REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE D’APPELLO DI PERUGIA
-SEZIONE LAVORO-
composta dai magistrati:
All’esito della camera di consiglio del giorno 15 settembre 2021 pubblicando il dispositivo ha emesso la seguente
SENTENZA n. 197/2021 pubblicata il 04/10/2021
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 220 dell’anno 2020 Ruolo Gen. Contenzioso Lav. Prev. Ass. promossa da
XXX S.A.S. (C.F.:),
– appellante – contro
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F., in persona del legale rappresentante pro – tempore, con sede in Roma, Via Ciro il Grande 21, che agisce in proprio e quale mandatario della Società di Cartolarizzazione dei Crediti INPS spa (SCCI spa), (CF), giusta mandato alle liti
– appellato –
ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI
INFORTUNI SUL LAVORO (I.N.A.I.L.), con Sede in Roma, Via IV Novembre 144, Partita IVA
– appellato –
AGENZIA DELLE ENTRATE- RISCOSSIONE, con sede legale in Roma alla Via G. Grezar n. 14, già rappresentata e difesa, dinanzi al Tribunale in primo grado dall’Avv.
appellata contumace
OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 246/2020 del Tribunale di Terni- giudice del lavoro
CONCLUSIONI DELLE PARTI Come ai rispettivi atti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La S.a.S. XXX si rivolse al giudice del lavoro di Terni, competente per territorio, dolendosi dell’avere appreso solo tramite estratto di ruolo rilasciato da Agenzia delle Entrate e riscossione di risultare debitrice della complessiva somma di €. 61.841,28 in forza di dieci diversi titoli, tra avvisi di addebito e cartelle esattoriali, nei confronti di INPS ed INAIL, assumendo di non avere mai ricevuto la notifica di alcuno di detti atti.
Per tale ragione convenendo in giudizio Agenzia delle entrate-riscossione, INPS, anche quale mandatario di SCCI, ed INAIL contestò il loro diritto ad agire per la riscossione coattiva eccependo la prescrizione e la mancanza di un valido titolo legittimante l’esecuzione sia per essere mancante la notifica, sia per la nullità di cui denunciava comunque essere affetti gli avvisi e le cartelle per mancata rispondenza ai principi di chiarezza e motivazione degli atti di cui all’art. 7 dello statuto del contribuente, oltre che per l’omessa applicazione del “ cumulo giuridico” delle sanzioni, in violazione dell’art. 12 D.Lvo n. 472/’97.
INPS si costituì preliminarmente eccependo il difetto di legittimazione passiva di SCCI, per non essere stato alcuno dei crediti dell’Istituto ceduto a SCCI.
Tanto INPS quanto INAIL- del pari costituitosi in giudizio- contestarono le doglianze dell’opponente allegando gli atti a dimostrazione della notifica corretta, idonea ad impedire la prescrizione.
Costituendosi in giudizio Agenzia delle entrate- riscossione ( di seguito, anche per brevità AER) allegò altresì la presentazione da parte dell’opponente di diverse richieste di rateazione presentate dalla debitrice, tutte rimaste prive di seguito da parte della stessa, a conferma della sua piena cognizione dei debiti, ma anche come prova dell’avvenuta interruzione del termine prescrizionale, valendo esse quali atti di ricognizione del debito.
Solo in sede di discussione, ovvero nelle note di trattazione autorizzate dal Tribunale in vista della disposta trattazione scritta della causa, l’opponente eccepì i vizi da cui dovevano intendersi affette le notifiche dei titoli, così come allegate e prodotte dalla controparti.
Nel definire il giudizio il Tribunale ha rilevato la tardività delle contestazioni attinenti i vizi di notifica mosse dalla difesa dell’opponente solo nelle note di trattazione, comunque procedendo a verificare la regolarità delle notifiche, di cui originariamente l’opponente aveva negato l’esistenza.
Ritenuta la regolarità della notifica di tutti i titoli in contestazione ha dichiarato inammissibile l’opposizione per la decadenza in cui era incorsa la debitrice per mancato rispetto del termine improrogabile di cui all’art. 24 D. L.vo n. 46/’99. L’eccezione di prescrizione, per la porzione che sarebbe maturata prima della emissione dei titoli e della loro notifica non era dunque proponibile, mentre la medesima eccezione era infondata quanto alla porzione temporale successiva alla notifica dal momento che quella più risalente era del 31 dicembre 2013, a fronte della successiva acquisizione dell’estratto di ruolo datato 27 dicembre 2017.
SCCI non era legittimata a resistere in giudizio- con la conseguente inammissibilità delle domande proposte anche nei suoi confronti dall’opponente- per non essere risultato ceduto alla società di cartolarizzazione alcuno dei crediti INPS in contestazione.
Compensate le spese processuali nel rapporto con SCCI, l’opponente è stata condannata a rifondere le spese processuali sostenute da ciascuna delle altre parti.
La soccombente XXX di *** ha proposto appello contro la sentenza così motivata articolando molteplici motivi di censura che possono sintetizzarsi come segue:
– Erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto corretta la notifica degli atti impositivi;
– Il Giudice di prime cure si sarebbe limitato a verificare la asserita regolare notificazione degli avvisi di addebito e delle cartelle esattoriali, senza valutare le ulteriori doglianze proposte in primo grado.
– Erroneità della sentenza nella parte in cui ha affermato che la consegna dell’estratto di ruolo interrompeva i termini prescrizionali;
– Omessa motivazione sulla liquidazione delle spese processuali poste a carico dell’opponente.
INPS ed INAIL si sono costituiti in giudizio contestando la fondatezza delle doglianze dell’appellante, ma prima ancora eccependo l’inammissibilità del motivo di impugnazione riguardante la verificata regolarità di notifica degli avvisi/ cartelle esattoriali per avere già nel giudizio di primo grado la parte articolato contestazioni sulla documentazione allegata dai resistenti a dimostrazione della avvenuta regolare notifica solo tardivamente, quindi inammissibilmente.
Nonostante rituale notifica dell’appello – effettuata entro l’anno dalla pronuncia presso il difensore della parte tramite PEC – AER non si è costituita in giudizio, restando contumace.
Con provvedimento organizzativo la Presidente della Sezione Lavoro ha disposto – ai sensi dell’art. 221 della legge 17 luglio 2020, n. 77, e s.m.i., la discussione della causa con le modalità della trattazione scritta, salva la facoltà di ciascuna parte di chiedere la discussione orale, entro cinque giorni dalla comunicazione del provvedimento.
Le parti costituite hanno depositato le note di trattazione, come previsto dall’art. 221 citato: la difesa dell’appellante ha chiesto termine per replicare alle difese avversarie.
Insussistenti le ragioni che avrebbero potuto giustificare un termine per note difensive, incompatibile con la concentrazione propria del rito speciale, a fronte di una già ben delineata prospettazione difensiva da parte dell’appellante, la causa è stata decisa all’ udienza “ cartolare” fissata, all’esito della camera di consiglio, con pubblicazione del dispositivo che ora si riproduce in calce.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La S.a.S. XXX ha agito in giudizio per accertare l’inesistenza del complessivo debito previdenziale, a suo dire scoperto solo con la consegna del ruolo esattoriale in quanto estinto per prescrizione, affermando che, non avendo mai ricevuto la notifica delle cartelle esattoriali e degli avvisi di addebito sottesi all’estratto di ruolo, tutti i contributi richiesti risulterebbero prescritti.
L’azione agita è dunque da ascriversi all’ipotesi prevista dall’art. 615 C.p.C., da qualificarsi quindi nei termini di opposizione all’esecuzione (non ancora iniziata), finalizzata a paralizzarne l’inizio.
A tal fine ha sostenuto l’opponente di non avere mai ricevuto notifica degli avvisi di addebito e cartelle esattoriali che risultavano elencate nel ruolo esattoriale di cui aveva chiesto il rilascio ad AER e che aveva ottenuto nel dicembre 2017.
Se ciò fosse la debitrice potrebbe di certo recuperare con tale azione il diritto di contestare la sussistenza dei crediti ( anche in ragione di possibili eventi estintivi, quale la prescrizione eccepita nel caso di specie) vantati da INPS ed INAIL e portati da quei titoli, per essere inapplicabile il termine perentorio di cui all’art. 24 D.L.vo n. 46/’99 decorrente dalla data di notifica della cartella ovvero dell’avviso di addebito.
Allo stesso modo la parte potrebbe contestare eventuali vizi formali dei titoli, laddove idonei ad inficiarne la validità ai fini esecutivi.
Se, al contrario, i titoli fossero stati notificati e la notifica fosse corretta, ovverosia rispettosa delle regole poste a garanzia della conoscibilità da parte del destinatario dell’atto notificato e della comprensibilità del suo contenuto, sarebbe preclusa al debitore ogni contestazione sulla sussistenza di quei crediti, conservandosi in capo al debitore stesso esclusivamente il diritto di eccepire fatti estintivi successivi, restando ormai inoppugnabile anche ogni eventuale vizio formale dell’atto notificato[1].
In ambito processuale, poi, dinanzi alla deduzione attorea della mancanza di ogni notificazione il giudice è chiamato a verificarne la corrispondenza al vero: trattandosi di fatto negativo, è onere dei creditori e del soggetto cui l’attività esattoriale è demandata, in quanto unici in possesso della documentazione, quello di fornire prova dell’avvenuta notifica.
La verifica giudiziale non può però limitarsi all’esistenza della notifica, negata dal debitore ricorrente, ma deve estendersi officiosamente alla sua regolarità proprio in ragione della funzione di garanzia cui assolvono le regole poste dal legislatore in tema di notifica: se l’atto è ritualmente notificato se ne assicura la conoscibilità da parte del destinatario(usando l’ordinaria diligenza), così che deve intendersi assicurato il suo diritto di difesa, esercitabile con l’opposizione di cui all’art. 24 D.Lvo n. 46/’99.
Tanto premesso, se è vero, nel caso di specie, che a fronte delle allegazioni e produzioni tempestive dai resistenti offerte al Tribunale circa la avvenuta notifica, pur contestata dalla ricorrente, dei titoli in discussione, la difesa della ricorrente nulla ebbe ad eccepire alla prima udienza utile, è altrettanto vero che correttamente il Tribunale, per quanto sopra chiarito, ha comunque ritenuto di motivare sulla regolarità delle notifiche che i resistenti avevano allegato e documentato.
A ciò consegue che la parte rimasta soccombente ben può contestare la pronuncia che abbia riscontrato la regolarità della notifica purchè si attenga alle motivazioni seguite dal primo giudice, senza cioè possibilità di sollevare rilievi diversi, fondati su fatti nuovi o già allegati in primo grado, ma tardivamente e non vagliati dal Tribunale.
Alla luce dei principi appena ricostruiti va esaminata l’impugnazione che propone l’appellante.
1 Con il primo motivo l’appellante eccepisce proprio l’erroneità della ritenuta regolarità della notifica dei titoli.
E’ pacifico in punto di fatto che dei dieci titoli controversi[2], elencati nel ruolo esattoriale rilasciato alla debitrice da parte di AER nel dicembre 2017, alcuni siano costituiti da avvisi di addebito INPS, altri da cartelle esattoriali sia per i crediti INPS più risalenti nel tempo, sia per l’unico credito INAIL e che, ancora, per una parte la notifica risulti documentalmente essere stata eseguita tramite invio per posta elettronica certificata (PEC), per altri tramite posta cartacea ordinaria.
Tramite PEC risultano notificati gli avvisi e le cartelle di cui ai numeri dal 3) al 10).
Il Tribunale ha rilevato che la modalità di trasmissione telematica delle cartelle esattoriali ( quindi anche degli avvisi di addebito che alla disciplina sulle cartelle esattoriali rimandano) è consentita dall’art. 26 DPR n. 602/’73 e che la prova della notifica telematica deve intendersi assolta mediante produzione della ricevuta di avvenuta consegna trasmessa dal gestore di posta elettronica, sino a prova contraria. Nel caso di specie i resistenti avevano fornito documentazione in formato analogico dell’avvenuto espletamento di tale procedura di invio, senza che la debitrice opponente avesse formulato alcuna contestazione: se ne doveva desumere la corrispondenza delle copie agli originali trasmessi in formato digitale.
Non aveva poi alcun fondamento la pretesa che gli atti notificati via PEC dovessero essere realizzati in formato P7M anziché nel formato PDF, anch’esso compreso tra i formati consentiti per qualificare un documento informatico. Non era nemmeno contestabile la riconducibilità degli atti ai soggetti che li avevano inviati per il solo fatto che l’indirizzo PEC del mittente non risultasse tra quelli contenuti nei pubblici elenchi, per non essere stata mai la paternità di quegli atti contestata dagli stessi soggetti che li avevano emessi, né posta in dubbio dalla stessa debitrice che aveva agito in giudizio convenendo proprio quei soggetti.
L’appellante afferma che l’invio di un atto tramite PEC non sarebbe idoneo a garantirne né l’autenticità, né la sua integrità. Per assicurare tali garanzie l’atto deve essere munito di attestato di conformità all’originale.
Solo l’estensione P7M permetterebbe l’apposizione della firma digitale, così da garantire la autenticità del documento, mentre la difformità dell’estensione ( cioè il diverso formato digitale adottato) non offrirebbe la medesima garanzia. Le stampe cartacee delle ricevute, se prive dell’attestazione di conformità apposta da un pubblico ufficiale sarebbero dunque prive di efficacia probatoria. Aggiunge altresì che la ricezione del documento nella cassetta della posta elettronica certificata non garantisce l’effettiva conoscenza dell’atto da parte del destinatario.
Sostiene poi, con il richiamo di giurisprudenza di alcune commissioni tributarie, che diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale sarebbe nulla la notifica della cartella esattoriale laddove provenga da un indirizzo PEC diverso da quello contenuto in pubblici elenchi, perché in tal caso il mittente non potrebbe ritenersi identificato.
Sono argomenti che vanno trattati unitariamente.
Merita al riguardo rammentare che l’ avviso di addebito proveniente dall’INPS, come prescritto dall’art. 30, comma 4 del DL. N. 78/2010 convertito in L. n. 122/2010 e’ notificato in via prioritaria tramite posta elettronica certificata all’indirizzo risultante dagli elenchi previsti dalla legge.
In generale poi la notifica delle cartelle esattoriali ( così come degli atti successivi tesi alla riscossione provenienti dall’agenzia delle entrate) è a sua volta disciplinata dall’art.26 DPR 602/73, il quale, nel testo originariamente in vigore disponeva, tra l’altro, quanto segue: “La notifica della cartella puo’ essere eseguita, con le modalita’ di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge. ”.
Successivamente tale forma di notifica è divenuta obbligatoria per alcune categorie di destinatari, in ragione delle modifiche apportate alla normativa sopra richiamata, dal D LGS 24 settembre 2015, n. 159 (in SO n.55, relativo alla G.U. 07/10/2015, n.233) che ha disposto (con l’art. 14, comma 1) la modifica dell’art. 26, comma 2.
Infatti a decorrere dal 22.10.2015 “La notifica della cartella puo’ essere eseguita, con le modalita’ di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge. Nel caso di imprese individuali o costituite in forma societaria, nonche’ di professionisti iscritti in albi o elenchi, la notifica avviene esclusivamente con tali modalita’, all’indirizzo risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI.-PEC).
Non contesta l’appellante ( né potrebbe più farlo, non avendo esercitato tale facoltà dinanzi al primo giudice nella prima difesa successiva alla costituzione dei convenuti) che al proprio indirizzo PEC siano stati consegnati gli atti allegati a ciascuna delle missive di notifica che tanto INPS, quanto AER hanno tempestivamente prodotto in formato cartaceo ( contenenti la riproduzione dei messaggi di consegna rilasciati dal gestore del servizio ).
Si tratta degli avvisi di addebito INPS e delle cartelle esattoriali avverso le quali ha proposto azione di accertamento negativo.
In caso di notificazione a mezzo PEC, una volta acquisita al processo la prova della sussistenza della ricevuta di avvenuta consegna, solo la concreta allegazione di una qualche disfunzionalità dei sistemi telematici potrebbe giustificare migliori verifiche sul piano informatico, con onere probatorio a carico del destinatario, in conformità ai principi già operanti in tema di notificazioni secondo i sistemi tradizionali e per cui, a fronte di un’apparenza di regolarità della dinamica comunicatoria, spetta al destinatario promuovere le contestazioni necessarie ed eventualmente fornire la prova di esse ( così Cass., sez. 2, n. 15001/2021).
Non può dunque l’appellante contestare che l’avvenuta consegna alla casella di posta sia insufficiente a garantire la conoscenza dell’atto.
Eccepisce per altro verso l’appellante che tali documenti, dichiaratamente allegati alle PEC in formato PDF e non in formato P7M e che quindi siano sprovvisti di firma digitale che ne attesterebbe l’autenticità.
Merita osservare che nessuno degli atti ( avvisi di addebito INPS, cartelle esattoriali per crediti INPS ed INAIL), oggetto delle rispettive notificazioni a mezzo PEC da parte di INPS ed AER, risulta un atto “ nativo digitale”. Non trattandosi di atti “nativi digitali” resta ultronea ogni argomentazione sulla necessità della loro sottoscrizione con firma digitale.
Nel caso in questione tanto INPS quanto AER hanno provveduto a inserire in allegato nel relativo messaggio di posta elettronica certificata un documento informatico creato in formato PDF (portable document format – cioè il noto formato di file usato per creare e trasmettere documenti, attraverso un software comunemente diffuso tra gli utenti telematici), mediante la copia dell’originario documento analogico.
Sembra dubitare l’appellante che, mancando la firma digitale sul file trasmesso in allegato al messaggio PEC, sia stata garantita la genuinità del documento informatico.
La lett. i-ter), dell’art. 1 del D. Lvo n. 82/2005 ( cosiddetto codice dell’amministrazione digitale CAD) definisce «copia per immagine su supporto informatico di documento analogico» «il documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico».
In generale per i documenti informatici vale quanto disposto dall’art. 20 del D. Lvo n. 82/2005 che stabilisce che “ Le regole tecniche per la formazione, per la trasmissione, la conservazione, la copia, la duplicazione, la riproduzione e la validazione dei documenti informatici, nonche’ quelle in materia di generazione, apposizione e verifica di qualsiasi tipo di firma elettronica, sono stabilite ai sensi dell’articolo 71.”
Con DPCM 13 novembre 2014 sono state dettate le regole tecniche.
Precisa l’art. 1 che il documento informatico può essere formato in varie modalità, tra le quali, oltre alla redazione tramite l’utilizzo di appositi strumenti software, anche l’ acquisizione di un documento informatico per via telematica o su supporto informatico e l’ acquisizione della copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico e l’ acquisizione della copia informatica di un documento analogico.
Differentemente da quanto ritenuto dall’appellante non esiste però alcuna norma (in tal senso infatti chiaramente Cass. sez. 5, n. 30948/2019) che imponga che la copia su supporto informatico di un documento analogico venga poi sottoscritta con firma digitale.
Secondo quanto, ancora, prevede l’art. 4 del DPCM contenente le regole tecniche “1. La copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico di cui all’art. 22, commi 2 e 3, del Codice e’ prodotta mediante processi e strumenti che assicurino che il documento informatico abbia contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui e’ tratto, previo raffronto dei documenti o attraverso certificazione di processo nei casi in cui siano adottate tecniche in grado di garantire la corrispondenza della forma e del contenuto dell’originale e della copia.
2. Fermo restando quanto previsto dall’art. 22, comma 3, del Codice, la copia per immagine di uno o piu’ documenti analogici puo’ essere sottoscritta con firma digitale o firma elettronica qualificata da chi effettua la copia.
E a sua volta l’art. 22 CAD (Copie informatiche di documenti analogici) stabilisce al comma 3: Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle regole tecniche di cui all’articolo 71 hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformita’ all’originale non e’ espressamente disconosciuta.
4. Le copie formate ai sensi dei commi 1, 2 e 3 sostituiscono ad ogni effetto di legge gli originali formati in origine su supporto analogico, e sono idonee ad assolvere gli obblighi di conservazione previsti dalla legge, salvo quanto stabilito dal comma 5.
Tirando le fila della ricostruzione normativa che precede, va escluso l’obbligo di apposizione di distinta firma digitale sulla copia informatica e la questione del formato con cui la copia è stata realizzata perde ogni rilevanza dal momento che l’appellante non ha mai disconosciuto ( tempestivamente) che la copia fosse conforme dall’originale analogico, diversamente sostenendo che il formato PDF non fornisca sufficiente garanzia di genuinità del documento informatico.
Ed, invece, il formato PDF è chiaramente riconosciuto dallo stesso DPCM tra i formati che “per le loro caratteristiche sono, al momento attuale, da ritenersi coerenti con le regole tecniche del documento informatico, del sistema di conservazione e del protocollo informatico” ( in tal senso l’allegato 2 al citato DPCM), ove viene definito PDF (Portable Document Format) il formato creato da Adobe nel 1993 che attualmente si basa sullo standard ISO 32000, concepito per rappresentare documenti complessi in modo indipendente dalle caratteristiche dell’ambiente di elaborazione del documento e che può essere firmato digitalmente in modalità nativa attraverso il formato ETSI PAdES. Il formato è stato ampliato in una serie di sotto-formati tra cui il PDF/A, quello, cioè individuato dall’estensione del file “ P7m”.
La questione della differenza tra formato PDF e P7m attiene alla certificazione della firma digitale apposta, ciò che resta irrilevante, come detto, nel caso di specie: questione peraltro sulla quale è recentemente intervenuta la Cassazione nel chiarire che le firme digitali di tipo “CAdES” e di tipo “PAdES” sono entrambe ammesse e equivalenti, sia pure con le differenti estensioni “.p7m” e “.pdf” ( Così Cass. n. 10266/2018).
Denuncia secondo un diverso ordine argomentativo la difesa dell’appellante che i messaggi inviati al proprio indirizzo PEC non siano provenuti da un indirizzo PEC – tanto dell’INPS, quanto dell’agenzia delle entrate riscossione – compresi tra quelli risultanti dai pubblici elenchi di cui all’art. 16 ter della L. n. 221/2012 con richiamo agli articoli 4 e 16 ( in sostanza gli elenchi IPA, REGINDE ed INIPEC) e che in quanto tali i messaggi sarebbero improduttivi di effetti.
In fatto è pacifico che la comunicazione degli avvisi di addebito INPS di cui ai numeri da 4) a 9) sia provenuta dall’indirizzo “INPSComunica@postacert.inps.it”; mentre le cartelle esattoriali da indirizzi quali:“notifica.umbria@cert.equitaliacentro.it, ovvero
“notifica.acc.umbria@pec.agenziariscossione.gov.it”, nessuno dei quali compreso nell’elenco INIPEC e nell’elenco INDICEPA o REGINDE.
Il DPR n. 68/2005 ( Regolamento recante disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata, a norma dell’articolo 27 della legge 16 gennaio 2003, n. 3 ) richiamato a sua volta dagli articoli 18 D. L.vo n. 46/’99, 49 e 26 DPR n. 602/’73, non contiene prescrizioni relative all’indirizzo di posta del mittente, in evidente coerenza con la finalità della disciplina, tesa a garantire, attraverso la specifica regolamentazione delle caratteristiche e delle modalita’ per l’erogazione e la fruizione di servizi di trasmissione tramite posta elettronica certificata, il buon fine delle comunicazioni e, dunque, l’effettiva conoscibilità da parte del destinatario dei documenti in tal modo trasmessi.
Ed, infatti, ( articolo 3)” Il documento informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore, e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all’indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore.”.
Per altro verso il già richiamato art. 26 del DPR n. 602/’73 nel disciplinare le notifiche da parte del concessionario del servizio di riscossione tanto delle cartelle esattoriali quanto ( art. 49) degli atti esecutivi e quelli all’esecuzione prodromici, specifica che “ la notifica della cartella puo’ essere eseguita, con le modalita’ di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005,n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), ovvero, per i soggetti che ne fanno richiesta, diversi da quelli obbligati ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nell’INI-PEC,all’indirizzo dichiarato all’atto della richiesta. In tali casi, si applicano le disposizioni dell’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.”.
Non vi è dunque nella norma alcuna specificazione con riguardo al soggetto che esegue la notifica a mezzo PEC.
Sostiene l’appellante che la medesima garanzia di certezza della casella di posta del destinatario debba riguardare anche la casella di posta del mittente, così da garantire che la missiva provenga con certezza da quel soggetto.
La tesi non è condivisibile.
Non può infatti sostenersi che non essendo rinvenibile nei pubblici elenchi l’indirizzo di posta PEC da cui risulta inviato un atto, sia rimasto incerto il soggetto che a tale notifica ha provveduto, ovvero, ancora, il soggetto che avrebbe emesso l’atto.
Ed infatti – certo che un ente pubblico possa avere a disposizione più caselle di posta certificata, sia per la ricezione, sia per l’invio dei messaggi di posta elettronica – ciò che deve ritenersi rilevante ai fini identificativi appare piuttosto essere il “dominio”, per tale intendendosi ( art. 1 D.P.R. n. 68/2005)” l’insieme di tutte e sole le caselle di posta elettronica certificata il cui indirizzo fa riferimento, nell’estensione, ad uno stesso dominio della rete Internet, definito secondo gli standard propri di tale rete.
Del resto ciascuno dei messaggi recapitati a mezzo PEC alla debitrice è chiaramente imputabile all’INPS ovvero alla società concessionaria del servizio di riscossione, ciò che esclude ogni dubbio.
Diverso, ad esempio, è il caso delle notifiche effettuate a norma dell’art. 3 bis della L. n. 53/’94 direttamente dal difensore.
A differenza dell’art. 26 citato, l’articolo 3 bis specifica espressamente, infatti, che “ la notificazione puo’ essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi.”.
Avendo il legislatore specificamente disposto in tale fattispecie anche con riguardo al mittente, il silenzio serbato nell’art. 26 citato appare allora significativo di una diversa intenzione.
In definitiva le doglianze che ha mosso l’appellante sulla motivazione seguita dal Tribunale con riguardo alla ritenuta regolarità delle notifiche eseguite tramite PEC sono dunque destituite di fondamento.
2 Con riguardo alle notifiche effettuate tramite posta ordinaria ( si tratta dei titoli di cui ai numeri 1) e 2) del ruolo esattoriale estratto dalla debitrice e contestato) il Tribunale ha rilevato come il plico fosse pervenuto all’indirizzo della sede dell’impresa e colà consegnato ad un addetto alla ricezione degli atti e che, pertanto, la notifica fosse valida.
L’appellante, per contro, sostiene la necessità dell’invio dell’avviso di notifica ( cosiddetto CAN), non risultando che il plico fosse stato consegnato ad un incaricato al ritiro.
Come sopra già ricordato, secondo quanto prevede l’articolo 26 del DPR n. 602/’73 la cartella e’ notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge, ma puo’ essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella e’ notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal secondo comma ( si tratta del destinatario o di persone di famiglia o addette alla casa, all’ufficio o all’azienda), o dal portiere dello stabile dove e’ l’abitazione, l’ufficio o l’azienda. In particolare, nei casi previsti dall’art. 140, del codice di procedura civile, la notificazione della cartella di pagamento si effettua con le modalita’ stabilite dall’art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e si ha per eseguita nel giorno successivo a quello in cui l’avviso del deposito e’ affisso nell’albo del comune.
Costituisce ormai principio consolidato ( Cass. sez. 5, n. 10131/2020) quello secondo cui, nell’ipotesi in cui si proceda alla notificazione diretta a mezzo posta della cartella esattoriale “trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle previste dalla L. n. 890 del 1982; pertanto, la disciplina relativa alla raccomandata con avviso di ricevimento, mediante la quale può essere notificato l’atto senza intermediazione dell’ufficiale giudiziario, è quella dettata dalle disposizioni concernenti il servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati, in quanto le disposizioni di cui alla legge 20 novembre 1982, n. 890, attengono esclusivamente alla notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario ex art. 140 cod. proc. civ.; ne consegue che, difettando apposite previsioni della disciplina postale, non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico e l’atto, pervenuto all’indirizzo del destinatario, deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 cod. civ., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 9111 del 06/06/2012, Rv. 622974).”.
Resta pertanto irrilevante che nel caso di specie accanto al nome della persona che ha sottoscritto per ricevuta la consegna di ciascuno degli avvisi di addebito, presso la sede legale della impresa, non sia riportata la qualifica in forza della quale tale ritiro sia avvenuto.
La giurisprudenza di legittimità invocata in senso contrario dall’appellante non appare poi calzante, essa riferita, piuttosto, a casi in cui la notifica era stata eseguita direttamente dall’ufficiale della riscossione.
3- Una volta confermata la correttezza della pronuncia di primo grado sulla ritualità delle notifiche dei titoli, come già chiarito in premessa la debitrice non può recuperare utilmente le contestazioni che avrebbe potuto sollevare avverso le cartelle esattoriali e gli avvisi di addebito nel termine di decadenza imposto dall’art. 24 D. L.vo n. 46/’99 e, quindi, né la eventuale prescrizione dei contributi previdenziali e premi INAIL che si fosse maturata prima della notifica dei titoli, ma neppure può utilmente denunciare la mancanza di “chiarezza e motivazione degli atti”, né contestare il regime sanzionatorio in relazione alla pretesa applicazione del “cumulo giuridico”.
Quanto poi alla doglianza riproposta relativamente all’applicazione dell’aggio e degli interessi sulle somme dovute per sorte, è appena il caso di rilevarne oltre all’evidente inammissibilità per le stesse ragioni appena dette, anche la sua evidente finalità esplorativa- come tale inammissibile- per essere rimasta la doglianza totalmente sfornita di allegazione se non con riguardo alle norme applicabili di cui, per converso, la parte non ha inteso offrire al confronto con le controparti, né al giudizio dell’Ufficio, un alternativo criterio di applicazione concreta, idonea a supportare la pretesa erroneità del computo indicato nei titoli opposti.
Ed il primo giudice, diversamente ancora da quanto pretende infondatamente l’appellante, non ha omesso illegittimamente alcuna pronuncia al riguardo di dette contestazioni, avendo invece correttamente rilevato, così come ora questo Collegio, che la valutazione di tali questioni restava preclusa dall’evidente tardività dell’opposizione conseguente alla verificata ( e qui confermata) validità delle notifiche dei titoli.
4 Resta allora da verificare se, ferma la regolarità della notifica dei titoli con effetto interruttivo della prescrizione quinquennale, la eccepita prescrizione si sia maturata successivamente.
In tal senso l’opposizione proposta resta ammissibile, per quanto chiarito in premessa, diversamente da quanto sembra evincersi dal dispositivo della sentenza impugnata, dichiarativo della inammissibilità dell’opposizione, senza distinzione alcuna.
Nel merito l’appellante denuncia l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha preso a riferimento temporale la data di acquisizione, presso agenzia delle entrate, del ruolo esattoriale, quale nuovo atto interruttivo della prescrizione.
Secondo il primo giudice, infatti, dalla più risalente nel tempo delle notifiche in contestazione ( 31 dicembre 2013: come tale non contestata)non erano decorsi ancora cinque anni quando la debitrice, nel dicembre 2017, acquisì l’estratto di ruolo.
Secondo l’appellante, al contrario, il rilascio dell’estratto di ruolo non può ritenersi atto valido ad interrompere il termine di prescrizione, non potendosi considerare comportamento equivalente alla comunicazione di una richiesta di adempimento.
L’argomento difensivo speso dall’appellante deve ritenersi astrattamente corretto ( in tal senso chiaramente Cass n. 3990/2018), ma non utile alla pretesa riforma della pronuncia.
Basta infatti osservare che l’azione volta a paralizzare l’esecuzione facendo valere la prescrizione, venne esercitata dalla debitrice con ricorso depositato il 2 marzo 2018: è dunque con riferimento a questa data che l’eccepita prescrizione doveva e deve ancora valutarsi perché dalla debitrice denunciata come ormai maturata: ed a tale diversa data la prescrizione – pacificamente quinquennale -non era del pari ancora maturata e la pretesa di estinzione per prescrizione era ( ed è, in ragione dei limiti del contendere) certamente da respingersi.
Sul punto la sentenza va dunque riformata parzialmente per essere la domanda di accertamento della prescrizione maturata dopo la notifica dei titoli ammissibile, ma infondata.
5 Da ultimo l’appellante si duole della liquidazione delle spese, non tanto con riferimento alla ripartizione- invero del tutto giustificata in ragione della soccombenza esclusiva della debitrice opponente – quanto piuttosto in relazione al criterio di liquidazione degli importi posti a carico dell’opponente e da rifondere alle controparti.
Nelle conclusioni dell’appello, invero, non è formulata alcuna domanda subordinata di riforma della sentenza in punto di spese: tanto già basterebbe a precludere l’esame della doglianza, invero comunque inaccoglibile per avere la parte omesso di individuare quale violazione degli specifici criteri tra quelli di cui al D.M. n. 55/2014 il Tribunale avrebbe commesso.
Ed al riguardo si osserva che, sebbene non espressamente citato dal Tribunale, proprio il D.M. n. 55/2014 ha del pari sicuramente costituito il criterio di riferimento per avere dichiaratamente la liquidazione avuto riguardo “ all’assenza di attività istruttoria e della semplicità delle questioni giuridiche affrontate”, criteri questi pacificamente ricompresi tra quelli elencati nel D.M. n. 55/2014 come cardini regolatori della liquidazione giudiziale.
6 La soccombenza dell’appellante importa la sua condanna alla refusione delle spese processuali sostenute per il grado dagli Istituti costituiti, mentre nulla deve pronunciarsi con riguardo ad AER, rimasta contumace.
La liquidazione, per ciascuno degli appellati costituiti, tiene conto , secondo i parametri del D.M. n. 55/2014, del relativo valore controverso e dell’attività defensionale effettivamente svolta.
Deve darsi atto, altresì, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, che l’appellante è tenuta a versare una seconda volta il contributo unificato, d’importo pari a quello già versato.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando sull’appello proposto avverso la sentenza n. 246/2020 del Tribunale di Terni, in parziale riforma della stessa, confermata la inammissibilità dell’opposizione proposta dalla società XXX di avverso le cartelle ed avvisi di addebito, respinge la domanda di accertamento dell’intervenuta prescrizione successiva.
Dichiara tenuta e condanna l’appellante a rifondere agli appellati costituiti le spese processuali sostenute per il grado, liquidate quanto ad INPS in €. 4.600,00, oltre rimborso spese generali ed ulteriori accessori di legge, quanto ad INAIL in €.1900,00,oltre rimborso spese generali, ed ulteriori accessori di legge.
Visto l’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto che l’appellante è tenuta a versare una seconda volta il contributo unificato, d’importo pari a quello già versato.
Perugia, così deciso all’esito della camera di consiglio del 15 settembre 2021
La Presidente
La consigliera est.
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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