LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Nullità del contratto a termine per abusiva reiterazione

Il Tribunale, confermando il diritto del lavoratore all’inquadramento superiore, ha dichiarato la nullità dei contratti a termine per abusiva reiterazione, condannando la società alla costituzione di un rapporto a tempo indeterminato e al pagamento delle differenze retributive.

Prenota un appuntamento in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza per una consulenza legale.

Pubblicato il 11 gennaio 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

N. 7640/2023 R.G.L.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI MILANO SEZIONE LAVORO in composizione monocratica e in funzione di Giudice del Lavoro

, in persona della dott.ssa NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._5371_2024_- N._R.G._00007640_2023 DEL_03_01_2025 PUBBLICATA_IL_28_11_2024

nella controversia di primo grado promossa (C.F. ) rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME presso lo studio dei quali in Brescia INDIRIZZO ha eletto domicilio come da procura in atti – RICORRENTE – contro rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME presso lo studio dei quali in Padova alla INDIRIZZO ha eletto domicilio come da procura in atti RESISTENTE nonché contro rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME presso lo studio del quale in INDIRIZZO ha eletto domicilio come da procura in atti RESISTENTE OGGETTO: contratto a termine e di formazione e lavoro All’udienza di discussione i procuratori concludevano come in atti.

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con ricorsi depositati separatamente in data 31.7.2023 e successivamente riuniti, C.F. hanno convenuto in giudizio avanti al Tribunale di Milano – Sezione Lavoro – , per sentir accertare il loro diritto ad essere inquadrati nel livello 5 del CCNL di settore sin dalla data di inizio del rapporto e, quindi, con diritto al pagamento delle conseguenti differenze retributive con condanna delle resistenti (in subordine: , in subordine al pagamento in favore del ricorrente della somma di € 6.431,90, oltre € 476,44 per incidenza TFR a titolo di differenze retributive ed in favore del ricorrente della somma di euro 5.436,32, oltre ad euro 402,69 per incidenza TFR a titolo di differenze retributive, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla domanda al saldo; ed altresì per sentire “accertare e dichiarare la nullità e/o illegittimità e/o illiceità dei contratti a termine intercorsi tra il ricorrente e per le ragioni esposte in narrativa;

accertare e dichiarare la nullità e/o illegittimità e/o illiceità dei contratti in somministrazione a termine intercorsi tra il ricorrente e per le ragioni esposte in narrativa;

per l’effetto, dichiarare costituito tra il ricorrente e (in subordine:

tra il ricorrente e ) un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dalla data di stipula del primo rinnovo acausale, in subordine dalla data di superamento dei 12 mesi, in subordine dalla data ritenuta di Giustizia;

condannare (in subordine ) all’immediata riammissione in servizio del ricorrente;

condannare (in subordine ) al pagamento di un’indennità risarcitoria compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione utile ai fini TFR.

Con vittoria di spese diritti ed onorari di causa.

Con distrazione delle spese in favore dei procuratori antistatari”.

A fondamento delle proprie pretese, i ricorrenti hanno dedotto di aver prestato attività lavorativa in favore della per complessivi 18 mesi di prestazione effettiva, prima in forza di contratti a tempo determinato stipulati direttamente con tale società (complessivamente dall’1.4.2022 al 31.3.2023, con 4 proroghe) e, successivamente, in forza di un contratto di somministrazione a termine stipulato con l’agenzia dal 1.4.2023 al 30.9.2023 (con una proroga).

A fronte del formale inquadramento nel livello 6J del CCNL RAGIONE_SOCIALE, i lavoratori hanno dedotto di aver svolto la propria attività all’interno del magazzino di proprietà della sito in INDIRIZZO Castel San Giovanni (PC), nell’ambito di attività di scarico, movimentazione, stoccaggio, carico e spedizione merci, con mansioni di addetto al c.d. picking, mediante guida di carrello elettrico c.d. “commissionatore” o carrello “uomo a bordo” (doc. 3 ric.).

In diritto, i ricorrenti chiedono, pertanto, accertarsi il diritto all’inquadramento nel livello 5° del CCNL logistica per tutto il periodo per cui è causa, con condanna al pagamento delle relative differenze retributive.

Sotto altro profilo, i lavoratori hanno dedotto l’illegittimità del contratto a termine in quanto il rinnovo con l’ in data 1.4.2023 risulterebbe privo di causale, in violazione degli artt. 19 e 21, come richiamati dall’art. 34, c.2, d.lgs. 81/15 nonché stipulato senza rispettare il c.d. stop&go di 10 giorni di cui all’art. 21, c.2;

chiedono, dunque, di condannare l’utilizzatore all’assunzione dei ricorrenti a tempo indeterminato e al pagamento delle indennità di legge;

in subordine, chiedono l’accoglimento delle medesime conclusioni nei confronti dell’agenzia Si sono costituiti ritualmente in giudizio eccependo l’infondatezza in fatto e in diritto delle domande attoree e chiedendo il rigetto delle avversarie pretese.

In particolare, la convenuta ha evidenziato il pieno rispetto della normativa vigente in tema di contratti e l’adibizione dei ricorrenti alle sole mansioni di facchino/addetto alla movimentazione manuale dei carichi, pienamente sussumibili nel livello di inquadramento di formale assegnazione.

Anche la convenuta ha contestato le deduzioni avversarie evidenziando come il contratto di somministrazione sarebbe stato stipulato senza causale in ragione del mancato superamento dei limiti temporali.

Esperito inutilmente il tentativo di conciliazione, assunte le prove orali e ritenuta la causa matura per la decisione, il Giudice ha fissato per la discussione l’udienza del 28.11.2024, all’esito della quale la causa è stata decisa come da dispositivo, indicando in sessanta giorni il termine per il deposito della motivazione.

Preliminarmente deve osservarsi che, in sede di discussione, il procuratore di parte ricorrente ha dato atto dell’intervenuta conciliazione tra quest’ultimo e le convenute, rinunciando pertanto al ricorso, all’azione ed alle domande proposte e chiedendo l’estinzione del giudizio, le resistenti hanno aderito, conseguentemente per il ricorrente va dichiarata l’estinzione del giudizio per intervenuta cessazione della materia del contendere.

Il ricorso del ricorrente è fondato e, pertanto, deve essere accolto nei limiti e per le ragioni di seguito esposte.

Sul superiore inquadramento.

In punto di diritto, si ricorda che la Suprema Corte di Cassazione ha più volte ribadito che “il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell’accertamento in fatto delle attività lavorative concretamente svolte, nell’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra i risultati di tali due indagini.

Ai fini dell’osservanza di tale procedimento, è necessario che, pur senza rigide formalizzazioni, ciascuno dei suddetti momenti di ricognizione e valutazione trovi ingresso nel ragionamento decisorio, configurandosi, in caso contrario, il vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c., per l’errata applicazione dell’art. 2103 c.c. ovvero, per il pubblico impiego contrattualizzato, dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001.

” (Cass. civ. sez. lav., 22/11/2019, n.30580; cfr. anche Cass. Civ., Sez. Lav., 20 novembre 2000, n. 14973; cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., 26 marzo 2003, n. 4508).

In particolare, “in materia di inquadramento del lavoratore, il procedimento logico che il giudice di merito deve seguire si articola in tre fasi tra loro indipendenti:

a) individuazione dei criteri generali ed astratti posti dalla legge ed, eventualmente, dal contratto collettivo a distinzione delle varie categorie e qualifiche;

b) accertamento delle concrete mansioni di fatto svolte;

c) comparazione tra queste e le suddette previsioni normative” (Cass. Civ., Sez. Lav., 1 settembre 2004, n. 17561; cfr. anche Cass. Civ., Sez. Lav., 24 marzo 2004, n. 5942).

Sulla base dei generali principi di cui all’art. 2697 c.c., grava unicamente sul lavoratore che agisca in giudizio per ottenere l’inquadramento in una qualifica superiore allegare e provare gli elementi posti alla base della domanda e, dunque, riportare la declaratoria contrattuale, evidenziarne i profili caratterizzanti e fornire la prova del concreto e pieno svolgimento di tali mansioni (si veda, ex multis, Cass. Civ., Sez. Lav., 21 maggio 2003, n. 8025).

Il CCNL RAGIONE_SOCIALE riconosce il livello 6J ai “lavoratori che svolgono attività semplici.

In particolare, lavoratori addetti alla movimentazione delle merci che necessitano di un periodo di addestramento pratico” (doc. 4, pg.26).

Il livello 5 del CCNL logistica è attribuito invece a:

“i lavoratori che svolgono lavori qualificati per la cui esecuzione sono richieste adeguate conoscenze professionali.

Le mansioni sono svolte sulla base di disposizioni o procedure predeterminate e comportano responsabilità e autonomia limitatamente alla corretta esecuzione del proprio lavoro.

Rientrano in questo livello anche le attività di movimentazione merci e di magazzini che comportano l’utilizzo di mezzi meccanici e/o elettrici di limitata complessità che richiedono normale capacità esecutiva.

” Ed, in particolare e a titolo esemplificativo, tale livello è attribuito a coloro i quali compiono:

“attività di carico e scarico merci con utilizzo anche di transpallets manuali ed elettrici, conducenti di carrelli elettrici (…);

attività di conducenti di macchine operatrici di piccole dimensioni che richiedono normale capacità esecutiva;

attività di preparazione degli ordini (Picking) con conseguente montaggio e riempimento di elementi prefabbricati (casse, gabbie, scatole, pallet, roller, etc.) e di reggettatura”.

Occorre poi aggiungere che l’art. 8 del CCNL applicato al rapporto prevede che “1. Al lavoratore che sia destinato a compiere con carattere di continuità mansioni rientranti in due diversi livelli, sarà senz’altro attribuito il livello superiore, qualora le mansioni rientranti in quest’ultimo siano prevalenti.

2.

Nel caso in cui ciò non avvenga, è attribuito al lavoratore il livello superiore dopo un anno di svolgimento delle mansioni rientranti nei due livelli, oppure se il lavoratore abbia esercitato in modo non continuativo mansioni superiori per un periodo complessivo di un anno nell’arco di tre anni”.

In ordine all’accertamento delle mansioni concretamente svolte dal ricorrente è stata svolta attività istruttoria e, di seguito, si riportano le dichiarazioni testimoniali acquisite.

Il teste premesso di avere un giudizio in corso nei confronti delle società convenute, ha dichiarato che:

“Conosco perché lavoravano con me, non è mio parente è solo mio collega.

Lavoravamo insieme alla a Castel San Giovanni, io sono arrivato a lavorare lì giugno / luglio 2021 e ci ho lavorato per 11 mesi con la poi, dopo qualche giorno a casa, ho iniziato con la sempre per lo stesso lavoro, con stesso numero di badge facendo le stesse cose mi occupavo di picking.

Loro sono entrati dopo di noi, mi sembra dopo circa sei mesi nel 2022.

Abbiamo lavorato insieme anche se dipendeva dal turno, i turni erano mattino e pomeriggio sempre dalla 6/14 e poi 14/22, e per tre mesi in estate anche la notte 22/6.

COGNOME faceva le mie stesse cose, lo vedevo fare picking, noi prendiamo un mezzo lungo con le doppie forche, carrello elettrico come da foto n. 3 (ricorrente) che mi viene esibita, il responsabile ci diceva cosa fare, sul palmare che avevamo in mano usciva istruzione su dove andare e che plichi prendere dagli scaffali, erano piastrelle o cemento, poi prelevavamo i plichi e li mettevamo sul carrello di prima e li portavamo dai ragazzi per il controllo qualità, La pedana del carrello si può alzare di circa u metro, e lo alzavamo per arrivare al primo piano dello scaffale. Dovevamo sempre fare attenzione nell’uso del carrello perché non erano molto stabili, qualche carrello che non funziona bene dovevamo noi manualmente alzare o abbassare la pedana, le punte delle forche poi non dovevano sporgere troppo.

si occupava di fare le “anime” alle porte, si tratta di lavoro di liena, o alla merce che doveva stare in verticale e che non potevamo impilare.

Anche lui usava un carrello elettrico ma con le doppie forche che si alzavano anche più di un metro, andavano sopra la mia testa, si alzavano almeno 2 mt e si abbassavano, era diverso da quello che usavamo noi.

Lui non aveva palmare ma aveva la pistola compressore per chiudere i bancali o pallet.

Non faceva picking”.

Il teste , indifferente, ha dichiarato che:

“Io ho lavorato con al magazzino di in Castel San Giovanni, io ho lavorato lì dal luglio 2021 con per 11 mesi fino al giugno 2022, io non mai lavorato con poi sono andato a lavorare da altra parte.

Loro sono arrivati dopo di me, qualche mese dopo.

Io facevo picking, e lavoravo con tante volte anche negli stessi turni, erano tre turni, 6/14 , 14/22 e alcuni mesi anche la notte 22/6, e vedevo cosa facevano.

NOME faceva picking come me, facevamo le stesse cose.

Noi del picking avevamo un palmare dove ci venivano date le istruzioni su quali plichi prendere, e tante volte dovevano scaricare gli scaffali di piastrelle, box e piatti doccia, porte blindate a mani poi li mettevamo sul carrello elettrico e le portavamo all’ufficio dove altri ragazzi controllavano.

Qualche volte dovevamo stare attenti che le forche non uscissero, la pedana del carrello si alzava fino al ginocchio.

So che ne usava uno di carello elettrico che arrivava fino al bancale alto, fino a 2 mt e poi faceva anche le anime alle porte e sistemava il bancale per mettere le porte, lui preparava i bancali per noi.

Lui aveva non un palmare ma una pistola per chiodi, il compressore.

“Fare le anime” significa posizionare la porta o box doccia e piatto doccia tra i bancali e assicurarli, metterli in sicurezza per non farli spostare o cadere e per farlo usava la pistola coi chiodi.

ADR avv. COGNOME

Io non ho attualmente cause in corso con.

Per usare questi carrelli non avevamo fatto corsi e non avevamo patentini.

Non usavamo carrelli a mano perché la merce che dovevamo portare era pesante, solo se dovevamo spostare le piastrelle ogni tanto li usavamo”.

Il teste di parte resistente , indifferente, ha dichiarato che:

“Io ho lavorato per la da gennaio 2020 a maggio 2024, ero responsabile di impianto di Castel San Giovanni Leroy Merlin, li ricordo perché lavoravano presso il magazzino.

Li ho visti e so che imballava i pacchi e raggruppava la merce in un unico imballaggio e in una prima fase imballava la merce e nella seconda fase la raggruppava in un unico contenitore, e in quell’area lì i mezzi non erano ammessi, c’erano solo pedoni, era un’ area non idonea al transito di mezzi, come carrelli paperini, uomo a bordo, queste erano le regole impostate dal magazzino, operavano al più dei transpallet a mano per spostare la merce.

Quando passavo di lì non ho mai visto usare carelli elettrici.

, per quanto ho visto io, faceva le strutture in legno, prendeva bancali e creava le strutture in base alla merce che doveva mettere in sicurezza come porte, porte vetro, box doccia e lui creava la struttura in legno.

Era lavoro manuale non usava alcun mezzo, a lui i bancali già arrivavano così e lui era fermo e doveva provvedere a costruire queste anime, lui usava la spara graffetta, anche lui lavorava all’interno dell’area di imballaggio.

I turni di lavoro erano 6/14 e 14/22 e poi ci sono stati periodi, tre mesi a stagione ma solo per in cui faceva anche tre turni, 22/6.

I turni cambiavano di volta in volta”.

Il teste di parte ricorrente , premesso di avere avuto un giudizio nei confronti delle società convenute conclusosi con un accordo, ha riferito:

“Io conosco perché ho lavorato con loro, anche io per presso il magazzino di in Castel san Giovanni.

Io ho iniziato nel luglio 2021 e fino al 30.6.2023, ho fatto due anni lavorando sempre lì e è arrivato ad aprile 2022 mentre il SINGH posso dire dopo di me ma non ricordo quando esattamente, io facevo turni diurni e notturni, io li vedevo tutti i giorni eravamo anche in turni insieme.

I turni erano 6/14, 14/22 e poi 22/6.

E li facevamo un po’ ad oltranza.

Io mi occupavo di picking.

tutti e due facevano picking anche se di solito faceva i bancali.

Con COGNOME di solito, una volta entrati prendevamo i palmari / pistole e il mezzo cioè il paparino è elettrico lungo due metri, ci mettiamo sopra con un volante per guidare e per andare avanti e indietro, ci sono le forche per alzare la merce sino a mezzo metro e poi per prendere la merce più in alto, oltre la mia testa, si deve schiacciare un bottone e le forche salgono.

faceva di solito la preparazione dei bancali, con la pistola sparachiudi perché doveva chiudere i bancali, bancali sono 80×120 ma se arriva una merce lunga tipo 2mt è lui che prepara il bancale in misura, ci sono tre / quattro tipi di bancali e lui deve fare le anime per tutti i pickeristi.

Lui utilizza un mezzo diverso da quello dei pickeristi che è sempre un c.d. papero, carrello elettrico con uomo a bordo, con forche che si alzano fino a due metri per prendere il bancale da sopra.

Utilizzava anche quello per fare picking, quello che usavamo anche io e con le forche che si alzano o mezzo metro o poco sopra la testa.

Noi ci occupavamo di tutti e tre i tipi di picking, uno dobbiamo solo seguire sul palmare la posizione che compariva della merce e prenderla, poi altri ragazzi la controllano e imballano;

un altro picking dovevamo prevalere la merce e fare noi il bancale della merce che avevamo preso e poi l’altro tipo che è come l’ultimo che ho detto ma in più dovevamo portare il bancale alla baia dove ci sono i camion e questo lo facevamo sempre con il carello che dicevo prima.

La merce che movimentavamo era composta da cose di casa come box doccia, cemento, sabbia, piastrelle.

ADR avv. COGNOME

ho avuto una causa con le società che si è conclusa con un accordo settimana scorsa.

ADR avv. COGNOME

nessuno di noi aveva patentini per guidare i carrelli di cui ho parlato posso dire solo che tutti quelli che entravano ed anche noi abbiamo imparato affiancando una persona che ci faceva vedere come guidarlo, per due giorni”.

Alla luce delle deposizioni sopra riportate, possono trarsi le seguenti considerazioni.

Deve attribuirsi al ricorrente l’inquadramento richiesto nel V livello del CCNL, sin dalla data di inizio del rapporto di lavoro con Dall’istruttoria testimoniale è emerso che lo stesso abbia svolto in maniera prevalente le mansioni di movimentazione merci che comportano l’utilizzo di mezzi meccanici e, in particolare, mediante il transpallet elettrico ricomprese espressamente nel V livello.

Ha svolto anche, in misura minore secondo o comunque non prevalente attività di packing, ovvero di imballaggio della merce movimentata, che può farsi comunque rientrare nelle “semplici attività comuni di supporto alla produzione od ai servizi” parimenti ricomprese nel V livello.

Nello stesso doc. 1 p. 7 di parte ricorrente si evince come nello stesso contratto di lavoro somministrato in data 1.7.2023 il ricorrente venga indicato come “magazziniere- magazziniere addetto al picking”.

In virtù di tale accertamento deve altresì riconoscersi il diritto del ricorrente alle conseguenti differenze retributive come calcolate in ricorso, detratto quanto richiesto a titolo di terzo elemento e relativa incidenza sul TFR, stante l’espressa adesione di parte ricorrente all’eccezione avversaria (cfr. verbale 28.11.2024).

Stante l’assenza di ulteriori contestazioni specifiche e dovendosi aderire ai criteri di calcolo utilizzati in ricorso in quanto basati sul CCNL e sulle buste paga, va condannata al pagamento dell’importo pari ad € 6.431,90, oltre € 476,44 per incidenza TFR, detratto quanto richiesto a titolo di terzo elemento e relativa incidenza sul TFR (importo che, tuttavia, non è stato quantificato dalle parti) – a titolo di differenze retributive per il periodo di causa, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. Tale condanna va limitata nei confronti della sola anche per il periodo nel quale i lavoratori è stato impiegato con contratto di somministrazione, atteso che l’art. 35 D.Lgs. 15/06/2015, n. 81, al comma 5, prevede che “Nel caso in cui adibisca il lavoratore a mansioni di livello superiore o inferiore a quelle dedotte in contratto, l’utilizzatore deve darne immediata comunicazione scritta al somministratore consegnandone copia al lavoratore medesimo.

Ove non abbia adempiuto all’obbligo di informazione, l’utilizzatore risponde in via esclusiva per le differenze retributive spettanti al lavoratore occupato in mansioni superiori per l’eventuale risarcimento del danno derivante dall’assegnazione a mansioni inferiori”.

Nel caso in esame, non risultano effettuate comunicazioni da parte di in merito all’adibizione del lavoratore a mansioni superiori a quelle corrispondenti al livello di inquadramento stabilito contrattualmente.

Sulla successione tra contratti a termine e contratti di somministrazione a termine Sotto il profilo del diritto interno, la disciplina del contratto di somministrazione a termine, a seguito dell’introduzione del d.lgs. 81/2015 (come modificato dal Decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, recante “Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese”, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2018, n. 96) prevede, all’art. 31, comma 2, che “Salva diversa previsione dei contratti collettivi applicati dall’utilizzatore e fermo restando il limite disposto dall’articolo 23, il numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato ovvero con contratto di somministrazione a tempo determinato non puo’ eccedere complessivamente il 30 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipulazione dei predetti contratti, con arrotondamento del decimale all’unita’ superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5. Nel caso di inizio dell’attivita’ nel corso dell’anno, il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento della stipulazione del contratto di somministrazione di lavoro.

E’ in ogni caso esente da limiti quantitativi la somministrazione a tempo determinato di lavoratori di cui all’articolo 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, di soggetti disoccupati che godono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali e di lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati ai sensi dei numeri 4) e 99) dell’articolo 2 del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, come individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali”. Ai sensi dell’art. 34, “In caso di assunzione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina di cui al capo III, con esclusione delle disposizioni di cui agli articoli 21, comma 2, 23 e 24.

Il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore”.

La Circolare Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 31/10/2018 – N. 17 nel fornire una interpretazione delle novità introdotte nel 2018 ha specificato che:

“Ne consegue che il rispetto del limite massimo di 24 mesi – ovvero quello diverso fissato dalla contrattazione collettiva – entro cui è possibile fare ricorso ad uno o più contratti a termine o di somministrazione a termine, deve essere valutato con riferimento non solo al rapporto di lavoro che il lavoratore ha avuto con il somministratore, ma anche ai rapporti con il singolo utilizzatore, dovendosi a tal fine considerare sia i periodi svolti con contratto a termine, sia quelli in cui sia stato impiegato in missione con contratto di somministrazione a termine, per lo svolgimento di mansioni dello stesso livello e categoria legale”. È rilevante poi prendere in esame la normativa europea che con la direttiva 2008/104 sul lavoro tramite agenzia interinale all’art. 1 definisce il proprio ambito di applicazione come relativo ai “lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale e che sono assegnati a imprese utilizzatrici per lavorare temporaneamente e sotto il controllo e la direzione delle stesse”.

Il termine “temporaneamente” è utilizzato in diversi punti della normativa in esame proprio per evidenziarne una caratteristica imprescindibile, ovvero la necessaria limitazione dal punto di vista temporale della possibilità di ricorrere a tale strumento.

Coerentemente, l’art. 5 par. 5 prevede espressamente che “Gli Stati membri adottano le misure necessarie, conformemente alla legislazione e/o le pratiche nazionali, per evitare il ricorso abusivo all’applicazione del presente articolo e, in particolare, per prevenire missioni successive con lo scopo di eludere le disposizioni della presente direttiva.

Essi informano la Commissione di qualsiasi misura in tal senso”.

Inoltre, il considerando 15 della Direttiva sancisce che “I contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro”.

Nell’interpretare tale normativa, la Corte di Giustizia, con la nota sentenza 17 marzo 2022 C 232/20, ha affermato che “l’articolo 5, paragrafo 5, prima frase, della direttiva 2008/104 impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie per prevenire l’assegnazione di missioni successive a un lavoratore tramite agenzia interinale aventi lo scopo di eludere le disposizioni di tale direttiva nel suo insieme.

In particolare, gli Stati membri devono adoperarsi affinché il lavoro tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice non diventi una situazione permanente per un lavoratore tramite agenzia interinale [sentenza del 14 ottobre 2020, KG (Missioni successive nell’ambito del lavoro interinale), C 681/18, EU: C:2020:823, punti 55 e 60].

57 A tal riguardo, gli Stati membri possono stabilire, nel diritto nazionale, una durata precisa oltre la quale una messa a disposizione non può più essere considerata temporanea, in particolare quando rinnovi successivi della messa a disposizione di un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice si protraggono nel tempo.

Ciò premesso, una siffatta durata, in conformità all’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2008/104, deve necessariamente avere natura temporanea, vale a dire, secondo il significato di tale termine nel linguaggio corrente, essere limitata nel tempo.

58 Nell’ipotesi in cui la normativa applicabile di uno Stato membro non abbia previsto una durata siffatta, è compito dei giudici nazionali stabilirla caso per caso, alla luce di tutte le circostanze pertinenti, che comprendono in particolare le specificità del settore (v., in tal senso, sentenza del 18 dicembre 2008, , C 306/07, EU: C:2008:743, punto 52) e garantire, come ha rilevato l’avvocato generale, in sostanza, al paragrafo 46 delle sue conclusioni, che l’assegnazione di missioni successive a un lavoratore temporaneo non sia volta a eludere gli obiettivi della direttiva 2008/104, in particolare la temporaneità del lavoro tramite agenzia interinale.

59

Ai fini di tale determinazione, il giudice del rinvio potrà, secondo la giurisprudenza della Corte, tener conto delle seguenti considerazioni.

60

Supponendo che le missioni successive del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice conducano a una durata dell’attività presso tale impresa più lunga di quella che possa ragionevolmente qualificarsi «temporanea», alla luce di tutte le circostanze pertinenti, che comprendono in particolare le specificità del settore, ciò potrebbe denotare un ricorso abusivo a missioni successive, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 5, prima frase, della direttiva 2008/104 [v., in tal senso, sentenza del 14 ottobre 2020, KG (Missioni successive nell’ambito del lavoro interinale), 681/18, EU: C:2020:823, punto 69].

61 Analogamente, missioni successive assegnate al medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice eludono l’essenza stessa delle disposizioni della direttiva 2008/104 e costituiscono un abuso di tale forma di rapporto di lavoro, in quanto compromettono l’equilibrio realizzato da tale direttiva tra la flessibilità per i datori di lavoro e la sicurezza per i lavoratori, a discapito di quest’ultima [sentenza del 14 ottobre 2020, KG (Missioni successive nell’ambito del lavoro interinale), C 681/18, EU: C:2020:823, punto 70].

62 Infine, quando, in un caso concreto, non viene fornita alcuna spiegazione oggettiva al fatto che l’impresa utilizzatrice interessata ricorra ad una successione di contratti di lavoro tramite agenzia interinale, spetta al giudice nazionale verificare, nel contesto del quadro normativo nazionale e tenendo conto delle circostanze di specie, se una delle disposizioni della direttiva 2008/104 venga aggirata, a maggior ragione laddove ad essere assegnato all’impresa utilizzatrice in forza dei contratti successivi in questione sia sempre lo stesso lavoratore tramite agenzia interinale [sentenza del 14 ottobre 2020, KG (Missioni successive nell’ambito del lavoro interinale), C 681/18, EU: C:2020:823, punto 71].

63

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda questione che l’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2008/104 devono essere interpretati nel senso che costituisce un ricorso abusivo all’assegnazione di missioni successive a un lavoratore tramite agenzia interinale il rinnovo di tali missioni su uno stesso posto presso un’impresa utilizzatrice per la durata di 55 mesi, nell’ipotesi in cui le missioni successive del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice conducano a una durata dell’attività, presso quest’ultima impresa, più lunga di quella che può essere ragionevolmente qualificata «temporanea», alla luce di tutte le circostanze pertinenti, che comprendono in particolare le specificità del settore, e nel contesto del quadro normativo nazionale, senza che sia fornita alcuna spiegazione obiettiva al fatto che l’impresa utilizzatrice interessata ricorre a una serie di contratti di lavoro tramite agenzia interinale successivi, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”. La Corte di Cassazione, nel prendere atto di questa significativa interpretazione della direttiva richiamata, ha affermato i seguenti principi:

“la normativa nazionale va esaminata conformemente alla normativa Europea, tenuto conto che le indicazioni della Corte di Giustizia, in un caso che rientra nella sfera applicativa dell’art. 5, paragrafo 5, della direttiva 2008/104, implicano:

a) nell’ambito dei parametri della direttiva 2008/104, spetta a uno Stato membro garantire che il proprio ordinamento giuridico nazionale contenga misure idonee a garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione al fine di prevenire il ricorso a missioni successive con lo scopo di eludere la natura interinale dei rapporti di lavoro disciplinati dalla direttiva 2008/104;

b) il principio di interpretazione conforme al diritto dell’Unione impone al giudice del rinvio di fare tutto ciò che rientra nella sua competenza, prendendo in considerazione tutte le norme del diritto nazionale, per garantire la piena efficacia della direttiva 2008/104 sanzionando l’abuso in questione ed eliminando le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione (in questi termini le conclusioni dell’Avvocato Generale COGNOME depositate il 23 aprile 2020 nella causa RAGIONE_SOCIALE, C-681/18).

4.10.

La Corte di Giustizia, nelle sentenze del 14 ottobre 2020 e del 17 marzo 2022 più volte citate, ha interpretato la direttiva 2008/104 mettendo in risalto, quale requisito immanente e strutturale del lavoro tramite agenzia interinale, il carattere di temporaneità e segnalando il rischio di un ricorso abusivo a tale forma di lavoro in presenza di missioni successive che si protraggano per una durata che non possa, secondo canoni di ragionevolezza, considerarsi temporanea, avuto riguardo alla specificità del settore e alla esistenza di spiegazioni obiettive del ricorso reiterato a questa forma di lavoro. 4.11.

In tale contesto, l’obbligo imposto agli Stati membri dall’art. 5, par. 5, prima frase, di adottare le misure necessarie per impedire il ricorso abusivo ad una successione di missioni di lavoro tramite agenzia interinale, in contrasto con le finalità della direttiva, è chiaro, preciso e incondizionato.

4.12.

Posto che l’art. 5, par. 5, cit. non può essere direttamente invocato dal lavoratore in rapporti orizzontali, cioè tra soggetti privati, la possibilità di una interpretazione conforme delle disposizioni nazionali in grado di garantire l’effetto utile alle disposizioni del diritto dell’Unione deve basarsi anche sulle disposizioni interne che disciplinano gli effetti di condotte elusive di norme imperative, e tra queste l’art. 1344 c.c., in combinato disposto con l’art. 1418 c.c..

4.13.

Non vi è dubbio che le disposizioni della direttiva assumano carattere di norme precettive e che le stesse, come interpretate dalla Corte di Giustizia con le citate sentenze del 2020 e del 2022, contemplino quale requisito immanente e strutturale del lavoro tramite agenzia interinale la temporaneità della prestazione presso l’utilizzatore, intesa nel senso di durata complessiva delle missioni per un tempo che possa ragionevolmente considerarsi temporaneo, tenuto conto anche delle caratteristiche del settore produttivo. 4.14.

Già in passato questa Corte, nell’interpretare le disposizioni di cui alla L. n. 196 del 1997, in materia di fornitura di lavoro temporaneo, ha avuto modo di affermare che, poiché la regola della temporaneità dell’occasione di lavoro connota la disciplina del rapporto di lavoro interinale di cui alla citata legge, deve configurarsi un’ipotesi di contratto in frode alla legge allorché la reiterazione dei contratti interinali costituisca il mezzo, anche attraverso intese, esplicite o implicite, tra impresa fornitrice e impresa utilizzatrice concernenti la medesima persona del prestatore, per eludere la regola della temporaneità (v. in tal senso Cass. n. 7702 del 2018; Cass. n. 23684 del 2010; Cass. n. 15515 del 2009).

4.15.

Più di recente questa Corte, esaminando la somministrazione di lavoro, quale forma flessibile di lavoro richiamata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, in relazione alla disciplina prima prevista dal D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20 e ss., e, poi, dal D.Lgs. n. 81 del 2015, proprio alla luce dello scopo della direttiva 2008/104 finalizzato a fare sì che gli Stati membri si adoperino affinché il lavoro tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice non diventi una situazione permanente per uno stesso lavoratore, ha affermato come “la somministrazione a tempo determinato sia legittima anche nell’ambito della pubblica amministrazione, quando non sia tale da eludere la natura temporanea del lavoro tramite agenzia”, aggiungendo che “l’interpretazione delle norme sulla somministrazione nel senso della temporaneità è l’unica conforme a diritto dell’Unione perché evita una contrarietà alla direttiva sulla somministrazione come interpretata dalla Corte di Giustizia” e demandando al giudice del merito tale verifica in concreto, non potendo questi arrestarsi “all’affermazione dell’inesistenza di un limite temporale formalmente previsto” (Cass. n. 13982 del 2022; in precedenza v. Cass. n. 446 del 2021).

4.16.

Inoltre l’art. 1344 c.c., è già stato evocato come strumento utile per evitare che, attraverso ripetute assunzioni a tempo determinato, sia possibile porre in essere una condotta che integri una frode alla legge, e quindi quale misura adeguata e idonea a prevenire abusi nel susseguirsi di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, affidando al giudice del merito il compito di desumere da “elementi quali il numero dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati, l’arco temporale complessivo in cui si sono succeduti e ogni altra circostanza fattuale che emerga dagli atti, l’uso deviato e fraudolento del contratto a termine” (v. Cass. n. 59 del 2015; Cass. n. 14828 del 2018). 4.17.

Il fatto che il D.Lgs. n. 81 del 2015, e prima ancora il D.Lgs. n. 276 del 2003, non contenga alcuna previsione esplicita sulla durata temporanea del lavoro tramite agenzia interinale non impedisce di considerare tale requisito come implicito ed immanente, in conformità agli obblighi imposti dal diritto dell’Unione, non comportando una simile lettura una interpretazione contra legem.

4.18.

E’ compito del giudice di merito stabilire caso per caso, alla luce di tutte le circostanze pertinenti, se la reiterazione delle missioni del lavoratore presso l’impresa utilizzatrice abbia oltrepassato il limite di una durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea, sì da realizzare una elusione delle norme imperative ai sensi dell’art. 1344 c.c., e, specificamente, degli obblighi e delle finalità imposti dalla direttiva, da cui discende, secondo l’ordinamento interno, la nullità dei contratti.

4.19.

In tale compito il giudice nazionale può avvalersi delle indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia che nella sentenza C-681/2018 cit., pronunciata proprio su rinvio pregiudiziale del Tribunale di Brescia in analoga vicenda, ha rimesso al giudice di rinvio di controllare, alla luce dell’obbligo di interpretazione conforme, la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, tenendo conto sia della direttiva 2008/104 stessa, sia del diritto nazionale che la traspone nell’ordinamento giuridico italiano, in modo da verificare se possa configurarsi un rapporto di lavoro a tempo indeterminato al quale è stata artificiosamente attribuita la forma di una successione di contratti di lavoro tramite agenzia interinale con lo scopo di eludere gli obiettivi della direttiva 2008/104, ed in particolare la natura temporanea del lavoro interinale (punto 67). 4.20.

La Corte di giustizia ha, quindi, nella richiamata sentenza del 14 ottobre 2020, indicato alcuni indici rivelatori dell’eventuale ricorrenza di un abusivo ricorso al lavoro tramite agenzia interinale volto ad eludere la finalità della direttiva di circoscriverne la portata in termini di temporaneità che, con la più recente decisione del 17 marzo scorso, vengono confermati e ulteriormente precisati.

4.21.

In particolare, la Corte ha ritenuto rilevante verificare se le missioni successive del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice conducano a una durata dell’attività presso tale impresa più lunga di quanto possa essere ragionevolmente qualificato come “temporaneo”:

da ciò potrebbe, infatti, evincersi un ricorso abusivo a missioni successive, ai sensi dell’art. 5, paragrafo 5, prima frase, della direttiva 2008/104.

Analogamente, missioni successive assegnate al medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice possono eludere l’essenza stessa delle disposizioni della Direttiva 2008/104 e possono costituire un abuso di tale forma di rapporto di lavoro, in quanto idonee a compromettere l’equilibrio realizzato da tale Direttiva tra la flessibilità per i datori di lavoro e la sicurezza per i lavoratori, a discapito di quest’ultima.

4.22.

Infine, quando, in un caso concreto, non viene fornita alcuna spiegazione oggettiva al fatto che l’impresa utilizzatrice interessata ricorra ad una successione di contratti di lavoro tramite agenzia interinale, spetta al giudice nazionale verificare, nel contesto del quadro normativo nazionale e tenendo conto delle circostanze di specie, se una delle disposizioni della direttiva 2008/104 venga aggirata, a maggior ragione laddove ad essere assegnato all’impresa utilizzatrice in forza dei contratti successivi in questione sia sempre lo stesso lavoratore tramite agenzia interinale” Passando alla disamina del caso di specie, deve richiamarsi quanto già condivisibilmente affermato da questo Tribunale, con ampia motivazione che si richiama integralmente anche ai sensi dell’art. 118 disp att. (sent. Trib. Milano, 27.3.2023 R.G. n. 7312/2023 dott.ssa ), in fattispecie del tutto sovrapponibile a quella per cui è causa:

“A seguito della modifica introdotta con il D.l.

87/2018, deve ritenersi oramai chiaro che le limitazioni previste per il contratto a termine dall’art. 19 comma 1 e 21 comma 1 del d.lgs. n. 81 del 2015 operino anche nel caso di successione di rapporti di lavoro a tempo determinato e rapporti di somministrazione a tempo determinato.

Tale conclusione, oltre che da un chiaro dato letterale e dalla necessità di fornire una interpretazione conforme al quadro europeo, è altresì imposta dall’esigenza “di evitare facili elusioni delle disposizioni che garantiscono la natura temporanea dei due contratti.

In tal senso depone il comma 2 dell’art. 19 del d.lgs n. 81 del 2015, nella formulazione introdotta dall’art. dall’art. 1, comma 1, lett. a), n. 2), D.L. 12 luglio 2018, n. 87 e dunque applicabile alla fattispecie, che prevede che (con l’eccezione delle attività stagionali) la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti a tempo determinato, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, non possa superare i ventiquattro mesi. La durata massima rimane la medesima qualora si debbano computare periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato.

La disposizione prevede poi che qualora il limite dei ventiquattro mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento.

Viene quindi ribadito che l’esigenza di temporaneità che accomuna i due istituti del lavoro a tempo determinato e della somministrazione a termine, determina un unico regime anche nel caso della loro successione” (cfr. sent. Trib. Milano, dott.ssa 27.3.2024 r.g. n. 7312/2023) Nel caso in esame, risulta quindi realizzata l’abusiva reiterazione, stante il pacifico superamento del limite di 12 mesi di adibizione in virtù di successivi contratti a termine e in somministrazione presso il medesimo datore di lavoro con medesime mansioni, in assenza di specifica causale giustificatrice delle esigenze temporanee per l’esercizio delle medesime mansioni nella medesima attività. Il contratto con pur avendo determinato il superamento della soglia temporale dei 12 mesi, risulta infatti privo di causale e non è connotato da temporaneità, in violazione degli artt. 19 e 21, come richiamati dall’art. 34, c.2, d.lgs. 81/15.

La conseguenza è quella è prevista dal comma 1 bis dell’art. 19, che prevede che il contratto si trasformi in contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di dodici mesi, con imputazione alla società utilizzatrice, direttamente responsabile delle violazioni realizzate.

Infatti, come correttamente rilevato dalla difesa di è l’utilizzatrice, e non l’Agenzia, a conoscenza dei tempi e modi della vicenda contrattuale del lavoratore pregressa rispetto alla stipulazione del contratto commerciale.

Il rapporto a tempo indeterminato viene così a costituirsi con l’utilizzatore in coerenza con quanto disposto dall’art. 38 commi 1 e 2 del medesimo d.lgs. n. 81 del 2015.

Da ciò discende l’accertamento della nullità del contratto di somministrazione a termine intercorso tra il ricorrente e e, per l’effetto, dichiara costituito tra il ricorrente e n rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far data dal 1.5.2023, con inquadramento nel livello 5 del CCNL Logistica, trasporto merci e spedizioni.

Conseguentemente, condannata all’immediata riammissione in servizio del ricorrente nonché alle conseguenze previste dall’art. 28, comma 2, D.lgs. n. 81 del 2015 e, pertanto, al pagamento di un’indennità onnicomprensiva che, avuto riguardo ai criteri di cui all’art. 8 l. 604/1966, tenuto conto della durata complessiva del rapporto, delle dimensioni della società utilizzatrice e del tempo trascorso successivamente alla cessazione, si ritiene equo individuare nella misura di 5 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (che tenuto conto dell’inquadramento riconosciuto nel 5° livello è pari all’importo di €1.843,47), con rivalutazione monetaria e interessi dalla data della presente sentenza al saldo. Le spese di lite seguono la soccombenza e va condannata al pagamento delle stesse in favore della parte ricorrente, liquidate così come in dispositivo facendo applicazione dei valori previsti per lo scaglione di riferimento dal D.M. n. 55/14, aggiornati da ultimo dal D.M. n. 147 del 13.8.2022, con distrazione a favore dei difensori antistatari.

Le spese nei confronti di vengono integralmente compensate alla luce del complessivo esito della controversia.

Il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, ogni contraria ed ulteriore istanza, domanda ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

dichiara estinto il giudizio con riferimento al ricorrente accerta e dichiara il diritto di all’inquadramento nel livello 5 del CCNL Logistica, trasporto merci e spedizioni sin dalla data di inizio del rapporto di lavoro con condanna al pagamento in favore di titolo di differenze retributive della somma di € 6.431,90, oltre € 476,44 per incidenza TFR, detratto quanto richiesto a titolo di terzo elemento e relativa incidenza sul TFR, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo;

accerta e dichiara la nullità del contratto di somministrazione a termine intercorso tra e, per l’effetto, dichiara costituito tra un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far data dal 1.5.2023, con inquadramento nel livello 5 del CCNL Logistica, trasporto merci e spedizioni;

condanna all’immediata riammissione in servizio di condanna al pagamento di un’indennità risarcitoria nella misura di n. 5 mensilità dell’ultima retribuzione utile ai fini TFR, con rivalutazione monetaria e interessi legali dalla data odierna al saldo in favore del ricorrente condanna al pagamento delle spese del giudizio in favore della parte ricorrente, che liquida in complessivi € 2.700,00 per compensi professionali, oltre a rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge ed oltre rimborso C.U. ove versato, con distrazione in favore dei difensori. compensa le spese del giudizio nei confronti di NOME in sessanta giorni il termine per il deposito della motivazione.

Sentenza esecutiva Così deciso in Milano, il 28 novembre 2024.

il Giudice del Lavoro dott.ssa NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Articoli correlati