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Codice Penale

Mancata diagnosi di malformazioni fetali

La sentenza affronta il tema della responsabilità medica in caso di mancata diagnosi di malformazioni fetali e il diritto dei genitori all’interruzione di gravidanza. La Corte ha stabilito che, per ottenere il risarcimento del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, è necessario dimostrare che la gestante, se correttamente informata, avrebbe optato per l’aborto. Inoltre, il danno risarcibile è limitato alla differenza tra la situazione attuale e quella ipotetica che si sarebbe verificata con una diagnosi tempestiva.

Pubblicato il 25 June 2024 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA Composta dai signori Magistrati:
NOME COGNOME Presidente COGNOME
Consigliere COGNOME Relatore Ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._865_2024_- N._R.G._00001072_2020 DEL_03_06_2024 PUBBLICATA_IL_03_06_2024

Nella causa civile iscritta al n. 1072/2020 RGC promossa , nata in C.F.: , nato in C.F.: , nato a C.F.:
tutti residenti in Porto S. Elpidio alla , rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME del Foro di Macerata, e con essi elettivamente C.F. C.F. C.F. e difeso dall’avv. NOME COGNOME del Foro di Fermo ed elettivamente domiciliato con questi presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME in Ancona alla (appellato) NONCHE’ NEI CONFRONTI DI in persona del legale rapp.te p.t. , con sede in Ancona;
C.F.: rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME del Foro di Fermo ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Porto SINDIRIZZO Elpidio alla (altra appellata)

AVVERSO la sentenza n. 17/2020 del giorno 10.01.2020 del Tribunale di Fermo, resa in procedimento n. 1139/2010 RGC.
OGGETTO: responsabilità medica.
CAUSA posta in decisione con provvedimento del 20.12.2023.

CONCLUSIONI

DELLE PARTI:
Le parti hanno concluso come da proprie note di trattazione scritta.

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione in appello dinanzi a questa Corte (i primi due anche nella loro qualità di esercenti la potestà genitoriale su hanno impugnato la sentenza in epigrafe con la quale era stata solo parzialmente La presente motivazione è redatta in maniera sintetica secondo quanto previsto dall’art. 132 cpc, dall’art. 118 disp. att. cpc e dall’ art. 19 del d.l.
83/2015 convertito con l. 132/2015 che modifica il d.l. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 17.12.2012 nonché in osservanza dei criteri di funzionalità, flessibilità, deformalizzazione dell’impianto decisorio della sentenza come delineati da Cass. SSUU n. 642/2015.

I signori (in proprio e n.q. di esercenti la potestà genitoriale , ed il sig. , hanno impugnato la sentenza in epigrafe – con la quale, riconosciuta la responsabilità del dott. e dell’ domanda risarcitoria nei confronti di questi avanzata era stata solo parzialmente accolta – muovendo alla stessa una serie di doglianze che possono come di seguito essere brevemente riassunte.

In primo luogo, censurano gli appellanti la decisione del Tribunale di Fermo nella parte in cui essa ha rigettato la domanda relativa al risarcimento del danno da violazione del diritto dei medesimi ad interrompere la gravidanza del piccolo in considerazione delle gravi malformazioni da cui lo stesso si era rivelato affetto.

In tal senso, deducono gli appellanti che nel caso di specie la prova – richiesta dalla sentenza gravata – della circostanza per cui, se tempestivamente avvertiti della malattia del feto, i genitori si sarebbero risolti ad interrompere la gravidanza, sarebbe diabolica;
e comunque sussisterebbero sufficienti elementi per consentire la presunzione nella specie di una scelta abortiva.

Reiterano pertanto gli appellanti la domanda risarcitoria a tal titolo avanzata già in primo grado, nonché quella ulteriore per le spese mediche sostenute per la cura del bambino e per la perdita di chances lavorative della madre, tutte conseguenti alla ripetuta violazione del diritto almeno di quest’ultima alla autodeterminazione circa danno sia patrimoniale (spese mediche) che non patrimoniale conseguente a tutta la famiglia per effetto della violazione del diritto alla autodeterminazione circa la prosecuzione o meno della gravidanza.

Una ulteriore censura è dedicata anche al mancato riconoscimento di qualsiasi risarcimento in favore del piccolo condannato ad una vita difficile a causa del grave inadempimento contrattuale nell’espletamento della prestazione medico-sanitaria.

Alla luce delle superiori considerazioni, infine, gli appellanti reiterano la propria richiesta risarcitoria, illustrandone le varie voci, per pervenire infine ad una quantificazione della domanda pari ad € 1.376.578,75=. Le parti appellate, costituendosi nel giudizio di appello, hanno ampiamente illustrato le ragioni di conferma della decisione di primo grado, per la quale hanno insistito;
non senza – l’appellato – aver dedotto anche l’inammissibilità dell’impugnazione ex artt. 342 e 348bis cpc.

Quest’ultima eccezione, il cui esame si pone ovviamente come preliminare, è palesemente infondata.

L’atto di appello in esame consente chiaramente, tanto alle controparti che al Giudice, di individuare le parti impugnate della sentenza e le critiche nei confronti delle medesime, affiancando così – come previsto dal rito – alla parte volitiva dell’impugnazione quella argomentativa, senza che a tal fine sia necessaria l’adozione di particolari formule sacramentali ovvero la stesura di un progetto alternativo di decisione (acquisizione ormai assolutamente pacifica in giurisprudenza di legittimità, cfr. ex multis Cass., 1600/2024).

Ciò chiarito circa l’ammissibilità dell’impugnazione, è poi necessario individuare i confini della medesima.

La responsabilità nel caso occorso del dott. e conseguentemente dell’ non può più essere considerata i limiti della responsabilità risarcitoria dei convenuti odierni appellati, come delineati nell’atto di appello dei signori ***.

Viene pertanto in considerazione la prima fondamentale doglianza, concernente l’esclusione, da parte del Tribunale di Fermo, della contestata violazione del diritto della donna (e/o comunque della coppia) alla autodeterminazione circa la prosecuzione o meno della gravidanza, per conseguenza dell’inadempimento diagnostico del dott.

Il motivo è infondato e la decisione di prime cure sul punto – motivata in maniera ampia e condivisibile – va senz’altro confermata.

Muovendo dall’indiscusso dato per cui la patologia del feto non avrebbe mai potuto essere comunque diagnosticata prima del II trimestre di gravidanza, la possibilità di interrompere quest’ultima ai sensi della L. 194/1978, sarebbe stata astrattamente configurabile, nel caso di specie, solo ed esclusivamente ai sensi della lett. b) dell’art. 6 della citata legge, posto che chiaramente comunque non potevano ricorrere le condizioni di cui alla lett. a) (ovvero grave pericolo per la vita della donna come conseguenza della gravidanza o del parto).

Ora, la possibilità che il processo patologico in atto sul feto (fra cui appunto quello relativo, come nella specie, a rilevanti anomalie o malformazioni dello stesso) possa determinare “un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” deve ovviamente essere adeguatamente accertata con un giudizio prognostico ex ante, ovvero valutando, sulla base degli elementi di giudizio disponibili, quali potrebbero essere state le reazioni e le conseguenze (ovviamente nel caso di specie psichiche e non fisiche) della madre se quest’ultima fosse stata (come avrebbe dovuto) tempestivamente informata (cioè prima della nascita) delle problematiche del bambino. Un giudizio di tal genere, innanzitutto, (trombocitopenia) essa è benigna, attestandosi nell’età adulta il numero delle piastrine in valori pressochè normali.

Già i dati in argomento, dunque, impediscono di formulare sotto il profilo meramente oggettivo, con sufficiente e ragionevole certezza, un giudizio di prognosi postuma tale per cui la tempestiva conoscenza della malformazione del feto avrebbe presumibilmente condotto la madre (e/o la coppia) ad una scelta di interruzione della gravidanza.

La condizione del piccolo ifatti, fortunatamente, non può essere ritenuta di gravità tale da condurre (in assenza di altri specifici elementi di giudizio su cui appresso si tornerà) una qualsiasi donna e madre a determinarsi, con ragionevole certezza, per l’interruzione della gravidanza.

Al riguardo è peraltro opportuno evidenziare che l’affermazione del CTU (pag. 37 consulenza), richiamata dagli appellanti, secondo cui “l’avere contezza di malformazioni del prodotto del concepimento quali la sindrome TAR può comportare un grave pericolo per la salute psichica della donna”, non solo appare apodittica e del tutto astratta e slegata dal contesto di specie, ma anche resa dallo stesso consulente a titolo atecnico e ascientifico, se è vero come è vero che essa è preceduta dalla eloquente premessa “senza voler entrare nel merito di problematiche allo stato di impossibile soluzione per il sottoscritto CTU”. D’altro canto – come pure già osservato dalla sentenza impugnata – la rilevanza della gravità (o meno) della condizione del feto / bambino ai fini del giudizio prognostico in questione è stata già in precedenza tenuta in considerazione dalla Suprema Corte allorchè (in un caso se possibile anche più grave di quello in esame perché comportante l’assoluta perdita della mano sinistra) è stata esclusa l’idoneità di una malformazione del genere a determinare un grave pericolo per la salute fisica e/o psichica della donna (cfr. Cass., 9251/2017). Né sul giudizio in argomento può influire invero (né in senso positivo né in senso negativo) quella che è già rilevanti considerazioni che precedono, un altro essenziale dato impone nella specie di escludere che la mancata tempestiva diagnosi delle condizioni del feto abbia in concreto leso il diritto all’autodeterminazione degli appellanti.

Posto difatti che chi agisce in giudizio per il risarcimento del danno in questione deve comunque dare la prova del fatto che la gestante, se adeguatamente informata, avrebbe deciso, ricorrendone i presupposti, di interrompere la gravidanza (cfr. Cass., 36645/2021; Cass., 26280/2022), quel che nella specie è completamente mancata è addirittura l’allegazione, da parte degli attori appellanti, di tale circostanza.

Nel loro atto di citazione di primo grado, non seguito da successive memorie ex art. 183, VI co. , n. 1) cpc (nonché nell’articolazione della prova per testi di cui alle successive memorie ex art. 183, VI, co. , n. 2) cpc), gli attori sembrano ricollegare automaticamente l’effetto risarcitorio invocato alla semplice violazione dell’obbligo informativo da parte del medico, senza neppure appunto riferire che, in presenza della corretta informazione, la sig.ra si sarebbe certamente determinata all’aborto.

Tale impostazione della prospettazione è già di per sé impeditiva del riconoscimento dell’invocato diritto (cfr. Cass., 36645/2021), senza necessità di ulteriori indagini sull’aspetto probatorio dell’atteggiamento e delle scelte personali della gestante.

Ciò senza dover insistere, comunque, sul fatto che nella specie detta prova (né potrebbe essere altrimenti attesa la mancata allegazione) è mancata del tutto, ben potendo invece la stessa essere fornita sulla base di elementi (pregresse manifestazioni di pensiero circa l’opzione abortiva;

l’atteggiamento personale e di vita della madre nei confronti della disabilità etc.) successivamente nel caso valorizzabili in sede di formulazione, da parte del Giudice, di possibili presunzioni.

come la perdita di chances lavorative da parte della madre non possano in alcun modo essere addossate alla responsabilità del dott. e/o dell’ riguardo, difatti, è appena il caso di ricordare come la CTU eseguita sul piccolo abbia radicalmente escluso che la mancata diagnosi della malattia del feto abbia potuto provocare allo stesso e/o al bambino un danno di sorta, non sussistendo possibilità alcuna di trattamenti in utero della malattia.

Quanto peraltro alla domanda risarcitoria concernente specificamente la perdita di chances lavorative della madre, va ulteriormente osservato che l’interruzione del rapporto di lavoro della sig.ra con la ditta dove la stessa ha lavorato sino all’anno 2009 (dunque ben dopo la nascita di non appare proprio in rapporto causale con la malattia del figlio, dal momento che la stessa Doci ha dichiarato al CTU (cfr. pag. 8 relazione di consulenza sulla Doci) di aver perso il lavoro a causa del fallimento della ditta. Allo stesso modo da respingere è l’ulteriore censura relativa al mancato riconoscimento del diritto ad un qualsiasi risarcimento in favore del piccolo Se, da un lato, come ricorda correttamente la sentenza di primo grado, non esiste nel nostro ordinamento un diritto a non nascere se non sani (cfr. Cass., 24189/2018), la malattia di cui soffre è di carattere genetico e congenito, né, come s’è già detto, sul decorso della stessa ha avuto il benchè minimo effetto la mancata tempestiva diagnosi della stessa.

Ciò chiarito, le residue doglianze degli appellanti si riducono alla operata quantificazione del danno biologico subito dalla madre per effetto della vicenda (nei confronti della quale, in particolare, gli appellanti lamentano una troppo ridotta applicazione del criterio di personalizzazione tabellare) e alla considerazione in via equitativa del danno non patrimoniale a carico del padre e del fratello non si pone come palesemente irragionevole, il punto è che non è certamente possibile pervenire ad una più elevata quantificazione di alcuna delle voci di danno riconosciute in primo grado sulla base di un dato oggettivo da ritenersi discretivo. La sentenza impugnata, difatti, nel riconoscere e liquidare i danni di cui si tratta, non ha però tenuto conto del fatto che le pur considerevoli lesioni psico-fisiche subite dall’intera famiglia (e specificamente dalla madre per la quale è stato riconosciuto un danno da I.P. nella misura del 12% del totale) per effetto della vicenda che occupa, si sarebbero però ugualmente determinate, almeno in buona parte, anche qualora la diagnosi della malattia fosse stata tempestiva e ne fosse conseguito un pronto ed adeguato avvertimento ai genitori da parte del medico. Si vuol dire in altri termini che, dovendosi escludere la possibilità da un lato di ricorrere ad un aborto terapeutico, e dall’altro quella di ottenere un qualsiasi miglioramento della malattia per effetto di una diagnosi tempestiva, la condizione (ovvero la nascita del bambino malato) che ha poi condotto la famiglia a sviluppare le negative conseguenze riconosciute risarcibili dalla sentenza di primo grado, si sarebbe ugualmente verificata anche in presenza di una adeguata e tempestiva informativa da parte del medico. Se dunque è ben ipotizzabile che per effetto di quest’ultima le conseguenze in questione (per effetto di una adeguata preparazione psicologica, di un percorso assistito di accettazione etc.) avrebbero potuto però essere meno gravi, è anche vero però che, allora, il Tribunale di Fermo avrebbe dovuto operare una valutazione differenziale del danno, riconoscendo risarcibile solo quella parte dello stesso presumibilmente evitabile per effetto della tempestiva diagnosi.

Poiché invece una valutazione del genere manca completamente nella sentenza impugnata, si deve ritenere che la complessiva quantificazione del danno La Corte di Appello di Ancona, definitivamente pronunciando, così provvede:

• Rigetta l’appello;
• Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del grado;
• Dichiara la sussistenza delle condizioni per il pagamento, da parte degli appellanti, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Così deciso in Ancona nella Camera di Consiglio del 16.04.2024.
Il Giudice Ausiliario Relatore Il Presidente Avv. NOME COGNOME Dott. NOME COGNOME

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