REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d’Appello di Brescia, Sezione Lavoro, composta dai
Sigg.:
ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 335/2022 pubblicata il 04/01/2023
nella causa civile promossa in grado d’appello con ricorso depositato in Cancelleria il 17.08.2022 iscritta al n. 183/2022 R.G. Sezione
Lavoro e posta in discussione all’udienza collegiale del 22.12.2022
da
INAIL in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso dall’Avv.
RICORRENTE APPELLANTE
contro
XXX
CONTUMACE
In punto: appello a sentenza n. 214 del 2022 del Tribunale di
Bergamo.
Conclusioni:
Del ricorrente appellante:
Come da ricorso
Fatto e Diritto
OGGETTO: indennità–rendita vitalizia INAIL o equivalente – altre ipotesi.
L’INAIL ha impugnato la sentenza n. 214/22 del Tribunale di Bergamo nella parte in cui, ritenendo «fondato solo in parte» il ricorso proposto da XXX, ha così deciso: «accerta che il ricorrente, in conseguenza dell’infortunio del 14.12.2015, ha riportato un danno biologico permanente del 4%, non indennizzabile», rigettando tutte le ulteriori istanze formulate in ricorso. La sentenza ha compensato tra le parti le spese di lite, ponendo a carico dell’INAIL le sperse di c.t.u.
L’appellante ha dedotto che il primo giudice, avendo accertato che i postumi permanenti non raggiungono il minimo indennizzabile, doveva senz’altro rigettare la domanda.
L’appellato non si è costituito ed è stato dichiarato contumace. L’udienza di discussione è stata sostituita dal deposito telematico di note scritte, ai sensi della legislazione emergenziale contro l’epidemia da COVID-19 (art. 221, co. 4, D.L. 34/2020, conv. in L. 77/2020 e successive modifiche e integrazioni) e la causa è stata decisa come da dispositivo comunicato alle parti.
L’appello è fondato.
La Corte di Cassazione ha stabilito che «nel caso di malattia professionale in atto non indennizzabile per l’inesistenza di una infermità inabilitante nella misura richiesta, non è possibile una pronuncia di mero accertamento, con efficacia di giudicato, dell’infermità stessa in vista di successivi aggravamenti, vertendosi in materia di uno degli elementi costitutivi del diritto alla rendita, che non può dar luogo ad una questione pregiudiziale, di cui possa chiedersi l’accertamento con efficacia di giudicato ai sensi dell’art. 34 cod. proc. civ» (Cass. 17782/09). Il principio è stato ribadito da Cass. 17971/10, secondo cui «la domanda di mero accertamento della natura professionale dell’infortunio, nonché, specificamente, della sussistenza del nesso di causalità tra infortunio e prestazione lavorativa (in assenza di una inabilità permanente residuata e indennizzabile) sono inammissibili, risolvendosi in richieste di accertamento di meri fatti, incompatibile con la funzione del processo che può essere utilizzato solo a tutela di diritti sostanziali e deve concludersi (salvo casi eccezionali) con il raggiungimento dell’effetto giuridico tipico, cioè con l’affermazione o la negazione del diritto dedotto in giudizio, onde i fatti possono essere accertati dal giudice solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non di per sé e per gli effetti possibili e futuri che da tale accertamento si vorrebbero ricavare. Né può ritenersi che la natura lavorativa dell’infortunio costituisca questione pregiudiziale al diritto alla rendita, come tale suscettibile, a norma dell’art. 34 cod. proc. civ., di accertamento incidentale con efficacia di giudicato separatamente dall’esame della domanda principale, essendo invece uno degli elementi costitutivi del diritto medesimo».
Trattasi di un orientamento consolidato ribadito da Cass. 14961/15 che ha affermato: «In caso di malattia professionale non indennizzabile per il mancato raggiungimento della soglia minima di inabilità permanente, pari al 6 per cento, il giudice non può emanare una pronuncia di mero accertamento, perché essa avrebbe ad oggetto soltanto uno degli elementi costitutivi del diritto alla rendita non suscettibile di autonomo accertamento, dovendosi, peraltro, riconoscere, ove una siffatta positiva declaratoria sia stata comunque adottata, l’interesse dell’INAIL ad impugnare e rimuovere la sentenza di primo grado, emessa “contra legem”, contenente una statuizione che riguarda, in ogni caso, l’Istituto, e ciò a prescindere dal contenuto immediatamente lesivo della stessa» (nello stesso senso, più recentemente, Cass. 16149/18).
Non essendovi ragioni per disattendere il consolidato orientamento giurisprudenziale, la sentenza deve essere riformata nella parte in cui, anziché rigettare la domanda, ha accertato che il lavoratore in conseguenza dell’infortunio ha riportato un danno biologico del 4%, ancorché non indennizzabile.
Ne consegue il rigetto integrale del ricorso di primo grado proposto da XXX.
Dovendo procedere, ai fini della liquidazione delle spese, ad una valutazione complessiva dell’esito della lite, si ritiene di disporre la compensazione integrale, avuto riguardo alla particolarità della lite che ha richiesto un accertamento medico-legale che ha comunque riscontrato un’invalidità e all’assenza di contestazioni in appello da parte del lavoratore che ha scelto di restare contumace. Restano a carico dell’INAIL le spese di c.t.u., come già liquidate in primo grado.
PQM
in parziale riforma della sentenza n. 214/22 del Tribunale di Bergamo, rigetta integralmente il ricorso di primo grado proposto da XXX.
Spese dei due gradi compensate.
Spese di c.t.u. a carico dell’INAIL, come già liquidate in primo grado. Brescia, 22 dicembre 2022
Il Presidente est.
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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