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Codice Penale

Occupazione senza titolo, realizzazione di opera di pubblica utilità

La sentenza affronta il tema dell’occupazione senza titolo di un immobile per la realizzazione di un’opera di pubblica utilità, come un elettrodotto. Si analizzano i presupposti della responsabilità civile e la quantificazione del danno, distinguendo tra danno in re ipsa e danno da provare.

Pubblicato il 29 October 2024 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

N. R.G. 95000379/2012

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI BARI II

SEZIONE CIVILE in persona del Giudice dott.ssa NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._4045_2024_- N._R.G._95000705_2012 DEL_02_10_2024 PUBBLICATA_IL_03_10_2024

nella causa civile iscritta al n. R.g. 95000705/2012 promossa rappresentata e difesa, giusta mandato in atti, dall’avv. NOME COGNOME contro , in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, giusta mandato in atti, dall’avv. NOME COGNOME CONVENUTA

CONCLUSIONI

Le parti hanno concluso come da note di trattazione scritta depositate per l’udienza del 13.03.2024, che si intendono qui integralmente richiamate.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.

Con atto di citazione ritualmente notificato, , premesso di essere proprietaria del terreno sito in INDIRIZZO riportato nel Catasto Terreni del Comune di Monopoli al fg. 80, p.lla 43, giusta testamento della madre del 22.03.2010, chiedeva di ordinare alla convenuta l’immediata rimozione dell’impianto di rete installato abusivamente sulla sua proprietà, con condanna di al risarcimento dei danni patiti per ;

che in data 4.04.2012, con invio di apposita raccomandata, diffidava la convenuta all’immediata rimozione dell’elettrodotto;

che successivamente si affrettava ad inviare un suo dipendente sul fondo, per effettuare la capitozzatura degli alberi, senza autorizzazione della proprietaria.

2.

Con comparsa depositata all’udienza dell’11.04.2012 si costituiva contestando le avverse deduzioni e sostenendo l’infondatezza della domanda per difetto di prova.

3. Chiesti e concessi i termini per il deposito di memorie istruttorie parte attrice insisteva nella responsabilità di x art. 2049 c.c. per il fatto dei propri dipendenti e formulava richiesta di prova testimoniale e CTU per la quantificazione dei danni patiti.

non depositava memorie istruttorie.

4.

La causa, istruita sulla scorta della produzione documentale versata in atti dalle parti, prova orale e consulenza tecnica d’ufficio, è pervenuta all’udienza del 13.03.2024 dove, sulle conclusioni come in epigrafe precisate, è stata riservata per la decisione, con concessione alle parti dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO 1. La questione controversa oggetto di giudizio richiede un preliminare richiamo alla disciplina legislativa regolante la particolare fattispecie, rappresentata dal Codice delle comunicazioni elettriche (d.lgs. n. 259 del 2003) e dalle disposizioni del Codice civile in materia di servitù. 1.1.

In particolare, l’art. 1056 c.c. prevede che “ogni proprietario è tenuto a dare passaggio per i suoi fondi alle condutture elettriche, in conformità delle leggi in materia”.

Ciò detto, giova premettere che la servitù di elettrodotto può essere costituita, oltre che per convenzione e con gli altri modi consentiti dall’ordinamento giuridico, secondo i titoli previsti della disciplina speciale di cui al R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775 (“Testo Unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici”), vale a dire in presenza di autorizzazione dell’autorità competente (art. 119 t.u. cit.), di dichiarazione di pubblica utilità (artt. 115 e 116 t.u. cit.) oppure di valido asservimento per via di provvedimento amministrativo (in presenza di autorizzazione e declaratoria di p.u.). costituendosi, ha genericamente contestato l’avversaria domanda, limitandosi a negare che il fondo di proprietà dell’attrice sia stato occupato sine titulo per l’installazione dell’elettrodotto, senza, tuttavia, fornire alcuna prova né dell’esistenza di un contratto né di un atto autoritativo di costituzione della servitù.

Di talché, in mancanza di titolo convenzionale o amministrativo idoneo alla legittima costituzione della servitù, l’occupazione sine titulo del terreno di proprietà della realizzata mediante l’installazione sullo stesso della linea elettrica, non determina la costituzione di una servitù secondo lo schema della cosiddetta “occupazione acquisitiva” – non configurabile rispetto a che l’impianto non venga rimosso o cessi il suo esercizio oppure sia costituita regolare servitù (cfr. Cass., Sez. I, 07/08/1996, n. 7230). 1.2.

Dimostrato il materiale asservimento del fondo attoreo, occorre verificare se, ed in quali termini, sia risarcibile il danno da illegittima imposizione di una servitù di fatto.

La fattispecie in esame va inquadrata nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c. Com’è noto, in seno alla stessa Corte di Cassazione, si registra un risalente contrasto sulla questione – da tempo dibattuta in giurisprudenza – dell’accertamento e della stima del danno da occupazione sine titulo di un immobile.

Un primo indirizzo pretorio ritiene che, nelle ipotesi di occupazione senza titolo di un bene immobile, il danno subito dal proprietario sia in re ipsa, discendendo il pregiudizio dal semplice fatto della perdita della disponibilità del bene da parte del “dominus” e dall’impossibilità per costui di conseguire l’utilità normalmente ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso;

soppressa la facoltà di godimento spettante al proprietario per effetto dell’occupazione, il danno sarebbe risarcibile sulla base di una presunzione “iuris tantum”, superabile solo con la dimostrazione concreta che il proprietario, anche se non fosse stato spogliato, si sarebbe comunque disinteressato del suo immobile e non l’avrebbe in alcun modo utilizzato.

Quanto alla stima del danno, la sua liquidazione può essere operata dal giudice con riferimento al cd. danno figurativo, quale il valore locativo del bene usurpato (cfr. Cass., Sez. III, 09/08/2016, n. 16670; Cass., Sez. III, 16/04/2013, n. 9137; Cass., Sez. II, 07/08/2012, n. 14222; Cass., Sez. II, 08/3/2010, n. 5568; Cass., Sez. II, 11/02/2008, n. 3251; Cass., Sez. III, 18/01/2006, n. 827; Cass., Sez. III, 08/05/2006, n. 10498; Cass., Sez. II, 21/01/2000, n. 649; Cass., Sez. II, 18/02/1999, n. 1373; Cass., Sez. I, 04/02/1998, n. 1123; Cass., Sez. II, 11/03/1995, n. 2859).

Secondo un altro orientamento, invece, poiché l’abusiva occupazione di un immobile integra un fatto illecito di natura aquiliana, il pregiudizio correlato a detta attività materiale, essendo pur sempre un danno-conseguenza, è risarcibile soltanto se il soggetto danneggiato abbia debitamente allegato e provato, in modo rigoroso, che la condotta illecita abbia prodotto un concreto pregiudizio.

Dunque, il danno da occupazione abusiva di immobile non può ritenersi sussistente in re ipsa, né coincide col mero fatto dell’occupazione.

In coerenza con l’insegnamento invalso in riferimento ad altre fattispecie di responsabilità extracontrattuale (Cass,, Sez. II, ord. 22/09/2017, n. 22201, in materia di “fermo tecnico” di veicolo; Cass., Sez. III, 13/10/2016, n. 20643, in materia di danno all’immagine di persone giuridiche; Cass., 24474, in materia di diffamazione a mezzo stampa; Cass., Sez. III, 03/07/2014, n. 15240, in materia di illegittimo trattamento di dati personali; Cass., Sez. I, 11/10/2013, n. 23194, in tema di illegittimo protesto di assegno bancario; Cass., Sez. I, 10/09/2013, n. 20695, in materia di abuso di posizione dominante; Cass., Sez. Lavoro, 14/05/2012, n. 7471, in tema di danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili), questa tesi ripudia la figura del danno in re ipsa, sull’assunto che il suo riconoscimento finirebbe per frustrare la funzione essenzialmente riparatoria attribuita alla responsabilità civile, trasformandola in uno strumento sanzionatorio di reazione ad un comportamento concretamente non lesivo (Cass., Sez. III, 17/06/2013, n. 15111:

“Il danno da occupazione abusiva di immobile non può ritenersi sussistente “in re ipsa” e coincidente con l’evento, che è viceversa un elemento del fatto produttivo del danno, ma, ai sensi degli artt. 1223 e 2056 cod. civ., trattasi pur sempre di un danno-conseguenza, sicché il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito un’effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo avvalersi di presunzioni gravi, precise e concordanti”; in terminis, Cass., Sez. III, 11/01/2005, n. 378).

In posizione mediana, si colloca l’Ordinanza n. 25898 del 15/12/2016, con la quale la Suprema Corte ha chiarito che “Nella ipotesi di occupazione “sine titulo” di un cespite immobiliare altrui, il danno subito dal proprietario per l’indisponibilità del medesimo può definirsi “in re ipsa”, purché inteso in senso descrittivo, cioè di normale inerenza del pregiudizio all’impossibilità stessa di disporre del bene, senza comunque far venir meno l’onere per l’attore quanto meno di allegare, e anche di provare, con l’ausilio delle presunzioni, il fatto da cui discende il lamentato pregiudizio, ossia che se egli avesse immediatamente recuperato la disponibilità dell’immobile, l’avrebbe subito impiegato per finalità produttive, quali il suo godimento diretto o la sua locazione”. Ebbene, ritiene la scrivente, condividendo l’orientamento più rigoroso, che affinché sia accordata la tutela risarcitoria richiesta, chi si reputa danneggiato non può semplicemente allegare la lesione della posizione giuridica soggettiva, ma deve assolvere al ben più gravoso onere di allegare e dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, ivi compreso il concreto danno lamentato ed il nesso di causa tra condotta ed eventus damni.

L’inconcepibilità di un danno in re ipsa non toglie, tuttavia, che la sussistenza del pregiudizio lamentato dal proprietario del fondo abusivamente occupato possa essere dimostrato con ogni mezzo di prova, ivi incluse le presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c. 1.3.

Tanto premesso in linea generale, si osserva che – nel caso in esame – è stato sufficientemente provato il danno patito dalla in conseguenza della apposizione, da parte della società convenuta, della linea elettrica sul terreno di sua proprietà.

Nella Consulenza Tecnica d’Ufficio espletata nel corso del giudizio è stato accertato che il fondo dell’attrice è effettivamente interessato dal passaggio di una linea elettrica per una lunghezza complessiva di circa 175 metri, con due sostegni distanti tra loro 75 mt e con una distanza minima dal corpo di fabbrica pari a 38 mt.

In particolare l’Ing. ha precisato che l’elettrodotto è ubicato nel terreno di pertinenza dell’immobile di proprietà attrice, con coltivazione prevalente a mandorleto.

Ha, inoltre, descritto i luoghi su cui insiste l’elettrodotto, precisando, in merito alla destinazione d’uso dell’immobile, che trattasi di masseria con zona parcheggio, chiesa rurale e terreno circostante di 25.872 mq. La masseria trovasi in perfetto stato di manutenzione e viene adibita ad attività di bed & breakfast.

Nel terreno circostante vi è una conduttura aerea di energia elettrica con due pali nella proprietà attorea.

Appurata, dunque, la destinazione agricola del fondo ed il suo diretto godimento, per la porzione non asservita, da parte della , deve ritenersi presuntivamente provato il danno ingiusto correlato al mancato utilizzo del terreno relativamente all’area occupata senza titolo dalla società convenuta.

Peraltro, pur essendo emerso all’esito dell’istruzione probatoria lo sfruttamento diretto ad opera della titolare del cespite immobiliare, non può negarsi che quest’ultima abbia patito un danno a seguito dell’illegittima compressione del proprio diritto dominicale.

Si tratta di pregiudizi che, non potendo evidentemente essere provati nel loro preciso ammontare, impongono una liquidazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c. (applicabile in forza dell’espresso richiamo operato dall’art. 2056 c.c.).

1.4.

Stante la richiesta di condanna della convenuta alla reintegrazione in forma specifica (rimozione dell’elettrodotto), non può essere liquidato in favore dell’attore il pregiudizio consistito nella diminuzione di valore del fondo e del fabbricato, sostanziandosi in un danno destinato a proiettarsi nel futuro.

La riduzione al pristino stato dell’immobile oggetto di causa, infatti, esclude il permanere delle conseguenze pregiudizievoli connesse alla ridotta reddittività del bene per effetto dell’opera illecita, atteso che il bene medesimo, a seguito della rimozione dell’impianto abusivo, riacquisterà l’originario valore di mercato.

1.5.

Quanto alla stima effettuata dal Consulente con riguardo alle restanti voci di danno, essa è stata operata sulla scorta dei criteri sanciti dall’art. 123 del R.D. n. 1775/1933 per la quantificazione nella consapevolezza che, nell’odierno giudizio, è stata azionata la (diversa) pretesa risarcitoria, la Suprema Corte ha chiarito che, nelle fattispecie di asservimento abusivo di un fondo privato per il passaggio di un elettrodotto, il danno risarcibile può essere liquidato anche secondo i parametri indicati dall’art. 123 R.D. n. 1775 del 1933 (Cass., Sez. III, 03/06/1996, n. 5077), ma questi rappresentano criteri soltanto orientativi ai fini della liquidazione del risarcimento, a cui il giudice può pertanto discostarsi a seconda delle risultanze del caso concreto. Nel liquidare il danno, necessariamente da operarsi – come detto – in via equitativa, ci si può basare sugli elementi forniti dal C.T.U. ed, in particolare, sull’indicato valore venale del bene.

Riguardo a quest’ultimo si ritengono condivisibili le determinazioni del CTU in difetto di prova (precipuamente documentale) circa una diversa destinazione del fondo interessato dal passaggio della linea elettrica.

Ebbene, tenendo conto che l’occupazione senza titolo si è protratta a partire dal 1998, il valore dell’indennità risarcitoria calcolata dal CTU è pari a complessivi € 1.509,36.

Non può essere, invece, riconosciuto alcun risarcimento per l’asserito danno da elettrosmog, non riconosciuto dal CTU il quale ha chiarito che nel caso di linea a media tensione, realizzata in aereo nudo Cu 25 mmq a isolamento sospeso e calcolata alla corrente di 100 A per la tensione nominale di 20 kV, la Distanza di Prima Approssimazione (DPA), ovvero la distanza al cui interno non possono essere previste destinazioni d’uso che comportino una permanenza prolungata di persone per tempi superiori alle 4 ore giornaliere, è pari a 4 m. Poiché la distanza minima dell’elettrodotto da un locale abitabile del fabbricato è pari a 37,19 m, ne consegue che non vi è rischio di elettrosmog. Analogamente non può essere riconosciuto alcun risarcimento per il mancato guadagno conseguente alla perdita dell’occasione di vendita della masseria a causa della presenza dell’elettrodotto.

Tale circostanza, invero, non è stata adeguatamente provata.

Il primo teste escusso, , titolare dell’agenzia immobiliare RAGIONE_SOCIALE, ha riferito che un acquirente avrebbe offerto l’importo di € 750.000,00 per l’acquisto dell’immobile, salvo ritirare successivamente la proposta per l’impossibilità di realizzare sul terreno una piscina e un campo da tennis.

Tale dichiarazione non è, tuttavia, sufficiente, per affermare la concretezza della proposta d’acquisto da parte del potenziale acquirente, rimasto anonimo.

Analogamente il secondo teste escusso, genericamente affermato di aver avanzato una proposta d’acquisto a parte attrice, senza specificarne i termini e contestualizzare modi e tempi della proposta.

Peraltro parte attrice non ha fornito elementi obiettivi su cui valutare la convenienza delle è lo specifico pregiudizio subito, quale quello che, in mancanza dell’occupazione, egli avrebbe concesso il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore rispetto al canone locativo di mercato o lo avrebbe venduto ad un prezzo più conveniente rispetto a quello di mercato. (Sez. Un. n. 33645/2022).

2.

In ragione della soccombenza (art. 92 c.p.c.), dev’essere condannata al pagamento delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, sulla scorta dei parametri previsti dal D.M. 147/2022 per le fasi di studio, introduttiva, istruttoria/trattazione e decisionale, in relazione a controversie di valore indeterminabile – complessità bassa, parametri minimi in ragione dell’importo ridotto riconosciuto a titolo di risarcimento.

Per le medesime ragioni, le spese di C.T.U., come già liquidate con decreto del 28.09.2015, si pongono definitivamente a carico di

Il Tribunale di Bari, seconda sezione civile, in persona del Giudice Unico dott.ssa NOME COGNOME definitivamente pronunciando, ogni diversa e ulteriore istanza, eccezione e deduzione disattesa, così giudica:

1. ACCOGLIE, per quanto di ragione, la domanda di parte attrice e, per l’effetto:

– condanna a rimuovere immediatamente, a propria cura e spese, la conduttura elettrica insistente sul fondo di proprietà dell’attrice attualmente distinto al Catasto Terreni del Comune di Monopoli al fg., p.lla 43, come meglio descritto nella relazione tecnica dell’Ing.

– condanna a pagare, in favore di , la somma di Euro 1.509,36 a titolo di risarcimento del danno;

2. condanna alla refusione, in favore di , delle spese di giudizio, liquidate nella somma complessiva di Euro 4.477,00, di cui Euro 668,00 per esborsi ed Euro 3.809,00 per compensi, oltre rimborso forfettario al 15%, IVA e CPA come per legge, somma da distrarsi a favore dell’avv. NOME COGNOME dichiaratasi antistataria ex art. 93 c.p.c. nella comparsa di costituzione di nuovo difensore;

3. pone definitivamente a carico di le spese della C.T.U. redatta dall’Ing. come già liquidate con decreto del 28.09.2015.

Così deciso in Bari il 2.10.2024 Il Giudice NOME COGNOME

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