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Licenziamento non impugnato, illegittimità e risarcimento

Il vigente ordinamento prevede per la risoluzione del rapporto di lavoro una disciplina speciale, del tutto diversa da quella ordinaria, i cui connotati di specialità e di imperatività mal si conciliano con una libertà di scelta per le parti tra regime ordinario e regime speciale nelle aree in cui il licenziamento deve essere sorretto da specifiche ragioni. La decadenza, infatti, impedisce al lavoratore di richiedere il risarcimento del danno secondo le norme codicistiche ordinarie, in quanto non consente di far accertare in sede giudiziale la illegittimità del licenziamento.

Pubblicato il 05 November 2006 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Il vigente ordinamento prevede per la risoluzione del rapporto di lavoro una disciplina speciale, del tutto diversa da quella ordinaria, i cui connotati di specialità e di imperatività mal si conciliano con una libertà di scelta per le parti tra regime ordinario e regime speciale nelle aree in cui il licenziamento deve essere sorretto da specifiche ragioni.

Nel quadro di questo speciale regime, e nelle relative aree, il legislatore ha previsto un termine breve di decadenza (sessanta giorni) per l’impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore (art. 6 legge 15 luglio 1966 n. 604 e art. 5 comma 3 della legge 23 luglio 1991 n. 223) a garanzia della certezza della situazione di fatto determinata dal recesso datoriale, ritenendo tale certezza valore preminente rispetto a quello della legittimità del licenziamento.

Ne consegue che al lavoratore che non abbia impugnato nel termine di decadenza suddetto il licenziamento è precluso il diritto di far accertare in sede giudiziale la illegittimità del recesso e di conseguire il risarcimento del danno, nella misura prevista dalla leggi speciali (art. 8 legge 604 del 1966 e art. 18 legge n. 300 del 1970).

Se tale onere non viene assolto dal lavoratore, peraltro, il giudice non può conoscere della legittimità del licenziamento neppure per ricollegare al recesso conseguenze risarcitorie di diritto comune.

La decadenza, infatti, impedisce al lavoratore di richiedere il risarcimento del danno secondo le norme codicistiche ordinarie, in quanto non consente di far accertare in sede giudiziale la illegittimità del licenziamento.

Poiché l’inadempimento (nel caso di specie, recesso illegittimo) costituisce presupposto del risarcimento dovuto dal contraente inadempiente a norma dell’art. 1218 c.c., la impossibilità di tale accertamento esclude la possibilità di riconnettere al preteso inadempimento del datore di lavoro l’obbligazione risarcitoria in favore del lavoratore.

A tal fine è irrilevante che si tratti di licenziamento individuale o collettivo, poiché ciò che viene in rilievo è sempre la posizione soggettiva particolare del lavoratore che invoca la tutela risarcitoria.

L’azione risarcitoria di diritto comune, dunque, può essere esercitata, anche in caso di decadenza, soltanto in via residuale per far valere profili di illegittimità del licenziamento che siano diversi da quelli previsti dalla normativa speciale sui licenziamenti, individuali o collettivi.

Nell’area dei licenziamenti disciplinati dalla normativa speciale, invece, l’azione risarcitoria di diritto comune può essere esercitata, in via alternativa, soltanto previa tempestiva impugnazione del licenziamento.

A questi principi non si era attenuta la sentenza impugnata, avendo il giudice di appello riconosciuto ai due lavoratori il diritto al risarcimento del danno secondo le norme comuni pur essendo pacifico che erano decaduti dal diritto di impugnare il licenziamento.

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza n. 18216 del 21 agosto 2006

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