REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI CHIETI
Il Tribunale di Chieti, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa , all’udienza del 7.10.2021 ha pronunziato la seguente
SENTENZA n. 300/2021 pubblicata il 07/10/2021
a seguito di trattazione scritta, ai sensi dell’art. 221, comma 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nella causa iscritta al n. 1219/2019;
TRA
XXX, rappresentata e difesa, per procura in calce al ricorso introduttivo, dall’avv.;
RICORRENTE
E
YYY Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, per procura in calce alla memoria difensiva di costituzione, dall’avv.;
RESISTENTE
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato in data 25.10.2019 la ricorrente, dipendente della società resistente da gennaio del 2007 con mansioni di addetta al laboratorio ed inquadramento nella seconda categoria del CCNL per i quadri e gli impiegati agricoli, deduceva di aver svolto mansioni di responsabile del laboratorio, di responsabile assicurazione qualità e di responsabile della sicurezza alimentare, riconducibili alla qualifica di quadro o, in subordine, a quella di impiegato di prima categoria. Tanto premesso la ricorrente formulava le seguenti conclusioni: “1)-accertare l’avvenuto svolgimento, da parte della ricorrente, a far data dall’assunzione e fino al maggio 2008 delle mansioni meglio sopra descritte (responsabile laboratorio e servizi HACCP) riconducibili alla 1^ categoria di inquadramento; accertare l’avvenuto svolgimento da parte della ricorrente, a far data dal maggio 2008, o dalla diversa data che codesto Giudice riterrà, delle mansioni sopra descritte (Responsabile Sicurezza Alimentare, Assicurazione Qualità, Responsabile della tutela ambientale, Responsabile della sicurezza del Sito e del Laboratorio) riconducibili al livello quadro o, in subordine, alla prima categoria del ccnl di settore;
2)-per l’effetto, dato atto che sin dalla data di assunzione la ricorrente è stata inquadrata e ha ricevuto una retribuzione commisurata alla seconda categoria del citato ccnl, in ossequio alle disposizioni di legge vigenti in materia, dichiarare il diritto della ricorrente a vedersi corrispondere, dalle predette date o dalle date che codesto Giudice riterrà, le differenze retributive tra quanto percepito in virtù dell’inquadramento goduto (seconda categoria) e quanto avrebbe dovuto percepire dapprima con inquadramento nella prima categoria e successivamente nella qualifica di quadro, somma da quantificarsi in € 53.034,91, ovvero negli importi maggiori o minori che dovessero risultare di giustizia, con adozione di ogni altro provvedimento di legge e con condanna della resistente a pagare tali differenze maggiorate della rivalutazione monetaria e degli interessi, alla ricorrente;
3)-condannare il datore di lavoro al rimborso delle spese e competenze del presente giudizio”.
La parte resistente, costituitasi in giudizio, eccepiva la prescrizione dei crediti rivendicati dalla ricorrente e nel merito deduceva l’infondatezza del ricorso chiedendone il rigetto.
Espletata l’istruttoria, concesso un termine per il deposito di note difensive e disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell’art. 221, comma 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, la causa veniva decisa con pronuncia fuori udienza della sentenza. Il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni di seguito esposte.
La ricorrente è stata assunta alle dipendenze della società resistente il 10.01.2007 con mansioni di analista ed inquadramento nel secondo livello del CCNL per i quadri e gli impiegati agricoli. Ella rivendica in questa sede l’inquadramento superiore di quadro o, in subordine, di impiegato di prima categoria.
Secondo il condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità “il lavoratore che agisca in giudizio per ottenere l’inquadramento in una qualifica superiore ha l’onere di allegare e di provare gli elementi posti a base della domanda e, in particolare, è tenuto ad indicare esplicitamente quali siano i profili caratterizzanti le mansioni di detta qualifica, raffrontandoli altresì espressamente con quelli concernenti le mansioni che egli deduce di avere concretamente svolto” (Cass. civ. sez. lavoro, sent. n. 8025/03). Si è, inoltre, costantemente affermato che “nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato, non si può prescindere da tre fasi successive, e cioè, dall’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dalla individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda” (cass. civ., sez. lavoro, sent. n. 20272/2010). La Corte di legittimità ha inoltre affermato che “agli effetti della tutela apprestata dall’art. 2103 cod. civ. – che attribuisce al lavoratore, utilizzato per un certo periodo di tempo da parte del datore di lavoro in compiti diversi e maggiormente qualificanti rispetto a quelli propri della categoria di appartenenza, il diritto non solo al trattamento economico previsto per l’attività in concreto svolta ma anche all’assegnazione definitiva alla qualifica superiore – condizione essenziale è che l’assegnazione alle più elevate mansioni sia stata piena, nel senso che abbia comportato l’assunzione della responsabilità diretta e l’esercizio dell’autonomia e della iniziativa proprie della corrispondente qualifica rivendicata” (cass. civ. sez. lavoro sent. n. 16200/2009).
Ebbene, come già detto, la ricorrente è stata assunta alle dipendenze della società resistente il 10.01.2007 con mansioni di analista addetta al laboratorio ed inquadramento nella seconda categoria del CCNL per i quadri e gli impiegati agricoli. La società resistente è un consorzio di cantine sociali e si occupa di ritirare il vino dalle cantine consorziate, di imbottigliarlo e di commercializzarlo. La società ha al proprio interno un laboratorio che provvede alle analisi chimiche e microbiologiche delle masse di vino selezionate presso le cantine e di quelle giornalmente imbottigliate. Le analisi, come riferito dal testimone ***, sono finalizzate a verificare che le masse di vino rispondano alle caratteristiche previste dalla legge o “riportate all’interno delle specifiche tecniche che sono annualmente approvate dal consiglio di amministrazione”. La ricorrente ha dedotto di aver gestito, sin dal momento dell’assunzione, il laboratorio e di avere, in particolare, provveduto all’analisi delle masse di vino, all’acquisto del materiale di laboratorio, alla manutenzione della strumentazione di laboratorio e ai contatti con i fornitori esterni. Le risultanze istruttorie non consentono di ritenere provato che la ricorrente abbia gestito e organizzato con piena autonomia il laboratorio. Sia dagli organigrammi prodotti che dalle dichiarazioni testimoniali, risulta che il laboratorio al quale era addetta la ricorrente fosse incardinato nell’ambito della direzione tecnica e, per un breve periodo, del controllo qualità. Non si trattava, dunque, di un’autonoma struttura e/o area aziendale (come comprovato del resto dal fatto che non vi fossero addette altre unità lavorative oltre alla ricorrente) ma di un ufficio tecnico asservito alle necessità dell’area tecnica e, in particolare, della cantina. Il testimone ***, direttore tecnico di YYY dal 2009 al 2016, ha riferito di essersi avvalso, in qualità di direttore tecnico “delle analisi effettuate dalla ricorrente per poi organizzare il lavoro della cantina e autorizzare l’imbottigliamento”. Lo stesso testimone ha poi dichiarato: “io ero il direttore tecnico ed ero responsabile del reparto imbottigliamento, della cantina, della manutenzione e dei registri di commercializzazione del vino; per l’attività del laboratorio mi avvalevo della analisi della ricorrente che, come ho già detto, utilizzavo per l’organizzazione del lavoro nella cantina; non verificavo le analisi nel senso che non le ripetevo né verificavo che fossero state correttamente eseguite; utilizzavo solo i valori che mi venivano esposti dalla ricorrente per il lavoro successivo in cantina”. Il testimone ha poi riferito che per ogni problematica la ricorrente si rivolgeva a lui e che “per quanto riguarda gli acquisti e l’attività di manutenzione delle macchine presenti in laboratorio, la ricorrente contattava le ditte fornitrici, si faceva fare un preventivo, poi lo sottoponeva a me che lo vistavo e infine lo mandava all’ufficio acquisti”. La dipendenza del laboratorio dalla direzione tecnica è stata confermata anche dal testimone ***, direttore generale di YYY dal 1997, il quale ha dichiarato: “i direttori tecnici svolgevano rispetto al laboratorio attività di supervisione e controllo, nel senso che acquisivano i dati delle analisi e decidevano il da farsi…..tutti gli acquisiti, compresi quelli del laboratorio, vengono effettuati dall’ufficio acquisti; per il laboratorio il direttore tecnico inviava all’ufficio acquisti la richiesta di materiali…. la ricorrente segnalava al direttore tecnico il materiale da comprare; il direttore tecnico formulava la richiesta all’ufficio acquisti che poi provvedeva a selezionare il fornitore e ad effettuare l’ordine…. è l’ufficio acquisiti che seleziona le aziende del territorio che effettuano manutenzione e con le quali viene stipulato un contratto di appalto che prevede dei controlli periodici; quando vengono effettuati i controlli è sicuramente la ricorrente ad avere contatti e a collaborare con le ditte esterne perché è lei che usa la strumentazione e conosce le specifiche problematiche; solo in casi eccezionali la ricorrente ha contattato la ditta esterna ma sempre su autorizzazione del direttore tecnico”. La ricorrente, dunque, era autonoma nella sola esecuzione delle analisi ma non aveva, invece, alcuna autonomia nell’organizzazione e/o gestione del laboratorio, che era incardinato nella direzione tecnica. Gli acquisti dovevano essere autorizzati dal direttore tecnico e poi dall’ufficio acquisti e la ricorrente si limitava a comunicare cosa mancava. La ricorrente, quindi, non poteva decidere da sola cosa e da chi acquistare o di quale ditta avvalersi per le attività di manutenzione. Le ditte fornitrici non erano scelte dalla ricorrente che non gestiva, peraltro, alcuna risorsa in quanto lavorava da sola, per cui non aveva neppure l’incombenza di organizzare il laboratorio sotto il profilo della migliore gestione delle risorse umane.
Le mansioni che la ricorrente ha svolto presso il laboratorio sono, pertanto, perfettamente riconducibili alla sua categoria di inquadramento (2°) alla quale appartengono, secondo le declaratorie contrattuali contenute nell’art.16 del CCNL per i quadri e gli impiegati agricoli, gli impiegati che “alle dirette dipendenze del datore di lavoro o del dirigente o del direttore, senza autonomia di concezione, provvedono, con relativo potere di iniziativa, alla gestione tecnica e/o amministrativa e/o commerciale dell’azienda, o di parte di essa, con corrispondente responsabilità tecnica e/o amministrativa e/o commerciale. Profili capo reparto, capo ufficio tecnico, commerciale, vendite, amministrativo.
Agente: l’impiegato che dispone, in riferimento al piano di coltivazione prestabilito, l’esecuzione dei relativi lavori da parte del personale dipendente; provvede, su autorizzazione del datore di lavoro o di chi per lui, agli acquisti dei concimi, mangimi, sementi, etc., alle vendite dei prodotti, alla compravendita del bestiame; provvede altresì, su autorizzazione del datore di lavoro o di chi per lui, all’assunzione e ai licenziamenti del personale operaio o dei coloni; che è incaricato della tenuta dei primi libri contabili. Enologo: provvede a tutte le operazioni concernenti la produzione di vini o bevande alcoliche. Dispone e controlla le operazioni di pigiatura, fermentazione, chiarificazione e correzione delle uve, dei mosti e delle vinacce stabilendo modalità e tempi dell’effettuazione dei travasi. Accerta, anche attraverso analisi di campioni, le caratteristiche relative alla gradazione alcolica, gusto, odore e colore di un dato vino o di una bevanda alcolica.
Progettista: responsabile della elaborazione e realizzazione di progetti di parchi e giardini.
Analista CED: l’impiegato che effettua le analisi e gli studi per individuare e proporre soluzioni ai problemi dei vari comparti aziendali attraverso l’uso dell’elaborazione. Programma le risorse necessarie per le varie fasi, raccoglie dati circa le procedure e le prassi esistenti nelle aziende. Valuta le esigenze delle unità interessate e definisce, insieme con i responsabili delle singole funzioni, gli “input” e gli “output” del sistema informativo, nonché la forma, la periodicità e i supporti relativi.
Analista: l’impiegato che effettua le analisi dei terreni dell’azienda e/o quelle di laboratorio, riguardanti i prodotti agricoli e/o il controllo dei prodotti impiegati in azienda.
Ricercatore: l’impiegato che opera su programmi e/o progetti di ricerca agronomica dell’azienda, partecipando alla loro realizzazione.
Responsabile commerciale della programmazione, promozione e valorizzazione delle attività agrituristiche, in possesso di idoneo titolo di studio e/o di qualificazione professionale”.
Sono inquadrati, invece, nella 1° categoria gli impiegati che, “non investiti dei poteri e delle incombenze proprie del dirigente, collaborano direttamente con il datore di lavoro o con il dirigente o con il quadro all’organizzazione e gestione generale, tecnica e/o amministrativa e/o commerciale dell’azienda, con autonomia di concezione e potere d’iniziativa.
Profili
Direttori tecnici, amministrativi, commerciali, di produzione e altre figure con analoghe caratteristiche e funzioni.
Nelle aziende di servizi rientra in tale 1° categoria il direttore del centro elaborazione dati.
Rientrano nella 1° categoria gli “agenti” che, pur assunti con tale qualifica, collaborano direttamente con il titolare dell’impresa o con il dirigente nell’ipotesi di aziende prive di direttori e ai quali siano affidati dal medesimo titolare dell’impresa poteri e incombenze propri di detta 1a categoria e che provvedono, quindi, con autonomia di concezione e potere di iniziativa, all’organizzazione e gestione generale tecnica e/o amministrativa dell’azienda.
Analogamente, nelle aziende vitivinicole rientrano nella 1a categoria quegli “enologi” che collaborano direttamente con il titolare dell’impresa o con il dirigente, nell’ipotesi di aziende prive di direttore e che provvedono, quindi, con autonomia di concezione e relativa responsabilità, a tutte le operazioni concernenti la produzione di vino o di altre bevande alcoliche”.
La prima categoria si caratterizza, dunque, per la diretta collaborazione (e non dipendenza) con il datore di lavoro o con il dirigente e per l’autonomia di concezione. Gli impiegati di prima categoria svolgono funzioni direttive in collaborazione con il datore di lavoro ed in piena autonomia. Tali caratteri non sono affatto emersi con riferimento all’attività svolta dalla ricorrente presso il laboratorio ma non sono emersi neppure con riferimento all’attività di responsabile assicurazione qualità e responsabile sicurezza alimentare, che pure la ricorrente ha dedotto di aver svolto. La indubbia rilevanza di tali funzioni nell’ambito dell’attività della società resistente, la loro complessità e la necessità di un costante impegno (sicuramente profuso dalla ricorrente) e di conoscenze ed attitudini specifiche, non sono sufficienti ad affermarne la riconducibilità al superiore inquadramento rivendicato che si caratterizza, come già detto, per la diretta collaborazione con il datore di lavoro e per l’autonomia di concezione.
Dall’istruttoria è emerso che, tanto per le attività relative alla certificazione di qualità quanto per quelle della sicurezza alimentare, la società resistente si è avvalsa dell’attività di una società esterna, che ha effettuato la verifica dello stato iniziale dell’azienda e dei sistemi di autocontrollo, la revisione del sistema HACCP e del sistema qualità con particolare riferimento alle procedure di controllo qualità, la formazione del personale aziendale sugli standard, la progettazione di un Sistema di Sicurezza alimentare e l’analisi dei rischi HACCP, l’implementazione del sistema di qualità per integrare quanto già predisposto dall’azienda e quanto necessario per la certificazione in relazione agli standard prescelti, le verifiche ispettive interne e l’assistenza nell’attività di certificazione da parte degli enti preposti. Tali attività sono state svolte dal dott. ***, dapprima come socio della **** srl e poi come professionista. Il predetto *** ha riferito di essersi avvalso della collaborazione della ricorrente, precisando: “il sistema qualità si basa su procedure scritte; bisogna identificare i processi aziendali e verificare che rispondano alle procedure dello standard di qualità. La ricorrente parlava con i responsabili delle varie aree aziendali per acquisire informazioni sui processi seguiti in quella determinata area. Raccolte le informazioni la ricorrente predisponeva la procedura scritta adeguata agli standard di qualità, la faceva vedere anche a me e poi la comunicava ai responsabili delle varie aree sensibilizzandoli al rispetto della procedura. La procedura veniva approvata dai vertici aziendali. Oltre a tale procedura, vi era anche la predisposizione di documentazione specifica, contenente istruzioni di lavoro e metodiche analitiche, riferita ad una specifica area o comune a più aree, curata in autonomia dalla ricorrente senza la mia supervisione; io mi occupavo del controllo del rispetto delle procedure scritte e delle indicazioni contenute nelle istruzioni e nelle metodiche analitiche e poi la ricorrente si occupava di gestire i risultati dell’esito del controllo, nel senso che cercava di capire per quali ragioni la procedura non fosse stata rispettata e se fosse necessario apportare dei correttivi. Stessa cosa accadeva al momento del controllo da parte dell’organo esterno finalizzato ad ottenere le certificazioni. Se in sede di controllo da parte dell’organo esterno venivano individuate problematiche o criticità, era la ricorrente a doversi occupare di eliminare le problematiche riscontrare dell’ente esterno di certificazione; la ricorrente curava anche la formazione dei dipendenti per lo più su aspetti specifici mentre io curavo la formazione su tematiche più generali e di solito dei responsabili di area”. Il testimone ha confermato di aver predisposto la bozza del nuovo manuale di sicurezza alimentare completata poi dalla ricorrente secondo le sue indicazioni e, in merito alla partecipazione alle ispezioni al fine di ottenere e/o mantenere le certificazioni, ha specificato: “agli audit nel periodo in cui ho collaborato io partecipavano il responsabile assicurazione qualità, spesso io, i responsabili delle varie aree e il direttore per ciò che riguarda la riunione di apertura e di chiusura. Nelle attività successive gli ispettori erano accompagnati dal responsabile assicurazione qualità e/o da me e parlavano con i responsabili delle varie aree quando ispezionavano l’area”. Infine, il testimone ha riferito: “la ricorrente non poteva modificare impianti o strutture; poteva introdurre modifiche organizzative relative alle procedure da adottare sempre per renderle conformi agli standard di qualità; la ricorrente non svolgeva attività di direzione e coordinamento degli addetti ai reparti”. Anche la testimone Loredana Russo, collega della ricorrente ed addetta anch’ella per un periodo a funzioni di responsabile controllo qualità, ha dichiarato che tutti i documenti e le procedure relative alla qualità e alla sicurezza alimentare erano autorizzate e firmate dal Direttore Generale e che la ricorrente non poteva introdurre alcuna modifica ma solo “proporre le migliorie richieste dalle certificazioni che dovevano essere approvate dal direttore generale”. Da quanto dichiarato dai testi emerge con evidenza la piena riconducibilità delle mansioni di responsabile controllo qualità e responsabile sicurezza alimentare alla seconda categoria piuttosto che alla prima, non avendo la ricorrente mai operato con piena autonomia ma piuttosto alle strette dipendenze del direttore generale, il quale doveva autorizzare qualunque modifica ai processi organizzativi e qualunque impegno di spesa eventualmente imposti dagli standard qualitativi richiesti per ottenere e/o mantenere le certificazioni. L’attività è stata, peraltro, svolta in collaborazione con un consulente esterno, che ha dato alla ricorrente le indicazioni sulle attività da compiere.
Le considerazioni sopra svolte escludono anche che la ricorrente abbia diritto al superiore inquadramento di quadro.
Il ricorso va, pertanto, integralmente rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono poste a carico della ricorrente nella misura liquidata in dispositivo secondo le previsioni del D.M. n. 55/14
(cause di lavoro-scaglione da € 52.000.01 a € 260.000,00-valore medio per ciascuna fase con riduzione del 50% in considerazione del valore della causa prossimo al minimo dello scaglione di riferimento).
P.Q.M.
Il Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, così provvede:
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al rimborso in favore della società resistente delle spese di lite, liquidate in € 6.378,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, iva e cpa se dovute come per legge.
Manda alla cancelleria per la comunicazione alle parti della presente sentenza. Chieti, 7.10.2021
Il giudice del lavoro dott.ssa
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