RG n. 35253/2024 —TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI MILANO– –SEZIONE 13 ^CIVILE–
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Civile e Penale di Milano, nella persona del Giudice unico Dott. NOME COGNOME ha emesso la seguente —
SENTENZA N._3253_2025_- N._R.G._00035253_2024 DEL_16_04_2025 PUBBLICATA_IL_16_04_2025
— nella causa civile promossa , NOMERAGIONE_SOCIALE nata a Roma il 30/08/1969, Codice Fiscale:
titolare dell’omonima ditta RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, P.I. corrente in Montemonaco (AP), INDIRIZZO elettivamente domiciliata in Pescara alla INDIRIZZO presso lo studio degli Avv.ti NOME COGNOME C.F. NOME COGNOME, C.F. patrocinato/a dall’Avv. NOME COGNOME ) INDIRIZZO 65127 PESCARA;
; -PARTE
ATTRICE/RICORRENTE/OPPONENTE con sede in MilanofioriINDIRIZZO INDIRIZZO INDIRIZZO Assago (MI), in persona dei suoi Procuratori speciali Dr.
e Dr.
cod. fisc. elettivamente domiciliata in Milano, INDIRIZZO presso Studio dell’Avv NOME COGNOME, pec C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. telefax NUMERO_TELEFONO 54122097patrocinato/a dall’Avv. NOME COGNOME
-PARTE CONVENUTA/RESISTENTE/OPPOSTA Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo emesso dal TO di Milano al n. 10612/2024 del 20-29/07/2024 (19547/2024 R.G.), notificato in data 29.07.2024.
C.F.
CONCLUSIONI
Le parti costituite hanno concluso come in atti depositati in PCT, con conclusioni qui di seguito da intendersi integralmente ed espressamente richiamate.
–CONCISA ESPOSIZIONE DEI MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE1– Si premette che il contenuto della presente sentenza si adeguerà ai canoni normativi dettati dagli artt. 132, comma 2, n. 4 e 118 disp. att. c.p.c., i quali dispongono che la motivazione debba limitarsi ad una concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, specificando che tale esposizione deve altresì essere succinta e possa fondarsi su precedenti conformi (cfr. Cassazione alle SS.UU. n. 642 del 16/01/2015). Con atto introduttivo depositato in Cancelleria, la parte attrice premetteva che con decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo n. 10612/2024 del 29/07/2024 (al 19547/2024 R.G.), notificato in data 29.07.2024, il Tribunale di Milano ingiungeva a di consegnare immediatamente alla i beni mobili indicati in ricorso e di pagare le spese di questa procedura che si liquidano in €850,00 per compensi ed €145,50 per spese oltre rimborso forfetario per spese generali nella misura del 15% del compenso, oltre i.v.a. e c.p.a. ed oltre alle successive occorrende; La odierna opposta in sede monitoria esponeva che con contratto n. 32297 in data 8.7.2019 (Doc. 1) a concesso in locazione finanziaria a , quale titolare della impresa individuale RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME con residenza/sede in INDIRIZZO, Montemonaco (AP), cod. fisc. , p.iva il seguente bene mobile :
– n. 1 Minipala marca mod. TARGA_VEICOLO, telaio / matricola n. NUMERO_DOCUMENTO, completa degli accessori (trincia forestale frontale) indicati nella Conferma d’ordine n. 17/GG/DC del 5/6/2019 (Doc. 2);
bene acquistato da presso il Fornitore RAGIONE_SOCIALE di Pescara, come risulta dalla fattura di vendita 27.6.2019 n. 922 (Doc.3), e regolarmente consegnato alla RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME come attestato dal “Verbale di consegna e collaudo” (sub Doc. 4);
– che il corrispettivo della locazione finanziaria per la durata del contratto – di mesi 60 – veniva suddiviso in un canone anticipato di euro 19.500,00 + Iva ed in successivi 9 canoni semestrali di euro 5.901,32 + Iva ciascuno;
esponeva che la debitrice si rendeva inadempiente nel pagamento delle seguenti fatture canoni emesse da fatt.3.7.2023 n. NUMERO_DOCUMENTO (Doc. 5) euro 7.622,89 fatt. 2.1.2024 n. 1124001374 (Doc. 6) euro 7.622,89 per un totale di euro 15.245,78.
Con lettera/PEC 11/03/2024 (Doc. 7) – avvalendosi della clausola risolutiva di cui all’art. 10 del contratto – dichiarava la risoluzione ex art. 1456 cc del contratto per inadempimento della debitrice, cui intimava altresì la restituzione dei beni locati, oramai detenuti senza più titolo alcuno 1 La presente sentenza viene redatta anche secondo i criteri di cui alla pronunzia della Suprema Corte di Cassazione alle SS.UU. n. 642 del 16/01/2015, ed ai sensi dell’art. 16 bis, comma 9, del D.L. 179/2012 come convertito in Legge n. 221/2012, come introdotto ai sensi del D.L. n. 83/2015 e poi convertito in Legge n. 132/2015; In limine litis va osservato che la riforma del processo civile, intervenuta con legge 18 giugno 2009, n. 69, ha modificato l’art. 132 c.p.c. ed il correlato art. 118 disp. att. c.p.c. escludendo dal contenuto della sentenza (art. 132, n. 4, c.p.c.) lo svolgimento del processo.
La novella dell’art. 132 c.p.c. è applicabile ai giudizi RAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE Il suddetto decreto veniva pronunciato su ricorso della che esponeva di aver concesso in locazione finanziaria a , giusto contratto n. 32297 del 08.07.2019, la Minipala marca mod. TARGA_VEICOLO, telaio / matricola n. NUMERO_DOCUMENTO, completa degli accessori (trincia forestale frontale) indicati nella conferma d’ordine n. 17/GG/DC del 05/06/2019 e di aver, con missiva del 11.03.2024, dichiarato la risoluzione ex art. 1456 c.c. avvalendosi della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 10 delle clausole contrattuali per inadempimento dell’utilizzatrice nel pagamento dei canoni di locazione. Deduceva la parte attrice opponente la asserita (nella sua prospettazione) inammissibilità dell’azione monitoria, la asserita infondatezza della pretesa creditoria e l’assenza del presupposto del grave inadempimento del debitore opponente.
Chiedeva in rito di sospendere inaudita altera parte – oppure previa fissazione di udienza urgente e anticipata tra le parti – la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto sussistendo i gravi motivi di cui all’art. 649 c.p.c.;
in via preliminare chiedeva di accertare e dichiarare che il procedimento monitorio è stato instaurato in assenza dei presupposti e, per l’effetto, revocare il decreto ingiuntivo opposto;
accertare e dichiarare l’inadempimento originario della parte opposta rispetto alle obbligazioni assunte e quindi la legittima eccezione di inadempimento della ex art. 1460 c.c., nonché la non debenza dell’importo così come posto a fondamento dell’azione monitoria, nonché l’illegittimità, abusività ed inefficacia dell’attivazione della clausola risolutiva espressa da parte della , per tutte le ragioni, qui integralmente richiamate e ribadite, dedotte nella narrativa dell’atto di citazione in opposizione e, per l’effetto, revocare il decreto ingiuntivo opposto poiché invalido, nullo, illegittimo e comunque privo di qualsiasi effetto. In ogni caso con vittoria di spese e competenze di lite.
Il GU rigettava con decreto del 16/10/25024 la istanza proposta dalla ex art. 649 cpc. Ad oggi ancora –in ogni caso– il bene de quo non è stato restituito dalla ingiunta oggi opponente.
Si costituiva ritualmente la controparte opposta con proprio atto difensivo contestando (diffusamente, in modo articolato e con riscontro documentale) e contrastando l’avversaria prospettazione in fatto ed in diritto, articolando conclusioni difformi nel merito come rassegnate in atti.
Seguivano i termini ex art. 171 ter cpc. All’esito dell’udienza, il Giudice procedente tratteneva la causa anche per ogni eventuale decisione –in rito e nel merito (istruttoria e/o decisoria) ex art. 281 sexies, ultimo comma, c.p.c. come da ultimo novellato e con termine di legge per il deposito della sentenza tratteneva la causa.
Deve, preliminarmente ed in rito, ritenersi sussistente la giurisdizione dell’A.G. oggi procedente, così come pure correttamente radicata ed individuata la competenza territoriale dell’adito Tribunale del capoluogo lombardo secondo i canoni normativamente previsti dalla disciplina legislativa specificamente vigente in materia.
Né del resto sul punto è stata sollevata alcuna contestazione ovvero eccezione di parte.
Occorre in premessa ricordare che, per consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, il Giudice, nel motivare “concisamente” la sentenza secondo i dettami di cui all’art. 118 disp. att. cpc, non è tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le questioni sollevate dalle parti, ben potendosi limitare2 alla trattazione delle sole questioni, di fatto e di 2 Cass 22698/2021…..
Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perché connesse, sono complessivamente inammissibili.
3.1.
Invero, occorre innanzitutto ricordare che la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 18 luglio 2019), ha ormai ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché si è chiarito (cfr. tra le più recenti, Cass. n. 395 del 2021, in motivazione;
Cass. n. 9017 del 2018) che è oggi denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;
questa anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico“, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017.
Nello stesso senso anche le più recenti Cass. n. 20042 del 2020 e Cass. n. 23620 del 2020; Cass. n. 395 del 2021).
In particolare, il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 23684 del 2020; Cass. n. 20042 del 2020; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012).
In altri termini, la motivazione deve mancare del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero esistere formalmente come adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva (cfr. Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 26893 del 2020; Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017).
3.2.1.
Alla stregua di questo insegnamento, che il Collegio condivide integralmente, le censure in esame sono manifestamente infondate laddove denunciano l’asserito vizio motivazionale…Con le odierne doglianze, invece, la ricorrente, sostanzialmente, intenderebbe ottenerne una rivalutazione, più consona alle proprie aspettative, affatto inammissibile in questa sede.
3.3.1.
Infatti, è opportuno ricordare che questa Corte ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 28792 del 2020; Cass. n. 4343 del 2020; Cass. n. 27457 del 2019; Cass. n. 27686 del 2018), chiarito che:
a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto (intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente perché, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro, ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua, pur corretta, interpretazione. Cfr. Cass. n. 8782 del 2005);
b) non integra invece violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge;
c) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass. n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010);
a) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).
3.3.2.
Le censure in esame si risolvono, invece, affatto inammissibilmente (c.f.r. Cass. SU, n. 34476 del 2019), in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui la ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge, una diversa valutazione, totalmente obliterando, però, da un lato, il vizio motivazionale sancito dalla novellata formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 riguarda l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017);
dall’altro, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie ((fr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006)
, ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. Cass. n. 16700 del 2020)….. E’ ammissibile che detta conoscenza concreta venga desunta da elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, e che, in quanto tali, possano giustificare un giudizio di fondatezza della domanda (cfr. ex multis, Cass. n. 10886 del 1996; Cass. n. 7064 del 1999; Cass. n. 656 del 2000; Cass. n. 3336 del 2015; Cass. n. 25635 del 2017; Cass. n. 27457 del 2019).
3.5.
Nella specie, la corte distrettuale – con una motivazione che non integra affatto violazione dei principi dettati in tema di onere della prova e di prova presuntiva, oltre che scevra da vizi logici, siccome basata sulla puntuale e dettagliata descrizione e ponderazione di indici concreti – è giunta alla conclusione che il quadro indiziario desumibile dalle risultanze dell’espletata prova orale fosse idoneo a far ritenere raggiunta la prova della sussistenza del predetto requisito soggettivo in capo alla odierna ricorrente; né potrebbe sostenersi, fondatamente, che l’argomentare del giudice d’appello abbia trascurato alcuni dati dedotti da quest’ultima per la semplice ragione di averli ritenuti, esplicitamente o implicitamente, irrilevanti.
3.5.1.
In particolare, come si è già anticipato nel precedente p. 1.2.
dei “Fatti di causa”, quella corte ha ritenuto di desumere la sussistenza della scientia decoctionis, in capo alla …, dalle univoche dichiarazioni di alcuni testi informatori ( Q.G.; RAGIONE_SOCIALE IRAGIONE_SOCIALE), ritenute non smentite dalle affermazioni rese da altri ( Sc. Sc.).
E’ noto che la scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l’esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto che, se, come nella specie, adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimità (cfr. Cass. n. 28792 del 2020; Cass. n. 3336 del 2015; Cass. n. 27457 del 2019), ed altrettanto dicasi quanto all’apprezzamento del giudice di merito circa il ricorso a tale mezzo di prova ed alla valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di produzione (cfr. Cass. n. 3845 del 2018, in motivazione):
invero, l’unico sindacato in proposito riservato al giudice di legittimità investe la coerenza della relativa motivazione (cfr. Cass. n. 2431 del 2004).
3.5.3.
Si aggiunga, poi, che, come puntualizzato da Cass. n. 3845 del 2018 (cfr. in motivazione), al fine di controllare la validità del ragionamento presuntivo, da un lato, non è necessario che tutti gli elementi noti siano convergenti verso un unico risultato, in quanto il giudice deve svolgere una valutazione globale degli indizi, alla luce del complessivo contesto sostanziale e processuale (cfr. Cass. n. 26022 del 2011);
dall’altro, in tale tipo di prova, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità:
occorre, al riguardo, che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza (cfr. Cass. n. 3845 del 2018; Cass. n. 22656 del 2011).
3.6.
Posto, dunque, che l’accertamento di fatto circa la sussistenza, o meno, del requisito della scientia decoctionis compete al Giudice del merito, cui spetta, peraltro, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro diritto, considerate rilevanti ai fini della decisione concretamente adottata. Ne consegue che quelle residue, non trattate in modo esplicito, non devono essere ritenute come “omesse”, per effetto di “error in procedendo”, ben potendo esse risultare assorbite (ovvero superate) per incompatibilità logico-giuridica con quanto concretamente ritenuto provato.
Alla luce di quanto appena ricordato, si deve quindi precisare che la trattazione sarà in questa sede limitata all’approfondimento delle sole questioni rilevanti e dirimenti ai fini del decidere, ritenendosi quindi assorbite tutte le altre eccezioni e questioni.
Ciò in applicazione del principio della cosiddetta ‘ragione più liquida’ desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., ulteriormente valorizzato e confermato dalla Suprema Corte (Cass. Civ. SSUU sentenza n. 24883/2008; Cass. Civ. n. 26242/2014 e Cass. Civ. n. 9936/2014).
Sul punto, la Suprema Corte ha ulteriormente precisato che “Non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la motivazione accolga una tesi incompatibile con quella prospettata, implicandone il rigetto, dovendosi considerare adeguata la motivazione che fornisce una spiegazione logica ed adeguata della decisione adottata, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse, senza che sia necessaria l’analitica confutazione delle tesi non accolte o la particolare disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi” (Cass. ordinanza n. 2153/2020). Lette le istanze istruttorie di prova orale pure formulate dalla parte attrice in opposizione non ammette3 i capitoli di prova orale4 così da dovere essere respinti “in blocco”, in quanto nel tentativo da parte sua, di opporre alla ricostruzione dei fatti definitivamente sancita nella decisione impugnata una propria alternativa loro interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge:
ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 ed, in motivazione, Cass. n. 8976 del 2019.
In senso sostanzialmente conforme, si veda anche Cass., SU, n. 34476 del 2019).
3.7.
Per mera completezza, infine, va evidenziato che gli elementi indiziari di cui oggi la ricorrente lamenta l’errata ” valutazione” e/o l’omesso esame… lungi dall’essere, di per sé, “decisivì, al più potrebbero rappresentare elementi indiziari da porre a fondamento di un ragionamento presuntivo volto a giungere a conclusioni magari diverse da quelle esposte dalla corte veneziana, così procedendosi, però, a valutazioni che, impingendo nel merito, sono inammissibili nel giudizio di legittimità.
3.8.
In definitiva, la …incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c. può porsi, rispettivamente, solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito:
1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge (cfr. Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pure precisato che “e’ inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.”);
2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (Cass., SU, n. 20867 del 2020).
Del resto, affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. 24434 del 2016).
La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motivazione).
4. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile….
Al riguardo giova ricordare che, come noto, la motivazione della prova non deve farsi necessariamente capo per capo ma può farsi anche in termini generali (cfr. Cass. sent. n. 8773/2012);
L’accertamento della specificità rientra tra i poteri discrezionali del giudice;
e, in quanto espressione di tali poteri, la sua valutazione non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretta da adeguata motivazione.
La giurisprudenza ha da ultimo avuto cura di fornire indicazioni secondo cui (Cass. 1294/2018) l’esposizione dei fatti deve recarne gli elementi essenziali;
questi devono essere adeguatamente circostanziati e collocati nel tempo e nello spazio;
devono consentire a controparte di dedurre prova contraria (cfr. Cass. ai nn. 3728/1987, 3635/1989, 12642/2003, 11844/2006, 2201/2007, 12292/2011, 1808/2015).
Giova precisare che tale vaglio di idoneità della specificazione dei fatti va operato non solo riferendosi alla formulazione letterale dei capitoli medesimi, ma anche in relazione agli altri fatti di causa ed alle deduzioni dei contendenti (Cass. ai nn. 10272/1995, 2201/2007, 3280/2008).
4
Deve evidenziarsi che la richiesta di provare per testimoni un fatto esige non solo che questo sia dedotto in un capitolo specifico e determinato, ma anche che sia collocato univocamente nel tempo e nello spazio, al duplice scopo di consentire al giudice la in parte vertenti su circostanze di natura documentale ovvero da provarsi per via documentale, in parte vertenti su circostanze inconferenti, non pertinenti ed irrilevanti ai fini del decidere, in parte formulati in termini negativi, in modo generico e privi di precisi e circostanziati riferimenti temporali5, in parte vertenti su valutazioni e giudizi (di tipo interpretativo) non demandabili a testi. Al riguardo giova ricordare che, come noto, la motivazione della prova non deve farsi necessariamente capo per capo ma può farsi anche in termini generali (cfr. Cass. sent. n. 8773/2012).
Peraltro parte convenuta opposta ha come da suo onere specificatamente, puntualmente e tempestivamente contestato –ex art. 115, I comma, ultima parte c.p.c.— cosicché “le istanze istruttorie devono avere ad oggetto circostanze il più possibile specifiche, nel senso che devono garantire il massimo grado di specificità consentita in relazione alla fattispecie concreta” (Cass. Civ., sez. III, sentenza 12 giugno 2012 n. 9522).
Cass. civ., sez. I, sentenza 18 gennaio 2013 n. 1239) sono generiche e pertanto inammissibili le prove formulate nel senso di attribuire ad un soggetto comportamenti vaghi senza dedurre specifiche circostanze al riguardo:
la genericità è superata solo se la circostanza è collocata in determinato momento storico ed un determinato contesto topico, rivelandosi altrimenti inidonea a superare il vaglio di cui all’art. 244 c.p.c.;
5 Cfr. Cass. civ. n. 20997/2011……….
la richiesta di provare per testimoni un fatto esige non solo che questo sia dedotto in un capitolo specifico e determinato, ma anche che sia collocato univocamente nel tempo e nello spazio, al duplice scopo di consentire al giudice la valutazione della concludenza della prova ed alla controparte la preparazione di un’adeguata difesa;
Cass. civ. n. 3280/2008… l’indagine del giudice di merito, sui requisiti di specificità e rilevanza dei capitoli formulati dalla parte istante, va condotta non solo alla stregua della loro formulazione letterale, ma anche in correlazione all’adeguatezza fattuale e temporale delle circostanze articolate, con l’avvertenza che la facoltà del giudice di chiedere chiarimenti e precisazioni ex art. 253 c.p.c., di natura esclusivamente integrativa, non può tradursi in un’inammissibile sanatoria della genericità e delle deficienze dell’articolazione probatoria. Cfr. Cass. civ. n. 8957/2006 La concessione di un termine per la formulazione delle indicazioni relative ai capitoli di prova testimoniale ed alle persone da interrogare, – costituente tanto in primo che in secondo grado una facoltà meramente discrezionale del giudice non sindacabile in sede di legittimità, prevista dal previgente disposizione di cui all’art. 244, terzo comma, c.p.c. – non è più contemplata nella nuova formulazione della medesima, applicabile ai giudizi introdotti dopo il 30 aprile 1995, non essendo conseguentemente censurabile la pronunzia del giudice di merito che nega il rinvio ad altra udienza per consentire alle parti di ovviare alle deficienze ed alle lacune del mezzo di prova irritualmente articolato, sul presupposto che trattasi di attività non riconducibile alla formulazione di nuovi mezzi di prova che tale differimento viceversa consente; 6
Ai sensi dell’art. 115, comma I, c.p.c. “salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”.
L’ultimo inciso («fatti non specificamente contestati») approda nell’art. 115 cit. a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 18 giugno 2009 n. 69 la quale ha, di fatto, convalidato la giurisprudenza di Cassazione che, a partire dall’arresto a Sezioni Unite del 2002 (sentenza n. 761), ha affermato l’esistenza, nell’ordinamento processuale civile, di un onere di contestazione per le parti, legato ai fatti introdotti dall’altra:
conseguentemente, la “non contestazione” o la “contestazione generica” di fatti allegati dalla controparte vale quale relevatio ab onere probandi e produce effetti vincolanti per il giudice che deve “astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e deve, perciò, ritenerlo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti” (v. Cassazione civile , sez. III, 05 marzo 2009, n. 5356). Secondo un orientamento si tratterebbe di un principio «di diuturna applicazione nelle controversie civili, di importanza essenziale per non rendere impossibile o comunque eccessivamente difficile l’onere probatorio delle parti ed in ispecie dell’attore, per evitare il compimento di attività inutili e quindi realizzare esigenze di semplificazione e di economia processuale».
La ratio del principio di non contestazione, tenuto conto dell’architettura generale della legge 69/2009 e della dottrina suaccennata, va, dunque, ricercata nelle superiori esigenze di semplificazione del processo e di economia processuale, o anche, se si vuole, nella responsabilità o autoresponsabilità delle parti nell’allegazione dei fatti di causa.
Non deve ignorarsi, peraltro, che la Cassazione più recente non ha esitato a ritenerlo protetto da rilievo costituzionale, quale strumento per garantire un “giusto processo”.
In particolare, Cass. civ., sez. trib., 24 gennaio 2007 n. 1540 ha affermato che il c.d. “principio di non contestazione” ha anche una diretta incidenza sul principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost. “Questo non può essere inteso soltanto come monito acceleratorio rivolto al giudice in quanto soggetto del processo, ma soprattutto alle parti, che, specie nei processi dispositivi, devono responsabilmente collaborare alla ragionevole durata del processo, dando attuazione, per quanto in loro potere, al principio di economia processuale e perciò immediatamente delimitando, ove possibile, la materia realmente controversa”. Ciò, invero, trova riscontro in altro autorevole orientamento che, già a suo tempo, avvisava che «dinanzi al magistrato non si va per tacere ma bensì per parlare, per far conoscere le proprie ragioni e i torti dell’avversario con dichiarazioni precise, positive e pertinenti alla lite».
Per effetto dell’art. 115, comma I, c.p.c., dunque, nel ventaglio dei fatti introdotti nel giudizio, il giudice deve effettuare un distinguo:
vanno a confluire nel thema probandum, infatti, solo i fatti “bisognosi di prova”:
tali non sono i fatti non contestati che, in quanto ammessi, sono provati.
Il difetto di contestazione produce, quindi, un triplice effetto:
un effetto per chi doveva contestare (e non l’ha fatto), un effetto per il deducente (colui che allega il fatto non contestato), un effetto per il giudice.
Per la parte gravata dall’onere di contestazione, il principio comporta che i fatti allegati dalla parte avversaria (e non contestati o contestati genericamente) debbono essere considerati incontroversi e non richiedenti una specifica dimostrazione (si v. Cass. civ., sez. 2, sentenza n. 27596 del 20 novembre 2008, ove la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di accertamento dell’esistenza di una servitù di passaggio sul rilievo che gli attori non avevano allegato alcun fatto costitutivo del diritto stesso, senza tenere in adeguata quanto dedotto (e peraltro documentalmente e diffusamente contrastato dalla opposta) dalla attrice sicchè quest’ultima, anche in ossequio al generale principio dispositivo7 della prova, nemmeno potrebbe ritualmente valersi8 né giovarsi del questi ha l’obbligo di ritenere il fatto provato senza svolgere istruttoria al riguardo. Per potersi assegnare alla contestazione un effettivo rilievo processuale devono, con essa, venire richiamate circostanze fattuali a tal fine pertinenti e significative:
deve, cioè, trattarsi di una contestazione «specifica», il cui fulcro, tuttavia, va delimitato e circoscritto in ragione del fatto allegato.
La contestazione deve, poi, essere “tempestiva” e tanto avviene quando essa interviene nella prima difesa utile (Cass. civ. 27 febbraio 2008 n. 5191; Cass. civ. 21 maggio 2008 n. 13079).
Va condivisa sul punto la motivazione data dalle Sez. Un. 761 del 23 gennaio 2002.
In detta decisione il Collegio Supremo spiega che il difetto di contestazione si coordina al potere di allegazione dei fatti e partecipa della sua natura, “sicchè simmetricamente soggiace agli stessi limiti apprestati per tale potere;
in altre parole, considerato che l’identificazione del tema decisionale dipende in pari misura dall’allegazione e dall’estensione delle relative contestazioni, risulterebbe intrinsecamente contraddittorio ritenere che un sistema di preclusioni in ordine alla modificabilità di un tema siffatto operi poi diversamente rispetto all’uno o all’altro dei fattori della detta identificazione”.
Alcuno, peraltro, ha osservato che «la contestazione tardiva (vale a dire la contestazione successiva di un fatto originariamente incontestato), in quanto comportamento che può provenire esclusivamente dalla parte (che inizialmente non aveva contestato), può essere assimilata all’eccezione in senso stretto»:
conseguentemente, in considerazione di quanto previsto dall’art. 345, comma II, c.p.c. la contestazione successiva di fatti rimasti incontestati nel giudizio di primo grado deve ritenersi inammissibile in appello.
L’onere di contestazione, secondo la giurisprudenza anteriore alla legge 69/2009, involgeva solo i fatti cd. primari.
Altri autori erano critici quanto a tale distinzione ed affermavano che il regime differenziato tra valore della non contestazione dei fatti principali e valore della non contestazione dei fatti secondari non reggesse poiché la non contestazione «opera allo stesso modo sia riguardo ai fatti principali che riguardo ai fatti secondari» (v. al riguardo, comunque, Cass. 17 aprile 2002, n. 5526, Foro it. , 2002, I, 2017).
La novella del 2009 non ha recepito la distinzione poiché, pur potendolo fare, non ha tenuto distinti i “fatti costitutivi della domanda” dagli altri, discorrendo tout court di “fatti non contestati” (differentemente da quanto avviene per gli artt. 167 o 702-bis, comma IV, c.p.c.).
Ed, allora, deve ritenersi che la norma operi riguardo ad ogni fatto;
7 In tema di prova civile una circostanza dedotta da una parte può ritenersi pacifica se essa sia esplicitamente ammessa dalla controparte ovvero se questa -pur non contestandolo in modo specifico, abbia comunque improntato la propria difesa su circostanze ovvero argomentazioni incompatibili con il suo disconoscimento (cfr. Cassazione civile n. 23816/2010, 2699/2004 e da ultimo 10482/2001);
ancora nel vigente ordinamento processuale i fatti allegati da una delle parti vanno considerati i pacifici -e quindi possono essere posti a fondamento della decisione- quando siano stati esplicitamente ammessi dalla controparte oppure quando questa, pur non avendoli espressamente contestati, abbia tuttavia assunto una posizione e ricostruzione difensiva assolutamente del tutto incompatibile con la loro negazione, così implicitamente ammettendone l’esistenza (cfr. Cassazione civile n. 5488/2006);
la attuale normativa processualcivilistica, imponendo al convenuto l’onere di prendere posizione sui fatti costitutivi del diritto preteso dalla controparte considera la non contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio con effetti vincolanti per il Giudice il quale dovrà pertanto astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato dovendo pertanto ritenerlo sussistente e provato cfr, Cassazione civile 10031/2004.
Cfr. Cass. SSUU n. 11353/2004 i dati fattuali, interessanti sotto diverso profilo la domanda attrice, devono tutti essere esplicitati in modo esaustivo, o in quanto fondativi del diritto fatto valere in giudizio ovvero in quanto volti ad introdurre nel giudizio stesso circostanze di mera rilevanza istruttoria, non potendosi negare la necessaria circolarità, per quanto attiene al rito del lavoro, tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova;
circolarità affermata – come è opportuno ribadire ancora una volta – dal combinato disposto dell’art. 414, nn. 4 e 5, e dall’art. 416, 3° comma, c.p.c. (cfr. al riguardo Cassazione 5526/2002).
Il principio di non contestazione, invero, opera tra parti, entrambe presenti nel giudizio, in relazione a fatti che siano stati chiaramente esposti da una parte, e non siano stati contestati dalla controparte, che pure ne abbia avuto l’opportunità.
La parte che lo invochi, pertanto, in sede di impugnazione è gravata dell’onere di indicare specificamente in quale parte dell’incartamento processuale il fatto sia stato esposto, al fine di consentire al giudice di verificare la chiarezza dell’esposizione, e se la controparte abbia avuto occasione di replicare (Cass. n. 31619/2018).
Il principio di non contestazione, di matrice giurisprudenziale, e poi confluito all’intero dell’art. 115 c.p.c., costituisce un meccanismo di semplificazione processuale, per cui la parte gravata dall’onere della prova, in presenza della non contestazione della controparte, non deve provare i fatti costitutivi del proprio diritto (se attore) o quelli posti a fondamento delle proprie eccezioni (se convenuto).
Anche al processo tributario – caratterizzato, al pari di quello civile, dalla necessità della difesa tecnica e da un sistema di preclusioni, nonché dal rinvio alle norme del codice di procedura civile, in quanto compatibili – è applicabile il principio generale di non contestazione che informa il sistema processuale civile (con il relativo corollario del dovere del giudice di ritenere non bisognevoli di prova i fatti non espressamente contestati), il quale trova fondamento non solo negli artt. 167 e 416 cod. proc. civ., ma anche nel carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena, nella generale organizzazione per preclusioni successive, che caratterizza in misura maggiore o minore ogni sistema processuale, nel dovere di lealtà e di probità previsto dall’art. 88 cod. proc. civ., il quale impone alle parti di collaborare fin dall’inizio a circoscrivere la materia effettivamente controversa, e nel generale principio di economia che deve sempre informare il processo, soprattutto alla luce del novellato art. 111 Cost. Né assumono alcun rilievo, in contrario, le peculiarità del processo tributario, quali il carattere eminentemente documentale dell’istruttoria e l’inapplicabilità della disciplina dell’equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo (cfr. Cass.Civ., sez. 5, 24 gennaio 2007, n. 1540; più recentemente Cass.Civ., sez. 5, 18 maggio 2018, n. 12287, che lo limita, attesta l’indisponibilità dei diritti controversi, esclusivamente ai profili probatori del fatto non contestato e sempre che il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, non ritenga di escluderne l’esistenza; cfr. Cass. n. 23710/2018).
Da qui l’impossibilità di contestare o richiedere prova – oltre i termini preclusivi stabiliti dal codice di rito – su fatti non allegati nonché su circostanze che, pur configurandosi come presupposti o elementi condizionanti il diritto azionato, non siano stati esplicitati conseguente esonero ovvero alleggerimento probatorio ai sensi ed agli effetti della norma appena sopra citata.
Il titolo contrattuale intercorso e sottoscritto tra le parti oggi costituite è ampiamente documentato in atti come pure la consegna dei beni alla odierna attrice in opposizione è regolarmente avvenuta come da verbale di consegna ….
funzionalizzati al contemperamento del principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale – non possono mai essere esercitati in modo arbitrario.
Ne consegue che il giudice – in ossequio a quanto prescritto dall’art. 134 c.p.c. ed al disposto di cui all’art. 111, 1° comma, Cost. sul “giusto processo regolato della legge” – deve esplicitare le ragioni per le quali reputa di far ricorso all’uso del poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta di una della parti, ritiene, invece, di non farvi ricorso (cfr. al riguardo tra le altre:
Cassazione 8220/2003; 4180/2003; 6531/2003; 3026/1999; 310/1998).
Gli stessi poteri di ufficio del giudice in materia di ammissione dei mezzi di prova sono ad esercitare pur sempre con limitato riferimento ai fatti comunque allegate dalle parti oppure emersi nel processo a seguito di contraddittorio tra le parti stesse (Cassazione SSUU n. 8202/2005) con esclusione quindi di supplenze di eventuali decadenze o inerzie istruttorie;
8 Cfr. Cass. SSUU (sentenza 23.01.2002 n. 761), la quale ha ritenuto che il difetto di contestazione «rende inutile provare il fatto, poiché non controverso (…) vincolando il giudice a tenerne conto senza alcuna necessità di convincersi della sua esistenza» (in senso conforme vds. Cass. III civ. 05.03.2009 n. 5356).
Più di recente, la Suprema Corte ha anche sancito che:
«l’attuale formulazione Pacifica ed incontestata ad oggi è la mancata restituzione e riconsegna da parte attrice del bene oggetto del Decreto ingiuntivo qui opposto ed anche già immediatamente esecutivo ex art. 642 cpc. Peraltro appare davvero univocamente sintomatico della infondatezza della opposizione di parte attrice il fatto che la stessa parte attrice non abbia mai specificamente contestato (cfr produzione in atti) prima del presente giudizio quanto affermato nella e-mail pec (del 11/03/2024 e ricevuta dalla in data del 12/03/2024) ed anche dalla stessa dalla stessa anche prodotta (sub doc. 7) …. Del resto nel caso in cui non vi sia stata tempestiva e specifica contestazione fra le parti rispetto al rapporto in essere fra loro, come nel caso che ci occupa, la fattura può costituire un valido elemento di prova quanto alle prestazioni eseguite, specie nell’ipotesi in cui il debitore abbia accettato, senza contestazioni, le fatture stesse nel corso dell’esecuzione del rapporto9.
La Suprema Corte ha recentemente ribadito il principio di diritto che attribuisce particolare rilevanza alle fatture commerciali e, nello specifico, all’annotazione contabile delle stesse da parte del destinatario, riconoscendole carattere confessorio in assenza di contestazioni.
Infatti, “La fattura commerciale ha non soltanto efficacia probatoria nei confronti dell’emittente, che vi indica la prestazione e l’importo del prezzo, ma può costituire piena prova nei confronti di entrambe le parti dell’esistenza di un corrispondente contratto, allorché risulti accettata dal contraente destinatario della prestazione che ne è oggetto (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 35870 del 06/12/2022; Sez. 6-1, Ordinanza n. 2211 del 25/01/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 26801 del 21/10/2019; Sez. 2, Sentenza n. 15832 del 19/07/2011).
Con la conseguenza che l’annotazione della fattura nelle scritture contabili può costituire idonea prova scritta tra imprenditori dell’esistenza del credito, giacché la relativa annotazione, con richiamo alla fattura da cui nasce, costituisce atto ricognitivo in ordine ad un fatto produttivo di un rapporto giuridico sfavorevole al dichiarante, stante la sua natura confessoria ex art. 2720 c.c. (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1444 del 15/01/2024; Sez. 6-2, Ordinanza n. 1972 del 23/01/2023; Sez. 6-2, Ordinanza n. 2514 del 27/01/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 128 del 04/01/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 35171 del 18/11/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 29176 del 20/10/2021; Sez. 3, Ordinanza n. 32935 del 20/12/2018; Sez. 3, Sentenza n. 3383 del 18/02/2005.10 E ciò anche ai fini di corroborare gli altri elementi probatori in atti (…)”).
Del resto il pagamento effettivo e comprovato degli importi dovuti (a fronte dell’incontestato protratto e continuativo utilizzo del bene de quo ancora ad oggi detenuto indebitamente dalla nonostante il titolo monitorio immediatamente esecutivo con ingiunzione di immediata consegna) costituisce una delle obbligazioni primarie ed essenziali che incombevano sulla parte opponente, per cui l’omesso pagamento alle scadenze incide su tutta l’economia del contratto stesso e rende inutile una valutazione specifica della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione del contratto”. In assenza di materiale ed evidenze documentali in atti di segno contrario ovvero ostative all’accoglimento della domanda giudiziale, la domanda della parte di condanna alla restituzione del bene oggetto di causa a carico di parte attrice (positivamente ed attivamente onerata di provare ex art. 2697 II comma cc ed allegare gli effettivi pagamenti ad estinzione anche parziale delle obbligazioni contrattuali a proprio carico) deve ritenersi provata ex art. 2697 cc, fondata e quindi da accogliere. In funzione del cd. principio di prossimità della prova il creditore può limitarsi a provare l’esistenza del credito e spetta al debitore la prova piena ed effettiva dell’avvenuto pagamento/adempimento;
solo qualora costui offra la piena e comprovata relativa dimostrazione, l’onere di provare che il pagamento non è stato, in tutto o in parte, 9 1 Cassazione civile, ord. n. 949 del 10.01.2024- (Cass. 13651/2006; nello stesso senso Cass. 15832/2011, Cass. 6502/1998);
satisfattivo della pretesa, ovvero che esso si riferisce a diverso titolo torna a carico del creditore.
Infatti “Il creditore che agisce per il pagamento ha l’onere di provare il titolo del suo diritto, non anche il mancato pagamento, giacché il pagamento integra un fatto estintivo (ndr. ex art. 2697, II comma cc), la cui prova incombe al debitore che l’eccepisca.
L’onere della prova torna a gravare sul creditore il quale, solo di fronte alla comprovata effettiva esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva, ossia puntualmente eseguito con riferimento a un determinato credito, controdeduca che il pagamento deve imputarsi ad un credito diverso da quello indicato dal debitore, fermo restando che, in caso di crediti di natura omogenea, la facoltà del debitore di indicare a quale debito debba imputarsi il pagamento va esercitata e si consuma all’atto del pagamento stesso, sicché una successiva dichiarazione di imputazione, fatta dal debitore senza l’adesione del creditore, è giuridicamente inefficace (cfr. anche Cass. n. 21512/2019). La convenuta opposta per suo conto ha diffusamente (e con ampio e specifico riscontro documentale) specificatamente, puntualmente e tempestivamente contestato11 –ex art. 115, I comma, ultima parte c.p.c.– quanto prospettato dalla controparte 11 Ai sensi dell’art. 115, comma I, c.p.c. “salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”.
L’ultimo inciso («fatti non specificamente contestati») approda nell’art. 115 cit. a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 18 giugno 2009 n. 69 la quale ha, di fatto, convalidato la giurisprudenza di Cassazione che, a partire dall’arresto a Sezioni Unite del 2002 (sentenza n. 761), ha affermato l’esistenza, nell’ordinamento processuale civile, di un onere di contestazione per le parti, legato ai fatti introdotti dall’altra:
conseguentemente, la “non contestazione” o la “contestazione generica” di fatti allegati dalla controparte vale quale relevatio ab onere probandi e produce effetti vincolanti per il giudice che deve “astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e deve, perciò, ritenerlo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti” (v. Cassazione civile , sez. III, 05 marzo 2009, n. 5356). Secondo un orientamento si tratterebbe di un principio «di diuturna applicazione nelle controversie civili, di importanza essenziale per non rendere impossibile o comunque eccessivamente difficile l’onere probatorio delle parti ed in ispecie dell’attore, per evitare il compimento di attività inutili e quindi realizzare esigenze di semplificazione e di economia processuale».
La ratio del principio di non contestazione, tenuto conto dell’architettura generale della legge 69/2009 e della dottrina suaccennata, va, dunque, ricercata nelle superiori esigenze di semplificazione del processo e di economia processuale, o anche, se si vuole, nella responsabilità o autoresponsabilità delle parti nell’allegazione dei fatti di causa.
Non deve ignorarsi, peraltro, che la Cassazione più recente non ha esitato a ritenerlo protetto da rilievo costituzionale, quale strumento per garantire un “giusto processo”.
In particolare, Cass. civ., sez. trib., 24 gennaio 2007 n. 1540 ha affermato che il c.d. “principio di non contestazione” ha anche una diretta incidenza sul principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost. “Questo non può essere inteso soltanto come monito acceleratorio rivolto al giudice in quanto soggetto del processo, ma soprattutto alle parti, che, specie nei processi dispositivi, devono responsabilmente collaborare alla ragionevole durata del processo, dando attuazione, per quanto in loro potere, al principio di economia processuale e perciò immediatamente delimitando, ove possibile, la materia realmente controversa”. Ciò, invero, trova riscontro in altro autorevole orientamento che, già a suo tempo, avvisava che «dinanzi al magistrato non si va per tacere ma bensì per parlare, per far conoscere le proprie ragioni e i torti dell’avversario con dichiarazioni precise, positive e pertinenti alla lite».
Per effetto dell’art. 115, comma I, c.p.c., dunque, nel ventaglio dei fatti introdotti nel giudizio, il giudice deve effettuare un distinguo:
vanno a confluire nel thema probandum, infatti, solo i fatti “bisognosi di prova”:
tali non sono i fatti non contestati che, in quanto ammessi, sono provati.
Il difetto di contestazione produce, quindi, un triplice effetto:
un effetto per chi doveva contestare (e non l’ha fatto), un effetto per il deducente (colui che allega il fatto non contestato), un effetto per il giudice.
Per la parte gravata dall’onere di contestazione, il principio comporta che i fatti allegati dalla parte avversaria (e non contestati o contestati genericamente) debbono essere considerati incontroversi e non richiedenti una specifica dimostrazione (si v. Cass. civ., sez. 2, sentenza n. 27596 del 20 novembre 2008, ove la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di accertamento dell’esistenza di una servitù di passaggio sul rilievo che gli attori non avevano allegato alcun fatto costitutivo del diritto stesso, senza tenere in adeguata considerazione che l’esistenza del diritto non era stata contestata dai convenuti e che l’unico oggetto del giudizio consisteva nello stabilirne l’estensione e le modalità di esercizio). Per il deducente: questo viene esonerato dall’onere della prova.
Per il giudice, questi ha l’obbligo di ritenere il fatto provato senza svolgere istruttoria al riguardo.
Per potersi assegnare alla contestazione un effettivo rilievo processuale devono, con essa, venire richiamate circostanze fattuali a tal fine pertinenti e significative:
deve, cioè, trattarsi di una contestazione «specifica», il cui fulcro, tuttavia, va delimitato e circoscritto in ragione del fatto allegato.
La contestazione deve, poi, essere “tempestiva” e tanto avviene quando essa interviene nella prima difesa utile (Cass. civ. 27 febbraio 2008 n. 5191; Cass. civ. 21 maggio 2008 n. 13079).
Va condivisa sul punto la motivazione data dalle Sez. Un. 761 del 23 gennaio 2002.
In detta decisione il Collegio Supremo spiega che il difetto di contestazione si coordina al potere di allegazione dei fatti e partecipa della sua natura, “sicchè simmetricamente soggiace agli stessi limiti apprestati per tale potere;
in altre parole, considerato che l’identificazione del tema decisionale dipende in pari misura dall’allegazione e dall’estensione delle relative contestazioni, attrice sicchè quest’ultima, anche in ossequio al generale principio dispositivo12 della prova, nemmeno potrebbe ritualmente valersi13 né giovarsi del conseguente esonero ovvero alleggerimento probatorio ai sensi ed agli effetti della norma appena sopra citata.
contestazione tardiva (vale a dire la contestazione successiva di un fatto originariamente incontestato), in quanto comportamento che può provenire esclusivamente dalla parte (che inizialmente non aveva contestato), può essere assimilata all’eccezione in senso stretto»:
conseguentemente, in considerazione di quanto previsto dall’art. 345, comma II, c.p.c. la contestazione successiva di fatti rimasti incontestati nel giudizio di primo grado deve ritenersi inammissibile in appello.
L’onere di contestazione, secondo la giurisprudenza anteriore alla legge 69/2009, involgeva solo i fatti cd. primari.
Altri autori erano critici quanto a tale distinzione ed affermavano che il regime differenziato tra valore della non contestazione dei fatti principali e valore della non contestazione dei fatti secondari non reggesse poiché la non contestazione «opera allo stesso modo sia riguardo ai fatti principali che riguardo ai fatti secondari» (v. al riguardo, comunque, Cass. 17 aprile 2002, n. 5526, Foro it. , 2002, I, 2017).
La novella del 2009 non ha recepito la distinzione poiché, pur potendolo fare, non ha tenuto distinti i “fatti costitutivi della domanda” dagli altri, discorrendo tout court di “fatti non contestati” (differentemente da quanto avviene per gli artt. 167 o 702-bis, comma IV, c.p.c.).
Ed, allora, deve ritenersi che la norma operi riguardo ad ogni fatto;
12 In tema di prova civile una circostanza dedotta da una parte può ritenersi pacifica se essa sia esplicitamente ammessa dalla controparte ovvero se questa -pur non contestandolo in modo specifico, abbia comunque improntato la propria difesa su circostanze ovvero argomentazioni incompatibili con il suo disconoscimento (cfr. Cassazione civile n. 23816/2010, 2699/2004 e da ultimo 10482/2001);
ancora nel vigente ordinamento processuale i fatti allegati da una delle parti vanno considerati i pacifici -e quindi possono essere posti a fondamento della decisione- quando siano stati esplicitamente ammessi dalla controparte oppure quando questa, pur non avendoli espressamente contestati, abbia tuttavia assunto una posizione e ricostruzione difensiva assolutamente del tutto incompatibile con la loro negazione, così implicitamente ammettendone l’esistenza (cfr. Cassazione civile n. 5488/2006);
la attuale normativa processualcivilistica, imponendo al convenuto l’onere di prendere posizione sui fatti costitutivi del diritto preteso dalla controparte considera la non contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio con effetti vincolanti per il Giudice il quale dovrà pertanto astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato dovendo pertanto ritenerlo sussistente e provato cfr, Cassazione civile 10031/2004.
Cfr. Cass. SSUU n. 11353/2004 i dati fattuali, interessanti sotto diverso profilo la domanda attrice, devono tutti essere esplicitati in modo esaustivo, o in quanto fondativi del diritto fatto valere in giudizio ovvero in quanto volti ad introdurre nel giudizio stesso circostanze di mera rilevanza istruttoria, non potendosi negare la necessaria circolarità, per quanto attiene al rito del lavoro, tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova;
circolarità affermata – come è opportuno ribadire ancora una volta – dal combinato disposto dell’art. 414, nn. 4 e 5, e dall’art. 416, 3° comma, c.p.c. (cfr. al riguardo Cassazione 5526/2002).
Il principio di non contestazione, invero, opera tra parti, entrambe presenti nel giudizio, in relazione a fatti che siano stati chiaramente esposti da una parte, e non siano stati contestati dalla controparte, che pure ne abbia avuto l’opportunità.
La parte che lo invochi, pertanto, in sede di impugnazione è gravata dell’onere di indicare specificamente in quale parte dell’incartamento processuale il fatto sia stato esposto, al fine di consentire al giudice di verificare la chiarezza dell’esposizione, e se la controparte abbia avuto occasione di replicare (Cass. n. 31619/2018).
Il principio di non contestazione, di matrice giurisprudenziale, e poi confluito all’intero dell’art. 115 c.p.c., costituisce un meccanismo di semplificazione processuale, per cui la parte gravata dall’onere della prova, in presenza della non contestazione della controparte, non deve provare i fatti costitutivi del proprio diritto (se attore) o quelli posti a fondamento delle proprie eccezioni (se convenuto).
Anche al processo tributario – caratterizzato, al pari di quello civile, dalla necessità della difesa tecnica e da un sistema di preclusioni, nonché dal rinvio alle norme del codice di procedura civile, in quanto compatibili – è applicabile il principio generale di non contestazione che informa il sistema processuale civile (con il relativo corollario del dovere del giudice di ritenere non bisognevoli di prova i fatti non espressamente contestati), il quale trova fondamento non solo negli artt. 167 e 416 cod. proc. civ., ma anche nel carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena, nella generale organizzazione per preclusioni successive, che caratterizza in misura maggiore o minore ogni sistema processuale, nel dovere di lealtà e di probità previsto dall’art. 88 cod. proc. civ., il quale impone alle parti di collaborare fin dall’inizio a circoscrivere la materia effettivamente controversa, e nel generale principio di economia che deve sempre informare il processo, soprattutto alla luce del novellato art. 111 Cost. Né assumono alcun rilievo, in contrario, le peculiarità del processo tributario, quali il carattere eminentemente documentale dell’istruttoria e l’inapplicabilità della disciplina dell’equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo (cfr. Cass.Civ., sez. 5, 24 gennaio 2007, n. 1540; più recentemente Cass.Civ., sez. 5, 18 maggio 2018, n. 12287, che lo limita, attesta l’indisponibilità dei diritti controversi, esclusivamente ai profili probatori del fatto non contestato e sempre che il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, non ritenga di escluderne l’esistenza; cfr. Cass. n. 23710/2018).
Da qui l’impossibilità di contestare o richiedere prova – oltre i termini preclusivi stabiliti dal codice di rito – su fatti non allegati nonché su circostanze che, pur configurandosi come presupposti o elementi condizionanti il diritto azionato, non siano stati esplicitati in modo espresso e specifico nel ricorso introduttivo del giudizio (cfr. in argomento tra le altre: Cassazione 2802/2003 cit.; 5526/2002 cit.; 15920/2000).
ai poteri istruttori del giudice del lavoro il carattere discrezionale, detti poteri – proprio perché funzionalizzati al contemperamento del principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale – non possono mai essere esercitati in modo arbitrario.
Ne consegue che il giudice – in ossequio a quanto prescritto dall’art. 134 c.p.c. ed al disposto di cui all’art. 111, 1° comma, Cost. sul “giusto processo regolato della legge” – deve esplicitare le ragioni per le quali reputa di far ricorso all’uso del poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta di una della parti, ritiene, invece, di non farvi ricorso (cfr. al riguardo tra le altre: Cassazione 8220/2003; 4180/2003; 6531/2003; 3026/1999; 310/1998).
Gli stessi poteri di ufficio del giudice in materia di ammissione dei mezzi di prova sono ad esercitare pur sempre con limitato riferimento ai fatti comunque allegate dalle parti oppure emersi nel processo a seguito di contraddittorio tra le parti stesse (Cassazione SSUU n. 8202/2005) con esclusione quindi di supplenze di eventuali decadenze o inerzie istruttorie;
Né –prima del presente giudizio– risulta essere mai prima stata in alcun modo stata contrastata ovvero contestata nel merito da parte attrice (vedi documentazione dalla stessa versata in atti) la intimazione alla restituzione del bene trasmessa alla ditta individuale via e-mail pec con data del 04/04/2024 …. conforme vds. Cass. III civ. 05.03.2009 n. 5356).
Più di recente, la Suprema Corte ha anche sancito che:
«l’attuale formulazione Alla luce di quanto sopra argomentato va respinta integralmente la opposizione proposta dalla parte attrice (ditta individuale di COGNOME NOME) avverso il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo emesso dal T.O. di Milano al n. 10612/2024 in data del 20- titolo giudiziale monitorio ad ogni effetto di legge ed anche per la definitiva efficacia esecutiva dello stesso.
In ragione dell’esito del giudizio e del principio della soccombenza le spese legali di lite e di procedura sono disciplinate come in dispositivo, cui in questa sede si rinvia tenuto conto del valore della causa e della applicazione di tutti i parametri di cui alla tabella del D.M. attualmente vigente.
Quanto sopra in premessa, in fatto, in diritto ed in motivazione14 il Tribunale Civile e Penale di Milano provvede come in dispositivo.
Ogni altra, ulteriore e diversa questione, in rito ed in merito15, deve ritenersi allo stato assorbita16.
14 Deve richiamarsi nel resto il principio di diritto ex Cass. SS.UU. n. 642/2015 secondo cui nel processo civile (ed anche in quello tributario in virtù di quanto disposto dal D Lgs 546/1992 art. 1 comma n. 2)
non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte (ovvero di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari) eventualmente senza nulla aggiungere ad esso, sempre che in tal modo risultino comunque attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata.
E’ inoltre da escludere che, alla stregua delle disposizioni contenute nel codice di rito civile e nella Costituzione, possa ritenersi sintomatico di un difetto di imparzialità del giudice il fatto che la motivazione di un provvedimento giurisdizionale sia, totalmente o parzialmente, costituita dalla copia dello scritto difensivo di una delle parti”.
Cfr. ratio espressa anche dalla pronunzia della Suprema Corte con. Sent. SS.UU. n. 642/2015 secondo cui non può trascurarsi la copiosa giurisprudenza secondo la quale la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132 cpc n. 4, e l’osservanza degli artt. 115 e 116 cpc non richiedono che il giudice del merito dia conto di tutte le prove dedotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente e necessario che egli esponga in maniera concisa gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della sua decisione (v. tra numerosissime Cass. 22801/2009), dovendo reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata (tra le moltissime v. Cass. nn. 17145 del 2006 e 2272/2007), nonchè la giurisprudenza secondo la quale anche la motivazione in forma sintetica è idonea a suffragare il convincimento in fatto, non costituendo vizio di omessa o insufficiente motivazione deducibile con ricorso per cassazione ai sensi dell’’art. 360 cpc n. 5, n. 5, la ridotta estensione della sentenza ed essendo sufficiente che nella motivazione del provvedimento risulti esplicitato, ancorchè sinteticamente, l’iter logico- giuridico seguito dal giudice per pervenire alla decisione (v. Cass. n. 15489 del 2007).
Peraltro, già nei decenni trascorsi la giurisprudenza di legittimità aveva dato una lettura informale e funzionale della sentenza, meglio, della sua motivazione, affermando, nell’ottica della semplificazione e dello “snellimento” del lavoro del giudice, pur senza sacrificare chiarezza e precisione, che non è viziata per omessa o insufficiente motivazione la sentenza stesa su modulo predisposto, quando questo sia stato utilizzato o adattato in maniera tale che la motivazione ne risulti aderente alla concretezza del caso deciso, con gli opportuni specifici riferimenti agli elementi di fatto che lo caratterizzano (v. anche Cass. 1570/1984 e 275/1995 e 24508/2006). 15 Cfr. art. 118, I comma ultima parte, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile; 16 Cfr. Suprema Corte di Cassazione sentenza n. 11547/2013 secondo cui la figura dell’assorbimento, che esclude il vizio di omessa pronuncia, ricorre, quando la decisione sulla domanda cd. assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, che con la pronuncia sulla domanda cd. assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, e, in senso improprio, come nel caso in esame, quando la decisione cd. assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande; non rientra tra le ipotesi di assorbimento la situazione in cui la decisione adottata non esclude la necessità, ne’ la possibilità di pronunciare sulle altre questioni prospettate dalla parte, la quale conserva interesse alla decisione sulle stesse (Cass. 7663/2012 e 264/2006).
Infatti, il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che richieda una pronuncia di accoglimento o di rigetto, e va escluso ove ricorrano gli estremi di una reiezione implicita o di un suo assorbimento in altre statuizioni.
Occorre in premessa ricordare che, per consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, il Giudice, nel motivare “concisamente” la sentenza secondo i dettami di cui all’art. 118 disp. att. cpc, non è tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le questioni sollevate dalle parti, ben potendosi limitare alla trattazione delle sole questioni, di fatto e di diritto, considerate rilevanti ai fini della decisione concretamente adottata.
Ne consegue che quelle residue, non trattate in modo esplicito, non devono essere ritenute come “omesse”, per effetto di “error in procedendo”, ben potendo esse risultare assorbite (ovvero superate) per incompatibilità logico- giuridica con quanto concretamente ritenuto provato.
Alla luce di quanto appena ricordato, si deve quindi precisare che la trattazione sarà in questa sede limitata all’approfondimento delle sole questioni rilevanti e dirimenti ai fini del decidere;
ritenendosi quindi assorbite tutte le altre eccezioni e questioni.
Ciò in applicazione del principio della cosiddetta ‘ragione più liquida’ desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., ulteriormente valorizzato e confermato dalla Suprema Corte (Cass. Civ. SSUU sentenza n. 24883/2008; Cass. Il Tribunale Civile e Penale di Milano, in composizione monocratica, nel procedimento al R.G. n. 35253/2024, definitivamente pronunziando nel contraddittorio tra le parti, così provvede e dispone:
-Respinge integralmente la opposizione proposta dalla parte attrice NOMERAGIONE_SOCIALECOGNOMERAGIONE_SOCIALE , titolare dell’omonima ditta RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, P.I. avverso il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo emesso dal T.O. di Milano al n. 10612/2024 in data del 20-29/07/2024 (al RG n. 19547/2024) e, per l’effetto, conferma integralmente il suddetto titolo giudiziale monitorio ad ogni effetto di legge ed anche ex art. 653, I comma, cpc per la definitiva efficacia esecutiva dello stesso;
-Disattende le altre domande ed eccezioni proposte e formulate dalle parti costituite non già qui espressamente accolte;
-Condanna parte attrice opposizione RAGIONE_SOCIALE. , titolare dell’omonima ditta RAGIONE_SOCIALE alla refusione, in favore della controparte, delle spese legali della presente procedura qui di seguito liquidate in complessivi €#6.898,00# per compensi professionali, oltre IVA e CPA nella misura di legge ed oltre la percentuale del 15% a titolo di rimborso dovuto per le spese forfettarie;
-Sentenza immediatamente esecutiva ex lege;
-La presente sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del Giudice per l’immediato deposito in Cancelleria.
-Manda alla Cancelleria per quanto di sua competenza.
Milano, così deciso il 15/04/2025.
Il Giudice Dott. NOME COGNOME C.RAGIONE_SOCIALE. C.F.
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?
Prenota un appuntamento.
La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.
Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.
Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.
Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.