Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, nel licenziamento per scarso rendimento del lavoratore, rientrante nel tipo del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, il datore di lavoro – cui spetta l’onere della prova – non può limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso o l’oggettiva sua esigibilità, ma deve anche provare che la causa di esso derivi da colpevole negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore nell’espletamento della sua normale prestazione (così Cass. civ., sez. lav., 17.9.2009, n. 20050).
Nel caso esaminato, la Corte di Appello, dopo aver dato conto della contestazione “di aver fatto visita a un modestissimo numero di clienti e di aver reso una prestazione lavorativa insufficiente nel primo trimestre 2016, limitata all’acquisizione di un solo cliente“, ha condiviso l’accertamento fattuale compiuto dal primo giudice, rilevando che il ricorrente aveva reso una prestazione lavorativa insufficiente per l’esiguità dei clienti e delle filiali visitati tra il novembre 2015 e l’aprile 2016 (rispettivamente 11 e 12), specificando poi che nel primo trimestre 2016 aveva effettuato complessivamente 16 visite a clienti e/o filiali (rispetto alle 120 degli altri colleghi dell’ufficio sviluppo) e acquisito un solo cliente.
Tali dati sono stati posti a confronto con i dati di produzione (raccolta impieghi) degli altri colleghi – enormemente superiori a quelli del ricorrente – sì da concludere per l’effettività dello scarso rendimento e della sua gravità.
Il giudice di secondo grado ha formato il suo convincimento sul punto specifico che il lavoratore non versasse in una situazione nella quale gli era impossibile adempiere correttamente alle proprie mansioni nel campo dello sviluppo in base a prove testimoniali ritualmente acquisite nel processo, e non in forza del rilievo che il lavoratore non avesse assolto ad un onere probatorio su di lui incombente a riguardo.
Per il resto, la stessa Corte di Appello, circa lo scarso rendimento contestato come tale al lavoratore, si è avvalsa di dati indotti dalla banca convenuta sulla quale faceva carico l’onere della prova e sulle testimonianze assunte.
In particolare, correttamente ha posto in comparazione i dati relativi all’attività del XXX e quelli relativi all’analoga attività di suoi colleghi in simile posizione nel settore sviluppo, ed ha apprezzato l’inadempimento addebitato in uno “alla mancanza di elementi obiettivi che giustifichino la riduzione dell’attività” del XXX.
Una volta escluse, perciò, le situazioni allegate dal lavoratore (sua condizione di emarginazione e disponibilità di dotazioni e tecnologie insufficienti o diverse da quelle dei colleghi impiegati come lui nel settore sviluppo), che avrebbero potuto quantomeno in parte giustificarlo, correttamente è stato ritenuto dimostrato che il suo scarso rendimento era a lui imputabile a titolo quanto meno di colpa.
Infine, circa lo specifico profilo dell’accertamento della gravità dell’inadempimento, secondo le decisioni della Suprema Corte richiamate nell’impugnata sentenza, il licenziamento per cosiddetto scarso rendimento costituisce un’ipotesi di recesso del datore di lavoro per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, che, a sua volta, si pone come specie della risoluzione per inadempimento di cui agli articoli 1453 e segg. c.c. sicché, fermo restando che il mancato raggiungimento di un risultato prefissato non costituisce di per sé inadempimento, ove siano individuabili dei parametri per accertare se la prestazione sia eseguita con diligenza e professionalità medie, proprie delle mansioni affidate al lavoratore, lo scostamento da essi può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione, sulla scorta di una valutazione complessiva dell’attività resa per un apprezzabile periodo di tempo (così Cass. civ., sez. lav., 9.7.2015, n. 14310).
Pertanto è stato ritenuto legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento qualora sia provata, sulla scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente – ed a lui imputabile in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, tenuto conto della media attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione (in tal senso Cass. civ., sez. lav., 4.9.2014, n. 18678).
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Ordinanza n. 9453 del 6 aprile 2023
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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