REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI Sezione civile composta dai magistrati dott.ssa NOME COGNOME Presidente dott.ssa NOME COGNOME Consigliere dott. NOME COGNOME Consigliere relatore ha pronunziato la seguente
SENTENZA N._129_2025_- N._R.G._00000105_2021 DEL_03_04_2025 PUBBLICATA_IL_03_04_2025
nella causa iscritta al numero 105 del Ruolo Generale dell’anno 2021 promossa da:
, con sede in Oristano, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Cagliari, presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale allegata al ricorso ex art. 702 bis c.p.c. introduttivo del giudizio di primo grado;
appellante contro ), con sede in Cagliari, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Cagliari.
presso l’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e lo difende per procura generale alle liti del 2.9.2013, in atti;
appellata La causa è stata decisa sulle seguenti nell’interesse dell’appellante:
“Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, ogni contraria azione, domanda, eccezione e difesa disattesa, in riforma della sentenza n. 444/20202 (RG 1204/2017) emessa dal Tribunale di Oristano pubblicata il 23.10.2020 e non notificata, accogliere le conclusioni formulate nel primo grado di giudizio e pertanto:
Voglia, ogni contraria azione, eccezione e conclusione disattesa:
1. accertare e dichiarare che tra le parti non è intercorsa una valida pattuizione regolamentante gli interessi passivi, gli interessi anatocistici, le commissioni e le spese;
1.1.
accertare e dichiarare la nullità dell’art. 7, comma secondo, del contratto di apertura del rapporto di conto corrente per violazione dell’art. 1283 c.c.;
1.2.
accertare e dichiarare la nullità o comunque l’inefficacia dell’art. 7, comma terzo, del contratto di apertura di conto corrente nella parte in cui determina il tasso debitore con un generico rinvio agli “usi su piazza”;
1.3. accertare e dichiarare che tra le parti non è intercorsa alcuna pattuizione regolamentante le commissioni e le spese o comunque accertare e dichiarare la nullità, dell’art. 7 comma primo, per violazione dell’art. 1346 c.c., nella parte in cui richiama “commissioni” e “spese” senza tuttavia determinarle o indicare i criteri per la loro determinazione;
1.4.
accertare e dichiarare privo di efficacia l’art. 16 del contratto di apertura per violazione dell’art. 118 Tub, in quanto privo di specifica sottoscrizione;
2. dichiarare l’illegittimità ed erroneità del saldo portato negli estratti di conto bancari fino all’attualità in quanto basati su clausole contrattuali nulle o comunque inefficaci, o per essere dipeso dall’annotazione a debito di poste illegittime o non pattuite, essendo provata l’applicazione negli e/c prodotti della clausola anatocistica, di interessi ultralegali pur facendo il contratto riferimento ai c.d. “usi su piazza, di commissioni e spese non determinate e pattuite e quindi l’annotazione a debito di interessi, commissioni e spese non pattuite per l’effetto dei quali il saldo portato dall’ultimo e/c in atti è erroneo, non saldo per il correntista dopo ogni operazione e stabilire di volta in volta i rapporti di dare/ avere tra le parti; Con condanna dell’appellata al rimborso delle spese di lite da distrarsi a favore dello scrivente avvocato quale antistatario di entrambi i gradi di giudizio”.
nell’interesse dell’appellata:
“piaccia all’Ecc.ma Corte d’Appello adita, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, 1) dichiarare inammissibile e comunque rigettare l’avversa impugnazione, confermando per l’effetto la sentenza impugnata;
2) in ogni caso mandare assolto l’appellato da ogni avversa pretesa.
Con vittoria di spese e competenze”.
Fatti di causa Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. depositato in data 2.8.2017, la convenne in giudizio davanti al Tribunale di Oristano il esponendo:
– che tra le parti era intercorrente dal 30.11.1982 un rapporto di conto corrente ordinario identificato con il n. 18838/00, ancora in essere al momento della domanda giudiziale;
– che il contratto era stato stipulato per iscritto e che le condizioni economiche erano regolate dall’art. 7 delle “norme che regolano i conti correnti di corrispondenza e servizi connessi” del seguente tenore:
“i rapporti dare e avere vengono chiusi contabilmente, in via normale a fine dicembre di ogni anno portando in conto gli interessi e le commissioni nella misura stabilita, nonché le spese postali, telegrafiche e simili e le spese di tenuta e chiusura del conto ed ogni eventuale altra, con valuta data di regolamento.
I conti che risultino, anche saltuariamente, debitori vengono invece chiusi contabilmente, in via normale trimestralmente e cioè a fine marzo, giugno, settembre e dicembre di ogni anno, applicando agli interessi e competenze di chiusura valuta data di regolamento del conto.
Gli interessi dovuti dal Correntista all’azienda di credito, salvo patto diverso, si intendono determinati alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, e seguenti:
a) quella di determinazione degli interessi corrispettivi mediante il richiamo agli usi su piazza, in violazione dell’art. 1284, comma 3, c.c.;
b) quella di capitalizzazione degli interessi, in violazione dell’art. 1283 c.c.;
c) quella di applicazione spese e commissioni e spese senza previa determinazione e senza causa, in violazione dell’art. 1346 c.c.;
d) quella che riconosceva la facoltà per la banca di modificare le condizioni che regolavano il rapporto di conto corrente, in violazione dell’art. 118 t.u.b. L’attrice concluse, pertanto, per la declaratoria della sussistenza di clausole nulle regolanti il rapporto di conto corrente e per l’accertamento dell’illegittimità ed erroneità del saldo del conto corrente così come risultante dagli estratti conto della banca, proprio in quanto frutto dell’applicazione di clausole nulle o comunque inefficaci.
In via subordinata e nel solo caso in cui la banca avesse depositato gli e/c dall’apertura del rapporto al 31/12/2001 (erano stati prodotti, infatti, gli estratti conto dal 2001 al 2016) l’attrice chiese l’accertamento del saldo effettivo del conto corrente alla data dell’ultimo e/c in atti, ossia depurato dagli effetti dell’applicazione delle clausole nulle e con applicazione delle condizioni di legge.
Si costituì tempestivamente in giudizio il eccependo il difetto di interesse della società attrice alla proposizione delle domande spiegate in giudizio, essendo stato il contratto di conto corrente, cui le medesime si riferivano, immediatamente sostituito da altro contratto sottoscritto appena ventuno giorni dopo, ossia in data 21.12.1982, secondo quanto risultava da una nota inviata dalla correntista all’istituto di credito in data 14.05.2015, data in cui furono rinegoziate le condizioni contrattuali.
Pertanto – a dire della convenuta – il rapporto di conto corrente non era stato regolato dal contratto del 30.11.1982, bensì da quello del 21.12.1982, non allegato, né tantomeno prodotto dalla società attrice.
La banca eccepì anche l’improponibilità della domanda con chiese apprezzamenti sugli stessi”.
In ogni caso, qualora si fosse ritenuto di dover procedere ad accertamento del saldo, la banca eccepì anche la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito in relazione a tutti i pagamenti, asseritamente non dovuti, in assunto effettuati dall’attrice in data anteriore al 29.11.2007.
Nel merito resistette alle domande invocandone il rigetto.
Mutato il rito da sommario a ordinario, istruita la causa con sole produzioni documentali, il Tribunale di Oristano con sentenza n. 444/2020 del 23.10.2020 così dispose:
“Definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione:
1) dichiara l’inammissibilità per difetto di interesse delle domande spiegate in giudizio nell’interesse della società attrice;
2) condanna l’attrice in persona del legale rappresentante pro tempore, alla rifusione delle spese processuali in favore della convenuta che liquida in complessivi euro 3.500,00, interamente per compensi professionali, oltre C.p.a. e I.v.a. come per legge e spese generali nella misura del 15%”.
Avverso la predetta sentenza ha interposto tempestivo appello la chiedendone la riforma sulla base, in sostanza, di due motivi.
Si è costituito in giudizio il per resistere all’impugnazione ed invocarne l’inammissibilità e comunque l’integrale rigetto.
La causa, senza ulteriore istruzione rispetto al giudizio di primo grado, è stata trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito degli scritti difensivi finali;
successivamente è stata rimessa in lettura per la necessità di sostituire il consigliere relatore nelle more collocato fuori ruolo ed è stata nuovamente trattenuta in decisione, con rinuncia delle parti a nuovi termini per conclusionali e repliche.
Ragioni della decisione specifica dei motivi di appello, pur non agevole sempre un percorso logico e coerente di confutazione degli specifici temi trattati nella sentenza impugnata, è comunque ricavabile dal contenuto complessivo dell’atto di impugnazione, sicché deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata ai sensi dell’art. 342 c.p.c., in quanto l’atto introduttivo del presente giudizio consente comunque di individuare – come poi si dirà – le modifiche richieste con riferimento alle parti della sentenza impugnata ed alle ragioni delle doglianze assunte (cfr. Cass. S.U., n. 36481/2022: “gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata”; cfr. anche Cass. civ. n. 13535/18; Cass. civ. n. 27199/17), tant’è che la banca appellata si è difesa compiutamente (con ben 25 pagine di comparsa) in ordine a tutti i profili di doglianza dedotti.
Con un primo motivo l’appellante ha censurato la decisione di primo grado nella parte in cui ha ritenuto inammissibili le proprie domande di accertamento della nullità delle clausole di cui all’art. 7 del contratto di conto corrente n. 18838 del 30.11.1982 sul rilievo che il rapporto di conto sarebbe stato regolato da altro contratto del 21.12.1982, il cui contenuto era rimasto sconosciuto in quanto non prodotto dalla parte attrice sulla quale ricadeva il relativo onere probatorio, ma la cui esistenza sarebbe stata comunque provata in forza di una nota sottoscritta dalla società correntista in data 14.5.2015, da qualificarsi che da quella data le parti avevano inteso rinegoziare le clausole regolatrici del rapporto di conto già esistente e fino a quel momento, appunto, regolato in forza del contratto del 21.12.1982. A sostegno del motivo l’appellante ha rilevato in sintesi:
– l’erronea ripartizione dell’onere probatorio effettuata dal Tribunale di Oristano, il quale avrebbe dovuto ritenere gravata la banca convenuta dall’onere di produrre in giudizio, se esistente, il contratto del 21.12.1982 al fine di accertarne il contenuto e la validità delle pattuizioni, ove difformi da quello prodotto in atti del 30.11.1982;
– l’inconferenza del richiamo all’istituto della confessione in relazione alla nota del 14.5.2015 nella parte in cui si indicava come data del contratto di conto corrente quella del 21.12.1982 (verosimilmente essa era la data di ricezione della copia del contratto del 30.11.1982 sottoscritta anche dal cliente o la data in cui il cliente aveva ricevuto la copia del contratto del 30.11.1982, in quanto doveva ritenersi improbabile che le parti avessero mutato le condizioni contrattuali dopo appena 21 giorni dall’apertura del conto), giacché tale elemento non risultava decisivo per escludere l’interesse ad accertare la sussistenza delle plurime clausole nulle applicate al rapporto di conto e derivanti all’applicazione del citato art. 7. Con un secondo motivo l’appellante ha censurato la decisione del Tribunale di ritenere di per sé inammissibile, in presenza di un rapporto corrente ancora in essere, la domanda volta all’accertamento e alla declaratoria di erroneità del saldo del conto così come risultante dalle scritture contabili della banca una volta accertata la regolazione del rapporto con clausole nulle. A sostegno di tale motivo di gravame la ha evidenziato come sussista un interesse giuridicamente rilevante a tale accertamento e declaratoria atteso che al momento della chiusura del rapporto la banca non potrà pretendere il saldo di cui agli estratti conto, da ritenersi meramente apparente e non reale e dovrà, se del caso, ricalcolare il saldo delle clausole nulle.
I motivi, che possono essere trattati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati per le ragioni di seguito esposte.
Occorre richiamare preliminarmente le regole generali sul riparto dell’onere probatorio codificate nell’art. 2697 c.c., secondo il quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento e chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti o che il diritto si sia modificato o estinto deve provare i fatti sui quali tale eccezione si fonda.
Ebbene nel caso di specie la attrice in primo grado, ha allegato e provato in causa:
a) che tra essa e il era intercorrente dal 30.11.1982 un contratto di conto corrente distinto al n. 18838/00 momento di proposizione della domanda giudiziale nell’anno 2017;
b) che tale contratto era stato stipulato per iscritto e che le condizioni economiche erano regolate dall’art. 7 delle “norme che regolano i conti correnti di corrispondenza e i servizi connessi adottate dalle Aziende di credito italiane sotto gli auspici dell’Associazione Bancaria Italiana”.
Su tali basi l’attrice ha poi domandato l’accertamento della nullità di talune pattuizioni contenute nell’art. 7, le quali avevano necessariamente determinato un saldo (nella specie debitore, come si evinceva dagli estratti conto in atti relativi al periodo dal 2001 al 2016) viziato dall’applicazione al rapporto delle clausole nulle.
A fronte di tali allegazioni, supportate da prova documentale, la banca ha eccepito che il rapporto di conto corrente, pacificamente esistente fra le parti dal 1982, era regolato da altro e diverso contratto stipulato tra le parti in data 21.12.1982 (ossia appena 21 giorni dopo quello prodotto dalla correntista), che tuttavia non è mai stato prodotto in atti dalla banca e successivamente dalle nuove pattuizioni del 14.5.2015, queste regolarmente prodotte in atti e sulla cui validità non sussistono dubbi di sorta, né l’attrice ha mai eccepito in forza di una nota della società correntista dello stesso 14.5.2015 con la quale si dava atto che in quella data era stato stipulato un nuovo contratto regolante il rapporto di conto corrente e che tale contratto sostituiva “quello sottoscritto precedentemente in data 21.12.1982” e a tale dichiarazione è stata attribuita valenza di confessione stragiudiziale. Questa Corte non condivide la prospettazione della banca fatta propria dal Tribunale di Oristano.
Si deve, infatti, escludere in primo luogo che sia conferente nel caso di specie l’istituto della confessione di cui agli artt. 2730 e ss. c.c. La confessione, infatti, è una dichiarazione della parte circa la verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte e ha efficacia di prova legale, ossia sottratta al prudente apprezzamento del giudice, quando è compiuta in giudizio oppure è fatta stragiudizialmente alla controparte.
Affinché però una dichiarazione possa avere valenza confessoria è anche necessario che il dichiarante abbia non solo la capacità di disporre del diritto a cui i fatti confessati si riferiscono (come richiesto dall’art. 2731 c.c.), ma anche che egli sia pienamente consapevole di ammettere un fatto a sé sfavorevole e favorevole alla controparte e che decida di compiere volontariamente tale dichiarazione (cfr. Cass. civ. S.U. n. 7381/2013:
“una dichiarazione è qualificabile come confessione ove sussistano un elemento soggettivo, consistente nella consapevolezza e volontà di ammettere e riconoscere la verità di un fatto a sé sfavorevole e favorevole all’altra parte, ed un elemento oggettivo, che si ha qualora dall’ammissione del fatto obiettivo, il quale forma oggetto della confessione escludente qualsiasi contestazione sul punto, derivi un concreto pregiudizio all’interesse del dichiarante e, al contempo, un corrispondente vantaggio nei confronti del destinatario della dichiarazione”). Nel caso di specie la dichiarazione del 14.5.2015 non può avere alcun valore confessorio in ordine alla data esatta di sottoscrizione del contratto bancario in quanto con essa la favorevole al ma si è limitata ad indicare, avuto riguardo al tenore complessivo della dichiarazione, una circostanza (la data esatta di stipulazione del contratto di conto corrente del 1982) del tutto neutra in quanto ciò che rilevava in quella sede era la volontà di specificare che il rapporto di conto corrente, per il quale era stato siglato lo stesso 14.5.2015 un nuovo contratto, doveva intendersi lo stesso identico rapporto in vigore tra le parti dal 1982, senza che dalla stipulazione del nuovo contratto si potessero far discendere effetti novativi (si è affermato, infatti, nel documento che la nuova pattuizione non implicava novazione ai sensi degli artt. 1230 e ss. del precedente rapporto). Inoltre, a ben valutare la documentazione prodotta dalla banca stessa, poiché la dichiarazione di cui si tratta è precisato che facesse “parte integrante” del nuovo contratto del 14.5.2015, al quale essa era allegata ed anzi costituiva la premessa del testo contrattuale, non può sfuggire come i caratteri grafici e il tenore della dichiarazione siano esattamente identici al testo contrattuale, predisposto secondo uno schema standard dalla banca stessa, sicché a ben vedere anche il testo della dichiarazione fatta sottoscrivere alla correntista è con tutta evidenza predisposto dalla banca stessa (si veda il doc. 3 di parte appellata) ed è quindi alla banca che si deve imputare l’indicazione della data del contratto del 1982. In ogni caso, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, sussistono plurimi elementi per ritenere che il contratto del 1982 al quale fa riferimento la banca nella propria difesa sia il medesimo contratto del 30.11.1982 prodotto dalla società correntista o comunque che le pattuizioni censurate in causa fossero esattamente le medesime di un eventuale altro contratto.
Depongono in tal senso i seguenti elementi:
– è del tutto inverosimile che le parti, senza che sia stato nemmeno allegato alcuno specifico motivo (ad esempio la concessione di un fido per un certo importo, o la stipulazione di altro contratto bancario regolato in conto corrente) siano addivenute alla stipula di un nuovo contratto dopo appena venti giorni correntista aveva ricevuto per posta il contratto datato 30.11.1982, ovvero ben potrebbe essere la data in cui la correntista ha materialmente sottoscritto il predetto contratto (d’altronde la copia prodotta in atti è sottoscritta dal solo funzionario della banca); – poiché il contratto prodotto in atti operava un mero richiamo alle condizioni generali di contratto di conto corrente predisposte dall’ABI e adottate in via generale dal può ragionevolmente presumere, in difetto di specifiche allegazioni da parte della banca, che anche la asserita successiva pattuizione avvenuta venti giorni dopo facesse applicazione delle norme che l’istituto di credito in quel momento utilizzava per regolare nella generalità dei casi gli ordinari contratti di conto corrente (d’altronde, nel silenzio serbato dalle parti, a norma dell’art. 1341 c.c. le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti hanno efficacia nei confronti dell’altro, qualora quest’ultimo le conosca o potesse conoscerle con l’ordinaria diligenza e così è nel caso di specie, in cui la conosceva in ogni caso le condizioni generali in forza del negozio del 30.11.1982). In conclusione:
la banca ha eccepito l’esistenza di un altro contratto del 1982 stipulato per iscritto che avrebbe previsto condizioni differenti rispetto a quello originario in ordine al tasso di interesse, alla capitalizzazione, alle commissioni e alle spese e aveva l’onere di provare l’esistenza di tale contratto e la validità delle sue eventuali specifiche clausole attraverso la sua produzione in giudizio.
Ciò la banca non ha fatto, essendosi limitata alla produzione del solo contratto di modifica delle condizioni del 2015, sicché non ha assolto l’onere della prova su di essa gravante secondo l’art. 2697 c.c.
Di conseguenza, si deve accertare che il rapporto di conto corrente per cui è causa è stato regolato, per ciò che qui interessa, dall’apertura del conto e fino al 14.5.2015 dalle clausole di cui all’art. 7 delle condizioni generali richiamate e allegate al contratto scritto datato 30.11.1982 e si deve affermare che la società correntista ha un interesse giuridicamente rilevante, concreto ed caso, necessariamente essere depurato dalle poste contabili conseguenti all’applicazione delle clausole dichiarate nulle. Sussiste pertanto, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, anche un interesse giuridicamente rilevante, diretto, concreto, attuale della società correntista, il cui conto corrente sia ancora aperto (o lo fosse comunque al momento della domanda giudiziale), ad un accertamento espresso circa la non correttezza del saldo del conto corrente come risultante dalle scritture contabili della banca, proprio in quanto saldo formatosi con l’applicazione di clausole eventualmente da dichiararsi nulle.
In tal caso, infatti, alla chiusura del rapporto l’istituto di credito al fine di richiedere l’eventuale saldo passivo dovrà prima depurare le risultanze contabili da tutte le poste conseguenti all’applicazione di clausole nulle, ovvero in difetto, ossia qualora ciò non venga fatto o non sia più possibile alla banca ricostruire l’intero andamento del rapporto dalla sua apertura alla chiusura, nulla potrà essere preteso dal correntista.
L’accoglimento dei motivi di impugnazione comporta il vaglio delle domande proposte dalla in ordine all’accertamento delle nullità negoziali e al conseguente accertamento circa la correttezza del saldo del conto risultante dagli estratti conto predisposti dalla banca, espressamente richiamate nell’atto di appello.
a) La domanda volta all’accertamento della nullità della clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale o annuale degli interessi è fondata e deve essere accolta.
L’art. 7 del contratto del 1982 prevedeva la capitalizzazione annuale per gli interessi in condizioni di saldo attivo, nonché la capitalizzazione trimestrale per gli interessi a debito, in presenza di un saldo debitore per la correntista.
La disciplina da applicarsi al contratto in esame è quella previgente all’entrata in vigore dell’art. 120 TUB, come modificato dal d.lgs. n. 342 del 4.8.1999 – avvenuta in data 19.10.1999 e comunque con efficacia dalla data di vigenza della delibera CICR 6.2.2000 della pratica che ha previsto la capitalizzazione degli interessi in violazione della disposizione di cui all’art.1283 c.c. Al riguardo è sufficiente richiamare, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., i precedenti conformi costituiti dal noto, ed oramai consolidato, orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ. nn. 2374/99, 3096/99, 3845/99, 12507/99, 4490/02, 8442/02, 2593/03 e S.U. 21095/04; Cass civ. nn.4093, 4094 e 4095/05; n.870/06 ed inoltre ribadito da S.U. 2.12.2010 n. 24418) secondo cui la pratica della capitalizzazione periodica degli interessi debitori, in quanto comporta la produzione di interessi su interessi, è illegittima ai sensi dell’art.1283 c.c. con la conseguenza che per i contratti in essere (come quello in esame) prima della entrata in vigore della deliberazione del CICR del 9.2.2000, in vigore dal 22.4.2000, la convenuta non ha diritto a percepire interessi maturati su altri interessi a prescindere dalla periodicità della capitalizzazione e dalla previsione di una chiusura contabile eguale degli interessi creditori e debitori. Tale principio è stato anche di recente ulteriormente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità con l’ulteriore precisazione secondo cui:
“in ragione della pronuncia di incostituzionalità dell’art. 25, comma 3, del d.lgs. n. 342 del 1999, le clausole anatocistiche inserite in contratti di conto corrente conclusi prima dell’entrata in vigore della delibera CICR 9 febbraio 2000 sono radicalmente nulle, con conseguente impraticabilità del giudizio di comparazione previsto dal comma 2 dell’art. 7 della delibera del CICR teso a verificare se le nuove pattuizioni abbiano o meno comportato un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, sicché in tali contratti perché sia introdotta validamente una nuova clausola di capitalizzazione degli interessi, è necessaria una espressa pattuizione formulata nel rispetto dell’art. 2 della predetta delibera” (cfr. Cass. civ. 19.5.2020, n. 9140 e ord. del 23.12.2020 n. 29420 e ord. del 16.10.2024 n. 26867). La clausola indicata si deve, pertanto, ritenere nulla e deve essere esclusa qualsivoglia rapporto del 14.5.2015.
b) La domanda di accertamento della nullità della clausola determinativa degli interessi ad un tasso ultralegale mediante il rinvio ai c.d. usi su piazza è fondata e deve essere accolta.
Anche la pattuizione di cui all’art. 7 del contratto del 1982 volta a rinviare per la determinazione degli interessi ai c.d. usi su piazza, infatti, è da ritenersi nulla per violazione di norma imperativa o comunque per indeterminabilità dell’oggetto.
Per giurisprudenza consolidata, infatti, la clausola che si limiti ad un mero riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito su piazza non risulta sufficientemente univoca e, quindi, per la sua genericità non consente di stabilire a quale parametro specifico le parti abbiano in concreto inteso riferirsi;
conseguentemente, l’obbligo della forma scritta sancito per la pattuizione di interessi ultralegali può dirsi sufficientemente assolto solo laddove esistano vincolanti discipline del saggio fissate su scala nazionale (cfr. Cass. civ. 10.11.1997; Cass. civ. 29.11.1996 n. 10657; Cass. civ. 13.3.1996 n. 2103; nonché le sentenze Cass. civ. 25.2.2005 nn. 4094 e 4095 che così espressamente affermano:
“in tema di contratti bancari, nel regime anteriore alla entrata in vigore della disciplina dettata dalla legge sulla trasparenza bancaria 17 febbraio 1992, n. 154, poi trasfusa nel testo unico 1 settembre 1993, n. 385, la clausola che, per la pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale, si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, è priva del carattere della sufficiente univocità, per difetto di univoca determinabilità dell’ammontare del tasso sulla base del documento contrattuale, e non può quindi giustificare la pretesa della banca al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale quando faccia riferimento a parametri locali, mutevoli e non riscontrabili con criteri di certezza (e non anche quando rimandi ad una disciplina stabilita su scala quanto integrante accordi di cartello, vietati dalla legge 10 ottobre 1990,n.287”. Tale principio è stato anche più di recente ribadito da Cass. civ. ord. n. 24048 del 26.9.2019).
In concreto si verifica, dunque, una impossibilità di determinare obiettivamente, non soltanto ex ante ma anche a posteriori, una condizione praticata su piazza, ossia un tasso corrente nel luogo in cui si svolge il rapporto, tenuto conto (secondo il notorio ed il patrimonio acquisito alla comune esperienza) della rilevante differenza di trattamento riservata dalla banca in relazione al diverso tipo di clientela, secondo le categorie di appartenenza del correntista, il grado di solvibilità dello stesso, la strategia di mercato dell’azienda. La Suprema Corte ha da tempo chiarito che la conoscenza successiva del saggio applicato non vale in nessun caso a sanare l’originario vizio di nullità della pattuizione per carenza del requisito della determinabilità, la cui sussistenza l’art. 1346 c.c. esige a priori, ed ha sottolineato che il requisito non può essere integrato successivamente, tanto più quando il saggio non sia determinato da entrambe le parti ma, in ipotesi, da una soltanto di esse, l’istituto di credito.
Non può assumere rilievo, quindi, che la banca abbia via via portato a conoscenza del cliente l’interesse che avrebbe inteso applicare attraverso documenti, quali gli estratti conto, che hanno il fine esclusivo di fornire l’informazione delle operazioni periodicamente contabilizzate e non anche di contenere proposte contrattuali, capaci di assumere dignità di patto in difetto di espresso dissenso (cfr. Cass. civ., 2.10.2003, n. 14684; Cass. civ., 1.2.2002, n. 1287; Cass. civ., 23.6.1998, n. 6247).
La clausola indicata, in conseguenza, deve essere dichiarata nulla e gli interessi sia attivi che passivi devono essere ricalcolati nella misura legale fino alla conclusione dell’accordo scritto modificativo del rapporto del 14.5.2015.
c) La domanda volta ad ottenere l’accertamento della nullità dell’art. 7 del contratto nella Tale clausola è da intendersi sulla per indeterminabilità dell’oggetto ai sensi dell’art. 1346 c.c. ove la si ritenga il fondamento per l’applicazione di spese e commissioni non determinabili al momento della stipulazione del contratto.
In ogni caso, la doglianza della società correntista consente la declaratoria che il contratto di conto corrente per cui è causa, fino al 14.5.2015, non ha previsto a carico della correntista l’addebito di spese e commissioni di qualunque tipo la cui applicazione nel corso del rapporto non può, quindi, essere legittimamente avvenuta in forza delle previsioni contrattuali.
d) Non sussiste, invece, un interesse della società correntista ad una valutazione della clausola di cui all’art. 16 del contratto del 1982, che consentiva le modificazioni unilaterali del rapporto in quanto nel giudizio si è accertato che dopo il contratto originario, affetto da nullità parziale nei limiti sopra accertati, è intervenuta soltanto la modificazione espressa del 14.5.2015 e, in ogni caso, l’accertamento delle nullità sopra rilevate impedisce l’efficacia di eventuali successive clausole unilaterali che abbiano disposto in punto di interessi ultralegali, anatocismo e spese e commissioni relative al rapporto di conto corrente. e) La domanda volta alla declaratoria di erroneità del saldo del conto corrente riportato negli estratti conto e nelle altre scritture contabili della banca è pure fondata.
L’erroneità delle risultanze degli estratti conto è una conseguenza immediata e diretta dell’accertamento della nullità delle clausole contrattuali sopra indicate, sicché al momento della chiusura del rapporto di conto, ove possibile dovrà essere ricalcolato il dare avere tra le parti con depurazione di tutte le poste conseguenti all’applicazione delle clausole nulle dall’apertura del conto (30.11.1982) e fino alla ricontrattazione del 14.5.2015, data nella quale troveranno applicazione le condizioni pattuite; ove questo non sia possibile è evidente che nulla potrà essere preteso in forza del rapporto di conto dalla banca alla atuizione espressa sulla In conclusione, l’appello deve essere accolto nei termini sopra indicati e la sentenza di primo grado deve essere riformata come in dispositivo.
Le spese processuali del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo facendo applicazione del d.m. 55/2014 e ss.mm.ii., cause di valore indeterminabile, tenendo conto della non particolare complessità della causa e parametri medi per le fasi di studio e introduttiva e minimi per le fasi istruttoria e decisoria, in relazione al giudizio di primo grado;
e con parametri medi per le fasi di studio e introduttiva, minimi per quella decisoria e con esclusione della fase istruttoria, in relazione al presente grado di giudizio, il tutto con distrazione a favore del procuratore dichiaratosi antistatario ai sensi dell’art. 93 c.p.c.
La Corte, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, accoglie l’appello proposto dalla avverso la sentenza del Tribunale di Oristano n. 444/2020 del 23.10.2020 e, in totale riforma della sentenza impugnata, in relazione al contratto di conto corrente n. 18838/00 del 30.11.1982 intercorrente tra la e il – dichiara la nullità:
a) della clausola che ha previsto la capitalizzazione degli interessi;
b) della clausola determinativa degli interessi mediante rinvio ai c.d. usi su piazza;
c) della clausola che ha previsto l’applicazione di spese e commissioni, comunque non dovute in quanto mai pattuite;
clausole tutte applicate fino alla successiva modifica contrattuale del 14.5.2015;
– per l’effetto dichiara che il saldo del predetto conto corrente come risultante dagli estratti conto e dalle scritture contabili della banca è erroneo in quanto conseguente all’applicazione fino al 14.5.2015 delle clausole nulle sopra indicate e comunque di spese e commissioni non dovute;
procuratore costituito della avv. NOME COGNOME che si è dichiarato antistatario, che si liquidano per il giudizio di primo grado in euro 286,00 per esborsi ed euro 5.261,00 per compensi, oltre spese generali e accessori di legge e per il giudizio di secondo grado in euro 804,00 per esborsi ed euro 5.211,00 per compensi, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Cagliari, nella camera di consiglio del 31 marzo 2025.
Il consigliere estensore dott. NOME COGNOME Il Presidente dott.ssa NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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