REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO di VELLETRI
sezione lavoro 1° grado
Il Tribunale in composizione monocratica in persona della dott.ssa, quale Giudice del lavoro, all’udienza del 28/11/2019 ha pronunciato mediante pubblica lettura del dispositivo e dell’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione la seguente
SENTENZA n. 1748/2019 pubblicata il 28/11/2019
nella causa civile di primo grado iscritta al n. /2019 R.G.A.L. del Tribunale di Velletri e vertente tra
XXX Ricorrente rappresentata e difesa dall’avv.
E
INAIL, ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO in persona del legale rappresentante pro tempore, Resistente rappresentato e difeso dall’avv.
Oggetto: Accertamento malattia professionale.
P.Q.M.
Uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando
1. Rigetta il ricorso.
2. Dichiara irripetibili le spese processuali.
MOTIVI DELLA DECIZIONE
Il ricorrene epigrafato, con ricorso depositato in data 15.01.2019, conviene in giudizio l’INAIL, in persona del legale rappresentante pro-tempore, chiedendo l’accertamento delle malattie professionali della “artropatia del rachide lombare e ipoacusia bilaterale”, non riconosciute dall’Istituto convenuto come comunicato all’assicurato dall’INAIL con due distinte note del 28.05.2017. Riferisce, inoltre, di avere proposto ricorso amministrativo avverso i predetti provvedimenti, e che l’Istituto, con provvedimenti del 23.02.2018, confermava il giudizio espresso e procedeva alla definizione negativa della pratica.
Ciò premesso, deduce, nello specifico, di svolgere attività di lavoro dipendente come operatore di mezzi semoventi, venendo addetto alle attività di “movimento terra e roccia”, e che, in ragione delle mansioni espletate, è stato esposto, a vibrazioni, posizioni forzate e incongrue, nonché a rumore industriale derivante dagli strumenti utilizzati per la demolizione dei manufatti (frullini, trapani, martelli pneumatici), per la maggior parte dell’attività lavorativa giornaliera.
Chiede quindi, l’accertamento del nesso di causalità tra l’attività lavorativa svolta e le patologia di cui è affetto, comportante a suo giudizio menomazione all’integrità psico-fisica pari al 28%, e, per l’effetto, la condanna dell’INAIL alla corresponsione della rendita o in subordine dell’indennizzo, ex art. 13 L. 38/2000.
Con vittoria di spese competenze e onorari, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.
Con memoria depositata in via telematica, l’INAIL si costituisce in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto ed in diritto. Afferma, infatti, che, nelle cause di accertamento dell’esistenza di malattie di derivazione etiologica dal lavoro, trovano applicazione le regole ordinarie dell’onere della prova espresse dagli artt. 2697 del C.C. e 115 del c.p.c.. L’assicurato, pertanto, deve provare, soprattutto quando si tratti di m.p. non tabellata, derivante da adibizione a lavorazione non tabellata, i fatti che sono alla base della domanda, e cioè: la lavorazione svolta; la lesione subita; il nesso causale. Evidenzia, in particolare, che nella vicenda in disamina è assente il rischio professionale provvisto di idoneità lesiva.
La causa veniva istruita attraverso la documentazione prodotta dalle parti. La Ctu medico- legale chiesta dal ricorrente non veniva ammessa per i motivi di seguito indicati. All’odierna udienza, dopo la discussione, sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti negli scritti difensivi e a verbale, la causa veniva decisa con lettura della sentenza con motivazione contestuale ex art. 429 c.p.c..
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato per i motivi di seguito esposti.
Giova premettere che, ai fini del riconoscimento della malattia professionale, il giudice di merito deve accertare l’esistenza del “nesso eziologico” tra la malattia e la lavorazione espletata, e in particolare che il rapporto causale con lo specifico rischio lavorativo sia diretto (ossia tale da escludere le malattie non derivanti dal rischio specifico), ed efficiente, tale cioè da rivelare l’idoneità della lavorazione a produrre l’effetto.
La giurisprudenza di legittimità in tema di assicurazione contro le malattie professionali, afferma, in particolare, che, quando la malattia è inclusa nella “tabella”, al lavoratore è sufficiente dimostrare di esserne affetto e di essere stato addetto alla lavorazione nociva, anch’essa tabellata. In dette ipotesi il nesso eziologico è presunto per legge, sempre che la malattia stessa si sia manifestata entro il periodo anch’esso indicato in tabella.
In tali casi, infatti, l’origine professionale della patologia è “di elevata probabilità” e ciò determina una presunzione legale in ordine al rapporto causale, o concausale, con la conseguenza che mentre, da una parte, il lavoratore ha il solo onere di dimostrare la presenza del fattore scatenante la malattia fra il materiale abitualmente adoperato nel lavoro (cd rischio professionale), dall’altra parte l’istituto assicuratore è onerato di dare la prova dell’inesistenza del nesso eziologico, che può consistere nella dimostrazione che la malattia sia stata causata da un diverso fattore patogeno extra-lavorativo, dotato di efficacia esclusiva, oppure che, per la sua rapida evolutività, o per altra ragione, non sia ricollegabile all’esposizione a rischio, avuto riguardo ai tempi di esposizione allo stesso e di manifestazione della malattia.
Diverso è il caso delle malattie professionali derivanti da lavorazione non tabellata, o a cd “eziologia multifattoriale”. Al riguardo l’art. 10, comma 4, del d.lgs. n. 38/2000 prevede che sono “… malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3, delle quali il lavoratore dimostri l’origine professionale”.
In tali casi, tuttavia, la prova del nesso eziologico grava sul lavoratore, e deve essere valutato dal giudice in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere ravvisata in un rilevante grado di probabilità o di probabilità qualificata (rilevante, elevata, marcata, concreta) escludendo, quindi, la semplice possibilità e, tantomeno, la mera probabilità.
La S.C. di Cassazione (ad es. sent. n. 17438/2012) afferma al riguardo che: “A tal fine il giudice, oltre a consentire all’assicurato di esperire i mezzi di prova ammissibili e ritualmente dedotti, è tenuto a valutare le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale, facendo ricorso ad ogni iniziativa “ex officio”, diretta ad acquisire ulteriori elementi in relazione all’entità dell’esposizione del lavoratore ai fattori di rischio, potendosi desumere, con elevato grado di probabilità, la natura professionale della malattia dalla tipologia della lavorazione, dalle caratteristiche dei macchinari presenti nell’ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione stessa, nonché dall’assenza di altri fattori causali extralavorativi alternativi o concorrenti”.
In tema di malattie plurifattoriali, inoltre, si precisa che le alterazioni devono essere “peculiarmente” rapportabili, con legame di causalità tutt’altro che ipotetico, alle attività lavorative cui si vogliono attribuire. Deve, cioè, essere riconosciuto nel lavoro l’agente causale o concausale eziopatogeneticamente valido ed indispensabile a produrre lo specifico danno”. le concause extra-lavorative possono, dunque, aver concorso all’insorgenza della patologia, ma non devono essere da sole responsabili dell’evento. Si applica, in sintesi, la regola dettata dall’art. 41 del codice penale, così come sancito dai giudici di legittimità, secondo cui “In tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali, la regola contenuta nell’art. 41 cod. pen., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dall’equivalenza delle condizioni che hanno concorso a provocarlo, salvo il caso in cui il nesso di causalità è interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l’evento, in riferimento agli stati morbosi preesistenti può applicarsi alle sole c.d. concause di lesione, nelle quali un evento patologico unitario ed indivisibile sia conseguenza di più fattori causali, mentre non si applica alle c.d. concause di invalidità, nelle quali, pur in presenza di un concorso di cause, rimane possibile individuare quali effetti siano conseguenza di una causa e quali di un’altra, sicché trova applicazione l’art. 79 del t.u. n. 1124 del 1965” (cfr. ad es. Cass. Sez. L 21021/2007).
Venendo, quindi, al caso che ci occupa, si osserva che XXX deduce, come detto, di svolgere attività di operatore di mezzi semoventi nel settore edile e che in ragione delle mansioni svolte, è stato esposto negli anni e per la maggior parte dell’attività lavorativa giornaliera, a vibrazioni, posizioni forzate e incongrue, nonché a rumore industriale derivante dagli strumenti utilizzati per la demolizione dei manufatti (frullini, trapani, martelli pneumatici).
Ciò posto, poiché la mansione di operaio addetto ai mezzi semoventi non è espressamente ricompresa tra le lavorazioni che espongono ad ipoacusia bilaterale e alle patologie del rachide lombare, per come elencate nella Tabella allegata al D.M. del 12.07.2000, trattandosi di malattie di origine multifattoriale, ne discende che grava sulla ricorrente l’onere di fornire la prova della tipologia delle lavorazioni svolte sotto il profilo dell’esistenza del rischio a cui deduce di essere stata esposto, in termini di ragionevole certezza. Ma in ogni caso, anche qualora si trattasse di patologie tabellate, il ricorrente avrebbe dovuto in ogni caso allegare e provare l’esistenza in concreto del rischio lavorativo.
Ebbene il XXX, nel caso di specie, non indica l’orario di lavoro quotidianamente svolto, non precisa la tipologia dei “mezzi semoventi” di cui afferma essere addetto alla conduzione, non precisa se i vari datori di lavoro per i quali ha prestato la propria attività lavorativa nel tempo lo abbiano munito, o meno, di idonei mezzi di protezione dal rumore.
In sintesi, il ricorrente omette di puntualizzare circostanze di fondamentale rilevanza ai fini dell’accertamento richiesto, ossia le specifiche modalità di esecuzione della prestazione lavorativa. Si tratta, tuttavia, di un ricorso che non può dirsi affetto da nullità, in quanto difetta degli elementi che il ricorrente aveva l’onere di dedurre e provare per sostenere la fondatezza della propria domanda, ai sensi dell’articolo 414 n. 5 cinque c.p.c., la cui assenza importa il rigetto del ricorso, in quanto comporta la decadenza dalla possibilità di successiva deduzione delle prove nel corso del processo. Diversamente, il ricorso va dichiarato nullo qualora privo di elementi idonei ad individuare la causa pretendi e il petitum della domanda che, nel caso di specie, sono presenti in quanto l’assicurato richiede in modo chiaro la rendita o, in subordine, indennizzo per inabilità permanente determinata da le malattie professionali denunciate all’INAIL.
L’assicurato, quindi, avrebbe dovuto dedurre nello specifico, e non lo ha fatto, le mansioni svolte alle dipendenze di vari datore di lavoro e chiedere l’ammissione di mezzi istruttori (documenti – prova orale) a riprova delle mansioni asseritamente esercitate.
La non adeguata prospettazione dei fatti da provare mina, in radice, a giudizio di questo giudicante, la possibilità per il lavoratrice di dimostrare le caratteristiche dell’attività espletata, l’esistenza del rischio e il nesso eziologico con la patologia denunciata all’Istituto convenuto.
Le spese processuali vengono regolate tenuto conto della presenza dei requisiti per l’esonero della parte ricorrente dal pagamento delle stesse, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., così come comprovato dalla dichiarazione firmata dalla parte sui redditi del nucleo familiare. Velletri, 28 novembre 2019
Il Giudice del Lavoro
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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