Secondo un orientamento consolidato, la fattispecie del trasferimento di azienda regolata dall’articolo 2112 c.c. ricorre tutte le volte in cui, rimanendo immutata l’organizzazione aziendale, vi sia soltanto la sostituzione della persona del titolare, indipendentemente dallo strumento tecnico-giuridico adottato.
Ad integrare le condizioni per l’operatività della tutela del lavoratore, è sufficiente il subentro nella gestione del complesso dei beni organizzati ai fini dell’esercizio dell’impresa, ossia la continuità nell’esercizio dell’attività imprenditoriale, restando immutati il complesso dei beni organizzati dell’impresa e l’oggetto di quest’ultima.
L’impiego del medesimo personale e l’utilizzo dei medesimi beni aziendali costituiscono un indice probatorio di tale continuità (v. Cass. n. 26808 del 2018; n. 12771 del 2012).
Questa nozione di trasferimento di azienda o di ramo d’azienda è coerente con la disciplina in materia dell’Unione Europea (Dir. 12 marzo 2001, 2001/23/CE, che ha proceduto alla codificazione della Dir. 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, come modificata dalla Dir. 29 giugno 1998, 98/50/CE) secondo cui “è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria” (Dir. n. 23 del 2001, articolo 1, n. 1).
La Suprema Corte ha chiarito che, in materia di trasferimento d’azienda, la disciplina dell’articolo 2112 c.c. si applica anche nell’ipotesi di cessazione del contratto di affitto d’azienda e conseguente retrocessione della stessa all’originario cedente, purché quest’ultimo prosegua l’attività già esercitata in precedenza, mediante l’immutata organizzazione aziendale, con onere della prova a carico di chi invoca gli effetti dell’avvenuto trasferimento (v. Cass. 23765 del 2018; n. 16255 del 2011).
Nella fattispecie in esame, la Corte di merito ha individuato il fondamento normativo del diritto dei lavoratori alla prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze della s.r.l., originaria cedente e poi retrocessionaria, nell’articolo 2112 c.c. (espressamente richiamato nella clausola di cui all’articolo 13 del contratto concluso tra le due società), che deve trovare applicazione anche in ipotesi di retrocessione.
Ha tuttavia errato nella ricostruzione dei rapporti tra l’articolo 2112 c.c. e il licenziamento intimato prima del trasferimento di azienda o di un suo ramo (o della retrocessione).
L’articolo 2112 c.c., al comma 4, disciplina la fattispecie del licenziamento intervenuto in concomitanza con il trasferimento dell’azienda e prevede che “ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento”.
Da tale previsione discende che, in caso di trasferimento d’azienda, l’alienante conserva il potere di recesso attribuitogli dalla normativa generale, sicché il trasferimento non può impedire il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, purché questo abbia fondamento nella struttura aziendale autonomamente considerata e non nella connessione con il trasferimento o nella finalità di agevolarlo (v. Cass. n. 11410 del 2018; n. 15495 del 2008).
La tutela prevista dall’articolo 2112 c.c. in caso di trasferimento d’azienda o di ramo, come si ricava dal comma 1, chiara lettera (“In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva i diritti che ne derivano”), è affidata all’automatica “continuazione” del rapporto di lavoro con il cessionario e alla “conservazione” dei diritti maturati dai lavoratori sino al momento della cessione.
Tale duplice effetto presuppone, dal punto di vista logico e giuridico, la vigenza del rapporto di lavoro in capo alla cedente al momento del trasferimento, vigenza che può essere effettiva ma anche virtuale, quale conseguenza dell’annullamento del licenziamento intimato e del ripristino de iure del rapporto di lavoro.
Al riguardo, la Suprema Corte ha precisato che, in tema di trasferimento d’azienda, l’effetto estintivo del licenziamento illegittimo intimato in epoca anteriore al trasferimento medesimo, in quanto meramente precario e destinato ad essere travolto dalla sentenza di annullamento, comporta che il rapporto di lavoro ripristinato tra le parti originarie si trasferisce, ai sensi dell’articolo 2112 c.c., in capo al cessionario, dovendosi escludere che osti a tale soluzione l’applicazione della Dir. 77/187/CE, la quale prevede – secondo l’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia CE (cfr. sentenze 12 marzo 1998, C319/94, 11 luglio 1985, C-105/84, e 7 febbraio 1985, C-19/83) – che i lavoratori licenziati in contrasto con la direttiva debbono essere considerati dipendenti alla data del trasferimento, senza pregiudizio per la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative piu’ favorevoli ai lavoratori (v. Cass. n. 8641 del 2010; nella specie, la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha ritenuto che, a seguito dell’annullamento del licenziamento, sussistesse la legittimazione passiva anche del cessionario per le richieste del lavoratore relative al ripristino del rapporto di lavoro, escludendo la necessità di una pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia.
Nello stesso senso, v. Cass. n. 5507 del 2011; v. anche Cass. n. 4130 del 2014 secondo cui “Il rapporto di lavoro del lavoratore, illegittimamente licenziato prima del trasferimento di azienda, continua con il cessionario dell’azienda qualora, per effetto della sentenza intervenuta tra le parti originarie del rapporto, il recesso sia stato annullato”).
Deve invece escludersi che possa “continuare” in capo alla cessionaria, un rapporto di lavoro non più esistente all’epoca del trasferimento, cioè definitivamente cessato in fatto e anche de iure, per la mancata impugnativa dell’atto di recesso.
Nell’ipotesi in cui, come accade nella fattispecie in esame, in epoca anteriore al trasferimento, sia stato intimato il licenziamento (sia in connessione con la cessione e sia per autonomo giustificato motivo oggettivo), la norma di garanzia di cui all’articolo 2112 c.c. può operare solo a condizione che sia dichiarata la nullità o l’illegittimità del licenziamento, con le conseguenze a ciò connesse in termini di ripristino del rapporto di lavoro alle dipendenze della cedente.
Solo la declaratoria di nullità o l’annullamento dell’atto di recesso consentono di considerare il lavoratore dipendente della cedente al momento della cessione, con trasferimento e continuazione del suo rapporto di lavoro in capo alla cessionaria.
La declaratoria di nullità del licenziamento o il suo annullamento costituiscono dunque un dato pregiudiziale ed autonomo – sul piano logico e su quello giuridico – rispetto all’accertamento del trasferimento d’azienda e dei suoi effetti.
La circostanza che nell’ambito di un’unica controversia possano essere proposte tanto la domanda di nullità o annullamento del licenziamento che quella di accertamento dell’avvenuto trasferimento di azienda, con conseguente dichiarazione della prosecuzione rapporto di lavoro alle dipendenze dirette del cessionario, non esclude che la contestazione del licenziamento rimanga sottoposta alle regole sue proprie, e tra queste all’onere di impugnazione nei termini di decadenza di cui alla L. n. 604 del 1966, articolo 6, nel testo modificato dalla L. n. 92 del 2012 (v. Cass. 7665 del 2013, relativa ad una fattispecie in cui la lavoratrice aveva convenuto in giudizio la cedente e la cessionaria per far accertare l’intervenuto trasferimento di azienda e dichiarare nullo il licenziamento intimato dalla cedente prima del recesso.
La S.C. ha respinto il ricorso della lavoratrice, confermando la sentenza d’appello che, conformemente al Tribunale, avevano rigettato la domanda per intervenuta decadenza dall’impugnativa del licenziamento).
In conclusione, la continuazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della cessionaria (o della retrocessionaria) si realizza, ai sensi dell’articolo 2112 c.c., per i lavoratori che sono dipendenti della cedente (o della retrocecedente) al momento del trasferimento o che tali devono considerarsi per effetto della nullità o dell’annullamento del licenziamento, con ripristino o reintegra nel posto di lavoro.
Corte di Cassazione, Sentenza n. 8039 del 11 marzo 2022
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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