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Codice Civile
Codice Penale

Lo straining si differenzia dal mobbing

Lo straining si differenzia dal mobbing per il modo in cui è perpetrata l’azione vessatoria, azione di molestia.

Pubblicato il 10 January 2023 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice unico del Tribunale di Bergamo, in funzione di giudice del lavoro, dott., all’udienza del 15.09.2022, che si è svolta con le modalità della trattazione scritta ex art. 221, co. 4 d.l. n. 34/2020 conv. in L. n. 77/2020, ha pronunciato, mediante deposito del dispositivo e previsione di termine di giorni 60 per il deposito della parte motiva, la seguente

SENTENZA n. 501/2022 pubblicata il 04/01/2023

nella causa recante R.G. n. 304/2020

TRA

XXX, rappresentato e difeso come in atti dall’avv.

ricorrente E

COMUNE di YYY, in persona del Sindaco legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa come in atti dall’avv.

resistente

OGGETTO: sanzione disciplinare

CONCLUSIONI: come in atti e verbali di causa

Con ricorso depositato in data 14.02.2020, ritualmente notificato, XXX, dipendente del Comune di YYY in qualità di agente di Polizia Locale e, poi, di Comandante responsabile del Corpo di Polizia Locale, agiva in giudizio nei confronti del Comune di YYY, innanzi all’intestato

Tribunale in funzione di giudice del lavoro, per ivi sentire accertare l’illegittimità dei provvedimenti disciplinari comminatigli della censura scritta e della multa di 4 ore e l’illegittimità delle schede di valutazione degli anni 2017 e 2018 e perché fosse accertata la condotta mobbizzante posta in essere dal Comune convenuto ai suoi danni a far data dall’elezione del Sindaco dott.ssa *** nella primavera del 2016 e ciò sulla base delle condotte di volta in volta poste in essere a fini persecutori e vessatori dal Sindaco, dal Segretario Comunale e dal nuovo Comandante della Polizia Locale (ex multis, intromissione negli affari di competenza della Polizia Locale, lamentato ritardo nel rimborso delle spese legali all’esito di un procedimento avviato a carico del ricorrente e poi archiviato, adozione provvedimenti di conferimento incarico illegittimi, indebita azione di rivalsa per danno erariale, controllo del suo operato da parte del nuovo comandante dott.ssa ***, procedimenti disciplinari pretestuosi ed infondati, aggressione ai suoi danni da parte del Segretario Comunale, valutazioni di professionalità insufficienti).

In data 11.09.2020, si costituiva in giudizio il Comune di YYY, contestando le avverse pretese e chiedendone il rigetto in quanto infondate in fatto e in diritto. In particolare, l’ente convenuto prendeva posizione in relazione ad ogni contestazione, evidenziava come il ricorrente fosse poco collaborativo assumendo sovente un atteggiamento di sfida o ostilità nei confronti dei vertici comunali, costretti ad irrogare i provvedimenti disciplinari impugnati e a confezionare schede di valutazione come quelle oggi impugnate.

Il Giudice, esperita l’istruttoria orale ed assunti i documenti richiesti, rimetteva la causa in decisione, da ultimo, all’udienza del 15.09.2020, accordando termine per note difensive e di trattazione scritta.

Il Giudice definiva il giudizio mediante deposito del dispositivo e previsione di un termine di 60 giorni per il deposito delle motivazioni.

La domanda non può essere accolta per le ragioni di seguito rimesse.

L’esperita istruttoria orale ha evidenziato che alcun comportamento persecutorio o vessatorio è stato posto in essere ai danni del ricorrente da parte dei vertici dell’ente comunale resistente, pertanto, alcuna richiesta di risarcimento in parte qua può essere accolta.

In proposito, si rammenta che per “mobbing” (dall’inglese “to mob”, cioè “attaccare”, “aggredire”) si intende, comunemente, una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.

Secondo i più consolidati approdi giurisprudenziali e dottrinali, ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio (v., ex multis, Cass n. 3785/2009).

A metà strada tra il mobbing e il semplice stress occupazionale, si pone una condizione psicologica definita “Straining”.

Lo Straining, dall’inglese “to strain”, ha un significato molto simile a quello di “to stress”, stringere, distorcere, mettere sotto pressione e indica, infatti, una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima (il lavoratore), subisce da parte dell’aggressore (lo strainer) che solitamente è un superiore, almeno un’azione ostile e stressante, i cui effetti negativi sono di durata costante nel tempo. La vittima, inoltre, deve trovarsi in persistente inferiorità rispetto allo strainer, la cui azione viene diretta volontariamente contro una o più persone, sempre in maniera discriminante.

In pratica, lo straining si differenzia dal mobbing per il modo in cui è perpetrata l’azione vessatoria: è necessario che l’azione di molestia sia caratterizzata da una serie di condotte ostili, continue e frequenti nel tempo, che venga riscontrato un danno alla salute e, infine, che questo danno possa essere messo in relazione all’azione persecutoria svolta sul posto di lavoro, per la configurazione di una fattispecie di mobbing; nello straining, invece, viene meno il carattere della continuità delle azioni vessatorie. L’assunto è stato recentemente confermato dai giudici di legittimità, secondo i quali lo straining altro non è se non “una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie” (Cass. n. 3291/2016 e Cass. n. 3977/2018); azioni non necessariamente associate ad un intento persecutorio (Cass. n. 18927/2016), ma intenzionale che, peraltro, ove si rivelino produttive di danno all’integrità psico-fisica del lavoratore, giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull’art. 2087 c.c..

Orbene, il lavoratore che subisce una condotta mobbizzante, comportamenti vessatori, lesivi e persecutori (anche nella forma meno intensa dello straining), ha diritto al risarcimento del danno biologico, ma è onerato dell’allegazione probatoria del nesso causale tra il comportamento tenuto dal datore di lavoro, o dai colleghi, ed il pregiudizio alla propria salute.

In tema di responsabilità del datore di lavoro per mobbing, in sostanza, il lavoratore non è certo tenuto a dimostrare materialmente la colpa del titolare, ma è comunque soggetto all’onere di allegare e dimostrare l’esistenza del fatto materiale e delle regole di condotta che assume essere state violate, della nocività dell’ambiente di lavoro nonché il nesso eziologico tra la condotta del datore ed il pregiudizio all’integrità psico-fisica che lamenta d’aver sofferto (Cass. n. 13693/2015).

Nel caso di specie, ritenuto soddisfatto l’onere allegatorio, difetta la prova della condotta mobbizzante.

Innanzitutto, il ricorrente chiede accertarsi l’illegittimità, con conseguente loro annullamento, dei provvedimenti disciplinari della censura scritta e della multa di 4 ore rispettivamente del 2017 e del 2019.

Il primo procedimento disciplinare è stato avviato perché il ricorrente si sarebbe rifiutato di comunicare alcune informazioni chieste dal Garante della Privacy al Comune esponendo l’ente al rischio di sanzioni e perché, in occasione di una riunione convocata dal Segretario Comunale, presente anche il Sindaco, il XXX avrebbe dato segni di insofferenza, utilizzando nei confronti del Sindaco e del Segretario toni esagitati e fuori luogo; il ricorrente, dopo essere stato invitato dal Segretario a lasciare l’ufficio, si sarebbe rivolto con tono di sfida affermando “e se non esco cosa mi fa?”.

I fatti oggetto di contestazione sono stati confermati nel corso dell’istruttoria orale, infatti, ***, segretario comunale del Comune di YYY dal 2016 al 2018 ha riferito: “Posso riferire di una discussione con il ricorrente che era stato convocato (era comandante all’epoca) alla presenza mia e del sindaco per la trattazione di una problematica sorta e inerente alla gestione non appropriata di alcuni dati sensibili. L’interessato aveva segnalato tutto al garante della privacy e chiesto chiarimenti al comune. Si trattava di evadere questa richiesta e cercare di arginare la problematica. Nel parlare in maniera anche tranquilla e costruttiva, ad un certo punto per ragioni che non apparivano giustificate è andato in escandescenza con toni non appropriati, tenuto conto che si trattava di rimediare ad una problematica a lui addebitabile in sostanza. Quando ha sentito il nome del soggetto che aveva attivato la procedura di segnalazione (Si trattava di *** con il quale aveva avuto delle problematiche in passato) i toni si sono accesi. Ero molto dialogante, ma non si riusciva più a parlare, era agitato, ho chiesto di chiudere l’argomento e di uscire dall’ufficio, lui con fare provocatorio aveva affermato: “se non mi allontano cosa mi fai?” a quel punto mi sono alzato e l’ho accompagnato alla porta, faceva resistenza ad uscire”; il teste ha poi riferito che “So che uscito dall’ufficio si era recato al pronto soccorso, lamentava un’aggressione che in realtà non c’era stata; c’è stata apertura di una pratica da parte dell’Inail che ha declassato la vicenda come malattia dopo i chiarimenti dell’ente sulla questione. Ho saputo molto dopo di una querela nei miei confronti, ama non son mai stato ascoltato o convocato”.

Tale deposizione prova la fondatezza dell’addebito e la piena legittimità della sanzione conservativa adottata (anche i testi *** e *** sono stati interrogati sull’episodio a fondamento della contestazione disciplinare de qua; hanno riferito genericamente di un’aggressione ai danni del ricorrente, ma entrambi hanno ammesso che si tratta di circostanze assunte de relato e di non essere stati testimoni oculari del fatto, pertanto, le loro deposizioni nulla possono offrire alla ricostruzione della dinamica).

Nei confronti del ricorrente veniva avviato un secondo procedimento disciplinare (per aver segnalato delle irregolarità in una procedura di mobilità esterna), poi archiviato e sul quale non è stato alimentato contenzioso (va da sé che tale episodio non può essere posto a fondamento della pretesa condotta persecutoria ai danni del ricorrente proprio in virtù della disposta archiviazione della pratica).

Secondo la tesi attorea, chiara manifestazione dell’intento persecutorio del datore di lavoro andrebbe ravvisata nell’ulteriore procedimento disciplinare avviato ai danni del XXX per il comportamento tenuto dallo stesso nei confronti del superiore gerarchico dott.ssa ***, per la violazione di disposizioni sull’uniforme di servizo e per l’omessa ricezione si una segnalazione di un cittadino.

In realtà, l’istruttoria orale ha dimostrato la fondatezza della contestazione e la congruità della sanzione della multa comminata.

Precisa la testimonianza della dott.ssa ***: “Posso dire che il comando funzionava tutto sommato bene ma le richieste e le segnalazioni dei cittadini non venivano recepite; al cittadino veniva risposto di fare una foto e mandare una mail. In realtà se si presenta un cittadino allo sportello la segnalazione deve essere acquisita. In un’occasione ricordo che il XXX non riceveva una segnalazione di questo tipo, io non ero presente perché al fiume per uno sversamento abusivo: si presenta un signore che viene respinto e va all’ufficio protocollo che riceve la segnalazione; il cittadino segnala anche che al comando non hanno raccolto la sua segnalazione. Rientro in comando una volta conosciuta la situazione e chiedo spiegazioni, *** e XXX mi fanno vedere un foglio illeggibile in corsivo dicendomi che il cittadino si presenterà al protocollo per la segnalazione di un veicolo fermo da mesi. In realtà bastava chiedere la targa per fare un primo controllo. *** non parlava e il XXX ha cominciato a chiedermi da che parte stavo, io rispondevo che ero dalla parte del cittadino; mi ha detto che stavo continuando a controllarli, ma era il mio lavoro, devo rendere conto con un report cosa si fa in comando. Non capivo dove volesse arrivare; ha fatto intendere che io fossi stata messa lì per lavorare contro di lui. Alla fine mi ha detto che o mi allineavo alla loro linea operativa o avrebbero scritto in Procura, cosa come poi è avvenuta. So che lo stesso trattamento è stato riservato anche ad altri colleghi. Non aveva alcun rispetto, voleva fare quello che diceva lui. Ricordo che al mio arrivo avevo trovato dei pc molto obsoleti e soprattutto i monitor, ho chiesto fosse cambiato il monitor del mio pc e il responsabile del ced ha cambiato anche altri monitor; c’era il *** che ha consigliato di cambiare il monitor del XXX. Così si fece. Il XXX rientra e contesta il cambio del suo monitor perché non avvisato, visto che aveva le password sul monitor, disse che le aveva anche su foto fatta dal cellulare… Ricordo che quando sono arrivata la cassaforte aveva una maniglia che si staccava (non si apriva la cassaforte ma la maniglia si staccava), avevo chiesto chiarimenti ma questa mia richiesta è stata considerata dal XXX come un indebito controllo sul suo operato. Ho chiesto a chi di divere di intervenire ed è intervenuto un fabbro che ha cambiato le viti e ha sistemato la cassaforte. Avevo trovato anche dei proiettili (che normalmente sono in una scatola) impacchettati con del nastro da pacco trasparente e una volta tolti erano inutilizzabili perché c’era pericolo che restassero dei residui. Il materiale sequestrato in cassaforte non aveva la notizia di reato associata”

Assolutamente in termini la deposizione di ***, segretario comunale del Comune convenuto a partire dal 2019, secondo cui: “La ***… Non è stata accolta in modo positivo, ci sono subito state mail molto eccessive da parte del ricorrente che spesso utilizzava la pec con destinatari inappropriati su questioni di ufficio che potevano essere risolte verbalmente. Ho stigmatizzato questo comportamento potendo utilizzare l’account interno senza pec e non aggravare questa produzione di mail che rappresentava un inutile rallentamento del procedimento amministrativo. Seguiva una segnalazione della *** per alcuni rilievi disciplinari in capo al ricorrente. La *** ha segnalato che il XXX non aveva ricevuto una segnalazione di un cittadino per una sosta sospetta di un veicolo da diversi mesi. Il XXX ha sostenuto di aver segnalato la questione ma è risultato che targa e veicolo non erano indicati, il cittadino indispettito si reca al protocollo in comune visto che XXX lo aveva invitato a formalizzare la segnalazione o meglio a indirizzare una mail. Si trattava comunque di un cittadino di oltre 70 anni. Al protocollo il dott. *** ha poi ricevuto la segnalazione con indicazione degli estremi del veicolo e numero di targa. Ho avviato l’istruttoria del procedimento disciplinare e ho convocato il *** che mi ha confermato la dinamica raccogliendo la testimonianza alla presenza della ragioniera ***. Poi c’è stato il contradittorio e in seguito il XXX fa pervenire una dichiarazione del *** in cui rivedeva la sua dichiarazione precedente, nella sostanza però non era cambiato nulla. Nella nuova dichiarazione il *** spiegava che il ricorrente era una brava persona e un bravo vigile ma non cambiava il merito della quesitone. Questa segnalazione viene recapitata dalla difesa del XXX, forse dalla sindacalista. Io non avevo ancora chiuso l’istruttoria e allora chiamo il *** per comprendere cosa fosse successo nelle more e lui mi disse che non voleva più venire e affermava di aver ricevuto una lettera in cui avrebbe dovuto sostenere spese legali. Lui non ha più voluto saperne e ho chiuso il procedimento disciplinare. Non si è più saputo chi avesse inviato questa lettera, il *** era parecchio spaventato. La sanzione era una sanzione blanda di 4 ore di multa.

L’altro aspetto di rilievo era quello della sostituzione del pc. Il ricorrente lamentava che sul video aveva riportato delle password e che il comune non poteva sostituire il video. La *** ha fatto presente che le password non possono essere conservate sulla cornice del video e vanno custodite con diligenza. La *** ha affermato che ne è seguita una discussione in cui la *** aveva rilevato molto dispiaciuta che era stato detto dal XXX

“veda lei altrimenti noi scriviamo”. Nell’istruttoria non ho dato grande importanza a questa frase. Poi c’era la questione della divisa del XXX che continuava a venire con la camicia bianca che era quella del responsabile. Questo si inseriva in un contesto di tensione. Lui disse che non aveva il ricambio idoneo”. Le dichiarazioni del teste *** sono divergenti da quelle finora rimesse; il teste ha, infatti, riferito che la *** avrebbe redarguito XXX “senza nemmeno sentire la nostra versione dei fatti”, ma il teste non può reputarsi pienamente attendibile considerato il contenzioso giudiziario in corso all’epoca della deposizione.

Ad ogni modo, da tutte le deposizioni raccolte emerge chiaramente che il ricorrente, in linea generale, non aveva assunto un atteggiamento collaborativo con la nuova Amministrazione, appesantendo le procedure o le modalità di comunicazione con i vertici e lamentando senza motivo intromissioni del Sindaco in sfere che esulavano dalla sua competenza funzionale.

Non può desumersi diversamente dalla testimonianza di ***, il quale ha riferito: “Nella mia esperienza non mi è mai capitato di incontrare un comandante che non riconoscesse la figura del sindaco; quanto accaduto con il ricorrente ha rappresentato un’assoluta novità nella mia carriera. Lui interloquiva molto più facilmente con un assessore per rapporti di amicizia pregressi e non si rapportava, come dovrebbe essere naturale in questi contesti, direttamente con il sindaco… Quanto ai rapporti con la dott.ssa *** posso dire che già al mio arrivo avevo rilevato una distanza tra i due. Spiegavo al XXX di non creare preconcetti e congetture sul sindaco. Ribadisco che mi aveva molto sorpreso che non riconoscesse la figura del sindaco. In ogni discorso non si rapportava al sindaco, di alcune problematiche il sindaco era all’oscuro e il ricorrente le illustrava l’assessore che aveva delega alla sicurezza senza interfacciarsi direttamente con il sindaco. Non so riferire di situazioni di scontro con il sindaco che ha sempre tenuto un rapporto corretto”.

Nello stesso senso le deposizioni di *** e ***: “Ho fatto di tutto per appianare le resistenze tra la polizia locale nelle persone di *** e XXX e l’amministrazione che nulla voleva se non un ufficio che lavorasse bene e che funzionasse. Proprio nell’ottica di appianare le divergenze il ricorrente stato nominato responsabile dell’ufficio da agosto a dicembre. Ho avuto lunghi dialoghi con il ricorrente che aveva una tendenza ad un rigido formalismo e burocratizzazione che rallentava le procedura amministrative, sembrava talvolta vero ostruzionismo. Ricordo che il sindaco aveva chiesto, anche tramite direttiva, di impiegare l’agente *** in un cantiere edilizio in affiancamento ai Carabinieri. Ciononostante il XXX non offriva l’agente con motivazioni pretestuose (diceva che l’agente aveva altra occupazione che in realtà poteva essere differita o gestita diversamente). Si tratta di un solo esempio del contegno ostruzionistico del ricorrente” (***); “Non conosco gli episodi relativi ai rapporti con il sindaco e il XXX; non sono mai stata presente e non so riferire nulla. Avevo chiesto al XXX di cercare di riavvicinarsi al Sindaco visto che io volevo andare via, cosa che poi ho fatto. Quando ero in servizio i colloqui tra il sindaco e il XXX avvenivano solo via mail in maniera fredda, senza confronti de visu, non era possibile alcuna mediazione tra i due. Non cosa sia successo tra di loro. Escludo nella maniera più assoluta un comportamento persecutorio del sindaco nei confronti del ricorrente” (***).

Anche la teste di parte ricorrente ***, pur riferendo di “ingerenze” del neo Sindaco, dott.ssa ***, ha chiarito: “Il sindaco si presenta con idee nuove ma bisogna trovare la quadra con il personale. Un ufficio ha i suoi ritmi, è una macchina complessa ed è difficile arrivare sempre sul pezzo in tempo reale.

In realtà più che ingerenze si trattava di aspettative alte” e ciò non può essere interpretato come tentativo dell’ente comunale di vessare il ricorrente con intento persecutorio. Perseguire l’obiettivo di una buona amministrazione migliorando gli standard di efficienza anche riorganizzando i settori rientra nelle prerogative del Sindaco e i dipendenti devono mostrarsi cooperativi anche rivedendo, se ritenuto dal vertice, le prassi applicate in passato. In questo contesto vanno interpretate le schede di valutazione 2017/2018 pure impugnate dal ricorrente.

In primis, occorre rilevare che non sono specificate le ragioni a fondamento dell’asserita illegittimità di tali valutazioni, che appaiono congruamente motivate oltre che avvalorate dai fatti come emersi dall’istruttoria e sopra rimessi. In proposito, va evidenziato che nella scheda di valutazione relativa all’anno 2017, ad esempio, la valutazione “non adeguata” è relativa alla “capacità di ottimizzare la micro-organizzazione, attraverso motivazione e responsabilizzazione dei collaboratori”; nella scheda di valutazione relativa all’anno 2018, la valutazione “non adeguata” è relativa al “senso di appartenenza ed attenzione all’immagine dell’Ente” e all’ “attitudine all’analisi ed all’individuazione-implementazione delle soluzioni ai problemi operativi” (v. doc. 49 fasc. convenuta).

Inoltre, l’Amministrazione precisava: “…con riferimento alla scheda n. 1 si è riscontrato un eccesso di formalismo nel portare a compimento le direttive del Sindaco nelle funzioni della Polizia Locale (art. 2 L. n. 65/1986). Parimenti si rileva un inadeguato senso di appartenenza e di attenzione all’immagine dell’Ente ed un comportamento volto a rallentare i procedimenti amministrativi attraverso una eccessiva burocratizzazione degli stessi. Con riferimento alla scheda n. 2 si è riscontrata una scarsa attitudine alla individuazione e soluzione dei problemi operativi così come nella capacità di ottimizzare la micro-organizzazione, appesantendo i processi di lavoro attraverso un atteggiamento e comportamento nona adeguatamente collaborativo” (v. anche deposizione *** su riportata).

Ancora: si reputano del tutto legittimi i decreti di nomina del segretario comunale e del vicesegretario comunale quali responsabili della gestione dell’Area di Polizia Locale nel periodo di assenza del XXX negli anni 2017 e 2018, pertanto, nessun comportamento vessatorio è stato posto in essere dal Comune ai danni del ricorrente. In tema, si rammenta che il Sindaco ha la prerogativa di attribuire al segretario comunale specifici compiti, ivi incluso l’esercizio delle “funzioni gestionali amministrative” dell’Area di Polizia Locale e ciò in forza degli artt. 50 e 97, co. 4 TUEL e 22 Ordinamento degli Uffici e dei Servizi del comune convenuto; nel caso di specie l’affidamento delle sole funzioni gestionali-amministrative per un lasso di tempo limitato (in relazione alle assenze del XXX) faceva comunque salve le funzione di conduzione del Corpo affidate al vicecomandante ***, pertanto, le delibere del 2017 sono pienamente valide (l’affidamento al dott. *** di più ampie attribuzioni si spiega per il rifiuto del *** a svolgere le funzioni affidategli). Successivamente, nel 2018, le funzioni gestionali-amministrative sono state affidate ancora una volta al Segretario e vicesegretario (*** e ***) per un periodo limitato in ragione del processo di riorganizzazione della funzione di Polizia Locale da Corpo a Servizio e state l’assenza di personale da mandare sul territorio; ad ogni modo, da agosto 2018, il Comune decideva di riattribuire al XXX la P.O. dell’Area di Polizia Locale fino al 31.12.2018, quando, per effetto di una convenzione, con il Comune di Trescore Balneario, veniva nominata la *** a capo della P.O. in questione.

A ben vedere, poi, anche a prescindere dalla genuinità o meno di tali provvedimenti di nomina, tali episodi non proverebbero comunque il lamentato atteggiamento vessatorio e persecutorio ai danni del ricorrente ad opera del Comune.

Tutti gli altri episodi narrati dal ricorrente nei propri scritti hanno un rilievo del tutto marginale considerato il tenore delle domande spiegate e le evidenze probatorie che, come anticipato, portano ad escludere l’illegittimità delle sanzioni disciplinari adottate e delle schede di valutazione; così come è da escludersi una condotta mobbizzante ai danni del XXX.

Per tutte le ragioni ora indicate, il ricorso non può essere accolto. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale di Bergamo in funzione di giudice monocratico del lavoro, definitivamente pronunciando, così provvede:

– rigetta il ricorso;

– condanna XXX alla rifusione delle spese di lite in favore del Comune di YYY che si liquidano in

€ 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.

Così deciso in Bergamo, il 15.09.2022

Il Giudice del Lavoro

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