TRIBUNALE DI BARI
– SEZIONE LAVORO –
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Bari, in persona del giudice del lavoro dr.ssa, ha pronunciato la presente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 3310 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell’anno 2019
Il Tribunale di Bari, in persona del giudice del lavoro dr.ssa, ha pronunciato – mediante lettura del dispositivo – la presente
SENTENZA n. 2780/2022 pubblicata il 21/10/2022
nella causa iscritta al n. 3310 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell’anno 2019
tra
XXX, rappr. e dif. dall’avv. Triggiano Attilio;
Ricorrente e
INPS
rappr. e dif. dall’avv. Punzi Cosimo Nicola
Resistente
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato nella cancelleria del Giudice del Lavoro in data 6.3.2019, XXX ha proposto opposizione avverso l’avviso di addebito n., notificatogli il 29.1.2019, con il quale l’INPS gli intimava il pagamento complessivamente di euro 13.011,32, di cui euro 7.263,76 a titolo di omesso versamento dei contributi a titolo di gestione separata, reddito, arti e professioni per l’anno 2011, oltre sanzioni, interessi ed oneri di riscossione.
Esponeva l’opponente che, con raccomandata pervenutagli il 28.8.2017, l’INPS gli aveva comunicato che, a seguito dell’iscrizione di ufficio con decorrenza dall’1.1.2011 alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, egli era tenuto al pagamento complessivo di euro 7.263,76 a titolo contributivo ed euro 5.166,23 per sanzioni, calcolate ai sensi dell’art. 116, comma 8, lett. b) della legge n. 388 del 2000; che la pretesa contributiva traeva origine dal reddito da lavoro autonomo derivante dall’esercizio abituale di arti e professioni, prodotto e dichiarato per il 2011 (pari ad euro 42.728,00); che aveva proposto ricorso amministrativo in data 23.11.2017; che, come si è detto, il 29.1.2019 gli era stato notificato l’avviso di addebito opposto.
L’opponente ha, in primo luogo, eccepito la prescrizione quinquennale del credito contributivo, quindi ha contestato nel merito la pretesa.
L’INPS ha resistito, mentre è da dichiarare la contumacia della SCCI e dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, ritualmente convenuti in giudizio e non costituitisi .
All’udienza del 18.10.2022, la discussione ha preceduto la pubblicazione del dispositivo.
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Richiamando precedenti della locale Corte d’Appello, può affermarsi che sul punto la Suprema corte (v. da ultimo Cass. n. 10267/2021) ha osservato che:
– ricostruendo la portata precettiva dell’art. 2, comma 26, L. n. 335/1995, per come autenticamente interpretato dall’art. 18, comma 12, d.l. n. 98/2011 (conv. con L. n. 111/2011), le Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare più volte che l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata è genericamente rivolto a chiunque percepisca un reddito derivante dall’esercizio abituale, ancorché non esclusivo o anche occasionale (oltre la soglia monetaria indicata nell’art. 44, comma 2, d.l. n. 269/2003, conv. con L. n. 326/2003, a mente del quale mentre, a decorrere dal 10 gennaio 2004, l’ obbligo d’iscrizione va esteso anche ai «soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale […] solo qualora il reddito annuo derivante da dette attività sia superiore ad euro 5.000»), di un’attività professionale, per la quale è prevista l’iscrizione ad un albo o ad un elenco, tale obbligo venendo meno solo se il reddito prodotto dall’attività professionale predetta è già integralmente oggetto di obbligo assicurativo gestito dalla cassa di riferimento (così, espressamente, Cass. n. 32167 del 2018, in motivazione, cui hanno dato continuità, tra le numerose, Cass. nn. 519 del 2019, 317 e 1827 del 2020, 477 e 478 del 2021);
– nell’intento del legislatore, l’obbligatorietà dell’iscrizione presso la Gestione separata da parte di un professionista iscritto ad albo o elenco è collegata all’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una professione che dia luogo ad un reddito non assoggettato a contribuzione da parte della cassa di riferimento, laddove la produzione di un reddito superiore alla soglia di euro 5.000,00 costituisce invece il presupposto affinché anche un’attività di lavoro autonomo occasionale possa mettere capo all’iscrizione presso la medesima Gestione, restando invece normativamente irrilevante qualora ci si trovi in presenza di un’attività lavorativa svolta con i caratteri dell’abitualità;
– in questo contesto, dirimente è il modo in cui è svolta l’attività libero-professionale, se in forma abituale o meno e se nell’accertamento di fatto di tale requisito ben possono rilevare le presunzioni ricavabili, ad es., dall’iscrizione all’albo, dall’accensione della partita IVA o dall’organizzazione materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività (senza che nessuno di tali elementi possa di per sé imporsi all’interprete come univocamente significativo, v. in motivaz. Cass. n. 23608/2021), non è meno vero che trattasi pur sempre di forme di praesumptio hominis, che non impongono all’interprete conclusioni indefettibili, ma semplici regole di esperienza per risalire al fatto ignoto da quello noto, dovendosi dunque escludere che – come invece preteso dall’INPS – tali regole di esperienza siano passibili di irrigidirsi in virtù della normazione positiva dettata dagli artt. 61 e 69-bis, d.lgs. n. 276/2003, così da trapassare nel campo della presunzione legale;
– una volta chiarito che il requisito dell’abitualità dev’essere accertato in punto di fatto, valorizzando all’uopo le presunzioni ricavabili ad es. dall’iscrizione all’albo, dall’accensione della partita IVA o dall’organizzazione materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività, la percezione da parte del libero professionista di un reddito annuo di importo inferiore ad € 5.000,00 può semmai rilevare quale indizio – da ponderare adeguatamente con gli altri che siano stati acquisiti al processo – per escludere che, in concreto, l’attività sia stata svolta con carattere di abitualità, fermo restando che l’abitualità – la cui prova incombe sull’ INPS- dev’essere apprezzata nella sua dimensione di scelta ex ante del libero professionista, coerentemente con la disciplina che è propria delle gestioni dei lavoratori autonomi, e non invece come conseguenza ex post desumibile dall’ammontare di reddito prodotto, dal momento che ciò equivarrebbe a tornare ad ancorare il requisito dell’iscrizione alla Gestione separata alla produzione di un reddito superiore alla soglia di cui all’art. 44, d.l. n. 269/2003, cit., che invece, come detto, rileva ai fini dell’assoggettamento a contribuzione di attività libero-professionali svolte in forma occasionale.
In sintonia con tali presupposti, la S.C. ha già osservato che risulta condivisibile il ragionamento della Corte di merito la quale <<…, in difetto di prova – di cui era onerato l’INPS – di abitualità dell’attività, ha accertato nel caso che l’attività svolta dal professionista era occasionale e produttiva di reddito modesto, inferiore al limite. A fronte di tale accertamento, la mera iscrizione all’albo o la titolarità di partita IVA non sono elementi sufficienti a dimostrare l’abitualità dell’esercizio dell’attività professionale, trattandosi per converso – come accertato dalla corte territoriale- di modesta attività non esorbitante dall’occasionalità>>.
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Quanto, poi, al tema della prescrizione del credito contributivo, tenuto conto dei pronunciamenti della Suprema corte, valgono le seguenti considerazione.
Innanzitutto, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2941, n. 8 c.c., va detto che la omessa compilazione, da parte del professionista, in sede di dichiarazione dei redditi nella parte relativa ai proventi della propria attività, del Quadro RR non equivale a doloso e preordinato occultamento del debito contributivo verso l’ente previdenziale, né configura un impedimento assoluto per l’INPS alla riscossione, non scongiurabile con i normali controlli che l’Istituto può invece sempre attivare e sollecitare anche rivolgendosi all’Agenzia delle Entrate (v. sul punto Cass. n. 19640 del 2018; n. 21567 del 2014).
Si deve dunque escludere che possa stabilirsi un automatismo tra la detta mancata compilazione del quadro RR nella dichiarazione dei redditi e l’occultamento doloso del debito contributivo (v. da ultimo Cass. n. 14699/2021).
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Ciò detto, in tema di contributi c.d. “a percentuale“, il fatto costitutivo dell’obbligazione contributiva consiste nella produzione, da parte del lavoratore autonomo, di un determinato reddito (Cass. 13463/17).
Così insorto il credito dell’ente gestore, la decorrenza del termine di prescrizione dipende dall’ulteriore momento in cui la corrispondente contribuzione è dovuta e, quindi, dal momento in cui scadono i termini di pagamento di essa; in armonia con il principio generale delle assicurazioni sociali obbligatorie secondo cui la prescrizione corre, appunto, dal momento in cui «i singoli contributi dovevano essere versati» (art. 55 r.d.l. 1827/35).
In virtù di tutto quanto sopra esposto, restano dunque irrilevanti, al fine di spostare “in avanti” il dies a quo del termine prescrizionale, la data di effettiva presentazione della dichiarazione dei redditi ovvero la circostanza della mancata richiesta all’INPS, da parte del professionista, di apertura di un’apposita posizione previdenziale presso la Gestione Separata.
L’art. 18, co. 4, d.lgs. 9.7.1997, n. 241, fissa la regola secondo cui «i versamenti a saldo e in acconto dei contributi dovuti agli enti previdenziali da titolari di posizione assicurativa in una delle gestioni amministrate da enti previdenziali sono effettuati entro gli stessi termini previsti per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi».
Tali termini sono fissati dai d.p.c.m. che si sono succeduti nel tempo in subiecta materia, nonché dalle circolari dell’INPS, e, per quanto riguarda l’anno d’imposta 2011 – limitatamente al quale il ricorrente ha sollevato l’eccezione di prescrizione – sono i seguenti: 16.6.2012 (rectius, 18.6.2012) slittato al 9.7.2012 per il saldo 2011 senza alcuna maggiorazione ai sensi dell’art. 1 del d.p.c.m. del 6.6.2012 (v. risoluzione n. 69/E Agenzia delle Entrate).
Quanto alla portata dei d.p.c.m, occorre ribadire che agli stessi deve riconoscersi natura regolamentare e quindi di fonte normativa quando hanno funzione attuativa o integrativa della legge (v. Cass. n. 73 del 2014; n. 16586 del 2010; n. 20898 del 2007; n. 5360 del 2004; n. 23674 del 2004; n. 11949 del 2004; n. 14210 del 2002; n. 1972 del 2000), come nell’ipotesi di causa (i D.P.C.M. in esame sono stati emanati in attuazione della delega di cui al d.lgs. n. 241 del 1997, art. 12, comma 5).
Peraltro, nella specie, pur non venendo in rilievo i DPCM 14.6.2007, 14.6.2009 e 10.6.2010, il cui differimento dei termini di pagamento si applica, in generale, a tutti i liberi professionisti, a prescindere dal reddito e dal regime di fiscale (in tema, Cass 10273/2021) , nella specie, non è in questione l’assoggettamento della attività del ricorrente agli studi settori settore, non emergendo alcun elemento valutativo nel senso della adesione del professionista al diverso regime facoltativo dei contribuenti “minimi”, di cui all’art.1, comma 96, L.244/2007.
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All’applicazione degli esposti criteri decisionali, consegue che la opposizione del XXX va accolta, perché il credito contributivo relativo all’annualità 2011, di cui all’opposto avviso di addebito è prescritto. Ed, invero, poiché il primo atto di costituzione in mora (rappresentato dalla raccomandata) è del 28.8.2017, è trascorso un quinquennio dalla data ultima fissata per il pagamento- saldo del debito contributivo, e cioè il 9.7.2012.
Alla non debenza della contribuzione consegue, di riflesso, il venir meno delle relative sanzioni.
Per il principio della soccombenza, L’INPS va condannato al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sulla opposizione all’avviso di addebito n. 314 2018 00087820 86 000 proposta da XXX, con ricorso depositato in data 6.3.2019, nei confronti dell’INPS – SCCI, così provvede:
– accoglie l’opposizione e, per l’effetto, dichiara non dovuta dal XXX la somma di euro 13.011,32, portata dall’avviso di addebito opposto;
– condanna l’INPS al pagamento, in distrazione, delle spese processuali, che liquida in euro 2.500,00, oltre accessori.
Fissa il termine di giorni 60 per il deposito della sentenza.
Così deciso in Bari, 18.10.2022
Il G.d.L.
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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