Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, risalente ed oggi superato, ai fini della valutazione della gravità dell’inadempimento, si attribuiva rilievo all’inadempimento in sé considerato, senza alcun apprezzamento dell’interesse del contraente deluso, ove ad essere inadempiuta risultasse l’obbligazione principale, secondo altra impostazione, invece, si impone l’accertamento caso per caso, ossia se l’inadempimento abbia inciso sull’interesse della parte non inadempiente, determinando un’alterazione del sinallagma contrattuale.
Si deve considerare, infatti, che nella disposizione si intrecciano una valutazione che sembra possedere tutti i crismi dell’oggettività – la non scarsa importanza dell’inadempimento – ed un parametro certamente soggettivo – qual è l’interesse della parte non inadempiente.
Il punto di rottura del rapporto, che giustifica la cancellazione del vincolo, è dato dall’incrocio tra il grave inadempimento e l’intollerabile prosecuzione del rapporto.
La prima misurazione è affidata a parametri oggettivi, sulla scorta dei quali, secondo comune apprezzamento ed in relazione alle circostanze, deve accertarsi l’apprezzabilità in concreto del peso dell’inadempimento nell’economia del rapporto, rapportare il risultato di tale primo accertamento all’interesse del creditore deluso, considerato non in astratto, ma in concreto, avuto riguardo per la natura del contratto, la qualità dei contraenti ed ogni altra circostanza rilevante, ad esempio il piano dei rischi e dei benefici espressi nel contratto, gli adempimenti irrinunciabili ed essenziali, le rinunce e le attese tollerabili pur di conservare il contratto (con precipuo riferimento al ritardo, si ritiene che il giudice debba valutare il tempo trascorso, l’entità della somma da pagare in base all’importo già versato e ogni altra circostanza utile ai fini della considerazione dell’interesse dell’altra parte, quale, ad esempio, il tipo di impiego di quanto dedotto in prestazione, sì da giustificare l’esigenza, per il non inadempiente, di un adempimento rigorosamente tempestivo).
Passando all’applicazione, nel caso esaminato, di questi principi di riferimento, giova rilevare anche che:
– la intimazione in mora, cioè la richiesta, con i caratteri di cui all’articolo 1219 c.c., dell’adempimento non è affatto elemento costitutivo della domanda di risoluzione. Perciò l’insistenza della conduttrice sul fatto che prima della intimazione di sfratto parte locatrice non avesse chiesto né sollecitato l’adempimento non le è di alcun giovamento; quanto, infatti, alla precedente inerzia della locatrice rispetto ai pur reiterati ritardi, va ribadito l’orientamento della Suprema Corte, secondo cui tale inerzia non può essere interpretata alla stregua di un comportamento tollerante di accondiscendenza ad una modifica contrattuale relativamente al termine di adempimento, non potendo un comportamento di significato così equivoco, quale quello di non aver preteso in passato l’osservanza dell’obbligo stesso, indurre il conduttore a ritenere di poter adempiere secondo la propria disponibilità (cfr. in tal senso Cass. 18/03/2003, n. 3964, secondo cui tale comportamento può essere ispirato da benevolenza piuttosto che essere determinato dalla volontà di modificazione del patto; nello stesso senso Cass. 26/11/2019, n. 30730 e già Cass. 20/01/1994, n. 466; Cass. 15/12/1981, n. 6635);
Nel caso esaminato, la conduttrice, insomma, non poteva legittimamente ritenere che il comportamento asseritamente tollerante, proprio perché neutro, avesse ingenerato in lei il ragionevole affidamento in merito alla rinunzia alla pretesa di un adempimento puntuale.
Messa in chiaro tale premessa, è escluso che la Corte di appello sia incorsa in un errore, in quanto:
– ha valutato l’intervenuto pagamento del canone, tenendo conto, però, che) in tema di risoluzione del contratto per inadempimento, non trova applicazione nei contratti di durata la regola secondo cui la proposizione della domanda di risoluzione comporta la cristallizzazione delle posizioni delle parti contraenti fino alla pronuncia giudiziale definitiva, nel senso che, come è vietato al convenuto di eseguire la prestazione, così non è consentito all’attore di pretenderla, atteso che nel contratto di locazione, invece, trova applicazione la regola secondo cui il conduttore può adempiere anche dopo la proposizione della domanda, ma l’adempimento non vale a sanare o diminuire le conseguenze dell’inadempimento precedente e rileva soltanto ai fini della valutazione della relativa gravità (Cass. n. 3073072019, cit.; Cass. 14/11/2006, n. 24207);
– ha fatto corretta applicazione dell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui) in tema di contratto di locazione, ai fini dell’emissione della richiesta pronunzia costitutiva di risoluzione del contratto per morosità del conduttore il giudice deve valutare la gravità dell’inadempimento di quest’ultimo anche alla stregua del suo comportamento successivo alla proposizione della domanda, giacché in tal caso, come in tutti quelli di contratto di durata in cui la parte che abbia domandato la risoluzione non è posta in condizione di sospendere a sua volta l’adempimento della propria obbligazione, non è neppure ipotizzabile, diversamente dalle ipotesi ricadenti nell’ambito di applicazione della regola generale posta dall’articolo 1453 c.c. (secondo cui la proposizione della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento comporta la cristallizzazione, fino alla pronunzia giudiziale definitiva, delle posizioni delle parti contraenti, nel senso che, come è vietato al convenuto di eseguire la sua prestazione, così non è consentito all’attore di pretenderla), il venir meno dell’interesse del locatore all’adempimento da parte del conduttore inadempiente, il quale, senza che il locatore possa impedirlo, continua nel godimento della cosa locata consegnatagli dal locatore ed è tenuto, ai sensi dell’articolo 1591 c.c., a dare al locatore il corrispettivo convenuto (salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno) fino alla riconsegna.
Corte di Cassazione, Sezione Terza, Ordinanza n. 27955 del 7 dicembre 2020
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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