n. 1239/2023 r.g.lav.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI PESCARA Sezione Lavoro Il Tribunale, in composizione monocratica, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona del giudice, dott.ssa NOME COGNOME all’esito dell’udienza del 9.01.2025, tenuta in modalità cartolare ex art. 127 ter c.p.c., lette le note scritte depositate dalle parti, ha pronunciato e pubblicato la seguente
SENTENZA N._7_2025_- N._R.G._00001239_2023 DEL_09_01_2025 PUBBLICATA_IL_09_01_2025
con motivazione contestuale ex art. 429 c.p.c., nella causa indicata in epigrafe, pendente tra (C.F. ), rappresentato e difeso dagli Avv.ti COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in atti;
PARTE RICORRENTE (C.F. , rappresentata e difesa dall’Avv. COGNOME elettivamente domiciliato come in atti;
PARTE RESISTENTE
Oggetto: Impugnativa licenziamento individuale per giusta causa.
Conclusioni:
come da atti introduttivi e note scritte depositate dalle parti per l’odierna udienza da intendersi in questa sede integralmente richiamati.
MOTIVAZIONE C.F. P. ivi sentir accogliere le seguenti conclusioni “a) in via principale, accertare e dichiarare, per tutte le ragioni esposte in fatto ed in diritto, ex art. 18 S.L., comma 4°, che non ricorrono gli estremi della giusta causa addotta dal datore di lavoro o che, comunque, il fatto contestato rientri tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base della previsione dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili o che il provvedimento sia illegittimo per disparità di trattamento rispetto al collega e per l’effetto ai sensi dell’art. 18, comma 4, della L. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, della l. n. 92 del 2012, annullare il licenziamento del 13.3.2023 e condannare il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito nel periodo di estromissione per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe dovuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. Condannare altresì la società resistente al versamento dei contributi previdenziali assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi della misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative; b) in via subordinata, accertare e dichiarare, per tutte le ragioni esposte in fatto ed in diritto, che il licenziamento per giusta causa intimato al ricorrente in data 13/03/2023 è inefficace in quanto la contestazione disciplinare del 21/02/2023 è stata adottata in violazione del principio della tempestività previsto dall’art. 7, L. 300/1970 e dell’art. 66, punto 2, del C.C.N.L. della Mobilità/Attività Ferroviarie e per l’effetto dichiarare ai sensi dell’art. 18, comma 5, della L. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, della l. n. 92 del 2012, risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condannare il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, o di quell’altra che sarà ritenuta di giustizia; c) in ulteriore subordine, accertare e dichiarare, per tutte le ragioni esposte in fatto ed in diritto, che il licenziamento per giusta causa intimato al ricorrente in data 13/03/2023 è inefficace in quanto adottato oltre il termine di 10 giorni prescritto dall’art. 66, punto 6, del C.C.N.L. della Mobilità/Attività Ferroviarie e per l’effetto dichiarare ai sensi dell’art. 18, comma 6, della L. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, della l. n. 92 del 2012, risolto il rapporto di lavoro dell’ultima retribuzione globale di fatto, o di quell’altra che sarà ritenuta di giustizia. In ogni caso, con vittoria di spese e competenze del giudizio, da distrarsi in favore dei sottoscritti procuratori antistatari ex art. 93 c.p.c.”.
Deduceva il ricorrente:
di essere stato dipendente della società convenuta, in qualità di capo tecnico infrastruttura e mansioni di “Addetto ai materiali”, dal 1.09.2008 al 21.02.2023 data in cui veniva licenziato;
di essere stato sospeso, giusta missiva del 9.09.2022, dal servizio in via cautelare non disciplinare dopo che la società aveva appreso che risultava indagato nell’ambito del procedimento penale n. 5084/2021 R.G.N.R. per i reati di cui agli artt. 110, 319, 624 e 625 nn. 5 e 7 c.p.;
di aver, poi, ricevuto in data 21.02.2023 contestazione disciplinare ex art. 7 legge n. 300/1970 e art. 66 CCNL Mobilità Attività Ferroviarie in relazione a fatti concernenti la sua partecipazione, in diverse occasioni, in attività di conferimento indebito di materiali alla società RAGIONE_SOCIALE in difetto di qualsivoglia autorizzazione cagionando alla società ingenti danni economici;
di aver ricevuto, in data 13.03.2023, comunicazione di licenziamento per giusta causa con efficacia retroattiva al 21.02.2023 avendo la società rappresentato l’impossibilità di proseguire il rapporto di lavoro in ragione della gravità dei fatti in cui esso ricorrente risultava coinvolto.
Lamentava lo l’illegittimità del provvedimento espulsivo adottato nei suoi confronti stante la propria estraneità ai fatti contestati, contestualmente sottolineando la diligenza e correttezza con le quali aveva sempre svolto le proprie mansioni.
Ad ogni buon conto, contestava la tempestività dell’addebito disciplinare e del successivo licenziamento essendo decorso un termine di circa sei mesi tra il momento in cui la società aveva appreso il suo coinvolgimento nei fatti de quibus e quello in cui aveva deciso di irrogare la sanzione espulsiva;
tempo in alcun modo giustificato essendosi la società limitata ad acquisire le risultanze delle indagini penali.
Inoltre, rappresentava che il procedimento disciplinare doveva ritenersi estinto per violazione del termine di cui all’art. 66 del CCNL di categoria avendo omesso la società di rispettare il termine di dieci giorni per l’irrogazione della sanzione dalla scadenza del termine concesso al dipendente per presentare le proprie difese.
Si costituiva con rituale memoria difensiva la (d’ora in avanti quale contestava integralmente tutto quanto ex adverso dedotto e prodotto instando per il rigetto del ricorso in quanto pretestuoso ed infondato.
Premessa la assoluta tempestività dell’azione disciplinare intrapresa dalla società datoriale, quanto al merito, a detta della stessa, appariva chiara ed inequivoca la gravità delle condotte poste in essere dallo condotte debitamente risultanti dagli atti del procedimento penale e, comunque, comprovate anche dai riscontri effettuati dalla Commissione di indagine nominata ad hoc da essa società.
Cont instaurato il contraddittorio tra le parti, istruita la causa per mezzo di prove orali e documentali, all’udienza del 9.01.2025, tenuta in modalità cartolare ex art. 127 ter c.p.c., questo giudice pronunciava la presente sentenza con motivazione contestuale.
All’esito dell’esame degli scritti difensivi depositati dalle parti e dell’allegata documentazione, ritiene il Tribunale che il ricorso non sia fondato e non possa essere accolto per le ragioni che di seguito verranno esposte.
Preliminarmente, va rilevata la assoluta regolarità del procedimento disciplinare instaurato nei confronti dello nonché la tempestività dell’irrogazione della sanzione disciplinare del licenziamento intervenuto nel pieno rispetto delle tempistiche di cui all’art. 7 della Legge n. 300/1970 e dell’art. 66 del CCNL Attività ferroviarie.
In data 26 luglio 2022 comunicava via mail alla società la conclusione delle indagini preliminari relative al procedimento avente n. 5084/2021 R.G.N.R. – in cui risultavano coinvolti oltre allo stesso , anche lo tale NOME COGNOME – e la conseguente fissazione dell’udienza preliminare.
Appreso il coinvolgimento anche dell’odierno ricorrente in detto procedimento, la società, da un lato, si attivava per aver accesso al fascicolo inerente il procedimento penale al fine di acquisire copia degli atti in esso contenuti (accesso autorizzato dal P.M. in data 5.09.2022) e, dall’altro, comunicava immediatamente allo di riservare, a seguito di ulteriori e più approfondite indagini, l’avvio di ogni più opportuna azione anche di natura disciplinare.
Con successiva missiva del 9.09.2022 la società comunicava a tutti i dipendenti sottoposti ad indagini il provvedimento di sospensione cautelare non disciplinare dal servizio ex art. 65 CCNL Mobilità A.F. Contestualmente, ovvero in data 15.09.2022, con nota Prot. n° RFI-DRUORP2854, veniva nominata dal Direttore delle Risorse Umane e Organizzazione della una Commissione d’Inchiesta la quale veniva incaricata di analizzare, a seguito della acquisizione di documentazione dalla Procura della Repubblica di Pescara, i fatti così come descritti nell’atto di conclusione delle indagini preliminari nonché eventuali mancanze aventi ad oggetto il rispetto della normativa in materia di smaltimento dei rifiuti presso la Direzione Operativa Infrastrutture Territoriale di Ancona e, inoltre, di valutare eventuali comportamenti rilevanti sotto il profilo disciplinare con riferimento ai lavoratori risultati indagati: – ;
– Lavoratore in pensione;
– COGNOME NOME.
Cont Commissione restituiva alla Direzione della società gli esiti dei propri approfondimenti confluiti in apposita relazione in data 19 gennaio 2023.
Apprese, quindi, le risultanze anche degli accertamenti effettuati da detta Commissione, con missiva del 17.02.2023, ricevuta dallo il successivo 21.02.2023, la sollevava contestazione disciplinare ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 della legge n. 300/1970 e dell’art. 66 del CCNL Mobilità/Area Attività Ferroviarie:
in tale missiva, la società, preso atto degli esiti delle indagini penali e dell’attività istruttoria compiuta dalla Commissione, ricostruiva le singole condotte poste in essere in diversi episodi dallo concernenti l’attività di illecito conferimento di materiali alla società RAGIONE_SOCIALE;
contestualmente, venivano concessi al dipendente dieci giorni dal ricevimento della contestazione per presentare proprie giustificazioni.
quindi, nel termine concessogli, inviava alla datrice di lavoro una missiva contenente le proprie giustificazioni rappresentando, in particolare, la propria estraneità ai fatti oggetto di contestazione e rilevando come il proprio coinvolgimento fosse stato (erroneamente) desunto in via esclusiva dalla sua mera presenza – dovuta ad ovvie ragioni d’ufficio – negli stabilimenti di INDIRIZZO e di INDIRIZZO Campotosto.
Ritenute non esaustive le giustificazioni addotte, con missiva del 13.03.2023 la società, ritenendo le condotte adottate dal dipendente violative dei canoni di correttezza e buona fede ex art. 2105 c.c., dell’art. 56 del CCNL di categoria e del Codice etico del Gruppo FS in cui viene espressamente sancito il ripudio di ogni forma di corruzione, riscontrata l’esistenza di una giusta causa di recesso che impediva la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro, adottava nei confronti del dipendente il licenziamento per giusta causa ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2119 c.c. e art. 64 del CCNL Mobilità attività ferroviarie. Così ricostruita la cronologia degli eventi che hanno portato alla risoluzione del rapporto di lavoro, chi scrive non può non osservare la assoluta pretestuosità della doglianza relativa al mancato rispetto dei termini previsti per la conclusione del procedimento disciplinare così come di quella inerente il mancato rispetto del termine di cui al comma 7 dell’art. 66 del CCNL di settore il quale prevede testualmente che “L’adozione del provvedimento disciplinare dovrà essere notificata al lavoratore entro dieci giorni dalla scadenza del termine assegnato al dipendente per presentare le giustificazioni di cui al punto 6, in una delle seguenti modalità: – mediante consegna del provvedimento all’interessato che ne rilascia ricevuta su copia;
– con raccomandata, con avviso di ricevimento, spedita al domicilio dell’interessato dichiarato alla sede di appartenenza;
a tal fine fa
Cont merito a tale ultima censura, preme evidenziare che, contrariamente a quanto asserito dalla difesa dello il termine di dieci giorni dalla scadenza di quello attribuito al dipendente per presentare le proprie difese andava a scadere in data 13.03.2023 e non in data 12.03.2023 posto che:
riceveva la lettera di contestazione dell’addebito in data 21.02.2023 con conseguente scadenza dei dieci giorni per presentare le proprie difese al 3 marzo 2023 (non computandosi il dies a quo).
Ne consegue che il termine ultimo per comunicare al dipendente la sanzione disciplinare – nella specie il licenziamento – scadeva, appunto, il 13 marzo 2023 sì che l’irrogazione della sanzione deve ritenersi senza alcun dubbio tempestiva.
Né parimenti può qualificarsi non tempestiva la contestazione dell’addebito avvenuta circa un mese dopo la conclusione degli approfondimenti istruttori effettuati dalla Commissione d’inchiesta tenuto conto che, soltanto da questo momento, la società aveva acquisito un quadro probatorio idoneo ad elevare la contestazione de qua.
Non può, peraltro, non rilevarsi che, sin dal momento in cui la era messa al corrente della pendenza del procedimento penale a carico dei propri dipendenti, essa non rimaneva affatto inerte;
anzi, immediatamente la stessa si attivava per prendere visione del fascicolo relativo alle indagini ivi inclusi i brogliacci contenenti le intercettazioni telefoniche (che acquisiva soltanto in data 15.12.2022) disponendo in via immediata la sospensione cautelare dal servizio di tutti i dipendenti che risultavano indagati i quali venivano così resi edotti dell’intenzione della società stessa di eventualmente adottare provvedimenti, eventualmente anche di natura disciplinare, all’esito di approfondimenti istruttori che la società avrebbe personalmente effettuato (ovviamente anche alla luce delle risultanze delle indagini penali in corso una volta acquisite). A tal riguardo, valga osservare che la società datoriale disponeva una sospensione cautelare dal servizio di natura non disciplinare con conservazione in capo al dipendente della retribuzione ex art. 65 CCNL, sospensione giustificata proprio dalla necessità di effettuare ulteriori accertamenti relativi agli addebiti contestati allo già in sede disciplinare.
Al contrario della sospensione disciplinare, infatti, la sospensione cautelare è una misura di carattere provvisorio e strumentale all’accertamento dei fatti relativi alla violazione, che necessariamente precede una eventuale contestazione disciplinare con conseguente applicazione di una sanzione.
La sospensione cautelare, infatti, da parte del lavoratore degli obblighi inerenti al rapporto, esaurisce i suoi effetti con l’adozione dei provvedimenti disciplinari definitivi e ad essa non trova applicazione l’art. 7 della legge n. 300 del 1970, che procedimentalizza l’esercizio del solo potere disciplinare del datore di lavoro (Cass. Sent. n. 25136 del 13/12/2010, Sentenza n. 15353 del 13/09/2012).
La Cont tempestività del licenziamento in caso di intervenuta sospensione cautelare di un lavoratore laddove la definitiva contestazione disciplinare ed il licenziamento per i relativi fatti venissero ad essere differiti in relazione alle esigenze di accertamento (in tema di pendenza del procedimento penale Cass. Sent. n. 4502 del 12/02/2008;
Cass. Sent. n. 13955 del 19/06/2014 e sempre con riferimento alla pendenza del procedimento penale Cass. Sentenza n. 14103 del 20/06/2014).
Trattasi di pronunce che tutte confermano come la contestazione possa/debba seguire la sospensione cautelare dal servizio, e ciò in quanto la stessa è proprio finalizzata all’accertamento delle condotte che saranno oggetto di contestazione.
Ed ancora la giurisprudenza di legittimità ha, altresì, a riguardo, affermato che “In materia di licenziamento disciplinare, qualora sia disposta la sospensione cautelare dal servizio permane l’interesse del datore di lavoro ad accertare con sicurezza i fatti incompatibili con la prosecuzione del rapporto, dovendosi intendere l’immediatezza della contestazione in senso relativo e, dunque, compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, allorché l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero la complessità della struttura organizzativa dell’impresa sia suscettibile di far ritardare il provvedimento di recesso”. È chiaro, inoltre, che il principio secondo il quale l’addebito deve essere contestato immediatamente debba essere inteso in un’accezione relativa, compatibile con l’intervallo di tempo necessario al datore di lavoro per il preciso accertamento delle infrazioni commesse dal prestatore.
Da ciò consegue che la tempestività della contestazione non debba essere valutata con riguardo al momento in cui il datore di lavoro acquisisce formale ed astratta conoscenza del fatto ma con riguardo, invece, al momento in cui – effettuati i dovuti accertamenti ed approfondimenti istruttori – lo stesso acquista piena contezza del fatto storico e delle vicende in cui il dipendente risulta coinvolto;
è altresì inequivoco che, stante la relatività del concetto di immediatezza, la compiuta cognizione del fatto è tanto più complessa quanto più è articolata l’organizzazione aziendale o quanto più difficoltose risultano le operazioni di accertamento (elementi, questi, entrambi ricorrenti nel caso che occupa) (cfr. Cass. N. 12193/2020).
E nel caso di specie, è indubbio che la contestazione possa definirsi tempestiva essendo stata elevata all’esito di tutti gli approfondimenti svolti personalmente dalla società ovvero una volta che quest’ultima era finalmente entrata in possesso dei brogliacci relativi alle intercettazioni telefoniche e aveva acquisito le valutazioni compendiate dalla Commissione di inchiesta interna nella propria relazione.
D’altronde, è orientamento oramai consolidato della giurisprudenza di legittimità quello costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro (Cass. n. 19115 del 2013; Cass. n. 15649 del 2010; Cass. n. 19424 del 2005; Cass. n. 11100 del 2006) e va inteso in senso relativo, potendo, nei casi concreti, essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, in ragione della complessità di accertamento della condotta del dipendente oppure per l’esistenza di una articolata organizzazione aziendale” (Cass. n. 15649 del 2010; Cass. n. 22066 del 2007; Cass. n. 19159 del 2006; Cass. n. 6228 del 2004; n. 1562 del 2003; Cass. n. 12141 del 2003).
Ed inoltre, “In materia di licenziamento disciplinare, ove il fatto di valenza disciplinare abbia anche rilievo penale, il principio dell’immediatezza della contestazione non è violato qualora il datore abbia scelto di attendere l’esito degli accertamenti svolti in sede penale per giungere a contestare l’addebito solo quando i fatti a carico del lavoratore gli appaiano ragionevolmente sussistenti” (cfr. Cass. Sez. L., Ordinanza n. 27069/2018).
Dunque, alcuna violazione del principio di immediatezza della contestazione disciplinare è ravvisabile nella specie.
Anzi, non può non evidenziarsi che la non attendeva gli esiti degli accertamenti penali (quali, ad esempio, la richiesta di rinvio a giudizio – intervenuta soltanto di recente – o una sentenza di condanna anche non definitiva) ma decideva di procedere alla contestazione dell’addebito immediatamente dopo l’acquisizione di elementi sufficienti ed idonei ad integrare l’illecito ovvero quando gli elementi acquisiti hanno consentito di ritenere i fatti ragionevolmente sussistenti (vedi Cass. N. 12193/2020; Cass. N. 21633/2013).
Va, peraltro, sottolineato che, ad ogni buon conto, come visto, la contestazione disciplinare veniva preceduta dalla sospensione cautelare dal servizio disposta proprio al fine di consentire alla società di effettuare i dovuti accertamenti rendendo edotto il dipendente della possibilità di essere, all’esito, eventualmente destinatario di provvedimenti anche disciplinari.
Acclarata, quindi, la legittimità del procedimento disciplinare per quanto sin qui argomentato, il Tribunale – quanto al merito delle contestazioni sollevate nei confronti dello – non può non rilevare che esse integrino senz’altro una giusta causa di licenziamento con conseguente piena legittimità del provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro.
risulta, infatti, imputato (stante il rinvio a giudizio disposto dal GUP in data 4.06.2024), in concorso con altri, nell’ambito del procedimento penale iscritto al n. 5084/2021 R.G.N.R. e n. 3298/2023 R.G. GIP per i reati di cui agli artt. 319 c.p., 624 e 625 comma 1 n 5 e n 7 e comma 2 c p perché, in qualità di pubblico ufficiale e responsabile di cantiere, in più occasioni sottraeva materiale ferroso ed altro alla RAGIONE_SOCIALE Rete Ferroviaria Italiana p.a. per consegnarlo, in episodi contestati all’odierno ricorrente risultano debitamente e puntualmente descritti nell’informativa finale redatta dalla Legione Carabinieri Abruzzo e Molise e dal Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale e Transizione Ecologica redatta in data 4.05.2021 sulla base delle intercettazioni telefoniche e delle altre attività di indagine svolte nel corso del procedimento. Elementi probatori, questi, che, sebbene raccolti nell’ambito del giudizio penale, risultano senz’altro utilizzabili dal datore di lavoro avendo il Supremo Consesso con recente pronuncia chiarito che “In tema di licenziamento per motivi disciplinari, le intercettazioni telefoniche o ambientali effettuate in un procedimento penale sono pienamente utilizzabili nel procedimento di cui all’art. 7 della l. n. 300 del 1970, purché legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali, non ostandovi i limiti previsti dall’art. 270 c.p.p., riferibili al solo procedimento penale, né il fatto che i verbali di tali intercettazioni siano stati realizzati nella forma del cd. “brogliaccio”, senza trascrizione delle stesse, la cui assenza non le priva di ogni efficacia probatoria, giacché la prova è costituita dalle bobine e dai verbali, mentre la trascrizione si esaurisce in una serie di operazioni di carattere meramente materiale, non implicando l’acquisizione di alcun contributo tecnico-scientifico” (cfr. Cass. N. 109/2024; Cass. S.U. n. 3020/2015).
È altresì principio noto quello secondo il quale “Il giudice del lavoro, ai fini della formazione del proprio convincimento in ordine alla sussistenza di una giusta causa di licenziamento, può valutare gli atti delle indagini preliminari e le intercettazioni telefoniche ivi assunte, anche ove sia mancato il vaglio critico del dibattimento, in quanto la parte può sempre contestare nel giudizio civile i fatti acquisiti in un procedimento penale” (Cfr. Cass. N. 5317/2017).
Dunque, stando alle risultanze degli elementi probatori acquisiti in sede penale, si osserva quanto segue.
È emerso, infatti, che lo si adoperasse al fine di consentire l’acquisizione di rifiuti da parte della
Metalli dietro pagamento di un corrispettivo;
di tali consegne di rifiuti non vi è alcun documento giustificativo né risulta esservi alcuna annotazione nell’apposito Registro (di carico e scarico) né tantomeno risulta essere stato effettuato alcun bonifico in favore della società RAGIONE_SOCIALE, è emerso che lo percepisse in proprio le dazioni di denaro in contanti.
Ad esempio, è emerso che in data 5.12.2019 presso lo stabilimento di INDIRIZZO Campotosto nonché presso quello di INDIRIZZO lo abbia conferito alla DIBA rifiuti costituiti da rame di prima scelta, morsetti in bronzo e corda di alluminio al prezzo rispettivamente di 3 €uro al kg, 2 €uro al kg e 0,80 €uro al kg, per un totale di 4.244,00 €uro.
Di tale ingente quantità di materiale consegnato non vi è traccia alcuna nei registri della Diba nei quali risulta documentato personalmente ai dipendenti della tra i quali per la parte di sua competenza.
Il secondo episodio contestato è quello del 31.01.2020 avvenuto presso lo stabilimento di INDIRIZZO gestito proprio dallo In tale occasione, a seguito di accordi intercorsi telefonicamente tra dipendente della DIBA quale procacciatore d’affari, e l’odierno ricorrente viene effettuato un prelievo di 1.550 kg di rame di prima scelta;
• 1.600 kg di cavo contenente rame al 64%;
• 200 kg di bronzo;
• 500 kg di alluminio puro al 99%.
Anche in questo caso non risulta essere stata rinvenuta alcuna documentazione giustificativa di tale prelievo risultando, invece, dall’unico FIR (n. 220994/18 del 31.01.2020) il prelevamento di 250 kg di cavi verdi.
Si legge nella stessa informativa di PG che “tali cavi risultavano essere diversi da quelli di cui alla voce 17 04 NUMERO_CARTA CER 17 NUMERO_CARTA con firma del produttore (che invece dalle conversazioni telefoniche non risulta presente al prelievo) e trasportatore per la .
Spillata al vi è una copia del verbale di consegna dei materiali fuori uso con incaricato della consegna e firma come addetto ai materiali da parte di (il quale non era presente al prelievo) e timbro DIBA per accettazione del carico.
Dalla documentazione sequestrata al dipendente si rinvenivano esclusivamente il FIR (prima copia) attestante il prelievo di 250 kg di cavi verdi (SCMT), il verbale di consegna dei materiali fuori uso ed uno scontrino di pesata senza intestazione dello stesso modello utilizzato dalla..
la firma per embra corrispondere a quella del dipendente che per altro era assente alle fasi di prelievo e quindi deve ritenersi che la pesata sia stata effettuata senza contraddittorio…mentre dalle operazioni di pedinamento si evince la presenza dello alle operazioni di ritiro dei rifiuti.
Peraltro, secondo quanto si legge nella relazione della Commissione d’inchiesta in tale data era in servizio con il seguente orario:
7:45 – 9:59 Servizio fuori sede E 9:59 U 13:58 mentre il , pur avendo sottoscritto lo scontrino di pesata, non era presente al prelievo (dunque, lo scontrino risultava essere del tutto inattendibile non essendovi stata alcuna pesata).
Veniva, inoltre, conferito in questa occasione in modo del tutto illegittimo rame elettrolitico nudo non rientrante tra i rifiuti di cui all’allegato n. 01 al contratto n. 464/2018 disciplinante i rapporti tra DIBA.
L’ultimo episodio oggetto di contestazione risale al 7 febbraio 2020 allorquando lo conferiva alla DIBA 2.180 kg di rame nudo/di prima scelta omettendo di documentarlo sia dal punto di vista contabile che ambientale.
Per tale data risultava sia dal relativo FIR che dal verbale di consegna a firma dello stesso il conferimento di soli 500 kg di cavi di rame mentre non Cont Cont Cont di altri rifiuti metallici (il prelievo è stato presidiato dal sig. addetto ai materiali della (Allegato n. 17, annotazioni P.G. del 07.02.2020 e foto).
Anche con riguardo a tale operazione veniva rilevata la regolare presenza in servizio dello nell’orario in cui veniva effettuato il conferimento così come la mancanza di OdS, fatture, bonifici, FIR, trascrizioni nel registro di carico e scarico dei rifiuti in dotazione alla consultato mediante il gestionale RAGIONE_SOCIALE, riconducibili al prelievo dei rifiuti sopra indicati (eccezion fatta per la documentazione sopra richiamata relativa ai 500 kg di cavi di rame inguainato).
Dalle intercettazioni telefoniche e dalla documentazione acquisita è, altresì, emerso che, anche per tale conferimento, era stata promessa allo un’ingente somma di denaro, poi, però, non riscossa essendosi lo allontanato nel bel mezzo delle operazioni di carico poiché sospettava di essere pedinato (vedi pag. 164 informativa).
In ragione dell’omessa percezione del corrispettivo pattuito, lo stesso successivamente contattava più volte il sollecitandolo alla consegna del denaro non versato in quell’occasione.
Le circostanze sin qui descritte sono state integralmente confermate dai testi escussi , responsabile della disciplina e contenzioso Area Nord Est nonché componente della Commissione d’inchiesta, e dipendente dell’area legale e anch’essa membro della Commissione.
Il primo ha sostanzialmente confermato l’indebita sottrazione dagli stabilimenti di materiale ferroso – anche diverso da quello di cui al contratto sottoscritto tra e DIBA – in difetto di qualsivoglia documentazione giustificativa (ordini di servizio, fatture, autorizzazioni) così come la rilevata presenza in loco – quantomeno negli episodi oggetto di contestazione – dello il quale intratteneva rapporti con la DIBA mettendosi d’accordo sui giorni e gli orari in cui effettuare i conferimenti.
Lo stesso teste ha, inoltre, precisato che “per ciascun magazzino in cui è conservato materiale vi è un registro in cui è indicato tutto il materiale che viene in detti magazzini accumulato e, pertanto, in fase di smaltimento, viene registrato il quantitativo del materiale che viene smaltito”;
dunque, nell’effettuare i controlli, veniva riscontrata la mancanza di quantitativi di materiale ben superiore a quello risultante dai FIR rinvenuti.
Anche la teste ha riferito, a tal riguardo, che “il peso e quindi il valore del materiale sottratto era rilevante e, comunque, il peso era molto superiore rispetto a quello indicato nei documenti;
le informative davano indicazione delle quantità;
nei registri di carico e scarico il quantitativo di materiale prelevato non risultava riportato”.
Con riferimento all’episodio del 31 gennaio 2020, entrambi i testi hanno, poi, riferito che vi erano fotogrammi che raffiguravano un braccio meccanico di un furgone mediante il quale veniva effettuato il prelevamento del materiale oltre ad evidenziare la presenza in Cont , il FIR risultava firmato dal il quale in quel momento non era in servizio, elemento questo integrante un’ulteriore irregolarità.
I testi hanno, inoltre, riferito che tutta l’attività istruttoria dalla Commissione svolta si è basata sulle risultanze delle indagini penali, ovvero sull’analisi dei fotogrammi oltre che delle intercettazioni telefoniche operando, poi, la Commissione una serie di riscontri anche con i cartellini marcatempo al fine di riscontrare l’effettiva presenza in servizio del dipendente interessato da ciascun addebito nel momento e nel luogo in cui venivano effettuati gli indebiti prelievi.
Alcuna prova contraria è stata dal ricorrente fornita:
era suo onere, infatti, dimostrare l’esistenza di ordini di servizio che autorizzavano il conferimento di quegli ingenti quantitativi di materiali alla Diba così come provare l’annotazione di tali conferimenti negli appositi registri e la compilazione del FIR.
Ed ancora, lo stesso ricorrente, a fronte del chiaro tenore delle intercettazioni telefoniche dalle quali si evince la finalità economica delle operazioni illecite poste in essere, avrebbe dovuto fornire prova dell’esistenza di bonifici di pagamento del materiale indebitamente prelevato in favore della Nulla di tutto ciò, invece, è stato prodotto né allegato dal ricorrente il quale si è semplicemente limitato a negare gli addebiti senza addurre alcuna prova contraria a sostegno delle tesi professate.
Emerge, dunque, in tutta la sua evidenza la gravità dei fatti di cui lo si è reso protagonista durante lo svolgimento delle mansioni e dei compiti propri della figura professionale da lui ricoperta, fatti idonei a ledere quel vincolo fiduciario necessario nell’esecuzione di un rapporto di lavoro tale da impedirne la prosecuzione.
Indipendentemente da quelli che saranno gli esiti del giudizio penale, è, infatti, indubbio che lo abbia violato i canoni di correttezza e buona fede che devono improntare l’esecuzione di qualsivoglia rapporto obbligatorio oltre ai principi propri del Codice etico di FS laddove al punto 2 viene ripudiata qualsiasi forma di corruzione.
La gravità delle contestazioni mosse all’odierno ricorrente giustifica, quindi, il licenziamento senza preavviso secondo quanto previsto dall’art. 64 lett. P) del CCNL di settore, il quale annovera tra i fatti legittimanti la risoluzione del rapporto di lavoro appunto senza preavviso in genere “fatti o atti dolosi, comprese le violazioni dell’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c, di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro”.
Preme, infatti, evidenziare che la posizione dello risulta aggravata dalla qualifica di Addetto ai materiali da lui rivestita, posizione organizzativa dalla quale gli derivavano una serie di di pronto intervento;
– … – Curare il corretto stoccaggio e conservazione di tutti i materiali in consegna, compreso i fuori uso, assicurandone il costante allineamento fisico/contabile sia tramite inventariazione annuale “civilistica”, che periodica “gestionale”;
– Curare il corretto allestimento e la costante manutenzione/ sorveglianza dei siti di stoccaggio (locali magazzino e aree di piazzale)
, sia per i materiali nuovi/ usati che per quelli fuori uso, adottando, per questi ultimi, tutte le misure di gestione richieste dalla normativa ambientale;
– Curare, per le attività appaltate:
… l’acquisizione, previa specifica verifica qualitativa e quantitativa, dei materiali tolto d’opera riconsegnati.
– Curare la corretta e tempestiva compilazione e trasmissione di tutta la documentazione aziendale in uso, relativa all’intero processo gestione materiali, necessaria a tracciare tutti i movimenti di Entrata e Uscita Merci, nell’assoluto “rispetto delle disposizioni fornite dalle procedure di settore”.
Dall’esame delle condotte poste in essere dall’odierno ricorrente – quali sopra specificamente descritte – emerge in modo inequivoco come lo abbia violato gran parte dei doveri del proprio ufficio:
come visto, infatti, lo stesso ha partecipato ad operazioni di conferimento rifiuti non autorizzate, omettendo di compilare e trasmettere tutta la documentazione relativa al processo di gestione dei materiali così come ha omesso di tracciare l’entrata e l’uscita dei materiali stessi.
Ha, altresì, omesso di effettuare i dovuti controlli sui materiali stoccati in magazzino così come di curarne la corretta gestione.
Quale Capo tecnico infrastruttura, inoltre, lo ha omesso di registrare la presa in carico del rifiuto ponendo in essere tutte quelle attività inerenti il suo conferimento al trasportatore incaricato del prelievo e del trasporto, contrastando con la sua condotta anche la regolare tenuta dei registri di carico e scarico;
ha, altresì, omesso di compilare il FIR conferendo alla RAGIONE_SOCIALE anche rifiuti che, per previsione contrattuale, non le potevano essere consegnati (ad esempio, rame elettrolitico nudo).
Come già rilevato, infatti, difetta qualsivoglia documentazione inerente detti indebiti conferimenti quali ordini di servizio, FIR, bonifici effettuati in favore della mentre da un controllo incrociato tra la documentazione contabile ufficiale e quella parallela rinvenuta durante le indagini è emerso un prelievo di rifiuti in quantitativi decisamente superiori a quelli risultanti dal registro di carico/scarico o dal relativo FIR.
È chiaro, quindi, che, indipendentemente da quelli che saranno gli esiti del giudizio penale in corso, le condotte adottate dallo integrino la giusta causa di licenziamento essendosi egli reso responsabile di comportamenti gravissimi del tutto incompatibili con le peculiari responsabilità incombenti sull’Addetto ai materiali nonchè Capo impianto e tali da ledere in modo irreparabile il vincolo fiduciario che necessariamente deve permeare il rapporto di lavoro (vincolo fiduciario che è Cont qualità del singolo rapporto, alla posizione che in esso abbia avuto il prestatore d’opera e, quindi, alla qualità ed al grado del particolare vincolo di fiducia” a esse connessa, valutando la mancanza posta in essere dal dipendente “ non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva”). Indipendentemente, quindi, dal fatto che alle condotte allo contestate sarà conferita rilevanza penale all’esito del relativo giudizio e che lo stesso venga condannato per tali fatti, il Tribunale, nel richiamare il principio dell’autonomia tra procedimento disciplinare e processo penale ed operando una propria valutazione del materiale probatorio acquisito, non può che affermare l’idoneità delle condotte in oggetto a ledere il vincolo fiduciario rendendo impossibile la ripresa del rapporto di lavoro.
Lo ha agito nel mancato rispetto degli scopi aziendali omettendo di comportarsi secondo correttezza e buona fede cagionando alla società danni economici, mosso soltanto dall’intento di perseguire propri personali interessi per lo più di natura economica.
Secondo quanto in più occasioni osservato dalla Suprema Corte, infatti, l’autonomia dei giudizi penale e civile “non preclude al giudice civile di basarsi sugli accertamenti compiuti in sede penale, soprattutto laddove i fatti oggetto di contestazione disciplinare siano gli stessi.
In sostanza il giudice civile non è vincolato dal nomen criminis e dall’esito giudiziario compiuto in sede penale ben potendo valutare autonomamente i fatti.
Laddove essi corrispondano esattamente a quelli contestati ed in sede penale siano stati giudizialmente accertati, nulla impedisce al giudice civile di basarsi sugli accertamenti compiuti in sede penale, non essendo certamente obbligato a svolgere in ogni caso una autonoma istruttoria” (cfr. Cass. N. 13955/2014; n. 27129/2013; n. 22200/2010; n. 15714/2010).
Il giudice civile, quindi, una volta ritenuti sussistenti i fatti penalmente rilevanti addebitati al lavoratore licenziato (anche solo sulla base delle prove acquisite nel parallelo procedimento penale — Cass. n. 15714/2010) deve, poi, procedere a un’autonoma valutazione di tali fatti, andando ad accertare se essi siano “sufficienti ad integrare una adeguata giustificazione del licenziamento, tenuti presenti tutti gli aspetti oggettivi e soggettivi al riguardo rilevanti” (cfr. Cass. N. 13924/2003).
E ciò in quanto in tema di licenziamento disciplinare, non è rilevante l’assoluzione in sede penale circa i fatti oggetto di contestazione, bensì l’idoneità della condotta a ledere la fiducia del datore di lavoro, al di là della sua configurabilità come reato, e la prognosi circa il pregiudizio che agli scopi aziendali deriverebbe dalla continuazione del rapporto.
(Nella specie, la SRAGIONE_SOCIALE. ha confermato la sentenza di appello che aveva ravvisato l’ipotesi del trafugamento di beni aziendali, di cui all’art. 25 del c.c.n.l.
metalmeccanici del 7 maggio 2003, nonostante l’assoluzione del dipendente un successivo giudizio civile la sentenza penale di condanna o di assoluzione, con riferimento ai soggetti che non abbiano partecipato al giudizio penale, indipendentemente dalle ragioni di tale mancata partecipazione (cfr. Cass., 17652/07 ove è precisato:
“ne consegue che nel giudizio relativo alla legittimità del licenziamento disciplinare intimato ad un lavoratore sulla base di un fatto per il quale sia stata esercitata l’azione penale, il giudice civile non è vincolato dal giudicato penale ed è quindi abilitato a procedere autonomamente alla valutazione del materiale probatorio acquisito al processo, nel caso di mancata partecipazione al giudizio penale del datore di lavoro, che pure era stato posto in condizione di farlo” (cfr. anche Cass. N. 4961/2010). È chiaro, quindi, che i fatti oggetto di contestazione debbano essere autonomamente valutati indipendentemente da quelli che saranno gli esiti del giudizio penale essendo compito del giudice civile quello di verificare se detti fatti, in quanto costituenti grave inadempimento degli obblighi gravanti sul lavoratore, integrino gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo di recesso impedendo la prosecuzione del rapporto.
E dubbio alcuno può esservi, nel caso che occupa, circa la idoneità delle condotte delle quali lo si è reso responsabile ad incrinare in modo irreparabile il vincolo fiduciario e giustificare, quindi, il provvedimento espulsivo.
Non coglie nel segno la difesa dello neppure laddove lamenta la mancanza di proporzionalità tra fatti contestati e sanzione irrogata la quale, tenuto conto degli addebiti, delle circostanze e delle condizioni in cui l’illecito disciplinare è stato commesso, dell’intensità dell’elemento psicologico, deve ritenersi senza dubbio proporzionata.
Stando a quanto ampiamente argomentato, è, infatti, incontrovertibile che i comportamenti dello integrino una condotta disciplinarmente rilevante tale da incrinare il vincolo di fiducia che deve necessariamente sussistere tra le parti del rapporto di lavoro.
Tali condotte risultano evidentemente connotate anche dall’elemento intenzionale avendo lo stesso ricorrente reiterato la medesima illecita condotta più volte nell’arco di un ristretto arco temporale.
La acclarata legittimità del licenziamento per quanto sin qui ampiamente argomentato comporta la reiezione del ricorso e la condanna dello alla rifusione in favore della società resistente delle spese processuali come in dispositivo liquidate.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando nel procedimento iscritto al n. 1239/2023 R.G.L., ogni ulteriore domanda, eccezione e difesa disattesa, così decide:
rigetta il ricorso;
alla rifusione in favore della delle spese del presente giudizio che liquida in € 6.000 per compenso, oltre IVA, CPA e rimborso forfettario nella misura del 15% come per legge.
Così deciso in Pescara in data 9.01.2025 Il Giudice del Lavoro Dott.ssa NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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