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Nullità clausola c.m.s. e usurarietà interessi

La sentenza si pronuncia su nullità della clausola di commissione massimo scoperto per indeterminatezza, illegittimità addebiti per usura e ricalcolo del saldo del conto corrente. Viene applicata la normativa sulla trasparenza bancaria e sul tasso soglia.

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Pubblicato il 28 marzo 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile

R.G. 644/2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI FIRENZE seconda sezione civile in persona dei magistrati:

NOME COGNOME PresidenteNOME COGNOME Consigliere – NOME COGNOME Consigliere relatore ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._571_2025_- N._R.G._00000644_2022 DEL_26_03_2025 PUBBLICATA_IL_26_03_2025

nella causa civile di II grado tra (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. COGNOME appellante (C.F. , con il patrocinio dell’avv. COGNOME appellata Conclusioni per «in via istruttoria, insiste rispettosamente, visto la materia dibattuta e le problematiche contabili sottese a ciascun motivo di gravame, affinché sia ammessa CTU contabile nei termini formulati in atto C.F. C.F. parti in ragione delle considerazioni esposte nei motivi di gravame e tenuto conto delle osservazioni contabili svolte dalla nel giudizio di primo grado, richiamando, in denegata ipotesi di mancata rinnovazione dei lavori peritali, il CTU a chiarimenti in merito alle questioni oggetto dei motivi di gravame, con le conseguenti verifiche tecniche” precisa, in ogni caso, le conclusioni che qui si rassegnano con richiesta, qualora l’ecc.ma Corte non dovesse (in deprecata ipotesi) disporre la CTU assumendo dunque la causa a sentenza, di assegnazione dei termini di rito per il deposito degli atti conclusivi: “Voglia l’Ecc.ma Corte di Appello di Firenze, per i motivi tutti di gravame illustrati in atto di citazione in appello, respinta ogni contraria richiesta e domanda, anche in via incidentale:

— dichiarare la nullità della sentenza del Tribunale di Firenze n. 262/2022 per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., e, in riforma della stessa, rigettare tutte le pretese e domande della siccome inammissibili, prescritte, infondate in fatto ed in diritto e comunque non provate;

— in ogni caso, riformare integralmente la sentenza del Tribunale di Firenze n. 262 del 1° febbraio 2022 con conseguente rigetto di tutte le pretese e domande della siccome inammissibili, prescritte, infondate in fatto ed in diritto e comunque non provate;

— nella denegata ipotesi di rigetto del gravame della respingere l’appello incidentale perché inammissibile e infondato;

— in ogni caso, dichiarare l’inammissibilità per violazione dell’art. 345 c.p.c. del doc. III accluso alla comparsa di parte appellata, respingendo ogni domanda e istanza, anche istruttoria e incidentale;

— in via istruttoria, disporre CTU contabile volta ad accertare l’esatto e tenuto conto delle osservazioni contabili svolte dalla nel giudizio di primo grado, richiamando, in denegata ipotesi di mancata rinnovazione dei lavori peritali, il CTU a chiarimenti in merito alle questioni oggetto dei motivi di gravame, con le conseguenti verifiche tecniche.

Con vittoria di spese e competenze dei due gradi di giudizio”».

per «- dichiarare inammissibile e respingere l’impugnazione ex adverso proposta;

– in accoglimento dell’appello incidentale, condannare al pagamento dei richiesti interessi legali al tasso statale dalla data di messa in mora (22.12.2016) alla notifica della citazione di I grado e interessi legali ex art. 1284 comma 4 cc dalla notifica predetta fino al saldo;

– in via istruttoria, nulla da disporsi in via ulteriore;

– in subordine, ma solo ove occorrendo, chiamare il CTU a chiarimenti sulla soluzione adottata dal giudice di prime cure, come richiesto in via di ipotesi anche da parte appellante.

Con vittoria di spese di lite anche del grado di appello da distarsi ex art. 93 cpc».

Rilevato (nel prosieguo ) ha impugnato la sentenza n. 262 del 2022 del Tribunale di Firenze, con la quale, in conseguenza del parziale accoglimento delle domande proposte dalla società (nel prosieguo , è stata condannata a pagarle euro 85.815,60, quale importo dei versamenti da essa effettuati a fronte di correlativi addebiti operati dalla banca sul conto corrente ordinario n. 5252 – che godeva sia di “affidamento per apertura di credito” che per “anticipi fatture sbf” – ritenuti illegittimi in conseguenza dell’accertamento di usura in due trimestri e di nullità delle clausole contrattuali per interessi ultralegali, per commissione di massimo di prime cure ha invece respinto le domande relative al conto anticipi n. 5251, anch’esso affidato per “anticipo su fatture”, nonché l’eccezione di prescrizione sollevata da e la domanda di nullità dell’anatocismo. Quanto alla domanda di usurarietà degli addebiti, essa è stata accolta limitatamente al 4° trimestre 2014 e al 1° del 2015, considerando che si trattasse di usura originaria, per essere conseguita alle modifiche contrattuali unilateralmente poste in essere dalla banca ai sensi dell’art. 118 del d.lgs. n. 385 del 1993 (Testo unico bancario, nel prosieguo t.u.b.).

Il Tribunale ha inoltre ritenuto nulla la clausola relativa agli interessi ultralegali soltanto con riferimento all’«affidamento per anticipo fatture sul conto corrente 5252/00», dal 28 settembre 2009 al 30 giugno 2016, ricalcolando i relativi addebiti ai sensi dell’art. 117, comma 7, t.u.b.;

ha poi ritenuto nulla la pattuizione della c.m.s.

, per indeterminatezza, essendo prevista solo nella misura percentuale, difettando l’indicazione dei criteri e delle modalità di calcolo;

ha altresì rilevato la mancata pattuizione in forma scritta della c.d.f. e della c.i.v.

– eliminando i relativi addebiti – a eccezione della predetta c.d.f.

, di cui ha rilevato la stipula per iscritto, «per l’anticipo fatture solo dal 30/06/2012» e «per l’apertura di credito dal 12/06/2013»;

ha infine respinto l’eccezione di prescrizione sollevata da in ordine ai versamenti anteriori al 26 aprile 2006 – rilevando che avevano tutti natura ripristinatoria, essendo stati effettuati in momento in cui il passivo non superava il limite dell’affidamento – e ha altresì respinto la domanda di anatocismo, essendo stato pattuito per iscritto;

ha poi considerato che nessuna tra le quattro ipotesi di ricalcolo sviluppate dal c.t.u. fosse corretta, in quanto nessuna eliminava tutte e soltanto quelle voci dallo stesso considerate illegittime.

Rielaborando i risultati di tali ipotesi, ha comunque concluso che il saldo del conto corrente – che al momento dell’estinzione, il 14 ottobre 2016 era pari a zero – dovesse essere rideterminato in euro +85.815,60, a credito del correntista, somma al cui pagamento ha condannato Parte del principio di soccombenza.

Avverso tale decisione la ha interposto appello, facendo valere i seguenti motivi di censura, dei quali si riproduce la sintesi contenuta nell’atto di gravame:

1. «nullità della sentenza del Tribunale di Firenze per motivazione apparente avendo il Giudice erroneamente rettificato il saldo di conto corrente e disposto la ripetizione dell’indebito a seguito del malgoverno delle evidenze contabili fornite dal CTU»;

2. «erroneità della sentenza del Tribunale di Firenze nella parte in cui ha ritenuto di applicare le condizioni sostitutive di cui all’art. 117, comma 7 TUB all’affidamento per anticipo fatture 3. «erroneità della sentenza del Tribunale di Firenze nella parte in cui ha ritenuto di decurtare le CMS, CDF e CIV in sede di ricalcolo del rapporto dare/avere fra le parti»;

4. «erroneità della sentenza del Tribunale di Firenze nella parte in cui ha ritenuto configurabile l’usura in due trimestri dell’apertura di credito in lite, condannando la alla ripetizione dell’indebito»;

5. «erroneità della sentenza del Tribunale di Firenze nella parte in cui ha condannato la alla sanzione per mancata partecipazione alla mediazione senza giustificato motivo e alle spese di lite».

Si è costituito protestando l’infondatezza del gravame spiegando appello incidentale affidato all’unico motivo di doglianza, per «omessa pronuncia su istanza di rivalutazione ed interessi sulla somma riconosciuta a favore della società Con decreto presidenziale del 12 aprile 2022 è stata sospesa l’esecutività della sentenza di primo grado, provvedimento confermato dall’ordinanza collegiale del 14 giugno 2022.

All’esito dell’udienza del 26 novembre 2024 – sostituita ai sensi dell’art. Parte decisione con ordinanza del successivo 28 novembre, con la quale sono stati assegnati alle parti i termini massimi di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica.

Considerato 1. Occorre prendere le mosse dalla trattazione del quarto motivo dell’appello di – essendo logicamente pregiudiziale – con il quale essa lamenta che il Tribunale abbia erroneamente ritenuto usurari gli addebiti, in relazione all’apertura di credito sul contratto di conto corrente n. 5252 per il 4° trimestre 2014 ed il 1° del 2015.

Si contesta la metodologia utilizzata dal c.t.u., che contrasterebbe con quella stabilita nelle “Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi” della Banca d’Italia, in quanto:

a) sarebbe stato calcolato un unico tasso effettivo globale (t.e.g.), «senza operare alcuna distinzione degli affidamenti»;

b) «la linea di credito concessa a titolo di “anticipo su fatture” non rientra nell’ambito delle aperture di credito, bensì nell’ambito della categoria “Finanziamenti per anticipi su crediti e sconto di portafoglio commerciale”»;

c) il calcolo del t.e.g.

su tale linea di credito «avrebbe dovuto essere effettuato sui singoli anticipi risultanti dalla posizione di portafoglio e dal “prospetto di liquidazione interessi”», trattandosi di interessi che, «maturati a fronte delle eventuali anticipazioni richieste dal cliente» sono rendicontati da «documentazione diversa rispetto all’estratto conto del conto corrente ordinario», che gode di tassi «verosimilmente inferiori rispetto a quelli praticati sull’apertura di credito»;

d) nel calcolo del t.e.g.

dell’apertura di credito non avrebbero dovuto essere incluse «le spese di conto e le spese per conteggio interessi e competenze», non essendo oneri «strettamente connessi con l’affidamento di apertura di credito», ma pattuiti «nell’ambito del contratto di conto corrente e pagati dai clienti indipendentemente dalla natura degli interessi conteggiati debitori e/o creditori»;

e) non potrebbero essere considerati gli «interessi anatocistici»;

f) non dovrebbero essere considerate «le spese di gestione del conto» e quelle «per il conteggio delle competenze», non motivo infondato.

La tesi della banca, secondo cui il tasso-soglia non sarebbe stato superato, è infondata.

Anzitutto, quanto alla contestazione sub a), emerge alle pagg. 17 e 18 della relazione peritale che il c.t.u. non ha affatto calcolato un solo valore del t.e.g.

, ma l’ha correttamente differenziato in base alla tipologia di affidamento, per ogni trimestre di svolgimento del contratto, i cui calcoli sono analiticamente esposti nei prospetti contenuti negli allegati:

infatti, quanto al conto corrente ordinario CODICE_FISCALE, l’allegato n. 1 contiene la verifica effettuata con il t.e.g.

attinente all’affidamento per “apertura di credito” – sul quale, come detto, è stato rilevato il superamento del tasso-soglia – mentre quello n. 2 contiene i calcoli svolti con il t.e.g.

relativo all’affidamento per “anticipo fatture” – invece privo di usura – e, infine, l’allegato 3 attiene al conto corrente anticipi n. NUMERO_DOCUMENTO, anch’esso non usuario.

Parimenti va respinta la contestazione sub b).

Il c.t.u., correttamente, ha operato il raffronto del t.e.g.

del predetto affidamento per “apertura di credito” con il tasso-soglia indicato nei decreti ministeriali per la categoria “aperture di credito in conto corrente”, e quindi con la misura del 16,60% per il 4° trimestre 2014 e con quella del 16,463% per il 1° del 2015, rilevandone il superamento da parte del medesimo t.e.g.

(sempre allegato n. 1 alla relazione).

Invece, rispetto all’“affidamento per anticipo su fatture”, evocato da , il c.t.u. non ha «rilevato alcun superamento del TSU nei vari trimestri» (sempre pag. 18 della sua relazione).

Quanto poi alla tesi, formulata sub c), secondo cui il calcolo del t.e.g.

«avrebbe dovuto essere effettuato sui singoli anticipi risultanti dalla posizione di portafoglio e dal “prospetto di liquidazione interessi”», essa contrasta con le predette «Istruzioni» della Banca d’Italia che, nella versione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 200 del 29 agosto 2009, applicabile ratione temporis, nella tramite «aperture di credito in c/c», stabilisce che per importo erogato «si intende il saldo medio nel trimestre calcolato rapportando i numeri debitori (di cui al precedente punto C3) al numero di giorni effettivi del trimestre». Pertanto, è corretto il criterio cui si è attenuto il consulente.

Va respinta la contestazione sub d), e quella sostanzialmente coincidente, sub f).

Essendo corretta l’inclusione ai fini della determinazione del t.e.g.

, delle “spese”, indicate negli estratti conto.

Si tratta, infatti, degli addebiti di euro 500,00 per trimestre, per commissione disponibilità fondi che, lungi dall’essere spese qualificabili come “spese di conto/di gestione del conto” o “per conteggio interessi e competenze” – come variamente descritte da – sono chiaramente connesse al finanziamento in quanto annotate con dicitura «aperture di credito in conto corrente», negli estratti periodici prodotti dall’attore (a pag. 52 e a pag. 63 del relativo file telematico prodotto come doc. “1C” fasc. di primo grado). Il c.t.u. ha invece – e correttamente – escluso dal calcolo le ulteriori spese, pari a euro 266,00 nel 4° trimestre 2014 ed euro 138,00 nel 5° del 2015, esse sì per «operazioni assoggettare a spese di registrazione», le uniche qualificabili come «costi relativi all’utilizzazione di un mezzo di pagamento che permetta di effettuare pagamenti», sempre secondo le predette «Istruzioni» della Banca d’Italia.

Va poi rilevato, quanto alla contestazione sub e), che il c.t.u. ha giustamente considerato gli effetti dell’anatocismo.

Ciò in ossequio al principio di diritto secondo cui «n tema di usura, nei rapporti di credito regolati in conto corrente bancario, la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi – legittimamente concordata secondo quanto previsto dalla delibera CICR del 9 febbraio 2000 – deve essere inserita nel conto delle voci rilevanti ai fini della verifica del superamento del “tasso soglia”, poiché, anche se lecita, costituisce un costo del credito concesso» (Cass. n. 33964 del 2022, in massima;

successivamente confermata da Cass. n. 5282 del 2024, in motivazione, nonché da Cass. n. 8383 del 2024, in massima, e da Cass. n. 17994 del 2024, completezza va infine rilevato che non è stata fatta oggetto di censura la qualificazione dell’usura come originaria da parte del Tribunale, che ha espressamente escluso che si tratti di usura sopravvenuta, statuizione sulla quale è quindi sceso il giudicato.

Il motivo è quindi infondato.

2.

Con il secondo motivo d’appello, da trattare in via preliminare rispetto al primo, sostiene che il Tribunale avrebbe «fatto malgoverno dell’art. 117, comma 7, TUB nell’erroneo convincimento della mancanza di pattuizioni dell’affidamento anticipi fatture (dal 2009 al 2016)» relativamente al conto n. 5252.

Assume che «il Documento di sintesi», contenente le condizioni economiche del rapporto, «seppur privo di una autonoma sottoscrizione, era da ritenersi parte integrante del contratto poiché consegnato in pari data e allo stesso evidentemente collegato».

Tuttavia, il Tribunale avrebbe considerato pattuite le condizioni economiche soltanto in relazione al contratto di apertura di credito in conto corrente n. 5252.

Viceversa, non avrebbe ritenuto «che siffatto ragionamento fosse applicabile in relazione all’affidamento per anticipi fatture sul medesimo rapporto di conto corrente».

Rispetto a esso avrebbe invece erroneamente considerato che «le modalità di gestione degli anticipi fatture operate direttamente sul conto corrente ordinario rappresentano una forma gestionale indipendente e diversa rispetto a quella utilizzata precedentemente sul conto tecnico anticipi» e in conseguenza ricalcolato quanto dovuto per interessi ai sensi dell’art. 117, comma 7, t.u.b. Diversamente, avrebbe «dovuto riconoscersi valida applicazione alle condizioni economiche nell’intero periodo oggetto di causa (e dunque fino al giugno 2016) in quanto le condizioni medesime pattuite in sede di contratto del 26 aprile 2006 erano da ritenersi validamente operanti anche in relazione al contratto di affidamento per anticipi fatture nel periodo successivo al 28 settembre 2009 stante lo jus variandi per espressa approvazione ed accettazione della clausola (con duplice sottoscrizione) da parte della Parte Parte dalla documentazione contrattuale in atti come le parti, con riferimento al conto n. 5252, abbiano stipulato due distinti affidamenti, uno per “apertura di credito” e un altro per “anticipo fatture”, e abbiano pattuito il tasso debitore per entrambe. Mentre il Tribunale, aderendo alle considerazioni del c.t.u., ha rilevato la stipula delle condizioni economiche soltanto con riferimento all’affidamento per “apertura di conto” – contenute nel «contratto affidamenti in conto corrente» del 26 aprile 2006 (doc. 3 fasc. ) – ha viceversa trascurato la stipulazione di analoghe condizioni relativamente all’«anticipo fatture», quale emerge dal contratto «di conto anticipi salvo buon fine a tasso variabile» (doc. 5 ibidem), che, a pag. 1, rappresenta «le Condizioni Economiche e Generali che saranno applicate alle operazioni di anticipo», prevedendo che «le somme maturate sui rapporti di presentazione effetti all’incasso» sul conto n. 5252 saranno «accreditate sul Conto Anticipi Salvo Buon fine», come emerge dalla porzione del documento che di seguito si riproduce: Pertanto, la censura va accolta, dovendosi rideterminare il saldo del conto sul presupposto della validità delle predette condizioni economiche.

3. Con il terzo motivo di gravame – sempre preliminarmente rispetto al primo – lamenta che il Tribunale abbia «ritenuto non validamente pattuite le CMS, CDF e CIV decurtandole dalla ricostruzione del saldo».

Quanto alla c.m.s., avrebbe erroneamente ritenuto pattuizione indeterminata mentre avrebbe dovuto considerare che tale voce di costo fosse stata disciplinata «sia nella percentuale, sia nella base calcolo espressamente prevista (applicazione su parte garantita entro il limite di fido ovvero oltre determinati limiti), sia con riferimento alla periodicità (trimestrale)», come risulterebbe, tra l’altro, dal contratto del conto anticipi.

, in quanto «a titolo esemplificativo, la Commissione di Disponibilità Fondi (C.D.F.) era determinata nella misura del 0,350% sino al 30 giugno 2012 per poi essere applicata nella misura dello 0,500, con specificazione che “l’importo dovuto a titolo di C.D.F. è calcolato al termine di ogni trimestre solare, applicando la percentuale indicata a tale titolo alla media dell’ammontare complessivo delle aperture/linee di credito concesse al Cliente in essere durante il trimestre stesso, anche solo per parte di questo periodo e anche qualora tale ammontare complessivo sia stato utilizzato in tutto o in parte”». Sostiene inoltre che anche gli addebiti per c.i.v.

sarebbero legittimi, perché essa, «prevista dalla Delibera CICR 644 del 30 giugno 2012 ai fini dell’applicazione dell’art. 117 bis TUB», è stata introdotta, «come previsto dall’art. 5, 4° comma, con una modifica unilaterale inviata dalla alla clientela nel mese di luglio 2012».

E tale comunicazione avrebbe dovuto essere prodotta in giudizio da Infine, quest’ultima, sostiene , essendo una società di capitali, non potrebbe lamentare «alcun deficit cognitivo inerente all’applicazione e al calcolo di queste commissioni che hanno sempre trovato conferma dapprima negli estratti dei conti e poi nelle scritture contabili e nei bilanci» e avrebbero dovuto «essere verificate dai competenti uffici societari e/o dai sindaci».

Ne conseguirebbe «l’inammissibilità dell’azione in quanto esercitata in contrasto con il divieto di venire contra factum proprium».

Il motivo è infondato.

3.1.

Quanto all’eliminazione degli addebiti per c.m.s. , ne va rilevata la correttezza.

A tal proposito va rammento che, secondo la giurisprudenza di legittimità, «deve considerarsi nulla per indeterminatezza dell’oggetto la clausola che preveda la commissione di massimo scoperto indicandone semplicemente la misura percentuale, senza specificare modalità calcolo quantificazione della stessa, posto che, in tal caso, il correntista non è, invero, suddetta commissione alla banca.

Non è perciò legittima una clausola negoziale nella quale la commissione di massimo scoperto viene indicata unicamente mediante una determinata percentuale, senza alcun riferimento al valore sul quale dovesse essere calcolata tale percentuale» (Cass. n. 19825 del 2022, in motivazione;

nello stesso senso, ex aliis, Corte d’appello di Firenze n. 1799 del 2024, n. 329 del 2024, n. 2554 del 2023, n. 2471 del 2023 e n. 1288 del 2023).

Sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, «n tema di conto corrente bancario, non è nulla la clausola contrattuale che individui la commissione di massimo scoperto mediante la sola specificazione del tasso percentuale, senza alcun riferimento alla periodicità di calcolo, qualora detta periodicità sia comunque determinabile facendo corretto uso delle regole di interpretazione del contratto, avuto riguardo, in particolare, alla necessità di tener conto delle altre previsioni negoziali e di una interpretazione del testo compiuta secondo buona fede e in modo da valorizzare la comune volontà delle parti» (Cass. n. 1373 del 2024, in massima ; Corte d’appello di Firenze n. 17 del 2025 e n. 1799 del 2024).

Tanto premesso, la voce di costo in considerazione risulta pattuita nel contratto di apertura del conto n. 5252 (doc. 1 fasc. di primo grado nella parte che di seguito si riproduce:

Tale pattuizione è tuttavia indeterminata e quindi nulla.

Infatti, né dal documento contrattuale, né da altro tra quelli disponibili in atti è possibile desumere i criteri di individuazione della base di calcolo cui applicare la predetta percentuale, a differenza di quanto sostiene la banca, nella medesima clausola.

Tale tesi non può essere accolta trattandosi di una locuzione a sua volta indeterminata e contraddittoria in quanto, da un lato evoca l’importo il cui prelievo sarebbe appunto “garantito” al correntista – tuttavia senza specificare se vada inteso quale cifra massima del fido o la provvista ancora disponibile – dall’altro lato tale interpretazione è smentita dal fatto che il costo sarebbe applicabile anche per utilizzi extra fido, in cui non vi è alcuna “garanzia” di disponibilità della provvista.

Inoltre, rispetto agli eventuali sconfinamenti, non è indicato se il costo vada calcolato sulla misura totale del passivo o solo sull’eccedenza rispetto al limite dello stesso fido.

Pertanto, la pattuizione è stata correttamente considerata indeterminata dal Tribunale.

3.2.

Anche l’eliminazione degli addebiti per c.d.f. , ancora dal conto ordinario n. 5252, è corretta.

Come rilevato dal c.t.u. essa, con riferimento all’“affidamento per anticipo fatture, è stata pattuita” con la «modifica consensuale di condizioni economiche» (doc. 8 fasc. di primo grado ).

Il documento indica l’applicabilità di tale voce di costo «con decorrenza primo giorno del trimestre solare in corso», tuttavia senza indicare quando tale stipula è avvenuta, risultando quindi impossibile definire a quale periodo essa si riferisca, non essendo ciò nemmeno indicato dalla banca.

invece applicabile successivamente al 30 giungo 2012, data dalla quale, nello stesso contratto di modifica, tale costo è convenuto «nella misura dello 0,500%».

Analogamente, con riferimento all’“affidamento per apertura di credito”, tale commissione è stata pattuita per la prima volta con la «modifica consensuale di condizioni economiche» del 12 giugno 2013, nella quale è indicata la data di decorrenza del 1° luglio 2013 e la misura dello 0,50%.

Il c.t.u. si è attenuto a tali criteri nell’elaborazione dei suoi calcoli, risultando quindi corretta la decisone del Tribunale, che sul punto vi ha.3.

Parimenti, è esente da censure l’eliminazione degli addebiti per c.i.v.

La tesi della banca, secondo cui essa sarebbe stata legittimamente introdotta con comunicazione unilaterale, va disattesa.

Effettivamente, l’art. 5, comma 4, del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, del 30 giugno 2012, n. 644 – emanato in qualità di presidente del C.i.c.r.

– stabilisce che:

« contratti in corso al 1° luglio 2012 sono adeguati entro il l° ottobre 2012 con l’introduzione di clausole conformi all’articolo 117- bis del TUB e al presente decreto, ai sensi dell’articolo 118 del TUB.

L’adeguamento dei contratti a quanto previsto ai sensi dell’articolo 117-bis del TUB e del presente decreto costituisce giustificato motivo ai sensi dell’articolo 118 del TUB».

Tuttavia, avrebbe dovuto produrre tale comunicazione.

Ciò in quanto ai sensi dell’art. 2697 c.c. «hi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda».

Infatti, sin dalla citazione in primo grado, a pag. 8, ha asserito di nulla dovere per c.i.v.

in quanto mai pattuita per iscritto.

A fronte di tale specifica allegazione – documentalmente provata dalla produzione dei contratti disponibili in atti – sarebbe stato onere della banca contrastare la prospettazione attorea producendo detta comunicazione, a supporto della propria eccezione, a dimostrazione del consenso su tale voce di costo secondo la modalità di formazione tacito dell’accordo disciplinata dall’art. 118 t.u.b. Lungi dal fare ciò, la banca, nella propria comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado, a pag. 8, si è genericamente limitata ad asserire di aver «avuto premura di pattuire e comunicare alla CLIENTE tutte le condizioni economiche applicate». Pertanto, il motivo va respinto. .

In conseguenza dell’accoglimento del secondo motivo di gravame, come detto, va rideterminato il saldo del conto corrente n. 5252, considerando legittimi gli addebiti per interessi anche relativamente all’“affidamento per anticipo fatture”, eliminati dal Tribunale.

Risultano invece illegittimi – in conseguenza del rigetto del terzo motivo di appello – quelli per c.m.s., per c.d.f.

relativi allo stesso affidamento – fino al 30 giugno 2012 – e quelli per la stessa voce di costo, rispetto all’affidamento per apertura di credito – fino al 12 giugno 2013 – nonché le c.i.v. per tutto il periodo di svolgimento del rapporto;

parimenti illegittimi – in conseguenza del rigetto del quarto motivo di appello – risultano tutti gli addebiti effettuati nel 4° trimestre 2014 e nel 5° del 2015 per usura.

Risulta quindi corretto il ricalcolo effettuato dal c.t.u. nell’ipotesi n. 2, sviluppata secondo i predetti criteri, a pag. 22 della relazione peritale.

Pertanto, il saldo del conto n. 5252, che alla data del 14 ottobre 2016, risultava pari a zero, va rideterminato in euro +23.397,10, a credito del correntista, al cui pagamento va condannata Alla stregua di tali considerazioni, risulta fondato anche il primo motivo d’appello di , con il quale lamenta che il Tribunale, invece di aderire a una delle ipotesi di ricalcolo del saldo da egli elaborate, avrebbe operato un «collage» delle stesse così addivenendo a una diversa rideterminazione, tuttavia errata.

La banca sostiene che le quattro ipotesi di ricostruzione del saldo sviluppate dal c.t.u., consistendo nell’«elaborazione dati fra loro interconnessi», non possano «essere “sforbiciate” nelle sole parti di interesse perché ciascuna rappresenta, un unicum inscindibile» e, quindi, l’operazione posta in essere dal Tribunale, di “sottrazione” dal saldo attinente dell’ipotesi n. 4, della differenza dei saldi risultanti dalle ipotesi n. 3 e n. 2, condurrebbe inevitabilmente «ad un risultato contabile sbagliato», in quanto «l’applicazione di tassi di interesse diversi o l’espunzione di interessi illegittimamente addebitati produce un effetto di “trascinamento” su tutti i giornalieri successivi che non viene però quantificato ove si proceda per differenza tra saldi calcolati con i criteri di cui alle note ipotesi». All’accoglimento del secondo motivo di gravame, infatti, consegue la rideterminazione del saldo, non alla stregua del risultato elaborato dal giudice di prime cure ma, come detto, della seconda ipotesi di ricalcolo sviluppata dal c.t.u. 5. Va invece rilevato l’assorbimento dell’eccezione sollevata da inammissibilità del “doc. III” prodotto da in appello, contenente “Osservazioni tecniche” del c.t.p. di dirette a supportare il ricalcolo del saldo operato dal giudice di primo grado.

6.

Relativamente al quinto motivo d’appello, contesta la sanzione per mancata partecipazione alla mediazione senza giustificato motivo, irrogata dal Tribunale, e la condanna alle spese di lite.

6.1.

Il motivo è infondato relativamente alla predetta sanzione.

Il Tribunale ha correttamente applicato l’art. 8, comma 4-bis del decreto legislativo n. 28 del 2010, che, nella versione ratione temporis applicabile, prevedeva che «l giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5 , non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio»;

condanna non subordinata all’accoglimento delle pretese attoree, e che quindi va confermata.

Secondo la giurisprudenza di legittimità si tratta di un «potere officioso che deve essere esercitato obbligatoriamente — l’espressione “condanna” non lascia spazio a dubbi in proposito — in presenza della condizione legittimante individuata dalla norma:

e cioè della mancata partecipazione al procedimento senza giustificato motivo» (Cass. n. 2030 del 2018).

può essere considerato “giustificato motivo” la convinzione, dalla banca espressa con la propria missiva del 23 giugno 2023 all’organismo di conciliazione, secondo cui le doglienze prospettate in sede stragiudiziale dal correntista erano infondate (doc. 15 fasc. di primo grado).

A tal proposto, oltre a doversi rilevare il parziale accoglimento delle medesime doglianze all’esito del presente giudizio – circostanza che sarebbe di per sé sufficiente a condurre al rigetto della tesi della banca – va altresì considerato che, secondo il tenore letterale del citato l’art. 8, comma 4-bis, la sanzione della condanna al versamento di una somma corrispondente all’importo dovuto per il contributo unificato, in conseguenza della mancata partecipazione alla mediazione, prescinde dalla soccombenza e l’unico motivo idoneo a giustificare tale condotta è quello consistente in ostacoli oggettivi, non potendosi risolvere in una valutazione rimessa alla parte sulla fondatezza della altrui pretesa, dato che in tal modo si finirebbe inevitabilmente per frustrare la funzione deflattiva insita nell’obbligatorietà della mediazione. 7.2

Il motivo di gravame è viceversa assorbito nella parte in cui contesta la condanna all’integrale rifusione delle spese di lite, dovendosi procedere a nuova liquidazione all’esito dell’accoglimento dell’appello, come si dirà.

7. Va infine trattato l’unico motivo dell’appello incidentale proposto da che lamenta l’omessa pronuncia del giudice di prime cure sulla propria domanda di condanna anche alla «rivalutazione ed interessi dalla data del dovuto al saldo».

Quanto agli interessi, sostiene che, «non avendo le parti determinato la misura, il saggio degli interessi legali è pari, dalla messa in mora (avvenuta il 22.12.2016 ) sino alla proposizione della domanda, alla misura legale statale e, dal momento in cui stata proposta domanda giudiziale, nella misura legale prevista, per richiamo al dlgs. 231/02, dall’art. 1284, comma 4, cc».

Il motivo è fondato nei limiti che seguono.

primo luogo, va respinta l’eccezione di inammissibilità sollevata da , non trattandosi di domanda nuova, come da essa sostenuto, avendo l’attore avanzato tale pretesa accessoria con la prima memoria ex art. 183 c.p.c. (pag. 5).

Quanto alla condanna al pagamento degli interessi, va rilevato che l’art. 2033 c.c. prevede che «hi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato.

Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda».

Ha chiarito la Corte di cassazione che, «n materia di indebito oggettivo, la buona fede dell’“accipiens”, rilevante ai fini della decorrenza degli interessi dal giorno della domanda, va intesa in senso soggettivo, quale ignoranza dell’effettiva situazione giuridica, derivante da un errore di fatto o di diritto, anche dipendente da colpa grave, non trovando applicazione l’art. 1147, comma 2, c.c., relativo alla buona fede nel possesso, sicché, essendo essa presunta per principio generale, grava sul “solvens”, che intenda conseguire gli interessi dal giorno del pagamento, l’onere di dimostrare la malafede dell’“accipiens” all’atto della ricezione della somma non dovuta, quale consapevolezza della insussistenza di un suo diritto a conseguirla» (Cass. n. 23448 del 2020, in massima). Detta malafede va esclusa, non essendo stata nemmeno allegata dalla correntista, prima ancora che provata.

Inoltre, secondo la giurisprudenza di legittimità, «n tema di ripetizione dell’indebito oggettivo, ai fini del decorso degli interessi sulla somma oggetto di restituzione, l’espressione dal giorno della “domanda”, contenuta nell’art. 2033 c.c., non va intesa come riferita esclusivamente alla domanda giudiziale, ma comprende anche gli atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora ai sensi dell’art. 1219 c.c.» (Cass., sez un., n. 15895 del 2019, in massima, e messa in mora è avvenuta con la missiva inviata il 22 dicembre 2016, come attestato dalla ricevuta prodotta dal sistema di posta elettronica certificata (doc. 4, fasc. di primo grado Occorre altresì considerare che, secondo la Corte regolatrice, «gli interessi – contrariamente a quanto avviene nell’ipotesi di somma di danaro dovuta a titolo di risarcimento del danno di cui essi integrano una componente necessaria – hanno fondamento autonomo rispetto al debito al quale accedono, sicché gli stessi, siano corrispettivi, compensativi o moratori, possono essere attribuiti, in applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., soltanto su espressa domanda della parte (Cass. 18292/2016; Cass. 4423/2004; Cass. 1913/2000).

Ove la parte non specifichi la natura degli accessori richiesti, si presumono domandati gli interessi corrispettivi, che sono dovuti indipendentemente dalla mora e dall’inadempimento, essendo fondati su presupposti diversi da quelli che giustificano l’attribuzione degli interessi di mora (Cass. 10884/2007)» (Cass. n. 36659 del 2021, in motivazione).

Pertanto, ha diritto agli interessi corrispettivi a decorrere dal 22 dicembre 2016 e sino al saldo – avendo genericamente domandato gli «interessi dalla data del dovuto» nella prima memoria ex art. 183 c.p.c. e nelle proprie conclusioni di primo grado – in misura pari allo 0,01%, come risultano convenuti nella più recente pattuizione, ossia nella «modifica consensuale di condizioni economiche» del 12 giugno 2013 (doc. 10 fasc. di primo grado ), nella parte che di seguito si riproduce:

Non possono invece essere riconosciuti al correntista gli interessi maggiorati ai sensi dell’art. 1284, comma 4, c.c., secondo il quale, «se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali».

Nel caso in esame tali interessi maggiorati sono stati chiesti per la prima volta in appello, circostanza che rende inammissibile la domanda ai sensi dell’art. 345 c.p.c. Ciò in quanto, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, «componendo un contrasto di giurisprudenza precedentemente manifestatosi nella giurisprudenza di questa corte, le sezioni unite, con sentenza 11 marzo 1996, n. 1955, dopo attenta esegesi dell’art. 345 c.p.c, hanno chiarito come debba considerarsi inammissibile la domanda con cui la parte chieda per la prima volta in appello l’attribuzione di interessi non richiesti in primo grado. Infatti la ratio della citata disposizione, nella parte in cui eccezionalmente deroga al divieto di domande nuove in appello, è basata su profili equitativi e di economia dei giudizi, consentendosi così al creditore la possibilità di evitare ulteriori spese per la proposizione di una nuova causa per gli interessi ed i danni sorti dopo la sentenza di primo grado.

Ma una tale ratio postula pur sempre una necessaria continuità tra domande di primo e di secondo grado.

Intanto, cioè, può ritenersi ammissibile la deroga al divieto dei nova in appello, coerentemente con la ratio giustificativa di tale deroga, in quanto non si tratti di una domanda totalmente nuova, bensì di una domanda relativa a fatti sopravvenuti, che si siano verificati dopo la sentenza impugnata e che trovino perciò ingresso in appello quale naturale sviluppo logico e cronologico di richieste già proposte in primo grado.

La deroga è dunque consentita unicamente con riferimento ad interessi che, per motivi cronologici, non avrebbero potuto esser precedentemente richiesti, ma solo in quanto si tratti di un aggiornamento e di una prosecuzione di richieste già formulate in primo grado, con un mutamento quantitativo, ma non qualitativo, del petitum altrimenti immutabile in sede di gravame (Cass. n. 2469 del 2003; nello stesso senso, Cass. n. 2331 del 2006 e Cass. n. 1529 del 2015).

Pertanto, come detto, va riconosciuta a la debenza degli interessi corrispettivi nella misura dello 0,01%, a decorrere dal 22 dicembre 2016 e sino al saldo, dovendosi escludere quella prevista dall’art. 1284, comma 4, c.c. Va parimenti esclusa la rivalutazione monetaria.

La giurisprudenza di legittimità in tema di ripetizione dell’indebito – sia pur da risoluzione – ha affermato che «le restituzioni non ineriscono ad un’obbligazione risarcitoria, derivando dal venir meno, per effetto della pronuncia costitutiva di risoluzione, della causa delle reciproche obbligazioni, e, quando attengono a somme di danaro, danno luogo a debiti non di valore, ma di valuta, non soggetti a rivalutazione monetaria, se non nei termini del maggior danno rispetto a quello ristorato con gli interessi legali di cui all’art. 1224 c.c. che va, peraltro, provato dal richiedente» (Cass. n. 14289 del 2018, in massima; analogamente, Cass. n. 5639 del 2014).

Maggior danno non allegato e tantomeno dimostrato.

La censura, in tali limiti, va quindi accolta.

8.

Quanto alle spese di lite, si rammenta che «l giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base a un criterio unitario e globale» (Cass. n. 5890 del 2022, in motivazione, e Cass. n. 23877 del 2021, in motivazione). Sempre in tema di spese processuali, va inoltre considerato che «l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, c.p.c.» (Cass., sez. un., n. 32061 del 2022, in massima). Nel caso in esame ha proposto la domanda di accertamento del dare-avere tra le parti e di condanna al pagamento del relativo credito, articolata in vari capi, in relazione a ogni voce di costo contestata.

Sono risultate fondate quelle relative alla c.m.s. , alla c.d.f. relativamente all’“affidamento per anticipo fatture” – fino al 30 giugno 2012 – quelle per la stessa voce di costo attinenti all’affidamento per “apertura di credito” – fino al 12 giugno 2013 – e le c.i.v. per tutto il periodo di svolgimento del rapporto;

parimenti illegittimi

sono risultati tutti gli addebiti effettuati nel 4° trimestre 2014 e nel 5° del 2015, per usura.

Sono invece state respinte le domande di accertamento della nullità sia della pattuizione del tasso di interesse per mancanza di forma scritta, che dell’anatocismo, entrambe proposte in primo grado, sia tutte quelle attinenti al conto n. 5251.

Pertanto, va compensata la metà delle spese di lite, dovendosi riconoscere il diritto di alla rifusione della restante metà per entrambi i gradi di giudizio, al cui pagamento va condannata per importo che si liquida nel dispositivo, nella misura ante-compensazione, secondo i parametri medi dello scaglione di riferimento (euro 5.201,00 – euro 26.000,00), stante il valore complessivo del riaccredito, pari a euro +23.397,10, esclusa la fase istruttoria/trattazione, non effettivamente tenutasi in appello.

Vanno invece poste a carico di le spese di c.t.u., il cui espletamento è stato necessario per il ricalcolo del saldo del conto, in conseguenza all’accoglimento dei capi della domanda, proposta dagli attori, relativi alle predette voci di costo invalidamente pattuite.

L’intestata Corte d’appello, definitivamente pronunciando, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto da.

262 del 2022 del Tribunale di Firenze, e in parziale riforma della stessa sentenza, ogni diversa domanda, eccezione e conclusione disattesa, così provvede:

1. ridetermina la condanna a carico di a favore di nel minor importo di euro 23.397,10, oltre interessi come in motivazione;

2. condanna a rifondere a metà delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio – compensata la restante metà – liquidate complessivamente (ossia, ante-compensazione) in euro 5.077,00 per compensi e in euro 786,00 per esborsi, quanto al giudizio di primo grado, e in euro 3.966,00 per compensi e in euro 1.138,50 per esborsi, quanto a quello d’appello, oltre, per entrambi i gradi, rimborso forfettario e trattamento tributario e previdenziale di spettanza;

importi da distrarsi in favore dell’avv. NOME COGNOME dichiaratasi antistataria;

3. pone le spese di c.t.u. integralmente a carico di Così deciso nella camera di consiglio della seconda sezione civile, in data 14 marzo 2025.

Il Consigliere relatore/estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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