REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI GENOVA
SEZIONE II CIVILE
Composta dai Magistrati
riuniti in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 385/2021 pubblicata il 30/03/2021
Nel procedimento di appello iscritto al n. R.G. /2017 avverso la sentenza n. /2017 emessa dal Tribunale di Genova in data 07.02.2017, notificata il 20.02.2017 tra
XXX, rappresentato e difeso dall’Avv. ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in – APPELLANTE contro YYY rappresentata e difesa dall’Avv. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in – APPELLATA CONCLUSIONI DELLE PARTI
PER L’APPELLANTE
“Piaccia alla Ecc.ma Corte di Appello di Genova, contrariis reiectis, in riforma della sentenza n. 391/2017 emessa il 07/02/2017 e pubblicata dal Tribunale di Genova in data 08/02/2017, notificata il 20/02/2017: • in via preliminare, sospendere l’esecutorietà della sentenza del Tribunale di Genova n. /2017 per i motivi sopra esposti; • in via principale nel merito, in totale riforma della suddetta sentenza ed in accoglimento dei motivi di appello dedotti, previa integrazione istruttoria, respingere le domande avversarie, in quanto infondate in fatto e diritto e/o inammissibili e/o come meglio visto e ritenuto, in forza dei motivi di cui in narrativa. Vinte le spese e gli onorari di giudizio”
PER L’APPELLATA
“Piaccia alla Ecc.ma Corte di Appello, ogni contraria istanza, eccezione, deduzione reietta, rigettare l’appello proposto dal Sig. XXX nei confronti della sentenza n. /2017 pubblicata l’8/2/2017 ed emessa dal Tribunale di Genova poiché infondato in fatto e in diritto, con conseguente integrale conferma della predetta sentenza, rigettando qualsivoglia domanda formulata dall’appellante in quanto infondata e non provata. Vinte le spese ed onorari di causa anche del presente grado di giudizio e con sentenza provvisoriamente esecutiva come per legge”.
MOTIVI
Con atto di citazione 11.5.2015, notificato il 3.6.2015, avanti al Tribunale di Genova, YYY, proprietaria dell’immobile sito in int. 2, ereditato dal fratello *** ed a lui pervenuto con atto Notaio, conveniva XXX, proprietario dell’immobile confinante, sito. Lamentava l’esistenza di opere realizzate in violazione delle distanze legali dall’attuale vicino e dal suo dante causa e sosteneva che, in data 11.10.1985 (Doc. n’ 2 fasc. attore), l’allora proprietario *** aveva richiesto, ed ottenuto nel 1992, una concessione in sanatoria di un casottino in muratura che, però, aveva dimensioni maggiori di quello condonato. Con lettera a.r. 18.3.2011 (Doc. 4 fasc. attore), il fratello ***, lo aveva diffidato a rimuovere il manufatto ed alcuni paletti con griglia posizionati sul muretto di confine e, a seguito del decesso di ***, con lettera a.r. 11.5.2011, diffidava nuovamente il successore XXX, a rimuovere le opere in violazione delle distanze, ma questi non ottemperava. In data 14.3.2014, l’attrice, succeduta al fratello, presentava segnalazione al Comune di sia per l’illegittima realizzazione del manufatto in muratura, c.d. casotto, posto sul confine, che per altre opere realizzate ex novo, quali un manufatto con tettoia in ardesia, lungo tutto il muro di perimetro a confine con il terrapieno sottostante la Via, anch’essa in violazione delle distanze dal confine. Concludeva chiedendo l’accertamento dell’illegittimità del c.d. casotto, del muretto di raccordo realizzato sul confine e del manufatto con tettoia, costruito lungo il perimetro del muro di contenimento del terrapieno della soprastante Via, con conseguente condanna alla messa in pristino ed al risarcimento dei danni.
Si costituiva in giudizio XXX, con comparsa di costituzione e risposta 24.10.2015, il quale sosteneva la presenza in loco da oltre 50 anni del c.d. casotto, costituente la copertura delle scale di accesso ad un vano cantina sottostante, condonato nel 1985 dal proprio dante causa ***. Eccepiva che il muretto era stato eretto in sostituzione di alcuni vasi e contenitori in plastica per la raccolta di acqua piovana, su richiesta della stessa YYY; che il c.d. casotto altro non era che il restauro di quello preesistente e che nessuna lesione del diritto di veduta, poteva ritenersi perpetrato, tenuto conto della maggiore posizione in altezza della porta finestra della YYY rispetto al proprio terrazzo. Chiedeva il rigetto delle domande avversarie.
A seguito del deposito delle memorie ex art 183 c. VI c.p.c., l’attività istruttoria veniva completata da una CTU tecnica, diretta alla descrizione delle opere realizzate, all’accertamento della situazione preesistente ed alla natura e caratteristiche delle opere stesse, indicando se trattasi di nuove costruzioni ai fini dell’applicazione delle norme sulle distanze, nonché alla eventuale determinazione e quantificazione di danni alla proprietà violata.
All’esito del deposito della CTU, precisate le conclusioni e depositate le memorie finali, con sentenza n. 391 pubblicata il 08/02/2017, il Tribunale di Genova ordinava a XXX la messa in pristino dei luoghi procedendo alla demolizione del “casotto” in muratura descritto sub a), del muretto di raccordo descritto sub b) e del manufatto con tettoie descritto sub c) della relazione del CTU. Il Tribunale, sulla scorta delle risultanze istruttorie e delle conclusioni della CTU, riteneva che le opere fossero consistite in ampliamenti di quelle preesistenti e, pertanto, le riteneva nuove costruzioni, come tali soggette al rispetto della disciplina della distanza dal fondo e dalle costruzioni del vicino. Riteneva anche l’esistenza di un danno “in re ipsa”, con condanna del convenuto al pagamento della somma di € 1.000,00 a titolo di risarcimento, oltre al pagamento, per la soccombenza, delle spese di lite e di CTU.
Con atto di citazione in appello 3.3.2017, XXX impugnava la sentenza lamentando i seguenti motivi: – errore in fatto ed in diritto per l’errata valutazione della natura del “casotto” il quale, definito anche dal CTU come semplice copertura di un vano scala e, quindi, volume tecnico, non rientrava nella nozione di fabbricato soggetto alle norme sulle distanze; – errore in fatto ed in diritto per l’errata valutazione della natura del “manufatto con tettoie”, anch’esso volume tecnico e mera ristrutturazione di conigliere presenti fin da 1942 e non soggette a richiesta di titolo edilizio; – errore in fatto ed in diritto per l’errata valutazione della natura del “muretto di raccordo”, non rientrante nella nozione di costruzione e, comunque, derivante dalla demolizione della preesistente aiuola di pari altezza; – errore in fatto e diritto per aver liquidato il danno “in re ipsa” senza che fosse dimostrata l’effettiva sussistenza dello stesso. Chiedeva, pertanto, previa sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza, la riforma totale della stessa con vittoria di spese di entrambi i gradi.
Con comparsa di costituzione e risposta 29.5.2017. si costituiva in giudizio YYY la quale, nel merito, eccepiva l’infondatezza dei motivi, che venivano contestati specificatamente. Chiedeva, pertanto, la conferma della sentenza gravata con condanna alle spese del grado.
Veniva fissata l’udienza del 15.9.2020 alla quale, precisate le conclusioni delle parti, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di legge per le comparse e repliche.
L’appello è solo parzialmente fondato.
Sulla natura di nuove costruzioni dei manufatti per cui è stata disposta la condanna alla messa in pristino, la Corte condivide la motivazione della sentenza gravata, perché fondata tecnicamente, logicamente e giuridicamente.
Il “casotto”, avente “la funzione di copertura e protezione della rampa di scala interna in muratura di collegamento a scendere con il locale cantina”, è stato oggetto di richiesta di condono edilizio 9.12.1985, definita con provvedimento 28.9.1992, che prevedeva dimensioni di 1,60 di lunghezza, mt. 1,20 di larghezza e mt. 1,80 di altezza (immagini pag 14 Ctu). Tuttavia, in epoca successiva, è stato oggetto di ampliamento con misure attuali di lunghezza totale 2,70, altezza mt. 2,10 ed anche in larghezza, come apprezzabile anche nelle foto riprodotte a pag. 15 Ctu. Stante l’ampliamento, non può trattarsi di ricostruzione, ma di nuova costruzione. Il CTU precisa anche che l’ampliamento dell’opera, acquisita tramite il provvedimento in sanatoria, “risulta conforme all’attuale disciplina urbanistico-edilizia – omissis – che consente l’ampliamento di volumi tecnici e/o accessori come quello di specie”, ma “in contrasto con il D.M. 1444 del 2.4.1968 che all’art. 9 prescrive la distanza minima fra le pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, di 10 mt”. Per tale motivo la richiesta di mantenimento in sanatoria ha ricevuto parere contrario dall’amministrazione in data 6.11.2014 (Doc. 14 fasc, attore).
In conformità con le decisioni richiamate nella sentenza gravata, anche l’Ordinanza Cassazione n. 20718 del 13.8.2018, ha ribadito che “una sopraelevazione, il rifacimento di un tetto con aumento di volumetrie e in generale qualsiasi modificazione nella volumetria di un fabbricato precedente che ne comporti l’aumento della sagoma d’ingombro, incidendo sulla situazione degli spazi tra gli edifici esistenti, è da intendersi come nuova costruzione”.
Anche il “manufatto con tettoie”, posto in aderenza all’alto muro di sostegno della Via, il quale, in estensione verso la proprietà YYY, “raggiunge il filo interno del muretto di divisione”, costituisce una nuova costruzione e non semplice ristrutturazione. Se è vero che, come il casotto,
“risultano essenzialmente conformi alle norme edilizio-urbanistiche”, trattandosi di ampliamenti e come tali nuove costruzioni, “tali opere risultano invece in contrasto con la normativa in materia di distanze”. Per tale manufatto, si legge nella relazione di accertamento del Comune di 28.4.2014 (Doc. n’ 11 fasc. attore), XXX ha prodotto “una dichiarazione in autocertificazione attestante la preesistenza ante 1942 con destinazione a “conigliera”; per tale aspetto sulla base della valutazione visiva e della consistenza, non sussistono elementi tali da ritenere quanto dichiarato veritiero”. Dunque, il Geom *** del Comune di, nella sua relazione, ha ritenuto recente la realizzazione e, sul punto, non sono state fornite prove certe della consistenza delle conigliere preesistenti. L’opera deve ritenersi nuova costruzione e, come tale, deve essere realizzata nel rispetto delle distanze di Legge dal confine e dalle pareti finestrate della proprietà confinante.
Anche per il muretto di raccordo, che risulta elevato di 10 cm, rispetto al muretto divisorio residuo, deve confermarsi la decisione gravata, in quanto trattasi di per sé di un ampliamento della struttura preesistente.
E’, invece, fondato il motivo di appello sulla condanna al risarcimento dei danni ritenuti in re ipsa e liquidati equitativamente in € 1.000,00. Sul punto la Corte ritiene che la quantificazione del danno non può prescindere dalle valutazioni conseguenti alla Sentenza Cassazione Sezioni Unite n. 16601/2017, confermate con Cass. Civ. 3 Sez. n’ 13071/2018 e Cass. Civ. 3 Sez. n’ 11203/2019 per cui anche il danno cosiddetto in re ipsa non può ritenersi sussistente automaticamente, ma deve essere allegato e dimostrato dal soggetto leso, anche per presunzioni semplici. La tesi contraria finisce, infatti, per esonerare il danneggiato anche dagli oneri di allegazione, con conseguente lesione del diritto di difesa di controparte, costruendo una presunzione di natura sostanzialmente punitiva, in contrasto con i principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 16601/2017, secondo cui il superamento della finalità compensativa dello strumento risarcitorio è riservato al legislatore.
Nel caso specifico, il CTU non ha rilevato “alcun danno alla proprietà attorea poiché le opere eseguite nell’area di distacco confinante non producono alcun effetto pregiudizievole sul valore della medesima” (pag. 31 CTU), né risulta provato, anche solo per presunzioni, un danno di veduta, tenuto conto anche della maggior altezza del fabbricato di proprietà YYY desumibile dalla tavola a pag. 29 CTU. La Corte, pertanto, ritiene non provato alcun danno subito dalla proprietà YYY e, pertanto, in riforma sul punto della sentenza gravata, rigetta la richiesta di risarcimento dei danni.
Per il limitato accoglimento dell’appello, con il parziale rigetto delle domande attoree, le spese sia del primo che del secondo grado, vengono compensate per un terzo, con condanna dell’appellante XXX alla refusione dei due terzi delle spese di causa a favore dell’appellata YYY, spese che vengono liquidate nel dispositivo, già ridotte, in base al D.M. 55/2014, in conformità dell’art. 5 c. 1 sulla base dello scaglione indicato: – Per il Primo Grado: per spese compensi € 3.224,00 pari ai 2/3 di quanto liquidato nella sentenza gravata e per il secondo grado: Fase di studio: € 720,00; Fase introduttiva: € 600,00; Fase decisionale: € 1.230,00 = Compenso € 2550,00.
Le spese di CTU vengono definitivamente poste in misura di 2/3 a carico dell’appellante XXX e di 1/3 a carico di YYY.
PQM
definitivamente pronunciando nel procedimento di appello iscritto al n. R.G. /2017 avverso la sentenza n. /2017 emessa dal Tribunale di Genova in data 07.02.2017 così decide:
1. Accoglie limitatamente l’appello e, in modifica della sentenza gravata, rigetta la domanda di risarcimento danni proposta da YYY;
2. Condanna XXX alla refusione di due terzi delle spese del primo grado e del grado di appello in favore di YYY che liquida, già ridotte, per il primo grado in € 3.224,00 per spese e compensi, oltre accessori di Legge e per il secondo grado in € 2550,00 per compensi, oltre accessori di Legge;
3. Pone le spese di CTU definitivamente in misura di 2/3 a carico dell’appellante XXX e di 1/3 a carico di YYY;
4. Conferma nel resto la sentenza gravata..
Genova, 26 febbraio 2021
Il Giudice Aus. Est. Il Presidente
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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