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Codice Civile
Codice Penale

Locazione, contratto di natura transitoria

Locazione, per l’applicazione del regime transitorio occorre che le ragioni sottese alla transitorietà risultino documentate.

Pubblicato il 28 March 2019 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di AVEZZANO
SETTORE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente

SENTENZA n. 182/2019 pubblicata il 27/03/2019

nella causa iscritta al ruolo generale degli affari contenziosi n 484 dell’anno 2018 e vertente

TRA

XXX (cf) rappresentata e difesa dall’avv del foro di ed ivi elettivamente domiciliata presso il suo studio giusta procura in atti;

intimante-ricorrente

 e

YYY (cf) rappresentata e difesa dall’avv. del foro di ed ivi elettivamente domiciliata presso il suo studio giusta procura in atti;

opposta

Oggetto: azione di risoluzione del contratto di locazione ad uso abitativo

Conclusioni: i procuratori delle parti hanno precisato le conclusioni riportandosi a quanto dedotto, chiesto ed eccepito nei propri atti e verbali di causa

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con citazione ritualmente notificata XXX intimava a YYY lo sfratto per finita locazione dell’immobile sito in ed identificato al fg. p.lla sub oggetto del contratto di natura transitoria, della durata di un anno, del 1 gennaio 2017.

Con memoria depositata in cancelleria, si costituiva in giudizio la intimata assumendo che il contratto doveva ricondursi allo schema tipico della locazione previsto dalla L. 431/98 corroborando la propria prospettazione con riferimenti giurisprudenziali relativi alla corretta interpretazione dell’art. 5 della suddetta legge nonché dell’art. 2 D.M. 30 dicembre 2002.

Con ordinanza riservata del 28 marzo 2018, che quivi abbiasi per integralmente richiamata e trascritta, veniva ordinato il rilascio dell’immobile.

Disposto il mutamento del rito ed espletata, ma con esito negativo, la procedura di mediazione, la causa veniva istruita mediante l’acquisizione delle produzioni documentali offerte dalle parti e l’interpello della ricorrente.

All’odierna udienza le parti, a cui era stato assegnato termine sino a dieci giorni prima per il deposito di note, venivano invitate alla discussione.

2. La domanda è fondata e deve, di conseguenza,  essere accolta per quanto di ragione.

L’essenza della lite, alla luce delle petizioni delle parti (ribadite anche nelle note conclusive), riguarda l’inquadramento del contratto per cui è causa ed in particolare se esso possa essere qualificato di natura transitoria oppure debba essere ricondotto, nella previsione ordinaria, quanto alla sua durata, secondo quanto previsto dall’art. 5 l. 431/18.

Come già anticipato, in corso di causa, e segnatamente al momento della sua costituzione in giudizio, la resistente ha richiamato l’indirizzo giurisprudenziale, elaborato in sede di legittimità (cfr Cass Civ, 4075/14), secondo cui dal combinato disposto degli articoli 5 l. 431/98 e 2 D.M. 30 dicembre 2002 (elevato dalla stessa giurisprudenza a norma di rango secondario), deve desumersi che per l’applicazione del regime transitorio, oltre all’inserimento della clausola nel testo dell’accordo, occorre che le ragioni sottese alla transitorietà risultino documentate oltre alla conferma del permanere di tale esigenza mediante lettera raccomandata da inviarsi prima della scadenza del termine stabilito nel contratto.

In definitiva, in mancanza di prova dell’esistenza di tali requisiti, il contratto di locazione non potrà che essere sottoposto alla disciplina dei contratti previsti dall’art. 2, comma 1, della l. n. 431/1998 (durata di anni quattro + quattro).

In realtà, secondo un più recente indirizzo interpretativo è stato stabilito che “correttamente la Corte di appello ha ritenuto validamente concluso il contratto di locazione, attesa la sottoscrizione di entrambe le parti dell’accordo, ed irrilevante sul punto la circostanza che al contratto non fossero stati allegati documenti di sorta, comprovanti la transitorietà della locazione. Alla motivazione della Corte di appello sull’irrilevanza della documentazione deve aggiungersi che la normativa indicata dal ricorrente riguarda contratti di locazione stipulati in base ad accordi in sede locale e non è stato neanche dedotto che il contratto in oggetto rientrasse in tale tipo di contrattazione” (cfr Cass Civ Sez III, 27.4.2017 n. 12374).

Tra le due contrapposte posizioni ermeneutiche deve preferirsi la seconda per le ragioni di seguito illustrate. Anzitutto, trattasi di una soluzione che prende le mosse dalla disamina completa dell’art. 2 d.m. 30 dicembre 2002 che espressamente prevede al comma 5 “ I contratti di cui al presente articolo sono ricondotti alla durata prevista dall’articolo 2, comma 1, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, in caso di inadempimento delle modalità di conferma delle esigenze transitorie stabilite nei tipi di contratto di cui al comma 6, ovvero nel caso le esigenze di transitorietà vengano meno”.

Al successivo comma 6 la norma stabilisce che “Sono approvati i tipi di contratto, rispettivamente per le proprietà individuali (allegato C) e per le proprietà di cui all’articolo 1, commi 5 e 6 (allegato D)”.

Dunque, correttamente interpretando la ratio di tali disposizioni può sostenersi che la riconduzione al modello legale di durata del contratto di locazione postula l’inadempimento delle modalità di conferma delle esigenze transitorie nei tipi di contratto stipulati in base ad accordi in sede locale.

Orbene, nel caso di specie, il conduttore non ha neppure dedotto (proprio come nella fattispecie sottoposta al vaglio della Suprema Corte) che lo schema contrattuale per cui è causa rientri in tale modello.

Ne deriva, che la mancata prova delle ragioni di transitorietà e la dichiarazione di persistenza della loro sussistenza non costituiscono un elemento idoneo a comportare nel caso di specie la conversione del contratto sottoscritto dalle parti atteso che tale conseguenza risulta essere espressamente prevista dalla legge soltanto in presenza di accordi in sede locale.

Ad ogni buon conto, il conduttore non ha neppure fornito la prova dell’esistenza di altri e precedenti contratti di natura transitoria così da poter validamente eccepire, per simulazione, la nullità del rapporto di locazione.

Il rapporto negoziale è dunque cessato alla data del 1 gennaio 2018.

3. Laddove non si volesse aderire a tale soluzione interpretativa (e quindi assumendo che la durata ordinaria della locazione), deve essere egualmente vagliata la domanda, introdotta per la prima volta dalla ricorrente nella memorie integrativa, di risoluzione del contratto di locazione per morosità nel pagamento dei canoni a partire dal mese di gennaio 2018.

Occorre, prioritariamente, verificare l’ammissibilità di una siffatta domanda (essendovi sul punto contestazione della resistente ribadita anche in sede di note conclusive) ed a tale riguardo merita in estrema sintesi osservare quanto segue.

La giurisprudenza di legittimità ha così stabilito “Nonostante alcuni arresti in senso contrario (fra i quali Cass. 27 maggio 2003, n. 8411 e 31 maggio 2005, n. 11596), l’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte è stata nel senso che nel procedimento per convalida di sfratto, l’opposizione dell’intimato ai sensi dell’art. 665 c.p.c. determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l’instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento a cognizione piena, alla cui base vi è l’ordinaria domanda di accertamento e di condanna, e nel quale le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa per il locatore la possibilità di proporre una domanda nuova (Cass. 3 maggio 2004, n. 8336; 29 settembre 2006, n. 21242; 9 novembre 2006, n. 23908; 28 giugno 2010, n. 15399 – si tratta di un orientamento che risale a Cass. 16 giugno 1972, n. 1879 e che si è mantenuto costante negli anni successivi, nonostante i menzionati arresti contrari). Si è affermato in questo quadro che nel procedimento per convalida di sfratto l’opposizione dell’intimato dà luogo alla trasformazione in un processo di cognizione, destinato a svolgersi nelle forme di cui all’art. 447-bis c.p.c., con la conseguenza che, non essendo previsti specifici contenuti degli atti introduttivi del giudizio, il thema decidendum risulta cristallizzato solo in virtù della combinazione degli atti della fase sommaria e delle memorie integrative di cui all’art. 426 c.p.c., potendo, pertanto, l’originario intimante, in occasione di tale incombente, non solo emendare le sue domande, ma anche modificarle (Cass. 20 maggio 2013, n. 12247; 16 dicembre 2014, n. 26356). Consequenzialmente al convenuto è consentito proporre la domanda riconvenzionale entro il termine per il deposito della memoria integrativa (Cass. 30 giugno 2005, n. 13963).2.2. A tale indirizzo il collegio intende dare continuità con la seguente precisazione. L’argomento che secondo Cass. 27 maggio 2003, n. 8411 preclude l’introduzione di nova con la memoria integrativa è che a partire dall’ordinanza di mutamento del rito scattano le preclusioni del rito del lavoro. La norma di cui all’art. 426 c.p.c. contempla il passaggio al rito speciale con riferimento a una causa relativa a uno dei rapporti previsti dall’art. 409 promossa con il rito ordinario. Con il trapianto dell’art. 426 nella controversia in materia di locazione il significato della norma muta, tant’è, come altre norme del processo del lavoro, che essa trova applicazione in quanto applicabile, come prevede l’art. 447 bis. Il mutamento del rito contemplato dall’art. 667 c.p.c. attiene non ad una causa già introdotta, benchè non nelle forme previste, e per la quale si impone l’accesso al rito speciale e la riconduzione nei binari previsti dal codice processuale, come accade per le controversie di lavoro. Nel caso della controversia locatizia il procedimento sommario è stato correttamente introdotto nelle forme della convalida di sfratto. Il mutamento del rito s’impone non per un’errata adozione del rito, ma perchè, essendo la controversia locatizia retta dal rito lavoristico (in quanto compatibile), “il giudizio prosegue nelle forme speciali” (art. 667).Ciò significa per un verso che “prosecuzione” va intesa come chiusura del procedimento a cognizione sommaria ed apertura di un giudizio a cognizione piena, per l’altro che la controversia locatizia, dovendo seguire le forme speciali, emerge nella sua pienezza solo con la cognizione piena affidata alle richiamate forme speciali. Esaurita la fase sommaria, la controversia si delinea solo con il passaggio al rito speciale, proprio perchè una controversia locatizia si dà solo in tali forme. Ecco perchè con il mutamento del rito si ha l’instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento a cognizione piena, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata.2.3. Le preclusioni del rito lavoristico scattano non dall’ordinanza di mutamento del rito, ma dal deposito della memoria integrativa ai sensi dell’art. 426 c.p.c. la quale, nella logica della norma di cui all’art. 667, non rimedia all’irregolarità di una controversia di lavoro introdotta nelle forme ordinarie, ma segna il passaggio dal procedimento sommario alla controversia locatizia. Nel caso della causa relativa al rapporto di lavoro la controversia viene introdotta con la domanda proposta nelle forme ordinarie. L’integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria, proprio perchè la controversia è ormai insorta, deve correlarsi alle decadenze di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c. (Cass. 22 aprile 2010, n. 9550 e 30 dicembre 2014, n. 27519). Di qui l’insorgenza delle preclusioni con l’ordinanza di mutamento del rito. La controversia locatizia sorge invece con l’accesso al rito speciale, sicchè la memoria integrativa non soffre delle limitazioni derivanti da una previa introduzione del giudizio. Ciò da cui la controversia locatizia è anticipata è solo un procedimento sommario. Il thema decidendum della controversia, la quale non può che seguire le forme speciali, si forma così in virtù della combinazione degli atti della fase sommaria e delle memorie integrative di cui all’art. 426.2.4. Lo sbarramento introdotto dall’art. 420 c.p.c., comma 1, circa la possibilità di modificare le domande, ricorrendo gravi motivi e previa autorizzazione giudiziale, è relativo quindi non all’originaria domanda di cui all’intimazione di sfratto per morosità, ma alla domanda così come cristallizzata nella memoria di cui all’art. 426. Se infatti il punto di riferimento della modifica della domanda fosse stata l’intimazione di cui all’art. 658, lo sbarramento sarebbe stato previsto in occasione del deposito della memoria integrativa, e si sarebbe trattato di uno sbarramento necessario in quanto per gli atti introduttivi del procedimento sommario non sono previsti specifici contenuti, al contrario di quanto previsto dagli artt. 414 e 416. L’art. 426 si limita invece a prevedere la mera integrazione senza vincoli di sorta, se non il termine perentorio fissato dal giudice per il deposito della relativa memoria, e tale disposizione si spiega proprio perchè con il mutamento di rito previsto dall’art. 667 si accede ad un nuovo e autonomo procedimento di cognizione” (cfr Cass Civ Sez III, 23.3.2017 n. 7430).

Ne deriva, quindi, che, trovando la domanda proposta nella memoria integrativa (per la quale peraltro è stata svolta anche la mediazione venendo in tal modo soddisfatta la condizione di procedibilità) la sua fonte nel medesimo contratto di locazione è ben possibile per una delle parti (nel caso di specie, il ricorrente) agire per la risoluzione del contratto allegando l’inadempimento della controparte consistente nel mancato pagamento dei canoni.

Risolta, allora, la questione in rito, nel merito è sufficiente considerare che in situazioni analoghe a quella che ci occupa, attenendosi ai principi di ordine generale, la parte che agisce per la risoluzione deve provare l’esistenza del contratto ed allegare l’altrui inadempimento.

Nella fattispecie tale onere probatorio è stato ampiamente soddisfatto ed la resistente, dal suo canto, non ha fornito la dimostrazione della prova del fatto estintivo.

A tali considerazioni, deve aggiungersi che in materia di locazioni ad uso abitativo il requisito della gravità dell’inadempimento è predeterminato dalla legge (art 5 L. 392/78) ricorre in presenza di mancato pagamento di due rate del canone di locazione.

In conclusione, quindi, va accertata e dichiarata la risoluzione del contratto di locazione avente ad oggetto l’immobile sito in ed identificato al fg p.lla sub.

Il resistente deve essere conseguentemente condannato al pagamento, in favore della controparte, della somma di € 1.874,97.

In difetto di un’esplicita richiesta, e trattandosi di debito di valuta, non sono dovuti gli interessi.

4. Quanto alle spese di lite, la novità delle questioni poste  a fondamento della decisione ed in particolare l’esistenza di una chiara polifonia interpretativa, consentono, ai sensi dell’art. 92 comma 2° cpc, di procedere alla loro integrale compensazione tra le parti.

La sentenza è provvisoriamente esecutiva come per legge.

PQM

Il Tribunale di Avezzano nella causa iscritta al n /2018 RG affari contenziosi, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattese, così provvede:

a)      accoglie la domanda e per l’effetto accerta e dichiara la cessazione del contratto di locazione intercorso tra le parti ed avente ad oggetto l’immobile sito in ed identificato al fg p.lla  sub ;

b)     condanna la resistente al pagamento in favore della controparte della somma di € 1.874,97 per canoni  dal mese di gennaio 2018.

c)      compensa integralmente tra le parti le spese di lite;

La sentenza è provvisoriamente esecutiva come per legge.

Così deciso in Avezzano all’udienza del 27 marzo 2019

Il Giudice

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