REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI PRATO
SEZIONE UNICA CIVILE
in persona del giudice unico, dott.ssa, ha emesso la seguente
SENTENZA n. 539/2023 pubblicata il 04/08/2023
nella causa iscritta al n. 1396/2022 del R.G.A.C., avente ad oggetto l’appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Prato n. 148/2022, pendente
TRA
XXX (C.F.),
APPELLANTE
E
YYY (C.F.), quale titolare della ditta “ZZZ”, (P.I.)
APPELLATO AVENTE AD OGGETTO
vendita di cose mobili
CONCLUSIONI
all’udienza dell’08/03/2023 XXX ha precisato le conclusioni riportandosi a quelle rassegnate nell’atto di citazione in appello; YYY ha precisato le conclusioni riportandosi a quelle rassegnate nella comparsa di costituzione in appello.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO DI PRIMO E SECONDO GRADO
YYY ha citato in giudizio XXX innanzi al Giudice di Pace di Pisa chiedendo di “a) dichiarare la responsabilità del Sig. XXX, fondata sulla sua negligenza, e per l’effetto obbligarlo al pagamento del prezzo dell’oggetto da collezione sopra descritto, smarrito per sua colpa, oltre a spese postali, nella misura, rispettivamente, di € 525,00 e di € 13,00, e così per un totale di € 538,00, a cui si debbono aggiungere gli interessi dalla pronuncia al saldo. Con vittoria di spese, competenze ed onorari”. A fondamento della propria domanda YYY ha dedotto: di essere un commerciante di francobolli per collezione; che XXX era un collezionisti di francobolli del Granducato e del Governo Provvisorio di Toscana; che il 17/12/2018 YYY aveva inviato a XXX per visione, dietro richiesta di quest’ultimo, una copia usata sciolta del francobollo del Granducato di Toscana, prima emissione, da una crazia, con annullo “a bandieruola” di Firenze, proponendo il prezzo di acquisto di € 525,00; che detto importo era stato concordato tra le parti via Whatsapp; che l’invio era stato effetto il 17/12 alle ore 12:32 dall’Ufficio Postale di Pisa, Via Medaglie D’Oro n. 10 tramite il servizio di posta assicurata convenzionale per € 500,00 con spedizione n. 00911571211-0 del costo di € 11,20; che il XXX aveva ricevuto detto plico il successivo 18/12, ma decideva di non acquistarlo in quanto a suo avviso troppo caro; che il 19/12/2018 il XXX aveva restituito al YYY il pezzo da collezione sebbene non con il servizio postale di spedizione assicurata, ma con quello denominato “Posta1”; che il plico non era mai giunto nelle mani del YYY, in quanto il prezioso pezzo filatelico andava sottratto o perduto senza alcuna possibilità di domandare a Poste Italiane il controvalore dell’oggetto; che a seguito dello smarrimento YYY aveva presentato esposto alla Polizia Postale di Pisa in data 25/01/2019 e 29/03/2019; che la perdita del francobollo era ascrivibile alla colpa grave di XXX, avendo questi scelto una modalità di restituzione dell’oggetto tutt’altro che sicura; che il servizio Posta1, a differenza di quello di “Posta assicurata”, non prevedeva la consegna personale del plico al destinatario o a un suo familiare o dipendente, limitandosi esclusivamente ad offrire la “tracciabilità” ovvero la certificazione dell’avvenuto deposito nella cassetta del destinatario; che la responsabilità del XXX si fondava su una plurima mancanza di diligenza in quanto il rifiuto di acquistare il pezzo era stato motivato sulla base del prezzo “troppo caro” nonostante questo fosse noto ex ante, la modalità di spedizione scelta era inadeguata al valore dell’oggetto differente da quella utilizzata dal mittente YYY; che le richieste bonarie non avevano portato ad alcun risultato e la proposta di stipulare una convenzione di negoziazione assistita era stata rifiutata da XXX; che le vicende coinvolte nella controversia attenevano ai diritti di obbligazione, per cui era competente il Tribunale di Pisa dove la ditta di YYY aveva sede, quale forum destinatae solutionis; che l’art. 83 DPR 20/03/1973 vietava di includere valori nelle corrispondenze ordinarie, in quelle raccomandate e nei pacchi ordinari, mentre il successivo art. 84 imponeva l’obbligo di assicurare le lettere e i pacchi contenenti denaro, oggetti preziosi o carte di valore esigibili al portatore. Si è costituito XXX eccependo l’incompetenza territoriale del Tribunale di Pisa a favore di quello di Prato in ragione della propria qualifica di consumatore e della sua residenza in Prato; il proprio difetto di legittimazione passiva essendo il vettore (ovvero Poste Italiane) l’unico soggetto costituito custode del bene al momento della consegna e chiedendo “1) in via preliminare, [di] ritenere e dichiarare l’incompetenza per territorio del giudice adito e, per l’effetto, condannare il sig. YYY alle spese di giudizio; 2) in subordine, qualora il Giudice adito si ritenesse competente a decidere, [di] dichiarare la carenza di legittimazione passiva del sig. XXX per i motivi specificati nel punto B) della parte in diritto della presente comparsa, con contestuale estromissione del giudizio del convenuto. 2) nel merito, qualora il Giudice adito si ritenesse competente a decidere, ci si riserva”. Con ordinanza resa all’esito dell’udienza del 21/09/2020 il Giudice di Pace di Pisa ha dichiarato la propria incompetenza in favore del Giudice di Pace di Prato, ha assegnato termine di sessanta giorni alla parte attrice per riassumere il giudizio innanzi al giudice territorialmente competente e a rimesso la definizione delle spese del giudizio al definitivo.
YYY, con comparsa di riassunzione depositata in data 12/11/2020, ha provveduto a riassumere il giudizio innanzi al Giudice di Pace di Prato. XXX si è costituito eccependo la propria carenza di legittimazione passiva e la malafede dell’attore, in quanto i francobolli erano stati allo stesso consegnati tramite il servizio postale ed erano stati successivamente venduti ad una fiera per collezionisti denominata “Veronafil” nel novembre 2019 ad un caro amico del XXX, ***. La causa è stata istruita con l’acquisizione di documenti, l’audizione di testimoni e l’interrogatorio formale di XXX e quindi definita con la sentenza impugnata (pubblicata in data 10/03/2022), con la quale il Giudice di Pace di Prato decidendo secondo equità, ha rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione passiva del convenuto ed ha accolto la domanda di parte attrice e ha condannato XXX a pagare in favore di YYY la somma di € 538,00, oltre interessi legali dalla data di notificazione dell’atto di citazione al saldo definitivo, nonché le spese di lite liquidate in € 330,00 per compenso professionale, oltre 15% rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge, ed € 43,00 per esborsi.
Avverso la predetta sentenza ha proposto appello XXX lamentando: come primo motivio di appello, l’intervenuta violazione delle norme del procedimento per aver omesso il Giudice di Pace di Prato di statuire sulle spese di lite relative alla fase del giudizio svoltosi innanzi al Giudice di Pace di Pisa, che aveva devoluto la liquidazione delle stesse alla pronuncia nel merito; come secondo motivo di appello, la violazione delle nome sul procedimento in ragione della sussistenza di un vizio motivazionale in merito alla valutazione delle risultanze istruttorie da parte del Giudice di Pace di Prato; che il Giudice di Pace di Prato infatti aveva deciso senza tenere in considerazione che XXX aveva fornito la prova documentale che il plico contenente il francobollo inviato da XXX a YYY era stato a questi consegnato e delle dichiarazioni rese dal ***; che nonostante tali risultanze probatorie il G.d.P. di Prato aveva affermato, senza motivare, che la testimonianza del *** era di dubbia attendibilità e irrilevante ai fini della decisione ed aveva fondato la propria decisione su fatti non provati e non attinenti al processo; come terzo motivo di appello, la violazione delle norme del procedimento in quanto il G.d.P. di Prato avrebbe dovuto sospendere ai sensi dell’art. 295 c.p.c. il giudizio e avrebbe dovuto decidere la questione solo all’esito delle sorti dell’indagini condotta dalla Polizia in merito alla smarrimento denunciato dal YYY; come quarto motivo di appello, la violazione delle norme sul procedimento in ragione della mancata statuizione da parte del giudice di pace di Prato sulla domanda di risarcimento dei danni proposta da XXX nei confronti di YYY ai sensi dell’art. 96 c.p.c. L’appellante ha pertanto chiesto “in riforma della sentenza del Giudice di Pace di Prato n. 148/2022. – R.G. n. 2682/2020: In via pregiudiziale e cautelare: [di] sospendere e/o revocare la provvisoria esecutorietà della sentenza impugnata, per i motivi esposti in narrativa, ai sensi dell’art. 283 c.p.c. sussistendo il fumus boni iuris e il periculum in mora (consistente nell’evidente vizio di motivazione della sentenza impugnata); In via principale e nel merito: [di] accogliere per i motivi dedotti in narrativa il proposto appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza n. 148/2022 emessa dal Giudice di Pace di Prato, nell’ambito del giudizio RG 2628/2020 accogliere tutte le conclusioni avanzate in prime cure e conseguentemente disattendere tutte le eccezioni e le istanze sollevate dall’attendere dinanzi al Giudice di Prime Cure per i motivi esposti nel presente atto.
Con Vittoria di spese e onorari relativi ad entrambi i gradi di giudizio”.
Si è costituito YYY deducendo: che l’atto di citazione in appello era nullo per vizio della vocatio in ius per aver l’appellante citato YYY in proprio e non come “legale rappresentante della Ditta ZZZ, provvista di proprio codice fiscale e P. Iva”; che la sentenza non era appellabile in quanto alcuno dei motivi di appello era riconducibile alle regioni che ai sensi dell’art. 339, c. 3 c.p.c. legittimano l’appello di una sentenza resa secondo equità; che l’appello era inammissibile ai sensi degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c. non avendo ragionevoli probabilità di accoglimento; che quanto all’omessa statuizione in merito alle spese processuali inerenti la fase del giudizio innanzi al GdP di Pisa, XXX non avrebbe potuto avvalersi della qualifica di consumatore, avendo agito per scopi non estranei ad una attività commerciale; che la sentenza appellata aveva ben chiarito che XXX era responsabile della consegna e a suo rischio aveva deciso le modalità di restituzione del francobollo a YYY; che sulla inattendibili e rilevanza della testimonianza del Piccinini il YYY si era ambiando soffermato nella propria comparsa conclusionale in primo grado, cui rinviava; che in merito alla violazione dell’art. 295 c.p.c., il G.d.P. di Prato aveva deciso la questione non dando rilievo ai potenziali riflessi penale della vicenda, ma limitandosi ad individuare una responsabilità del mittente negligente; che in merito alla ritenuta violazione delle norme sul procedimento in ragione dell’omessa statuizione sulla domanda ex 96 c.p.c. che la lamentela della parte appellante era fondata considerata la sua soccombenza in primo grado; che l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado non poteva essere accolta in difetto del fumus boni iuri e del periculum in mora. L’appellato ha chiesto “rigettata ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, [di] confermare la sentenza appellata, respingendo il gravame. Con vittoria di spese e competenze anche del presente grado di giudizio […] la maggiorazione del 30% sulle competenze riconosciute relativamente al presente atto ed ai successivi in considerazione della loro redazione mediante adozione di collegamenti ipertestuali […] [e la] condanna dell’appellante al risarcimento del danno da responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.”.
Con ordinanza resa all’esito dell’udienza di prima comparizione è stata respinta l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza. All’udienza dell’08/03/2023 la causa è stata quindi trattenuta in decisione con la concessione alle parti dei termini previsti dall’art. 190 c.p.c. per il deposito della comparsa conclusionale e le memorie di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. SULL’ECCEZIONE DI NULLITÀ DELL’ATTO DI CITAZIONE IN APPELLO PER VIZIO DELLA VOCATIO IN JUS
Deve essere in primo luogo rigettata l’eccezione formulata dalla parte appellata secondo cui l’atto di citazione sarebbe nullo stante la mancata indicazione della qualità di ditta individuale rivestita dall’appellato, in quanto infondata. La ditta individuale infatti non ha soggettività giuridica distinta rispetto al suo titolare, con cui si identifica sia sotto il profilo sostanziale che quello processuale (cfr.
Cass. 13/02/2006, n. 3052).
2. SULL’APPELLABILITÀ DELLA SENTENZA IMPUGNATA
Prima di passare all’esame dell’eccezione di parte appellata in merito all’inammissibilità dell’appello avverso la sentenza oggetto di impugnazione, si deve evidenziare che la parte appellante ha prodotto il fascicolo di parte in maniera parziale, non risultando riprodotta in formato telematico né la comparsa di costituzione innanzi al Giudice di Pace di Prato (la cui copia analogica risulta tuttavia presente nel fascicolo d’ufficio di primo grado) né i documenti menzionati negli atti processuali di primo grado (quest’ultimi mancanti anche in formato cartaceo nel fascicolo d’ufficio).
Lo scrivente giudice non ritiene che tale mancanza imponga la remissione della causa sul ruolo né precluda la risoluzione della controversia, potendo questa essere essere decisa a prescindere dalle produzioni documentali della parti.
Con riferimento alla predetta eccezione di inammissibilità si deve evidenziare che ai sensi dell’art. 339, c. 3 c.p.c. ratione temporis applicabile le sentenze del giudice di pace, ove siano pronunciate secondo equità (come nel caso di specie), sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia. Con specifico riferimento al primo motivo di appello, le norme sul procedimento che rendono ammissibile l’appello vanno identificate unicamente in quelle attinenti alla giurisdizione o alla competenza ed in quelle che presidiano lo svolgimento del giudizio di cognizione davanti al giudice di pace e, cioè, nella disciplina delle attività delle parti e del giudice in quel processo (cfr. Cass. 27/10/2022, n. 31830).
Applicando i predetti principi di diritto al caso di specie, il secondo motivo di appello risulta inammissibile, contrariamente al primo, al terzo e al quarto motivo di appello.
Con riferimento al secondo motivo di appello, è ben vero che in alcune pronunce giurisprudenziali si legge che il difetto di motivazione rientra tra i motivi di appello ammissibili ex art. 339, c. 3 c.p.c.
(trattandosi di una violazione di procedimento e di principi informatori della materia), ma l’appellante, sebbene lamenti formalmente che il giudice di pace abbia affermato che la testimonianza del *** sia inattendibile e non rilevante ai fini della decisione “senza tuttavia motivare”, concretamente si duole dell’errata interpretazione da parte del Giudice di Pace dell’attività assertiva e probatoria delle parti (e, in particolare, dell’odierna parte appellante) e della valutazione di attendibilità e sufficienza dei mezzi di prova offerti: profili, questi, che avrebbero potuto essere censurati solo se fosse stato dedotto il superamento di limiti costituzionali o di principi informatori della materia. Non può infatti ritenersi che nella sentenza impugnata difetti il requisito della motivazione circa le ragioni dell’inattendibilità del teste o della sua rilevanza. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il difetto di motivazione si configura “alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del documento/sentenza (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione), ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in nessun modo di individuarla, ossia di riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum. La mancanza di motivazione, infatti, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili. In ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un’eventuale verifica condotta sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie” (cfr. Cass. 07/04/2023, n. 9549). Nel caso di specie il Giudice di Pace ha espressamente statuito che la testimonianza del *** non è attendibile in ragione delle contraddittorietà in cui lo stesso era incorso (ovvero l’affermazione di aver partecipato all’evento “Veronaphil” in data 2019, il riconoscimento delle conversazioni avvenute nel corso dell’anno 2021 con il *** e l’affermazione di aver mentito a quest’ultimo quando gli aveva detto di non essere mai andato a Verona) e la stessa era irrilevante in quanto “è pacifico e non contestato che i due francobolli che il XXX doveva restituire al YYY non sono pezzi unici e pertanto, ammesso e non concesso che sia vero quanto riferito dal teste ***, ciò non risolve l’obbligo di restituzione del XXX nei confronti del YYY”: risulta dunque evidente che, sulla base della sola lettura della sentenza, la motivazione non può ritenersi né graficamente mancante né logicamente incomprensibile. L’inammissibilità del secondo motivo di appello, ovvero l’unico per il cui esame la parte appellante ha richiesto espressamente la rivalutazione di un documento dalla stessa prodotto in primo grado, esclude la rilevanza ai fini della decisione della produzione da parte del XXX dei documenti dallo stesso depositati nel giudizio di primo grado.
Quanto, invece, al primo motivo di appello, la Corte di Cassazione ha espressamente statuito che “le disposizioni in tema di regolamento delle spese processuali rientrano tra le regole del processo che devono essere osservate dal giudice di pace anche nel caso di pronuncia secondo equità, cui quel giudice può legittimamente riferirsi per quanto concerne la decisione di merito, mentre i problemi attinenti al processo debbono venir decisi secondo diritto”. (cfr. Cass. 05/05/1999, n. 4455) Anche la disciplina relativa alla sospensione necessaria del procedimento e il principio tra la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato appartengono, per tutta evidenzia, alle regole del processo che rendono ammissibile l’appello.
Dette censure, se pur ammissibili, non possono tuttavia trovare accoglimento.
Quanto al motivo di appello inerente alla mancata liquidazione da parte del giudice di pace di Prato delle spese di lite relative alla fase del procedimento svoltosi innanzi al giudice di pace di Pisa, si rileva che secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità “l’ordinanza che accoglie l’eccezione di incompetenza territoriale inderogabile [n.d.r. quale è quella di difetto di competenza in ragione dell’applicabilità del foro dei consumatori] ha natura decisoria, indipendentemente dalla circostanza che la controparte vi abbia aderito, così che il giudice erroneamente adito è tenuto a statuire sulle spese […] Correlativamente, è stato chiarito che il giudice innanzi al quale le parti, a seguito di dichiarazione di incompetenza, riassumano il processo deve provvedere sulle sole spese della fase di riassunzione e non anche su quelle della fase procedimentalmente svoltasi innanzi al giudice incompetente, le quali saranno liquidate da quest’ultimo […] Qualora il giudice che si dichiari incompetente ometta di provvedere sulle spese del processo che chiude davanti a sé, il provvedimento può essere impugnato a mezzo di appello” (cfr. Cass. ord. 05/11/2021, n. 32003). Alla luce del predetto principio di diritto risulta evidente che per censurare l’omessa statuizione da parte del Giudice di Pace di Pisa sulle spese di lite, l’odierno appellante avrebbe dovuto appellare l’ordinanza (avente pacificamente natura decisoria) emessa da detto giudice, oramai intangibile essendo passata in giudicato.
Parimenti non può trovare accoglimento il motivo di appello secondo cui il giudice di pace avrebbe errato nel non sospendere il procedimento, ricorrendo l’ipotesi prevista dall’art. 295 c.p.c.
Quanto ai rapporti tra giudizio civile e giudizio penale, la giurisprudenza è costante nell’affermare la completa autonomia dei due giudizi, con eccezione dell’ipotesi prevista dall’art. 75, c. 3 c.p.p., ovvero qualora l’azione è proposta in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado: ipotesi la cui ricorrenza nel caso di specie non è stata nemmeno allegata.
Infine è destinata al rigetto anche il motivo di appello inerente la mancata statuizione da parte del giudice di pace sulla domanda di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. formulata dalla convenuta, odierna appellante Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, per integrare il vizio di omessa pronuncia non è sufficiente la mancanza di una espressa statuizione del giudice, ma è necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa come indispensabile alla soluzione del caso concreto; al contrario deve ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto della domanda quando l’accoglimento della pretesa non espressamente esaminata risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia, anche se manchi al riguardo una specifica argomentazione (cfr. Cass. 07/04/2022, n. 11319). Nel caso di specie risulta evidente che l’accoglimento della domanda ex art. 96 c.p.c. formulata dall’odierna parte appellante in primo grado risulta del tutto incompatibile con l’accoglimento della pretesa risarcitoria della controparte e, pertanto, la prima deve ritenersi essere stata implicitamente rigettata.
Essendo stata l’impugnazione integralmente respinta, sussistono i presupposti previsti dall’art. 13, c. 1quater d.P.R. 115/2002 per l’obbligo dell’appellante al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato a quello dovuto per la medesima impugnazione ai sensi dell’art. 13, c. 1 bis del predetto decreto.
3. SULLA DOMANDA EX ART. 96 C.P.C.
Quanto alla domanda di risarcimento dei danni proposta dalla parte appellata ai sensi dell’art. 96 c.p.c. premesso che l’istante non ha specificato se tale azione sia stata intentata ai sensi del primo o del terzo comma della citata disposizione normativa, la stessa deve essere in ogni caso rigettata per i seguenti motivi.
Ove si riconduca la domanda all’ipotesi di cui all’art. 96, c. 1 c.p.c., si rileva che secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità tale forma di responsabilità costituisce una forma speciale di responsabilità extracontrattuale, che dunque soggiace alla disciplina della ripartizione degli oneri probatori dettati per l’art. 2043 c.c. La parte che agisce per la condanna al risarcimento del danno c.d. da “lite temeraria” è quindi tenuta a provare (i) l’esistenza e la misura del pregiudizio che la stessa assume di aver subito, (ii) la circostanza che l’azione è stata esperita con mala fede o colpa grave e (iii) la sussistenza di un nesso eziologico tra il preteso danno e l’altrui comportamento colpevole. Onere probatorio che l’odierna appellata non ha soddisfatto, non avendo nemmeno allegato quale pregiudizio la stessa abbia subito in conseguenza del presente appello.
Ove poi si riconduca la richiesta di parte convenuta all’ipotesi sanzionatoria prevista dall’art. 96, c. 3 c.p.c., la stessa non merita comunque accoglimento considerato che secondo la giurisprudenza di legittimità la mera infondatezza, quand’anche manifesta, delle testi prospettate da una parte non è elemento di per sé sufficiente a giustificare l’accertamento della sua responsabilità aggravata (cfr. Cass. 03/05/2022, n. 13859).
4. SPESE DI LITE
Le spese di lite sono regolate dal principio della soccombenza.
XXX, in quanto soccombente, deve essere condannato a rifondere in favore di YYY le spese di lite che liquida – in applicazione del D.M. 55/2014 e ss.mm, sulla base dei valori “minimi” (ritenuti applicabili in ragione della non complessità delle questioni trattate) previsti per le cause di valore inferiore ad € 1.100,00, tenendo conto della fase di studio, introduttiva e di decisione in cui il procedimento si è articolato e applicando la maggiorazione prevista dall’art. 4, c. 1 bis del predetto D.M. – in € 561,60 a titolo di compensi professionali, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
P.Q.M.
Il Tribunale di Prato, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla causa pendente tra XXX e YYY, avente ad oggetto l’appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Prato n. 148/2022 – R.G. 2682/2020, ogni altra istanza, difesa ed eccezione disattesa, così provvede:
1) dichiara inammissibile il secondo motivo di appello;
2) rigetta i restanti motivi di appello;
3) per l’effetto, conferma la sentenza resa dal Giudice di Pace di Prato n. 148/2022 – R.G. 2682/2020, pubblicata in data 10/03/2022;
4) rigetta la domanda formulata ex art. 96 c.p.c. da YYY nei confronti di XXX; 5) condanna XXX a rifondere ad YYY le spese di lite del giudizio di appello che liquida in € 561,60 a titolo di compensi professionali, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge;
6) dà atto della sussistenza dei presupposti previsti dal primo periodo dell’art. 13, c. 1-quater d.P.R. 115/2002 per l’insorgenza dell’obbligo a carico dell’appellante soccombente di pagare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13, c. 1-bis del predetto decreto presidenziale.
Prato, 04/08/2023
Il Giudice
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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