi delle contestazioni mosse dall’opponente appellante, in parte esse possono ritenersi documentali e documentate.
Tanto è a dirsi con riferimento al ritardo nella esecuzione delle opere.
Esclusa ogni valenza probatoria della documentazione tardivamente prodotta dalla convenuta opposta unitamente alla memoria ex art. 183 c.2 c.p.c. , volta a dimostrare la pattuizione di una proroga successiva a quella riconosciuta dalla stessa appellante, come già rilevata dal giudice di prime cure, documentazione pertanto non acquisibile neppure in questo grado del processo, la determinazione del danno da ritardo, in considerazione dei termini contrattualmente stabiliti , della penale pattuita al punto 7 del contratto di appalto , della prima proroga intervenuta tra le parti (cfr. doc.4 da tale parte prodotta a tenore della quale l’ultimazione dei lavori della palazzina A sarebbe dovuta avvenire entro il 30.6.2006 e quella dei lavori della palazzina B entro il 30.10.2006) e del termine di ultimazione delle opere individuabile nella comunicazione fine lavori depositata presso il Comune di L’Aquila (in cui le strutture che avrebbero dovuto essere realizzate dalla *** Srl sono indicate come ultimate ad aprile 2007 senza che possa rilevare la data di ultimazione lavori del 3.9.2007 , che non può che riguardare la chiusura del cantiere, è quantificabile in € 128.750 (€76.000 per la palazzina A ed € 52.750 per la palazzina B) oltre interessi al tasso legale decorrenti dalla data della notifica della citazione introduttiva del primo grado, con la quale oltre a contestarsi il ritardo si è formalmente richiesto quanto spettante a titolo di penale pattuita e dunque costituente il primo atto di messa in mora (cfr.Cass.3429/71).
Quanto invece alle altre voci di danno specificamente richieste dall’attuale appellante ritiene la Corte che sia ampiamente condivisibile la statuizione di primo grado nel punto in cui ha escluso la dimostrazione del danno patito da essa per mancata o erronea esecuzione di opere che, secondo la sua prospettazione, trova fondamento:
-nelle fatture della società terza (*** Srl) che avrebbe completato le lavorazioni mancanti ed in parte emendato quelle non correttamente eseguite e nei bonifici dei pagamenti effettuati in suo favore.
-nei consuntivi di entrambe le società appaltatrici;
-nelle fotografie prodotte;
-nella prova testimoniale articolata, ma non ammessa.
Invero l’appellante non si confronta sul punto con la corretta affermazione contenuta nella gravata sentenza secondo cui non essendo stato prodotto il contratto di appalto tra la KKK Sr. E la *** Srl non è possibile inferire dai documenti prodotti con l’atto introduttivo che le lavorazioni da eseguite da quest’ultima società fossero volte ad emendare i vizi che interessavano l’opera realizzata dalla ***.
Né di per sé tale inerenza è evincibile dal computo metrico in atti in cui sono specificate lavorazioni realizzate dalla *** genericamente riferite alla realizzazione di due palazzine in Via e relative a lavorazioni eseguite tra il 2006 ed il 2007, quando la stessa parte opponente ha affermato che la *** Srl ha ultimato i lavori nel settembre 2007 (e poco cambia ai fini della valenza probatoria se le opere della *** Srl devono ritenersi ultimate, come sopra esposto ad aprile 2007).
Altrettanto è a dirsi con riferimento al computo metrico relativo ai lavori eseguiti dalla *** (non sottoscritto peraltro da alcuna delle parti) o dalle foto, descrittive di particolari di elementi costruttivi di cui non è nota né la collocazione spaziale né quella temporale.
La prova orale articolata in primo grado dall’opponente e di cui si chiede l’ammissione anche in appello, d’altronde, verte su circostanze che devono ritenersi non contestate e/o documentalmente provate (capp1,2) o generiche in quanto da esse non si evince né la concatenazione tra il tempo dell’asserito abbandono del cantiere da parte della *** Srl prima dell’ultimazione delle opere (il cui momento non viene neppure indicato nel capitolo 3) e le successive lavorazioni eseguite da terzi (cap.4) o comunque in quanto non è comprensibile se e quali delle lavorazioni eseguite da altre imprese sopperissero a mancanze della *** Srl (capp.6, 7,8,11,12,13-sul quale va osservato che comunque dal computo metrico delle opere eseguite dalla *** Srl risulterebbe, al punto 21 che a quest’ultima fosse commissionata la sola installazione delle antenne centralizzate-) o ancora irrilevanti in quanto riferite a rettifiche non meglio specificate operate su accordo tra le parti (capp.4 e 5) e ad ulteriori vizi e difetti che sono emersi dopo il 2009 , di cui nei capitoli non viene assunta la inidonea realizzazione da parte della *** (capp.9 e 10 15, 16, 17 ) e di cui in parte già asseritamente oggetto di intervento da parte della *** (come per le fognature) e da ultimo valutative (cap.18).
Altrettanto correttamente si è ritenuta conseguentemente inammissibile la richiesta CTU che ove non trovi adeguato ancoraggio ad un substrato fattuale acquisito in ordine ai fatti generatori del danno lamentato (la riferibilità delle lavorazioni mancanti o mal eseguite alla *** e la loro emenda da parte di altre ditte) avrebbe funzione suppletiva rispetto all’onere probatorio gravante sulla parte che afferma la propria pretesa risarcitoria. Conclusivamente dalla sorte capitale del credito vantato dalla appellata, aggiornato sino alla data in cui anche i crediti per interessi inizierebbero a coesistere ( per un totale di capitale ed interessi pari ad €373.867,63) coincidente, come sopra indicato con la data di notifica della citazione in opposizione a decreto ingiuntivo del 19.05.2014 (in precedenza la KKK ha contestato il ritardo ma non richiesto somme a tal titolo, sicchè non decorrono interessi), va detratto l’importo riconosciuto in favore della KKK quale penale per il ritardo nella riconsegna dell’opera (pari ad € 128.750) .
Essendo la differenza pari a 245.117,63 e dunque superiore alla somma inizialmente ingiunta, la KKK va dunque condannata a pagare alla XXX Srl tale ultima somma, oltre gli interessi moratori ulteriormente decorrenti dalla data sopra indicata del 19.5.2014 e sino al soddisfo.
Le spese di entrambi i gradi di giudizio, quelle di primo grado nella misura già liquidata nella gravata sentenza e quelle del presente grado liquidate come in dispositivo (esclusa la fase istruttoria non svoltasi), considerato il parziale accoglimento del gravame, vanno poste a carico di quest’ultima nella misura della metà e compensate tra le parti per la residua metà.
P.Q.M.
La Corte di Appello definitivamente pronunciando, così provvede: dichiara tenuta e condanna l’appellante al pagamento della somma di €241.954,40 oltre interessi moratori dalla data della citazione introduttiva al saldo.
Condanna l’appellante alla rifusione della metà delle spese di lite liquidate con la sentenza di primo grado nonché alla metà delle spese di lite del presente grado che, per l’intero ,si liquidano in complessivi € 13.500,00 oltre rimborso spese generali 15%, I.V.A. e CPA come per legge, compensando tra le parti la residua metà.
Così deciso nella camera di consiglio da remoto del 17.9.2021
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