N. R.G. 13012/2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI BOLOGNA SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA
Composto da:
– Dott. NOME COGNOME Presidente rel.
est. – Dott. NOME COGNOME Giudice – Dott. NOME COGNOME pronuncia la seguente
SENTENZA N._2303_2024_- N._R.G._00013012_2021 DEL_08_08_2024 PUBBLICATA_IL_09_08_2024
Nella causa civile di I grado iscritta al n. r.g. 13012/2021 promossa da:
(C.F. con il patrocinio degli Avv.ti INDIRIZZO (C.F. (C.F. (C.F. (C.F. COGNOME NOME (C.F. , elettivamente domiciliato presso lo Studio di quest’ultimo sito in Bologna (BO), INDIRIZZO ATTORE nei confronti di (P. IVA ) con il patrocinio del Prof.
Avv. COGNOME NOME (C.F. ), elettivamente domiciliato presso il suo Studio sito in Pellezzano (SA), INDIRIZZO CONVENUTO
OGGETTO:
concorrenza sleale C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F.“- accertare che l’uso del termine «aceto» nell’etichettatura dei condimenti per cui è causa viola, per le ragioni esposte in premesse di citazione, sia l’art. 49 legge 12 dicembre 2016 n. 238 sia gli articoli 7 e 36 del Reg.
(UE) n. 1169/2011 e costituisce nei confronti dei produttori di atto di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c.;
– accertare che l’uso del termine «balsamico» nell’etichettatura dei condimenti per cui è causa viola, per le ragioni esposte in premesse di citazione, gli articoli 7 e 36 del Reg. (UE) n. 1169/2011 e costituisce nei confronti dei produttori di atto di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c.;
– accertare che l’uso del termine «aceto» e del termine «balsamico» nell’etichettatura dei condimenti per cui è causa configura, per le ragioni esposte in premesse di citazione, altresì pratica commerciale scorretta anche ai sensi dell’art. 21, comma 1 (in particolare della lett. a) del Codice del Consumo (D. Lgs. n. 206/2005) e del d.lgs. 145/2007 e costituisce nei confronti dei produttori di atto di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c.;
– accertare che impiegando, nell’etichettatura dei condimenti per cui è causa, i termini », « » e « la convenuta evoca illegittimamente, per le ragioni esposte in premesse di citazione, il nome registrato « sensi dell’art. 13, paragrafo 1, lettera b) del Regolamento (UE) n. 1151/12;
– inibire alla convenuta ogni uso nella denominazione, etichettatura, presentazione e pubblicità e in tutte le comunicazioni commerciali relative agli alimenti descritti in premesse di citazione, dei segni contestati ordinandole di ritirare dal commercio entro prefiggendo termine tutti i condimenti che li recano;
– fissare in Euro Mille (€ 1.000,00) la somma dovuta dalla convenuta all’attore per ogni giorno di ritardo nell’eseguire i provvedimenti che verranno disposti in sentenza nonché per ogni violazione successivamente accertata;
– ordinare la pubblicazione della sentenza, a cura dell’attore e a spese della convenuta, per due volte a caratteri normali e con intestazione delle parti in grassetto, sulle pagine nazionali dei quotidiani Corriere ovvero con le diverse modalità che saranno ritenute di giustizia;
– condannare la convenuta all’integrale rifusione delle spese del presente giudizio oltre 15% spese generali, I.V.A e C.P.A. di legge”.
Parte convenuta:
“- in via principale e nel merito rigettare la domanda attorea, così come proposta, in quanto infondata in fatto e diritto, oltre che nulla, inammissibile, improponibile;
– in ogni caso condannare l’attore al pagamento delle spese e degli onorari di giudizio da liquidarsi in favore del procuratore antistatario”.
Concise ragioni di fatto e di diritto della decisione
Part Geografica Protetta (IGP) «RAGIONE_SOCIALE », citava in giudizio deducendo che, in violazione della suddetta privativa, la convenuta aveva prodotto e messo in vendita bottiglie (con la dicitura in etichetta «RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME» / «Uvae» e rispettivamente “20 anni” e “50 anni”) recanti, nella relativa etichettatura l’espressione ” idonea ad indurre in errore il consumatore circa le caratteristiche dell’alimento e ad evocare la suddetta IGP ai sensi dell’art. 13 lett. b), c) e d) Reg. UE n. 1151/2012 integrando, in tal senso, anche gli estremi di attività di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. nei confronti dei produttori di Queste le immagini del prodotto (acquistato il 5.3.2021 in un esercizio di Castelvetro di Modena):
1.1.1.Esponeva il che l’uso del termine “aceto” nell’etichettatura dei condimenti apposta sui prodotti della convenuta violasse l’art. 49 L. 12 dicembre 2016 n. 238, nonché gli artt. 7 e 36 Reg. (UE) n. 1169/2011 e costituisse nei confronti dei produttori atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 c.c. Esponeva che anche l’uso dell’aggettivo “balsamico” nell’etichettatura dei condimenti apposta sui prodotti della convenuta violasse gli artt. 7 e 36 Reg. (UE) n. 1169/2011 e costituisse nei confronti dei produttori di atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 c.c.
1.1.2.
Il lamentava inoltre che la convenuta commettesse una comunicazione ingannevole e una pratica commerciale scorretta anche ai sensi dell’art. 21, comma 1 (in particolare, lett. a) del Codice del Consumo, sanzionabile ai sensi dell’art. 3 D. Lgs.
n. 145/2007, non avendo i suoi prodotti le caratteristiche e le qualità proprie dell’ 1.1.3.
La condotta di secondo l’attore rilevava altresì quale fattispecie di evocazione della ai sensi dell’art. 13 lett. b) Reg. UE n. 1151/2012, ricorrendo l’intento di provocare nella mente del consumatore l’associazione mentale con il prodotto tutelato.
Respingeva le eccezioni di genericità e assenza di connotazione geografica del termine “balsamico” della convenuta richiamando alcune sentenze della Corte di Giustizia UE, al fine di dimostrare che anche un nome comune privo di connotazione geografica poteva essere suscettibile di essere usato in funzione evocativa.
Con riguardo al Considerando 10 del Reg. (CE) n. 583/2009, provvedimento con il quale la Commissione Europea aveva accolto la domanda di registrazione della », precisava che esso non conteneva alcuna riserva sui singoli termini che potevano essere utilizzati, purché nel rispetto dell’art. 13 lett. b) Reg. UE n. 1151/2012 e del Reg. UE 1169/2011, il che significava che il termine “balsamico” non poteva essere usato anche per prodotti che non avevano nulla di balsamico.
Da ultimo, in merito all’uso del termine sull’etichetta del prodotto il sosteneva che, ancorché l’indicazione del luogo di produzione fosse obbligatoria, occorreva sempre valutare l’effetto complessivo delle diciture inserite nell’etichettatura al fine di escludere l’illecito evocativo e per determinare il possibile pericolo di confusione tra i prodotti generato nel consumatore.
Sicché se i termini “aceto” e “balsamico” erano suscettibili di evocare le denominazioni Part i predetti nomi comportava evocazione della “RAGIONE_SOCIALE Balsamico di
1.1.4.
Pertanto, costituendo la presenza dei termini “aceto”, “balsamico” e nell’etichettatura dei prodotti di tto di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c., chiedeva di inibire alla convenuta ogni uso nella denominazione, etichettatura, presentazione e pubblicità, come anche in tutte le comunicazioni commerciali relative agli alimenti descritti i predetti segni, ordinando di ritirare dal commercio tutti i condimenti che li recavano e di fissare in Euro 1.000,00 la somma dovuta al per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dei provvedimenti adottati con la sentenza, nonché per ogni violazione successivamente accertata.
Chiedeva, inoltre, la pubblicazione della sentenza.
1.2.
Si costituiva in giudizio eccependo l’infondatezza delle domande avversarie, di cui chiedeva il rigetto.
1.2.1.
Sull’illegittimità dell’uso della denominazione “aceto” sulle confezioni dei prodotti alimentari replicava che l’uso del termine era libero, che con esso si era limitata ad indicare la materia prima utilizzata, ovvero il mosto d’uva cotto, senza violare l’art. 49 della Legge n. 238/2016 e nel rispetto della normativa di settore sulla corretta informazione del consumatore, poiché descriveva il prodotto ai sensi del combinato disposto degli artt. 3, lett. p) e 17 Reg. UE 1169/2011;
che secondo la giurisprudenza europea ed italiana il predetto sostantivo rappresentava un termine generico, liberamente utilizzabile senza alcuna forma di potenziale limitazione mercantile.
1.2.2.
Sull’illegittimità dell’uso della denominazione “balsamico” sulle confezioni dei prodotti alimentari, replicava ugualmente che l’uso del termine era libero, che l’aggettivo in sé non godeva di alcuna protezione, in quanto non attinente al toponimo di una indicazione o denominazione geografica protetta.
Non vi era, a suo dire, alcuna evocazione della in quanto le denominazioni “aceto” e “balsamico” non erano autonomamente tutelabili ex art. 13 Reg. UE n. 1151/2012 sotto il profilo evocativo;
così come il riferimento all’area geografica di produzione, oltre ad essere obbligatorio ai sensi degli artt. 9, comma 1, lett. h) Reg.
UE n. Part nei consumatori una tale evocazione, essendo stato collocato nel retro dell’etichetta.
Anche al riferimento in etichetta della materia prima (il mosto d’uva cotto) non poteva attribuirsi valenza evocativa di quelli tutelati dalla IGP, non solo perché trattasi di indicazione obbligatoria per legge, ma anche perché secondo la giurisprudenza costituiva un’indicazione che non poteva considerarsi propria solo del Da ciò deduceva che l’uso della locuzione “aceto balsamico” era del tutto legittimo e che in caso di accoglimento delle avversarie contestazioni si sarebbe configurata una “discriminazione alla rovescia” ai danni di In data 10.2.2022 veniva concesso il triplo termine per le memorie di cui all’art. 183 c.p.c. e la causa veniva istruita unicamente con prove documentali. A seguito di una prima rimessione al collegio per la decisione la causa veniva rimessa sul ruolo per trasferimento del G.I. titolare, e dopo nuova udienza di p.c. dell’11.4.2024, a seguito di richiesta di parte attrice – dopo i secondi scritti conclusivi – con decreto del 6.6.2024 veniva fissata l’udienza per la discussione orale ex art. 275 c.p.c. avanti al Collegio in data 10.7.2024, quando la causa veniva trattenuta in decisione.
2.
Le domande del non possono essere accolte.
2.1.
Il invoca tutela della denominazione protetta , inserita nel registro della IGP dal Reg. CE 583/2009 della Commissione Europea.
In primo luogo viene contestato l’uso della parola “aceto” da parte di , che avrebbe carattere illecito in quanto contrastante con l’art. 49 l. 238/20161.
1 “1. La denominazione di «aceto di…», seguita dall’indicazione della materia prima, intesa come liquido alcolico o zuccherino utilizzato come materia prima, da cui deriva, è riservata al prodotto ottenuto esclusivamente dalla fermentazione acetica di liquidi alcolici o zuccherini di origine agricola, che presenta al momento dell’immissione al consumo umano diretto o indiretto un’acidità totale, espressa in acido acetico, compresa tra 5 e 12 grammi per 100 millilitri, una quantità di alcol etilico non superiore a 0,5 per cento in volume, che ha le caratteristiche o che contiene qualsiasi altra sostanza o elemento in quantità non superiore ai limiti riconosciuti normali e non pregiudizievoli per la salute, indicati nel decreto del Ministro, emanato di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro della salute. Per materia prima si intende altresì, limitatamente agli Contr rilievo è infondato.
La norma in questione riserva chiaramente il termine non ad un “aceto” senza ulteriore specificazione, ma ad aceti con determinate caratteristiche e di composizione;
viene regolamentata in altri termini una denominazione composta da un sostantivo e un complemento di specificazione:
intende cioè che ad es.
la dizione di “aceto di vino” possa essere usata se il prodotto ha un determinato contenuto (l’indicazione di una materia prima).
Nel caso concreto non ha indicato alcun complemento di specificazione, ma adoperato il lemma di uso comune, seguito dall’aggettivo “balsamico”.
Nel retro dell’etichetta ha poi correttamente indicato la materia prima utilizzata (mosto cotto di uve, fra l’altro previsto dall’art. 12 della stessa legge).
E’ poi corretto quanto notato dalla convenuta in relazione all’uso comune del termine, generico e liberamente utilizzabile senza ulteriore specificazione, nonché alla distinzione legislativa tra aceti a base di un liquido alcoolico o zuccherino da quello degli aceti derivati dalla frutta;
che si tratta di un condimento per alimenti;
che l’indicazione è conforme ad una corretta descrizione del prodotto e informazione del consumatore secondo gli artt. 3 lett. p) e 17 c. 1 Reg. UE 1169/20112 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori.
Né il rinvio agli ordinamenti interni ex art. 2 lett. n) Reg. richiamato dal può essere operato ai sensi dell’art. 49 citato della legge italiana, poiché come detto inconferente rispetto al caso concreto.
Non può essere quindi condiviso in parte qua il precedente del Tribunale di Venezia prodotto dal (doc. 76), se non altro perché la “denominazione legale” non consiste del solo termine “aceto”, ma è composita (del sostantivo e del complemento di specificazione);
così come per lo stesso motivo non appare condivisibile il richiamo all’art. 53 l. 238/2016 2
Art. 3 lett. p):
per denominazione descrittiva si intende “una denominazione che descrive l’alimento e, se necessario, il suo uso e che è sufficientemente chiara affinché i consumatori determinino la sua reale natura e lo distinguano da altri prodotti con i quali potrebbe essere confuso”.
relazione all’ “aceto di…aromatizzato” (“aromatizzazione” del resto nel caso concreto contestata dal , v. infra).
Infine:
non è contestato che neppure l’IGP del riporti il “tipo” di aceto (aceto di.. ) , ma solo la dicitura complessiva protetta “aceto balsamico di , e quindi a su volta non ricalchi l’art. 49 citato.
2.2.
Quanto all’uso della parola “balsamico”, va ribadito che secondo la giurisprudenza interna e comunitaria di cui infra sub 2.3.
, lo stesso è libero purché rispettoso delle norme comunitarie e non ingannevole per i consumatori.
Anche in combinazione con la parola “aceto” lo stesso termine indica una presunta qualità riferibile a un condimento alimentare, non autonomamente tutelabile, sia esso riferito al gusto o all’olfatto.
Che poi il prodotto di non sia o non possa essere inteso o giudicato di fatto e in concreto dal punto di vista organolettico (e non secondo documenti o pareri esterni) “balsamico”, come notato da , costituiva onere probatorio del che non è stato assolto.
2.3.
Sulla violazione del Codice del Consumo sotto il profilo della pubblicità ingannevole e delle pratiche commerciali scorrette, è appena il caso di notare che la stessa non può essere predicata, ove si consideri la liceità innanzi ritenuta dell’uso, veritiero e corretto, del libero termine “aceto balsamico” (sia il sostantivo che l’aggettivo) per contraddistinguere il condimento alimentare in ipotesi dotato di positive caratteristiche e composto da mosto d’uva cotto.
Im altri termini, la liceità e non decettività anche con riguardo ai parametri consumeristici discende dalla liceità e non decettività di cui alle considerazioni espresse per le contestazioni inerenti i termini “aceto” e “balsamico”.
Non può essere in proposito condiviso o dirimente neppure il richiamo del agli artt. 7 e 36 Reg. UE 1169/2011, posto che l’assenza delle proprietà “balsamiche” nel prodotto contestato non è stata affatto provata dal , e l’aggettivo “balsamico” ben può rivestire un generico significato positivo, o essere inteso come da pertinente giurisprudenza in tema di evocazione.
2.4.
L’attore deduce poi che la denominazione “aceto balsamico” utilizzata da , così da integrare i presupposti di una illecita evocazione della , prevista dall’art. 13, comma 1, lett. b) Reg. 1151/2012.
La denominazione contestata, viene evidenziato dal , utilizza tutti e tre i termini costitutivi del nome composito registrato.
Inoltre, quanto all’uso del termine “balsamico”, l’attore specifica che esso viene comunemente utilizzato dai consumatori per designare il prodotto che beneficia dell’IGP;
detto termine, inoltre, sarebbe tradizionalmente connesso alla storia del prodotto tutelato dalla IGP qui in discussione, e che ad oggi anche il suo utilizzo in senso sostantivato viene impiegato come abbreviazione di “Aceto Come noto, il concetto di evocazione comporta un giudizio sulla fattispecie concreta, diretto a valutare l’idoneità del segno contestato a evocare o, quantomeno, a connettersi con la denominazione protetta (nello specifico, con l’origine geografica della stessa, con la reputazione o con le caratteristiche del prodotto ad esso associato).
E dunque, per accertare l’esistenza di un’evocazione è essenziale che il consumatore stabilisca un collegamento tra le denominazioni utilizzate per designare il prodotto in questione e l’IGP, e, tale valutazione può essere compiuta unicamente facendo riferimento alla percezione del consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto.
Ne discende che tale giudizio spetta al giudice nazionale, essendo il solo idoneo a poter compiere una valutazione globale che tenga conto dell’insieme dei diversi elementi della denominazione registrata, comprese anche le similarità fonetiche e visive, conformemente a quanto ormai consolidato nella giurisprudenza unionale.
Sulla scorta di una precedente e consolidata giurisprudenza, vanno richiamati alcuni principi espressi dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza del 4.12.2019 pronunciata nella causa C- 432/2018, la quale ha affermato che l’art. 1 del Reg.
CE 583/2009 della dedicato all’iscrizione della denominazione protetta , non possa essere esteso all’utilizzo dei singoli termini non geografici della stessa.
Tale decisione era stata adottata dalla Corte UE in base ai rilievi posti dalla Commissione in risposta alle osservazioni sollevate da altri Paesi membri in merito al riconoscimento dell’IGP e alla genericità della denominazione proposta, con i quali aveva chiarito che la tutela sarebbe stata apprestata dalla IGP solamente alla denominazione composta, ossia Part “balsamico”, nonché la loro combinazione e le loro traduzioni, non beneficiano della protezione conferita dalla disciplina del Reg.
1151/2012 all’IGP.
Si può convenire, pertanto, che i termini “aceto” e “balsamico” (congiuntamente o disgiuntamente considerati) siano espressioni generiche concernenti caratteristiche descrittive di un prodotto agricolo comune e di una sua presunta qualità.
Ciò significa che gli stessi non possono essere autonomamente tutelabili ex art. 13, comma 1, lett. b) Reg. 1151/2012 sotto il profilo della evocatività (come, del resto, riconosciuto dal Considerando 10 del Reg. CE 583/2009, dalle osservazioni della Commissione poc’anzi illustrate e dalla Cassazione penale italiana n. 21279/2012), poiché la tutela della IGP rileva unicamente con riguardo alla parte geografica della denominazione.
Sicché l’evocazione illecita può sussistere ove essa investa gli elementi protetti, vale a dire, nel caso di specie, il solo termine geografico della denominazione.
Non è dunque configurabile, nel caso di specie, l’illecito evocativo denunciato con riferimento all’utilizzo del termine “aceto” da parte della società convenuta.
Non solo, per la genericità del termine, per quanto osservato finora a proposito e per il dettato dell’ultimo periodo dell’art. 13, comma 1 Reg. 1151/2012 ai sensi del quale «se una denominazione di origine protetta o un’indicazione geografica protetta contiene il nome di un prodotto considerato generico, l’uso di tale nome generico non è considerato contrario al primo comma, lett. a) e lett. b)» (lo stesso rilievo vale anche con riguardo al termine “balsamico”).
Detto orientamento, consolidato nell’ambito di questo Tribunale (cfr. ad es. sent. n. 603/2020 del 15.4.2020 est. , sulla insufficienza in concreto dei riferimenti geografici alla città di n. 58/2024 del 9.1.2024 est. SERRA, dove viene invece valorizzata la dicitura “100RAGIONE_SOCIALE Modena”) e della Corte territoriale (cfr. ad es. App. Bologna sent. n. 2790/2019 del 26.11.2019 e n. 1943/2019 dell’1.9.2019, che ha ugualmente valorizzato indicazioni geografiche specifiche sulla confezione, pronunce entrambe di questo estensore) ha trovato una recente conferma in sede di legittimità (Cass. 10350/2024), che ha eseguito una puntuale disamina della giurisprudenza UE, e per la quale “In tema di protezione dell’indicazione geografica di provenienza dei prodotti protetti da privative industriali, l’art. 13, par. 1, lett. b) del Reg. UE n. 1151 del 2012, essendo finalizzato a tutelare l’origine geografica del prodotto, vieta le condotte evocative che, comunque, ad essa facciano riferimento, non estendendosi all’utilizzo esclusivo di singoli termini non geografici, generici e comuni, sui quali non è consentito un monopolio da parte di elementi evocativi dell’IGP dell oggetto di protezione).
”.
Nel caso concreto quindi, fermo restando che vanno considerati di uso comune tanto il termine “aceto” quanto il termine “balsamico” (indipendentemente dalle disquisizioni sociologico –linguistiche sul senso olfattivo o del gusto cui questo secondo termine si possa riferire, anche qui con riferimenti sia alla sentenza CGUE del 4.12.2019 e la sua equiparazione all’ “agrodolce” che a Cass. 21279/2012 e la sua ascrizione alle “cose che hanno le caratteristiche o l’odore del balsamo”), va notato che non vi è nell’etichettatura del prodotto contestato alcun riferimento significativo alla città di o al territorio di origine dell’IGP, se non per l’obbligata dicitura – come notato da con gli inerenti riferimenti normativi3 – “Prodotto imbottigliato da – INDIRIZZO Castelvetro di Modena (MO) – ITALIA”, che compare nell’etichetta del retro in caratteri non particolarmente evidenti e distanti dalla denominazione del prodotto; che poi vi compaia per intero il termine è ugualmente non significativo, visto che questa è la corretta denominazione del Comune di riferimento, che si distingue così da altri Comuni italiani con lo stesso nome (cfr. il Comune di Castelvetro Piacentino).
Ed è pur vero che il Considerando 10 del Reg. 583/20094 non può essere letto oltre il suo significato di tutela dell’IGP nella sua denominazione complessiva, essendo caratterizzante e decisiva l’ascrizione geografica riferita al prodotto tutelato.
2.5.
Gli ulteriori elementi di fatto allegati dal (l’uso del carattere – tuttavia di dimensioni ridotte e distanti dalla denominazione – con riferimento alla città di l’identico aspetto esteriore di colore scuro) vanno considerati alla luce di quanto detto sopra,
3 Art. 3 d. leg. 145 2017- Obbligo di indicazione in etichetta della sede dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento 1. I prodotti alimentari preimballati destinati al consumatore finale o alle collettività devono riportare sul preimballaggio o su un’etichetta ad esso apposta l’indicazione della sede dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento, fermo restando quanto disposto dagli articoli 9 e 10 del regolamento (UE) n. 1169/2011. Reg.1169 2011 art. 8. c.1.
L’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti è l’operatore con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione, l’importatore nel mercato dell’Unione.
Art. 9 c. 1
Conformemente agli articoli da 10 a 35 e fatte salve le eccezioni previste nel presente capo, sono obbligatorie le seguenti indicazioni…h) il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare di cui all’articolo 8, paragrafo 1;
4 “Sembra che la Germania e la Grecia, nelle obiezioni sollevate relativamente al carattere generico del nome proposto per la denominazione, non abbiano tenuto conto della suddetta denominazione nel suo complesso, ovvero «Aceto Balsamico di , ma soltanto di alcuni suoi elementi, ossia i termini «aceto», «balsamico» e «aceto balsamico» o dunque si palesano privi di rilevanza, in quanto le somiglianze tra i prodotti dipendono dalla loro natura di condimenti alimentari.
Ciò detto la presenza di questi elementi nei prodotti utilizzati dalla società convenuta non può ritenersi in grado di destare nel consumatore collegamenti con la denominazione IGP, in assenza di chiari, visibili ed evidenti riferimenti alla parte geografica protetta tutelata dal , tali da suggerire o associare al prodotto quello tutelato dall’IGP.
Non sussistendo altri indici di richiamo alla denominazione protetta non si ravvisa la necessità di un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE alla CGUE, come richiesto in sede di discussione orale della causa ex art. 275 c.p.c. dal , essendo condivisa e consolidata l’interpretazione in subiecta materia della giurisprudenza nazionale e comunitaria.
Ancora:
non appare decisivo al riguardo neppure il Considerando 35 5 del Reg. UE 1143/2024 che abroga il Reg. UE 1151/2012, applicabile solo dal 13.5.2024, citato in sede di discussione dal , che a ben vedere non si discosta affatto dalla consueta interpretazione di cui sopra, nel senso che richiama la necessità di una valutazione complessiva e concreta del possibile collegamento con ogni aspetto del prodotto contestato rispetto al consumatore europeo medio.
2.6.
Per le medesime ragioni si devono respingere le prospettazioni di illeciti concorrenziali di cui all’art. 2598 c.c., svolte nei confronti della società e declinate con riferimento agli stessi elementi di fatto;
nel senso che nessuna ulteriore circostanza rispetto a quelle sopra specificamente esaminate viene allegata;
e il cui rigetto comporta conseguentemente quello della domanda inerente il dedotto illecito de quo.
3.
Ogni altra considerazione è assorbita.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo (valori fra i minimi e i medi, per l’istruttoria solo documentale).
Distrazione delle spese.
5 (35) Sulla base della giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia dell’Unione europea, l’evocazione di Tribunale, definitivamente decidendo, ogni diversa e contraria istanza azione ed eccezione disattesa o assorbita:
1. rigetta le domande del 2. condanna il al pagamento delle spese lite di , liquidate in euro 11.000 per compensi, oltre 15% spese generali, C.P.A. e I.V.A. se dovuta, con distrazione in favore del difensore avv. NOME COGNOME dichiaratosi antistatario.
Bologna, 10 luglio 2024 Il Presidente rel.est.
Dott. NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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