N.R.G. 8471/2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA SECONDA
SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._2294_2024_- N._R.G._00008471_2022 DEL_05_08_2024 PUBBLICATA_IL_06_08_2024
nella causa civile di II grado iscritta al n. R.G. 8471/2022 promossa da:
), residente a Bologna, con il patrocinio dell’Avv. COGNOME NOME e dell’Avv. COGNOME NOME;
appellante contro ), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede a Bologna, con il patrocinio dell’Avv. NOME COGNOME
appellata Oggetto:
appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Bologna n. 336/2022 pubblicata il 16.02.2022.
CONCLUSIONI
Parte appellante chiede e conclude:
“In totale riforma della sentenza 12.2-16.2.2022 n.336 emessa dal Giudice di Pace di Bologna, non notificata, accogliersi le conclusioni formulate in primo grado e per l’effetto accertati tutti gli atti e fatti descritti in narrativa;
nel merito: accertarsi e dichiararsi la nullità del contratto 10.8.2016 per violazione degli artt. 49, 50, 52 e 53 del codice del consumo;
nel merito in via subordinata: dichiararsi l’annullamento del contratto 10.8.2016 per dolo e/o errore;
C.F. P. la legittimità del recesso dal contratto e dichiararsi, conseguentemente, l’inesistenza degli obblighi contrattuali ex adverso dedotti;
nel merito ed in via ulteriormente gradata:
dichiararsi la risoluzione del contratto per violazione degli artt. 49, 50, 52 e 53 codice del consumo;
conseguentemente:
dichiararsi privo di titolo e di effetto il decreto ingiuntivo opposto;
in via riconvenzionale:
– condannarsi la convenuta al risarcimento dei danni non patrimoniali nella misura che si quantifica in Euro 300,00= o in quella diversa che sarà accertata liquidata dal Giudice in ogni caso entro la propria competenza per valore del Giudice di prime cure;
– accertarsi l’inadempimento contrattuale della convenuta con riferimento alla prestazione di cui alla ricevuta fiscale 10.8.2016 ns.
doc. 7 come descritto in narrativa, condannarsi la convenuta alla restituzione della somma di Euro 280,00= indebitamente versata (cfr. ns. doc. 7);
in ogni caso: condannarsi la alla restituzione all’appellante della somma di euro 1.235,84= pagata in forza della sentenza impugnata (cf. doc. 1, 2 e 3 dimessi in questo procedimento);
in via istruttoria subordinata: disporsi il confronto tra i testi assunti in primo grado.
Spese rifuse per entrambi i gradi di giudizio”.
Parte appellata chiede e conclude:
“In via preliminare – dichiarare inammissibile l’appello proposto dal sig.
avverso la sentenza n. 336/2022, non notificata, pubblicata in data 16 febbraio 2022 dal Giudice di Pace di Bologna per violazione degli artt. 342 e 348 bis c.p.c.;
– nel merito nella denegata e non creduta ipotesi di mancata declaratoria di inammissibilità, rigettare l’appello proposto dal sig.
avverso la sentenza n. 336/2022, non notificata, pubblicata in data 16 febbraio 2022 dal Giudice di Pace di Bologna, in quanto destituito di fondamento giuridico e fattuale, per tutti i motivi indicati nel presente atto.
Con condanna alla rifusione dei compensi di causa ex D.M. 55/2014 aggiornato al D.M. n. 37 dell’8 marzo 2018”.
atto di citazione in appello notificato a mezzo pec il 13.07.2022 il dott. conveniva in giudizio, avanti il Tribunale di Bologna, la società (nel prosieguo anche solo ”), al fine di ottenere la riforma della sentenza del Giudice di Pace di Bologna n. 336/2022 del 16.02.2022.
In ordine al giudizio di primo grado, si rende opportuna una previa ricostruzione della vicenda giudiziaria.
1.1.
Con decreto monitorio n. 2209/2018 emesso dal Giudice di Pace di Bologna l’01.06.2018 (R.G. n. 51334/2018), veniva ingiunto a il pagamento, in favore di , di: € 120,00=, oltre interessi legali, a titolo di corrispettivo per attività di manutenzione di un condizionatore ed oltre le spese legali liquidate in € 200,00= a titolo di compenso, oltre 15%, C.P.A. e I.V.A., ed in € 21,50= per esborsi.
L’ingiunto proponeva opposizione, al fine di ottenere l’annullamento e la revoca del decreto ingiuntivo, invocando la nullità, l’inefficacia, l’inopponibilità, l’annullabilità e l’inadempimento del contratto di manutenzione.
In particolare, l’opponente narrava di aver acquistato un condizionatore, installato presso la propria abitazione il 14.07.2016 dai tecnici della venditrice e che:
– in data 08.08.2016 si verificava una perdita di acqua dallo split;
– a causa dell’impossibilità di parte venditrice di intervenire per la risoluzione del guasto, si rivolgeva – quest’ultima, nella persona del Sig. , individuava la causa della perdita nella presenza di un sasso nella vaschetta dello split;
– una volta eseguito l’intervento, provvedeva al pagamento del corrispettivo pari ad € 280,00=;
– controparte gli proponeva di sottoscrivere un contratto di manutenzione dell’impianto;
– tale proposta veniva rifiutata, in quanto l’impianto era nuovo ed ancora in garanzia;
– in seguito al rifiuto, il tecnico gli sottoponeva alcuni fogli, descrivendoli come ricevuta dell’intervento, e ne chiedeva la sottoscrizione;
– procedeva alla sottoscrizione, senza previa lettura, ma non riceveva copia del documento;
– riceveva, invece, la raccomandata 28.09.2017 con cui gli era richiesto di adempiere al contratto di manutenzione;
– a fronte delle proprie contestazioni di cui alla raccomandata 03.10.2017, l’odierna parte appellata rispondeva con la notifica del decreto ingiuntivo.
al giudizio di opposizione svoltosi in primo grado, riferiva che l’intervento eseguito da era risultato inutile, in quanto la stessa sera e nei giorni successivi si erano verificate altre perdite di acqua;
pertanto, instava per la condanna dell’opposta alla restituzione della somma di € 280,00= versata alla società per l’intervento.
Proseguiva, invocando l’annullabilità del contratto di manutenzione per dolo e/o errore, in quanto la sottoscrizione era stata ottenuta con frode;
eccepiva, poi come il contratto fosse nullo in quanto contrario alle norme imperative dettate a tutela dei consumatori.
Inoltre, eccepiva che l’assenza di informazioni circa il diritto di recesso attribuiva al consumatore il diritto di esercitarlo sine die o comunque entro dodici (12) mesi.
Infine, avanzava domanda riconvenzionale, chiedendo la condanna della società opposta al risarcimento dei danni non patrimoniali arrecatigli, nella misura di € 300,00=. 1.1.3.
In data 22.10.2018 si costituiva nel primo giudizio la società , contestando integralmente l’atto oppositivo, sia in fatto che in diritto, e domandando la conferma del decreto ingiuntivo.
1.1.4.
All’esito dell’istruttoria testimoniale, Il Giudice di Pace di Bologna con sentenza n. 336 pubblicata il 16.02.2022 rigettava l’opposizione e, per l’effetto, confermava il decreto ingiuntivo opposto;
rigettava, altresì, la domanda riconvenzionale dell’opponente, condannandolo alla rifusione delle spese di lite liquidate nella misura di € 650,00= omnia, oltre accessori.
Avverso detta sentenza era interposto appello da , il quale eccepiva la violazione:
dell’art. 111 Cost. da parte del Giudice di prime cure, data l’assenza di motivazione;
delle norme comunitarie recepite nell’ordinamento giuridico vigente agli artt. 49, 50, 52 e 53 del Codice del consumo;
delle norme sulle tariffe degli avvocati.
Inoltre, l’appellante sosteneva che il Giudice di pace avesse completamente omesso la valutazione sia delle prove documentali, sia delle prove orali assunte nel corso del giudizio di primo grado.
Inoltre, argomentava di aver esercitato efficacemente il diritto di recesso dal contratto di manutenzione sia con la raccomandata 03.10.2017, indirizzata ad , sia con l’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo.
, pertanto, concludeva affinchè, in totale riforma della sentenza impugnata, venisse dichiarato l’annullamento del contratto, venisse accertata la legittimità del proprio recesso, ovvero della somma di € 280,00= e quella riconvenzionale di risarcimento del danno riconvenzionale.
Da ultimo, domandava il ristoro delle spese di entrambi i gradi di giudizio, osservando altresì come il primo Giudice avesse, nella liquidazione, violato le norme sulla quantificazione del compenso dovuto al difensore in quanto superiori ai massimi tariffari.
2.1.
si costituiva in questo grado di giudizio con comparsa depositata in data 21.12.2022, chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado.
Eccepiva l’inammissibilità del giudizio di impugnazione alla luce della carenza dell’atto di appello sia in ordine al requisito della specificità dei motivi ex art. 342 c.p.c. sia rispetto alla ragionevole probabilità di un suo accoglimento ex art. 348 bis c.p.c. Nel merito, parte appellata sosteneva che:
– il Sig. , socio di minoranza e tecnico di , si recava in data 10.08.2016 presso l’abitazione del Dott. al fine di eseguire un intervento fuori garanzia;
– in tale occasione proponeva all’odierno appellante la sottoscrizione di un contratto di manutenzione e, pertanto, illustrava le clausole contenute nello stesso e forniva informazioni in merito al diritto di recesso;
– la proposta veniva accolta dal il quale procedeva alla sottoscrizione del contratto.
Dunque, la escludeva che fossero intervenute le violazioni delle norme a tutela del consumatore, come dedotto da parte appellante.
Inoltre, contestava anche la domanda di annullamento del contratto per dolo e/o errore avanzata da controparte.
In particolare, sosteneva di non aver tratto in inganno la parte appellante al fine di farle sottoscrivere il contratto in parola e che la stessa avesse deciso consapevolmente di procedere alla stipulazione.
In secondo luogo, affermava che, al fine di ottenere l’annullamento del contratto, l’onere di provare il dolo e/o l’errore incombe sulla parte che eccepisce l’annullabilità;
onere probatorio non assolto.
Peraltro, adduceva l’infondatezza delle domande riconvenzionali spiegate da Infine, riteneva che il Giudice di prime cure avesse correttamente provveduto alla liquidazione delle spese di lite, in applicazione delle tariffe in vigore ratione temporis.
§ § § Ritiene il giudicante che la sentenza appellata non sia passibile di riforma e che, dunque, deve essere primo motivo di appello, concernente la violazione dell’art. 111 Cost., è infondato in quanto la sentenza di primo grado risulta sufficientemente motivata, oltre che condivisa quanto alla pronuncia nel merito.
3.2.
Il contratto di manutenzione veniva stipulato in data 10.08.2016 dal Dott. e dalla società , presso l’abitazione del primo.
Dunque, rappresenta un esempio di contratto stipulato al di fuori di un locale commerciale e, pertanto, è soggetto a specifiche norme dettate in materia dal Codice del Consumo, D.Lgs. n. 206/2005.
E’ specifico motivo di appello, al riguardo, la violazione degli artt. 49-50-52-53 del Codice del Consumo, ovvero nello specifico:
– art. 49, sugli obblighi di informazione precontrattuali gravanti sul professionista;
– art. 50, in materia di requisiti formali richiesti dalla norma per la conclusione di contratti stipulati fuori dai locali commerciali;
– art. 52, relativo al diritto di recesso riconosciuto al consumatore;
– art. 53, in ordine all’inadempimento dell’obbligo di informazione sul diritto di recesso.
Si conviene con il primo giudice che il contratto di manutenzione è stato validamente stipulato e che non vi siano violazioni dell’invocata disciplina, né ancor prima di nullità.
3.2.1.
Si rende opportuna una premessa sulla disciplina consumeristica.
Vero è che in materia di contratti stipulati tra professionista e consumatore vige una disciplina volta ad offrire una vigorosa tutela al contraente più debole, il quale si viene a trovare in una posizione di “difetto informativo” in relazione ad alcuni aspetti del regolamento contrattuale, non avendo partecipato alla loro elaborazione;
la disciplina è, infatti, particolarmente dettagliata con riferimento alla fase precontrattuale e la previsione di precisi obblighi per lo più aventi contenuto informativo.
Trattasi di obblighi presidiati da una previsione di nullità testuale del contratto.
Sennonchè, non è tale la fattispecie in esame, posto che per gli articoli richiamati da parte appellante, ossia gli artt. 49, 50, 52 e 53, non è comminata la sanzione della nullità del contratto.
Invero, secondo l’orientamento prevalente in giurisprudenza, l’inosservanza degli obblighi informativi non può determinare la nullità del contratto, così come affermato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione che, con sentenza n. 26724 del 2007, hanno posto fine al dibattito sorto in materia;
le Sezioni Unite hanno statuito che, qualora non sia stabilito diversamente dalla legge, la nullità del contratto può discendere esclusivamente dalla violazione di norme inderogabili che, diversamente, la anche con riferimento all’art. 50, norma che con riferimento ai contratti stipulati fuori dai locali commerciali, prevede che il professionista è tenuto a fornire al consumatore:
– le informazioni di cui all’art. 49 del Codice su supporto cartaceo (comma 1);
– una copia cartacea del contratto stipulato (comma 2).
Richiamando quanto appena argomentato circa l’art. 49, dalla lettura degli atti di causa è emerso che il Dott. ha ottenuto una copia del contratto soltanto in data 05.10.2017, ossia in seguito ad una formale richiesta dello stesso – avanzata in data 03.10.2017.
Ma, l’inadempimento del professionista circa l’obbligo di consegnare una copia del contratto non incide sulla validità e sull’efficacia del negozio.
3.3.
Quanto al recesso – artt. 52 e 53 del Codice del Consumo – si conviene con il primo giudice circa il rigetto della domanda di accertamento della legittimità del recesso.
L’art. 52 attribuisce al consumatore il diritto di recedere dal contratto stipulato a distanza o fuori dai locali commerciali entro 14 giorni, senza obbligo di fornire alcuna motivazione;
introduce una regola di favore per il consumatore, in deroga all’art. 1372 cod. civ., riconoscendogli la facoltà di recesso ad nutum qualora sia stato sufficientemente informato dalla controparte contrattuale.
Il successivo art. 53 estende il termine per il recesso;
invero, nell’ipotesi in cui il professionista ometta di rilasciare al consumatore le informazioni necessarie per l’esercizio di tale diritto, in violazione dell’art. 49, comma 1, lett. h), il termine per recedere termina dodici mesi dopo la fine del periodo di recesso iniziale.
L’appellante sostiene di aver esercitato il proprio diritto di recesso sia in data 03.10.2017, sia in data 18.07.2018, ossia con la proposizione dell’opposizione avverso il decreto ingiuntivo.
Dunque, in entrambi i casi il termine era inutilmente decorso.
Si condivide la sentenza appellata anche in ordine al rigetto della domanda di annullamento del contratto di manutenzione.
Secondo la ricostruzione dei fatti offerta dal Dott. la sottoscrizione del negozio non è stata il frutto di una scelta libera e consapevole, bensì è stata ottenuta dalla controparte con l’inganno;
il Sig. gli avrebbe offerto di sottoscrivere il contratto di manutenzione e, a seguito del rifiuto ricevuto, gli avrebbe sottoposto all’odierno appellante alcuni documenti, chiedendo di firmarli e specificando che si trattassero di una semplice ricevuta.
Orbene, il dolo rappresenta una causa di annullabilità del contratto, ex art. 1439
cod. civ. e consiste giurisprudenza ha precisato che, affinché possa configurarsi il dolo, non è sufficiente una mera influenza psicologica;
occorre che gli artifizi e i raggiri abbiano una rilevanza tale da provocare una falsa rappresentazione della realtà idonea a trarre in errore un soggetto di normale diligenza (in tal senso, Cass. civile, sez. I, n. 20231/2022).
L’onere probatorio incombe sulla parte che domanda l’annullamento e, si conviene, l’opponente in primo grado non ha assolto al proprio onere.
Al fine di ottenere una pronuncia di annullamento del contratto, la parte attrice, ossia colei che ritiene di essere stata ingannata, è tenuta a provare il dolo della controparte;
corretto l’iter motivazionale del primo giudice al riguardo, con il richiamo alla compiuta illustrazione del contenuto della proposta.
Non è superabile il difetto di onere probatorio con il richiamo alla testimonianza di in quanto pur avendo la stessa dichiarato di essere stata presente al momento della sottoscrizione del contratto, tale presenza risulta smentita dalle dichiarazioni testimoniali di e di
Corretto, infine, l’operare del primo giudice laddove ha rigettato la domanda riconvenzionale Il Dott. esponeva che in data 10.08.2016 il Sig. , tecnico della società , si recava presso la sua abitazione al fine di eseguire un intervento di manutenzione di un condizionatore.
La causa del malfunzionamento veniva individuata nella presenza di un sasso nella vaschetta dello split.
Completata l’operazione, l’odierno appellante provvedeva al pagamento di € 280,00= a favore di , quale corrispettivo per la prestazione eseguita.
Proseguiva esponendo che l’intervento eseguito dalla società appellata si era rivelato poi inutile, in quanto già la stessa sera e nei giorni seguenti al 10.08.2016 si verificarono ulteriori perdite di acqua dal condizionatore.
Ciò costringeva ad eseguire un ulteriore intervento, che il affidava ad altra ditta.
Anche sotto tale profilo la sentenza impugnata non merita riforma, in quanto si condivide la tesi accolta dal primo giudice.
In particolare, non vi è prova che la necessità di eseguire un secondo intervento sul condizionatore sia causalmente connessa all’intervento , intervento che comunque era necessario ed è stato sottoscritto dallo stesso Invece, si condivide la censura di parte appellante quanto alla violazione tariffaria operata dal primo giudice nella sentenza senza motivare le ragioni per cui è stato riconosciuto un compenso superiore nel massimo a quello previsto dal D.M. n. 55/2014, da applicarsi ratione temporis.
, ha liquidato € 650,00=, omnia (ma non sono state esposte voci di anticipazioni) oltre spese generali, Cpa ed Iva.
Ritiene, in particolare, questo giudice che non vi siano ragioni per l’applicazione delle tariffe oltre i massimi, bensì che sia equo applicare i parametri medi ad eccezione della fase istruttoria in ragione del numero dei testimoni escussi.
Pertanto, in riforma del solo capo di condanna, liquida in favore di le spese di primo in complessivi € 395,00= oltre spese generali ed accessori di legge.
Ne consegue, che è tenuta a restituire la somma pari alla differenza del compenso qui riconosciuto ovvero € 255,00= oltre spese generali, Cpa ed Iva come per legge.
Quanto alle spese del presente grado, il parziale accoglimento dell’appello un punto al capo delle spese di lite, configura motivo per disporne la compensazione in ragione di 1/4, con condanna di parte appellante, maggiormente soccombente, alla rifusione in favore di parte appellata dei restanti 3/4 giusta liquidazione di cui al dispositivo che segue;
la liquidazione è operata in applicazione dei parametri medi previsti dal D.M. n. 147/2022 per lo scaglione sino a € 1.100,00=.
definitivamente pronunciando nella causa promossa in grado di appello, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così provvede:
1) in parziale accoglimento dell’appello, riforma la sentenza del Giudice di Pace di Bologna n. 336/2022 del 16.02.2022 relativamente al capo relativo alle spese di lite;
2) per l’effetto, liquida a carico di ed in favore di le spese di primo grado in € 395,00= oltre rimborso spese generali 15%, Cpa ed Iva come per legge;
3) stante l’avvenuto pagamento della sentenza di primo grado, dichiara che tenuta alla restituzione della differenza di compenso, ovvero per € 255,00= oltre rimborso spese generali 15%, Cpa ed Iva come per legge;
4) rigetta ogni altro motivo di appello proposto e conferma la sentenza del Giudice di Pace di Bologna;
5) dichiara la compensazione delle spese del presente grado di giudizio in ragione di 1/4 e, per l’effetto, condanna parte appellante alla rifusione in favore di parte appellata dei restanti 3/4 che liquida in € 496,50= a titolo di compenso, oltre rimborso forfetario 15%, Cpa ed Iva come per legge.
Così deciso il 5 agosto 2024 Il Giudice dott. NOME COGNOME
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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