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Nullità del licenziamento perché ritorsivo

La Corte d’Appello di Roma, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, ha riformato la pronuncia di primo grado ed ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato, in data 27 febbraio 2017, condannando il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente ed al pagamento di una indennità risarcitoria pari a tutte le retribuzioni globali di fatto dal recesso all’effettiva reintegra, oltre accessori e spese.

Pubblicato il 23 October 2022 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

La Corte d’Appello di Roma, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, ha riformato la pronuncia di primo grado ed ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato, in data 27 febbraio 2017, condannando il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente ed al pagamento di una indennità risarcitoria pari a tutte le retribuzioni globali di fatto dal recesso all’effettiva reintegra, oltre accessori e spese.

La Corte d’appello ha poi ritenuto sussistenti indici presuntivi che facessero ritenere il trasferimento del lavoratore operato dalla società nullo perché ritorsivo, con la conseguenza che “la contestata assenza ingiustificata, che ha costituito il fondamento dell’intimato licenziamento, tale non può essere qualificata essendo dovuta ad un legittimo esercizio del potere di autotutela contrattuale, esercitato dal prestatore di lavoro ex articolo 1460 c.c.“; la Corte ne ha tratto l’ulteriore conseguenza che “l’impugnato licenziamento deve ritenersi affetto dal medesimo intento ritorsivo”.

Secondo la Suprema Corte, per accogliere la domanda di accertamento della nullità del licenziamento in quanto fondato su motivo illecito, occorre che l’intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso (Cass. n. 14816 del 2005; Cass. n. 3986 del 2015; Cass. n. 9468 del 2019), dovendosi escludere la necessità di procedere ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento (Cass. n. 5555 del 2011).

Dal punto di vista probatorio l’onere ricade sul lavoratore in base alla regola generale di cui all’articolo 2697 c.c., non operando la L. n. 604 del 1966, articolo 5, ma esso può essere assolto anche mediante presunzioni (Cass. n. 23583 del 2019; Cass. n. 20742 del 2018; Cass. n. 18283 del 2010), come accaduto nella specie.

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza n. 26395 del 7 settembre 2022

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