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Nullità del contratto quadro per forma scritta

La Corte d’Appello ha stabilito che il contratto quadro, per essere valido, deve essere stipulato in forma scritta ad substantiam. La mancanza di tale requisito formale, in assenza di diverse disposizioni legislative, determina la nullità del contratto e il diritto alla restituzione delle somme versate. La violazione degli obblighi informativi, seppur grave, non inficia la validità del contratto, ma comporta la responsabilità precontrattuale o contrattuale dell’intermediario e il dovere di risarcimento del danno.

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Pubblicato il 29 marzo 2025 in Diritto Bancario, Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

N. R.G. 2144/2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DI APPELLO DI FIRENZE SECONDA

SEZIONE CIVILE

La Corte di Appello di Firenze, seconda sezione civile, in persona dei Magistrati:

dott. NOME COGNOME Presidente dott. NOME COGNOME Consigliere dott. NOME COGNOME Consigliere NOME Relatore ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._568_2025_- N._R.G._00002144_2023 DEL_25_03_2025 PUBBLICATA_IL_25_03_2025

nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 2144/2023 promossa da:

(CF con il patrocinio degli Avv.ti NOME COGNOMECF NOME COGNOME (CF ) APPELLANTE nei confronti di (CF/P.IVA ΗΕ P_IVA) con il patrocinio dell’ Avv. NOME COGNOMEC.F. ) APPELLATA avverso l’ordinanza del Tribunale di Livorno emessa e pubblicata in data 4 ottobre 2023 R.G. n. 825/2023

CONCLUSIONI

In data 30.1.2025 la causa veniva posta in decisione sulle seguenti conclusioni:

Per la parte appellante:

C.F. C.F. C.F. C.F. la nullità dell’ordinanza pronunciata il 04.10.2023 dal Giudice Unico del Tribunale di Livorno, Dott. COGNOME nel giudizio sub RG 825/2023;

Nel merito: riformare l’ordinanza del 4 ottobre 2023 emessa dal Tribunale di Livorno nel giudizio sub RG 825/2023, per i motivi di cui in narrativa e per l’effetto accogliere le conclusioni rassegnate in primo grado qui ritrascritte per comodità:

“Voglia l’Ill.mo Tribunale adìto, contrariis reiectis, così giudicare:

in INDIRIZZO

per le ragioni in fatto e in diritto suesposte, dichiarare la nullità del rapporto contrattuale instauratosi tra le parti e, per l’effetto, condannare la società , in persona del legale rappresentante pro tempore, alla restituzione di tutte le somme versate dalla ricorrente, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sino al saldo effettivo;

in via subordinata:

per le ragioni in fatto e in diritto suesposte, accertare l’esistenza di tutte le violazioni commesse dalla società , in persona del legale rappresentante pro tempore, pronunciando l’annullamento del contratto instauratosi tra le parti e, per l’effetto, condannare la medesima società alla restituzione di tutte le somme versate dalla ricorrente, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sino al saldo effettivo;

in via ulteriormente subordinata:

nella denegata ipotesi in cui il contratto fosse ritenuto valido ed efficace, accertare l’intervenuta risoluzione dello stesso per grave inadempimento della società , in persona del legale rappresentante pro tempore, per tutti i motivi sopra esposti e, per l’effetto, condannare quest’ultima, alla restituzione di tutte le somme versate dalla ricorrente, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sino al saldo effettivo;

in via di estremo subordine:

accertare e dichiarare, per le ragioni in fatto e in diritto suesposte, la responsabilità precontrattuale della società e, per l’effetto, condannare , in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento dei danni patiti dalla Sig.ra quantificabili in Euro 22.500,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sino al saldo effettivo o in quella maggiore o minore somma che verrà ritenuta di giustizia;

in ogni caso: condannare la società , in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, patiti e patendi dalla ricorrente, da liquidarsi in via equitativa, oltre al risarcimento dei danni nella misura che sarà ritenuta di giustizia, ai sensi dell’art. 96, I co., c.p.c., ovvero al pagamento di una somma equitativamente determinata ex art. 96, III co., c.p.c.” In ogni caso:

condannare l’appellata alla rifusione delle spese e dei compensi professionali ex D.M. 55/14 del giudizio di primo grado e del presente giudizio di appello, oltre al rimborso delle spese forfettarie (15%), IVA e CPA come per legge, di cui si chiede la distrazione in favore dei procuratori antistatari.

” “1) Rigettare l’appello proposto dall’appellante in quanto palesemente inammissibile, nullo e/o comunque infondato in fatto e diritto per tutti i motivi sopra rappresentati;

2) Confermare in ogni sua parte, di conseguenza, la Sentenza/Ordinanza appellata del 4.10.2023 del Tribunale Civile di Livorno nella causa R.G. n. 825/23 anche in ordine alla condanna dell’odierno appellante al pagamento delle spese di lite in Primo Grado in favore dell’odierno appellato per tutte le ragioni sopra argomentate e sussistendone tutti i presupposti ex lege.

Con condanna dell’appellante ai sensi dell’art. 96 co. 1 e/o co. 3 c.p.c. sussistendone tutti i presupposti di legge per i motivi sopra argomentati.

Con vittoria di spese e compensi anche del presente Secondo Grado di giudizio in favore del procuratore dell’appellato dichiaratosi ANTISTATARIO”.

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. emessa in data 4.10.2023 il Tribunale di Livorno ha così deciso:

“Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da contro , ogni contraria istanze e deduzione respinta, così provvede:

respinge le domande di parte ricorrente;

condanna alla refusione delle spese legali in favore di nella misura di euro 1.200,00, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge”.

Tale pronuncia è stata emessa sulla domanda promossa con ricorso ex art. 702 bis da nei confronti di al fine di far dichiarare, in via principale, la nullità del rapporto contrattuale e la condanna alla restituzione dele somme versate;

in via subordinata l’annullamento del contratto e la condanna alla restituzione come sopra;

in via ulteriormente gradata l’accertamento della responsabilità precontrattuale e la condanna al risarcimento del danno nella misura di € 22.500,00 o di quella diversa di giustizia;

in ogni caso il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, da liquidarsi in via equitativa e la condanna alle spese di lite.

A sostegno delle domande la ricorrente deduceva che nel maggio del 2015 aveva ricevuto una telefonata da un dipendente della (prima RAGIONE_SOCIALE) che le proponeva la piattaforma di trading online denominata “RAGIONE_SOCIALE” e che sebbene tra la telefonata di presentazione e la registrazione sulla piattaforma fosse stata rassicurata tramite altra telefonata da un manager account di RAGIONE_SOCIALE di venire seguita attraverso un servizio di consulenza finanziaria dedicata, in realtà non era stata informata del fatto che avrebbe operato con prodotti complessi come i CFD, altamente rischiosi per i clienti al dettaglio (retail), non le era stato trasmesso alcun contratto, né la documentazione inerente il rapporto e che tuttavia aveva depositato l’importo di Euro 22.500,00 in favore di RAGIONE_SOCIALE poi diventata L’APPELLANTE lamenta che seguendo sempre le indicazioni dei consulenti che le avevano consigliato di tenere aperte le operazioni in perdita, di utilizzare una maggiore leva finanziaria, di inserire raramente gli stop loss nelle operazioni d’investimento, nel febbraio 2016, aveva perso l’intera somma di € 22.500,00; inoltre, emergeva che le illegittime e reiterate condotte della società RAGIONE_SOCIALE (poi diventata ), lesive delle normative nazionali ed europee poste a tutela degli investitori, fossero state a più riprese sanzionate dalla la CySec (Autorità che vigila sui mercati finanziari di Cipro).

Si costituiva eccependo preliminarmente la carenza di giurisdizione del Giudice italiano in favore dello Stato di Cipro / Tribunale di Limassol e/o Nicosia e nel merito asseriva l’infondatezza di ogni avversa domanda, chiedendone il rigetto.

La causa veniva istruita con documenti e decisa come sopra riportato.

Con atto di citazione, regolarmente notificato, (di seguito anche APPELLANTE) conveniva in giudizio innanzi questa Corte di Appello la (di seguito solo o anche APPELLATA) proponendo gravame avverso la suddetta ordinanza per i seguenti motivi di appello:

1. Nullità dell’Ordinanza per motivazione apparente e/o assente.

Violazione degli artt. 134 c.p.c. e 111 Cost. 2. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 23 TUF, dell’art. 37 Regolamento Intermediari Consob, dell’art. 1418, co. 2, c.c., nonché dell’art. 67 septiesdecies del Codice del Consumo.

Errata valutazione delle prove in atti (in violazione degli artt. 116 c.p.c. e 2697 c.c.).

Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 TUF e relativo regolamento attuativo in materia di intermediari, nonché degli artt. 1175 e 1375 c.c..

Errata valutazione delle prove in atti (in violazione dell’art. 116 c.p.c., nonché degli artt. 1218 e 2697 c.c.).

5. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 TUF e relativo regolamento attuativo in materia di intermediari, nonché dell’art. 67 quater del Codice del Consumo e degli artt. 1337 c.c. Errata valutazione delle prove in atti (in violazione degli artt. 116 c.p.c., nonché degli artt. 1218 e 2697 c.c.).

6. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c. Radicatosi il contraddittorio, nel costituirsi in giudizio, eccepiva l’inammissibilità dell’appello e contestava, perché asseritamente infondate, le censure mosse da parte appellante alla sentenza impugnata, della quale chiedeva, per contro, la conferma.

In data 30.1.2025 la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti, precisate come in epigrafe trascritte, a seguito di trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c. *** Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibilità del gravame ex art. 348 bis cpc non risultando una manifesta infondatezza dei motivi di appello ed essendo state poste questioni certamente meritevoli di approfondimento nel merito.

Sempre preliminarmente si rileva che entrambe le parti hanno prodotto documenti redatti in lingua inglese senza la corrispondente traduzione in lingua italiana

(art. 122 cpc), documenti che tuttavia sono egualmente valutabili in quanto non si tratta di un requisito di validità dell’atto (Cass. n. 19900/2023).

Nel merito, l’appello è fondato e va accolto con riforma della sentenza impugnata.

Passando alla disamina nel merito dell’avanzato gravame, si osserva quanto segue. .

La critica contenuta nel primo motivo di gravame (Nullità dell’Ordinanza per motivazione apparente e/o assente.

Violazione degli artt. 134 c.p.c. e 111 Cost.) è infondata.

L’appellante sostiene che la motivazione della sentenza sia apparente, apodittica, incomprensibile, sicché sarebbe ravvisabile un vizio di omessa motivazione, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, in quanto il primo Giudice si sarebbe limitato a copiare il contenuto delle pagine n. 6 – 8 della comparsa di risposta di aggiungendo solo e genericamente che “le deduzioni e le prove dimostrano che le formalità previste a pena di nullità dei contrati stipulati a distanza sono state rispettate e che la ricorrente era stata messa a conoscenza dei rischi connessi alla perdita di tutto il capitale investito e ha scelto, di propria volontà, di continuare ogni volta ulteriormente la sua attività di trading, nonostante la liquidazione del suo conto di trading e la perdita dei suoi fondi”. “Non è ravvisabile alcuna responsabilità precontrattuale contrattuale extracontrattuale” ed inoltre “non sono ravvisabili le cause di nullità o di annullabilità del contratto dedotte dalla ricorrente”.

eccepisce l’inammissibilità del motivo per palese infondatezza e che la censura non è fondata avendo il primo giudice dettagliatamente motivato la decisione.

Il Collegio rileva che la pronuncia impugnata contiene “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”, come dispone l’art. 132 comma 1 n. 4) cpc. E’ infatti chiaramente individuabile il ragionamento logico giuridico che ha condotto al rigetto della domanda.

Il primo giudice, dopo aver riportato le deduzioni della convenuta, ha spiegato di ritenere che le stesse avessero trovato pieno supporto probatorio nei documenti prodotti, in quanto erano state rispettate le formalità previste a pena di nullità dei contrati stipulati a distanza e che la ricorrente fosse stata informata dei rischi;

per tali ragioni ritenuto non poter ravvisare alcuna responsabilità dell’intermediario. .

La seconda censura alla sentenza impugnata (Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 23 TUF, dell’art. 37 Regolamento dell’art. 1418, co. 2, c.c., nonché dell’art. 67septiesdecies del Codice del Consumo.

Errata valutazione delle prove in atti (in violazione degli artt. 116 c.p.c. e 2697 c.c.) è fondata, per le ragioni di cui appresso.

L’appellante deduce una serie di violazioni nei paragrafi da n. 2.1 a 2.5. 2.1) (Nullità del contratto quadro ex art. 23

TUF. Errata valutazione delle prove).

L’appellante sostiene che ai sensi dell’art. 23 TUF il contratto quadro avrebbe dovuto essere redatto per iscritto a pena di nullità, rientrando tra gli atti previsti al n. 13 dell’art. 1350 c.c., per i quali l’art 21 comma 2 bis C.A.D. prevede la firma elettronica avanzata, qualificata o digitale;

la sottoscrizione del contratto quadro con firma elettronica semplice (c.d. “point and click”) non sarebbe, quindi, conforme ai principi della normativa in materia finanziaria, né alla disciplina del D.Lgs. n. 82/2005 e ss.mm.ii. e quindi il contratto firmato con la firma semplice c.d. “point and click” sarebbe nullo.

sostiene che, per consolidato indirizzo giurisprudenziale, il contratto di intermediazione finanziaria concluso attraverso la suddetta procedura “point and click” soddisferebbe pienamente i requisiti stabiliti dalla normativa italiana Questo profilo del motivo di appello è fondato L’art. 23 T.U.F. nel testo vigente al tempo della stipula del contratto avvenuta nel 2015, (come modificato dal D.Lvo n. 164/2007 art 4, prima della modifica introdotta con D,Lgs n. 129/2017) prevedeva:

“1. I contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento…sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti.

Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo”.

Si rientra, dunque, nella previsione dell’art. 1350 n.13 cc, secondo cui “devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità….[cfr.

elencazione art 1350 cod. civ.] … gli altri atti specialmente indicati dalla legge …”.

Il contratto in esame, come detto, è stato stipulato nel 2015 e quindi è disciplinato dalla normativa vigente all’epoca.

disciplina contenuta nel comma 2bis dell’art.21 del CAD statuisce:

“gli atti di cui all’articolo 1350, numero 13), del codice civile redatti su documento informatico o formati attraverso procedimenti informatici sono sottoscritti, a pena di nullità, con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale ovvero sono formati con le ulteriori modalità di cui all’articolo 20, comma 1bis, primo periodo”;

tuttavia, tale disposizione è stata introdotta con la modifica operata dal d.lgs. 179/2016, quindi successivamente alla stipula del contratto in esame.

All’epoca dei fatti per cui è lite in cui non era ancora entrato in vigore l l’art. 20 CAD disponeva che solo il documento informatico sottoscritto con firma elettronica qualificata o con firma digitale soddisfacesse il requisito legale della forma scritta, se formato nel rispetto delle regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 71 che garantisssero l’identificabilità dell’autore e l’integrità del documento, mentre l’art. 21 CAD stabiliva al comma 1 che il documento informatico, cui fosse apposta una firma elettronica, sul piano probatorio fosse liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità e sicurezza ed al comma 2 che invece, il documento informatico, sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica qualificata, avesse l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del codice civile, dato che l’utilizzo del dispositivo di firma si presumeva riconducibile al titolare, salvo che sia data prova contraria. Si osserva peraltro che la stessa Corte di Cassazione ha affermato in relazione all’art. 6 d.lgs.10/2002 “a) che il documento informatico privo di sottoscrizione ha l’efficacia probatoria dell’art. 2712 (art. 10, comma 1);

b) che il documento informatico sottoscritto con firma elettronica, soddisfa il requisito legale della forma scritta ed esso è sul piano probatorio liberamente valutabile, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità e sicurezza (art. 10, comma 2);

c) che il documento informatico sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica avanzata, se la firma è basata su di un certificato qualificato ed è generata mediante un dispositivo per la creazione di una firma sicura, fa inoltre piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle ai fini dell’integrazione contrattuale abilitante la negoziazione in covered warrant la mera firma elettronica apposta dal (….) per mezzo del “point and click” presente nella sua area riservata, la decisione impugnata si è esattamente allineata al quadro di diritto vigente ratione temporis e alla distinzione che esso ha voluto sanzionare nel campo della sottoscrizione dei documenti informatici tra firma elettronica e firma digitale, ritenendo la prima in grado di soddisfare il requisito della forma scritta allorché ne sia prescritta l’adozione ad substantiam.

inoppugnabile il principio che la firma elettronica “leggera” soddisfi il requisito legale della forma scritta, l’adozione della firma elettronica “pesante” si rende necessaria laddove si voglia conferire al contratto l’efficacia probatoria dell’art. 2702 cod. civ. In questo senso, a smentita pure della doglianza sub c), non è infatti privo di rilievo, che nell’approvare il CAD il legislatore abbia avvertito l’obbligo di precisare che solo per i contratti, in relazione ai quali l’art. 1350 cod. civ. prevede l’adozione della forma scritta a pena di nullità, si impone l’adozione della firma elettronica qualificata o digitale, il che, come bene riflette la Corte d’Appello, vuol dire che «solo questa particolare forma integrerà il requisito dello scritto ad substantiam nella specifica casistica del codice civile, non anche al di fuori di questo, come appunto ad es. nei contratti bancari o di investimento». ” (Cass. n. 9413/2021).

L’assunto di parte appellata secondo cui sarebbe valida la sottoscrizione del contratto con la firma point and click non trova quindi conferma nella richiamata pronuncia della S.C., che ha invece precisato come la firma elettronica “leggera” soddisfi il requisito legale della forma scritta” mentre “l’adozione della firma elettronica “pesante” si rende necessaria laddove si voglia conferire al contratto l’efficacia probatoria dell’art. 2702 cod. civ” , che dispone:

“La scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta.

” La pronuncia della Suprema Corte, del resto, non afferiva alla sottoscrizione Nel caso in esame, peraltro, l’appellante ha disconosciuto i documenti prodotti per le ragioni esaminate al punto 2.5. che viene trattato di seguito per continuità espositiva.

2.5) (Errata valutazione delle prove in atti (in violazione degli artt. 116 c.p.c. e 2697 c.c.).

L’APPELLANTE sostiene che il primo giudice non avrebbe valutato le deduzioni e contestazioni formulate nel ricorso ex art. 702 bis c.p.c. e nelle note scritte in sostituzione d’udienza del 25.09.2023, con le quali erano stati disconosciuti i documenti prodotti da essendo privi di data certa e di valore probatorio, senza alcun riferimento alla cliente ed a lei inopponibili;

in particolare: il doc.5 “Allegato A”, sarebbe una mera stampa del contratto- quadro in lingua inglese e parziale essendo state prodotte solo pagine dispari;

il doc. 6 “Allegato B” ovvero il contratto-quadro in lingua italiana, anch’esso parziale;

il doc. 7 “Allegato C” sarebbe incomprensibile e probabilmente frutto di una app automatizzata di provenienza sconosciuta e non indicata da e riporterebbe come autore “ ”, di identità sconosciuta;

il doc. 8 “ALLEGATO C2” sarebbe incomprensibile e parrebbe frutto di una app automatizzata di provenienza sconosciuta e non indicata da eccepisce, altresì:

 che “gli indirizzi IP indicati non hanno il benché minimo grado di attendibilità.

Ed invero:

l’indirizzo IP 5.90.101.140 riconduce alla località di Rimini, mentre l’indirizzo IP 37.118.41.171 riconduce alla località di Padova.

La Sig.ra ha sempre risieduto a Marciana Marina, città situata a circa 300km da Rimini e 420km da Padova;

pertanto, è di tutta evidenza che i dati depositati da controparte non si riferiscano in alcun modo all’odierna appellante”;

 di avere articolato disconoscimento tempestivo, chiaro circostanziato, allegando gli elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta;

che descrivono un insieme di dati) che costituiscono le c.d. “impronte digitali” di una prova elettronica;

 che la mancata proposizione di tempestiva istanza di verificazione precluderebbe la valutazione dei documenti disconosciuti mentre il primo giudice erroneamente avrebbe omesso di considerare le palesi incongruenze circa gli indirizzi IP asseritamente concernenti la propria geolocalizzazione, le proprietà dei file/documenti disconosciuti e le date di creazione degli stessi.

Il profilo di censura (2.5) è fondato L’ordinanza impugnata non menziona le contestazioni sollevate dalla ricorrente seppure i documenti contestati risultino essere stati determinanti ai fini della decisione, posto che in essa si legge quanto segue:

“il ricorrente/attore (Cliente) ha concluso il contratto elettronico con la Società comparente mediante la procedura cosiddetta “point and click” (v. Allegato C) con n. 2409176;

nel concludere il suddetto contratto, ha fornito una firma elettronica utilizzando il seguente indirizzo IP:;

sempre in data 15.05.2015 ore 13:13:44 il ricorrente/attore, effettuando il modulo di registrazione deposito utilizzando l’indirizzo IP, ha accettato quanto segue (v. Allegato C2, C3):

*Termini e condizioni GTCM * Politica di esecuzione degli ordini *Categorizzazione dei clienti *Informativa generale sui rischi *Politica sui conflitti di interessi * Fondo di compensazione degli investitori.

Durante la registrazione del conto di trading il Cliente ha fornito informazioni relative alla sua conoscenza ed esperienza nel prodotto offerto dalla Società.

Sempre in data 15/05/2015 ore 13:18:53 il ricorrente/attore ha inviato il modulo KYC utilizzando l’indirizzo IP (v. Allegato D);

(pag. 2 ord.).

Ritiene il Collegio che a fronte delle contestazioni di incongruenza degli indirizzi IP, delle proprietà dei file/documenti e della mancanza delle date, non abbia offerto di provare la corrispondenza alla effettiva localizzazione della cliente, né la proprietà e le date dei suddetti file/documenti disconosciuti, avendo prodotto in pdf l’attestazione della firma elettronica, mentre a norma del codice dell’amministrazione digitale (CAD – D.lgs. n. 82/2005 e ss. mm. e , ritenuto che i documenti disconosciuti non possono ritenersi riconducibili all’APPELLANTE, il contratto quadro è nullo ed il venir meno dalla causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali comporta l’applicazione delle norme sulla ripetizione dell’indebito, cui consegue il diritto dell’investitrice alla restituzione delle somme versate pari ad € 22.500,00 (v. fra le altre Cass. n. 27390/2023). III.

I motivi 3 (Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1439 c.c.) e 4 (Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 TUF e relativo regolamento attuativo in materia di intermediari, nonché degli artt. 1175 e 1375 c.c. Errata valutazione delle prove in atti (in violazione dell’art. 116 c.p.c., nonché degli artt. 1218 e 2697 c.c.) rimangono assorbiti.

IV.

La quinta censura alla sentenza impugnata (Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 TUF e relativo regolamento attuativo in materia di intermediari, nonché dell’art. 67 quater del Codice del Consumo e degli artt. 1337 c.c. Errata valutazione delle prove in atti (in violazione degli artt. 116 c.p.c., nonché degli artt. 1218 e 2697 c.c.), che è finalizzata al riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni per responsabilità precontrattuale, è stata formulata in via subordinata e pertanto è assorbita dai profili accolti e dall’accoglimento della domanda principale di nullità del rapporto contrattuale con diritto alla restituzione delle somme versate. I punti 2.2) (Nullità del contratto quadro per l’assenza dei requisiti minimi di cui all’art. 37 Regolamento Intermediari adottato dalla 2.3) (Nullità del contratto quadro ex 1418 co. 2 c.c.), 2.4) (Nullità del contratto per mancata indicazione del diritto di recesso ex art. 67septiesdecies del Codice del consumo), vengono esaminati congiuntamente.

Le dedotte nullità del contratto quadro, sinteticamente indicate nei titoli dei paragrafi, si ricollegano tutte all’asserita violazione degli obblighi di corretta e completa informazione da parte dell’intermediario, che avrebbe espletato attività di consulenza pur non essendo legittimato ad offrire tale servizio in Italia;

l’appellante lamenta la mancanza delle indicazioni previste dall’art. 37 ed i termini del rapporto, in difetto della forma scritta per le singole operazioni di investimento, la mancanza dell’ indicazione del diritto di recesso e ripensamento.

contesta tutti i punti, da 2.1 al 2.5, sostenendo di avere operato correttamente, in conformità alle direttive MiFID e MiFID II, al T.U.F. e al Regolamento intermediari, deducendo che il contratto sarebbe stato stipulato nel rispetto delle Direttive Comunitarie e della normativa italiana;

la cliente sarebbe stata periodicamente informata dalla società sui rischi, avrebbe ricevuto ed accettato il documento “termini e condizioni” del contratto inclusa l’ “informativa generale sui rischi”;

inoltre, sul sito internet della società comparirebbe sempre prima dell’accesso il seguente l’avvertimento “Questo sito web non è destinato alla distribuzione al pubblico in generale ed è destinato esclusivamente all’uso da parte di clienti professionali e/o controparti qualificate.

Se non sei un cliente professionale e/o una controparte qualificata non dovresti visualizzare o cercare di fare affidamento su alcuna informazione contenuta in questo sito web e dovresti contattare il tuo consulente finanziario”.

Sostiene altresì l’APPELLATA che al momento della registrazione nel Maggio 2015, essa non sarebbe stata obbligata a eseguire la valutazione di adeguatezza in quanto introdotta con la Direttiva Mifid II entrata in vigore il 3 Gennaio 2018, di avere offerto lo strumento “prime posizioni protette” e che la cliente avrebbe letto ed accettato i termini e le condizioni del contratto, inclusa la Dichiarazione di non responsabilità sui rischi, facendo clic su “leggi e accetta” e sarebbe stata disposta a tollerare i rischi degli investimenti consapevole dei possibili esiti negativi, con la conseguenza che non sussisterebbe quindi alcuna responsabilità in capo a sé anche perché il danno non sarebbe stato provato. Il Collegio osserva che la violazione degli obblighi informativi non comporta la nullità dell’intero contratto.

E’ consolidato principio giurisdizionale quello secondo cui la nullità del di norme inderogabili concernenti la validità del contratto.

La violazione dei doveri di informazione o di corretta esecuzione delle operazioni disposte dal cliente può comportare la responsabilità precontrattuale o contrattuale dell’intermediario ed il connesso obbligo risarcitorio.

La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che “In relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (cosiddetta “nullità virtuale“), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità. Ne consegue che, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario (nella specie, in base all’art. 6 della legge n. 1 del 1991) può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le pari: (cd. “contratto quadro”, il quale, per taluni aspetti, può essere accostato alla figura del mandato);

può dar luogo, invece, a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del “contratto quadro”;

in ogni caso, deve escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell’art, 1418, primo comma, cod. civ., la nullità del cosiddetto “contratto quadro” o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso” (Cass., U, n. 26724 del 19/12/2007; Cass., 6- 3, n. 25222 del 14/12/2010; Cass., 1, n. 8462 del 10/4/2014; Cass., 3, n. 525 del 15/1/2020). ” (Cass. n. 15099/2021).

non ai singoli ordini di investimento (o disinvestimento);

neppure ne deriva l’indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto, essendo detti ordini attuazione delle obbligazioni previste nel contratto di investimento, né, di per sé, tali negozi esecutivi hanno un oggetto indeterminato o indeterminabile sol perché mancanti della forma scritta.

La Corte di Cassazione ha evidenziato che “L’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998, laddove impone la forma scritta a pena di nullità, per i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento, si riferisce ai contratti-quadro e non ai singoli ordini di investimento (o disinvestimento) che vengono poi impartiti dal cliente all’intermediario, la cui validità non è soggetta a requisiti formali, salvo diversa previsione dello stesso contratto quadro.

Tali ordini, infatti, rappresentano un elemento di attuazione delle obbligazioni previste dal contratto di investimento del quale condividono la natura negoziale come negozi esecutivi, concretandosi attraverso di essi i negozi di acquisizione – per il tramite dell’intermediario – dei titoli da destinare ed essere custoditi, secondo le clausole contenute nel contratto quadro. ” (Cass 18122/2020).

Se nel contratto quadro di cui trattasi fosse stato previsto il requisito della forma scritta anche per gli ordini di acquisto, anche tali ordini sarebbero nulli.

Ad ogni modo rileva la Corte che la mancanza del contratto quadro rende ineseguibili i singoli ordini di acquisto in riferimento ai quali, comunque, era tenuta ad ottemperare all’onus probandi su di essa incombente, relativo alla prova circa l’adempimento degli obblighi informativi imposti all’intermediario finanziario al momento degli ordini di acquisto imposti dalla legislazione di settore all’epoca vigente e, in particolare, dall’art. 21 TUF nonché dal Regolamento CONSOB n.1522/1998, ove si consideri che la ha dedotto che gli ordini da ella inseriti nella piattaforma non erano il frutto della libera determinazione di quest’ultima, ma venivano suggeriti dai consulenti in contatto telefonico diretto con il cliente, i quali caldeggiavano determinate scelte di vendita e di acquisto, assicurando che tali operazioni avrebbero incrementato i profitti e recuperato le eventuali perdite. necessarie al fine di creare una profilazione specifica da cui poter evincere la inclinazione del risparmiatore al rischio, sì da proporre adeguati prodotti finanziari (informazione c.d. passiva) e, dall’altro, fornire al cliente tutte le informazioni necessarie circa i singoli strumenti finanziari relative alla natura, ai rischi e alle implicazioni della specifica operazione in modo da consentirgli di investire ovvero disinvestire consapevolmente (informazione c.d. attiva);

il tutto in un’ottica di tutela primaria dell’investitore stesso.

V. La sesta censura alla sentenza appellata (Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c.) è fondata nei limiti di cui appresso.

L’appellante chiede la riforma della pronuncia impugnata relativamente alle spese di lite liquidate, nonché la condanna della Società al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio e la condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 cpc. La riforma delle spese di lite liquidate dal primo giudice è conseguente all’accoglimento del gravame.

La domanda ex art. 96 comma I e comma III non può essere accolta, non essendo ravvisabili per una condotta valutabile alla stregua di abuso del processo né mala fede o colpa grave nel resistere in giudizio.

Le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che “La responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, pur non richiedendo la domanda di parte né la prova del danno, esige in ogni caso, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate; peraltro, sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicché possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell’azione di impugnazione (Cass. Sez.Un. 20/04/2018, n. 9912; Cass. 18/1/2010 n. 654; Cass. Sez. Un. 11/12/2007 n. 25831)” (Cass. S.U. n. 31030/2019).

Parte APPELLANTE nelle conclusioni ha chiesto, in ogni caso, la condanna di in proprio favore al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, patiti e patiendi, da liquidarsi in via equitativa, nonché ai sensi dell’art. 96, I comma c.p.c. ovvero pagamento una somma equitativamente determinata ex art. 96, III comma c.p.c. La domanda ex art. 96 cpc è stata trattata nel sesto motivo.

Per quanto attiene alla domanda risarcitoria, può ritenersi assorbita dal riconoscimento del diritto alla restituzione della somma versata, atteso che dalle risultanze processuali si può ritenere che il danno subìto dall’appellante sia pari all’importo versato e perso nell’investimento per cui è causa.

va quindi condannata alla restituzione in favore di della somma di € 22.550,00 oltre interessi legali dalla data di versamento della somma sino al saldo, dovendo riconoscersi mala fede in capo per le modalità della condotta dalla stessa tenute.

La chiesta rivalutazione monetaria non è dovuta ove si consideri che “il creditore di un’obbligazione di valuta, il quale intenda ottenere il ristoro del pregiudizio da svalutazione monetaria, ha l’onere di domandare il risarcimento del “maggior danno” ai sensi dell’art. 1224, comma 2, c.c., e non può limitarsi a richiedere la condanna del debitore al pagamento del capitale e della rivalutazione, non essendo quest’ultima una conseguenza automatica del ritardato adempimento delle obbligazioni valuta” (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16565 del 22/06/2018). L’accoglimento di alcune censure è assorbente delle altre e tale da comportare l’accoglimento integrale dell’appello.

La riforma del provvedimento impugnato impone un nuovo regolamento delle spese;

in applicazione del principio di soccombenza, tenuto conto dell’esito del giudizio complessivo (che vede vittoriosa le spese ;

quanto al primo grado in misura corrispondente a quanto liquidato dal primo Giudice, quanto al presente grado nella misura liquidata in dispositivo, ai sensi del D.M. 147/2022, in relazione al valore effettivo della controversia ed all’attività svolta, con applicazione dei parametri di riferimento 5.200,01-€ 26.000,00 ai valori medi, esclusa la fase di trattazione.

La Corte di Appello di Firenze, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da nei confronti di , in riforma dell’ordinanza del Tribunale di Livorno emessa e pubblicata in data 4 ottobre 2023 R.G. n. 825/2023, disattesa ogni contraria istanza eccezione e deduzione, così provvede:

Accoglie l’appello e per l‘effetto in totale riforma della ordinanza impugnata:

Accerta e dichiara la nullità del contratto per cui è causa tra e, per l’effetto, Condanna alla restituzione pagamento in favore di della somma di € 22.550 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data di versamento della somma stessa sino al saldo effettivo;

Condanna alla rifusione in favore di delle spese del doppio grado di giudizio, che si liquidano:

– quanto al primo grado in € 1.200,00 oltre spese generali, i.v.a. e c.a.p.

come per legge, – quanto al presente grado in € 3.966,00 oltre spese generali, i.v.a. e c.a.p.

come per legge;

con distrazione in favore dei difensori dichiaratesi antistatari.

Firenze, camera di consiglio del Il C.A. relatore ed estensore Dott. NOME COGNOME Il Presidente divulgazione del presente provvedimento, fuori dell’ambito strettamente processuale, è condizionata all’eliminazione di tutti i dati sensibili in esso contenuti ai sensi della normativa sulla privacy ex D. Lgs 30 giugno 2003 n. 196 e successive modificazioni e integrazioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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