REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE DI APPELLO DI BARI
SEZIONE LAVORO
composta dai magistrati:
ha emesso la seguente
SENTENZA n. 2164/2022 pubblicata il 04/01/2023
nella controversia previdenziale iscritta sul ruolo generale al n. 138/2022
TRA
XXX
Rappresentato e difeso dall’Avv.
APPELLANTE
E
INPS
Rappresentato e difeso dall’Avv.
APPELLATO
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza dell’1.2.2022 il Tribunale del lavoro di Trani, pronunciando contraddittorio con l’Inps, ha rigettato la domanda proposta da XXX – che aveva lavorato alle dipendenze della “*** S.r.l.” dal 1.5.2015 al 28.2.2017, quale addetto ai servizi di pulizia e custodia degli immobili comunali ed inquadramento nel II livello del CCNL delle imprese esercenti servizi di pulizia e servizi integrati – di condanna dell’Inps a trasmettere la comunicazione con valore certificativo della sua posizione previdenziale e contributiva ex art. 54 della l. n. 88 del 1989, nonché la domanda di accredito dei contributi previdenziali che la “*** s.r.l.” aveva omesso di versare in relazione al mese di febbraio 2017; compensava integralmente le spese di lite tra le parti.
Avverso detta sentenza lo XXX ha proposto appello in data 14.2.2022.
L’Inps ha resistito depositando memoria ed eccependo preliminarmente l’inammissibilità del gravame e nel merito la sua infondatezza.
Acquisiti il fascicolo d’ufficio relativo al primo grado di giudizio e i documenti prodotti dalle parti, in data odierna – previa trattazione della controversia tempestivamente disposta per iscritto, ai sensi dell’art. 221, 4° co., d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19), convertito, con modificazioni, in l. 17 luglio 2020, n. 77 –, dopodichè si procedeva alla pubblicazione del dispositivo in forma cartacea mediante deposito in Cancelleria.
Per quanto qui rileva, il Tribunale di Trani riteneva innanzitutto che, qualora il lavoratore abbia reso edotto l’Istituto previdenziale, prima della maturazione della prescrizione, dell’omissione contributiva del proprio datore di lavoro e l’Inps non si sia attivato per ottenere l’adempimento dal soggetto obbligato, non è possibile alcuna regolarizzazione della posizione assicurativa; che in tal caso la tutela del lavoratore è affidata esclusivamente alla costituzione della rendita vitalizia, nel caso di ricorrenza dei relativi presupposti a mente dell’art. 13 della l. n. 1338 del 1962, ed al rimedio risarcitorio ex art. 2116 c.c.
Aggiungeva il Giudicante che la domanda deve essere rivolta nei confronti del datore di lavoro ed estesa all’inps solo in qualità di terzo litisconsorte necessario.
Concludeva, ritenendo che il rigetto della domanda di regolarizzazione contributiva determinava il rigetto anche della domanda di trasmissione della certificazione attestante i contributi non versati, in quanto tale certificazione non poteva essere emessa in assenza di versamento di contributi.
Con il primo motivo l’appellante censura la sentenza impugnata sostenendo che ha errato il Tribunale nel non considerare che egli avrebbe potuto ottenere tutela ex art. 39, comma 1, della L. n. 153 del 1969 per omissioni contributive da parte dei datori di lavoro dichiarati falliti con riferimento a contributi non prescritti.
Deduce l’appellante che lo stesso inps nella comparsa di costituzione in primo grado aveva rilevato che trattavasi di contributi non prescritti.
Con il secondo motivo l’appellante critica la decisione del Tribunale di Trani nella parte in cui non ha riconosciuto fondata la domanda di trasmissione della certificazione attestante la posizione previdenziale dello XXX, lamentando che l’art. 54 della Legge 9.3.1989 n. 88 non subordina alla omissione contributiva il diritto del richiedente all’estratto della posizione previdenziale con valore certificativo.
L’appello è fondato.
Va preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità del gravame per omessa specificazione dei motivi.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno spiegato che «gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. in l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle que-stioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle rela-tive doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata» (v. Cass. sez. un. n. 27199 del 2017; in senso conforme v. anche Cass. n. 13535 del 2018).
Le Sezioni Unite hanno ritenuto che gli approdi interpretativi ai quali la giurisprudenza della Corte era già pervenuta all’indomani della riforma del 2012 debbano essere oggi confermati, sia pure con alcune precisazioni. Ciò che il nuovo testo degli artt. 342 e 434 c.p.c. esige è che le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata siano chiaramente enucleati e con essi le relative doglianze.
La Corte ha quindi riaffermato, recuperando enunciazioni relative al testo precedente la riforma del 2012, che nell’atto di appello deve affiancarsi alla parte volitiva una parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. La maggiore o minore ampiezza e specificità delle doglianze ivi contenute sarà, pertanto, diretta conseguenza della motivazione assunta dalla decisione di primo grado.
Nel caso di specie, come visto, le censure non si limitano ad individuare con precisione le parti della sentenza gravate, ma esplicitano in modo chiaro anche le ragioni di dissenso rispetto alla decisione del Giudice di prime cure, enunciando i motivi per i quali la statuizione è da ritenersi ingiusta o comunque errata.
Appare dunque del tutto evidente che l’atto di impugnazione attinge pienamente la soglia di specificità – intesa nel senso prima chiarito – richiesta dall’art. 434 c.p.c. per l’ammissibilità dell’appello.
L’eccezione preliminare va, pertanto, respinta.
Nel merito, il primo motivo gravame è fondato e deve, di conseguenza, essere accolto.
In linea di principio è da ritenersi corretta l’assunto del Tribunale secondo cui, in caso di irregolarità contributiva, il lavoratore non può chiedere la condanna dell’Inps all’accredito dei contributi mancanti per la tutela dell’integrità della propria posizione assicurativa. Come affermato anche di recente dalla Suprema Corte (v. Cass. n. 2164 del 2021), difatti, «in caso di omissione contributiva, il lavoratore, pur se abbia dato comunicazione all’ente previdenziale dell’inadempimento e quest’ultimo non si sia attivato per il recupero, non può agire nei confronti dell’istituto per l’accertamento dell’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, né chiedere all’ente di sostituirsi al datore di lavoro nel pagamento dei contributi, atteso che l’obbligazione contributiva vede quale soggetto attivo l’ente assicuratore e quale soggetto passivo il datore, residuando in favore del lavoratore soltanto l’azione di risarcimento del danno ex art. 2116 c.c. e la facoltà di chiedere all’ente la costituzione della rendita ai sensi dell’art. 13 della l. n. 1338 del 1962».
Occorre tuttavia considerare che questo principio di ordine generale non si attaglia al caso di specie.
È pacifico, infatti, che la “*** s.r.l.” – per la quale ha lavorato lo XXX – è stata dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Forlì del 20.4.2017 (v. all. 2 del fascicolo di primo grado di parte ricorrente); è altrettanto pacifico che l’omissione contributiva ha riguardato il mese di febbraio 2017.
La fattispecie in esame è quindi regolata dall’art. 39 della l. n. 153 del 1969, secondo cui «nei casi di fallimento o di crisi della azienda, determinata da eccezionali calamità naturali, da dichiararsi di volta in volta con decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, allorché si verifichino omissioni contributive nell’assicurazione generale obbligatoria, per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, è consentito l’accredito dei relativi contributi non prescritti, in favore dei lavoratori interessati, mediante prelievo delle somme corrispondenti ai contributi base e di adeguamento delle riserve delle rispettive gestioni».
Si è chiarito che, in caso di omissione contributiva posta in essere da un’azienda fallita, l’accredito da parte dell’Inps dei contributi non versati, ai sensi degli artt. 39 della l. n. 153 del 1969 e 3 del d.lgs. n. 80 del 1992, non è condizionato alla ricorrenza di una connessione di dipendenza tra l’omissione contributiva e il fallimento, essendo sufficiente che la prima vi sia stata e che il datore di lavoro sia stato dichiarato fallito, ben potendo essa dipendere da una causale diversa dal fallimento (v. Cass. n. 14204 del 2012, relativa ad una fattispecie in cui il mancato pagamento della contribuzione dovuta era conseguente alla revoca della collocazione in cassa integrazione guadagni, non impugnato dai lavoratori).
Nel caso di specie, dunque, in base alla richiamata disposizione l’Inps è senz’altro tenuto ad accreditare i contributi non versati, concorrendo i due presupposti a tal fine stabiliti dall’art. 39 cit., ovvero l’omissione contributiva ed il fallimento del datore di lavoro, a nulla rilevando l’eventuale rapporto di dipendenza del primo rispetto al secondo. Anche il secondo motivo è fondato.
Come rilevato dall’appellante, la domanda di condanna dell’INPS al rilascio di idonea comunicazione con valore certificativo della propria posizione previdenziale e contributiva appare parimenti fondata in quanto, in linea con i principi di trasparenza che regolano, ex art.1 della legge 241/1990, l’agere amministrativo, non può certamente impedirsi al lavoratore, al di fuori di eccezionali casi previsti dalla legge, di ottenere dall’ente preposto la documentazione afferente alla propria posizione previdenziale.
Peraltro, come dispone l’art. 54 della legge n. 88 del 1989, rubricato accesso dei cittadini ai dati personali, previdenziali e pensionistici: “È fatto obbligo agli agenti previdenziali di comunicare, a richiesta esclusiva dell’interessato o di chi ne sia da questi legalmente delegato o ne abbia diritto ai sensi di legge, i dati richiesti relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica. La comunicazione da parte degli enti ha valore certificativo della situazione in essa descritta”.
Pertanto, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, la richiesta di trasmissione dell’estratto certificato non è subordinata alla non omissione contributiva da parte dell’istante.
Alla luce delle esposte considerazioni, in definitiva, l’appello dev’essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, l’Inps va condannato all’accredito dei contributi previdenziali relativi alla posizione di XXX, quale lavoratore della *** s.r.l. e concernente il mese di febbraio 2017, nonché a rilasciare in favore dell’appellante l’estratto certificativo aggiornato.
Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno poste, quindi, a carico dell’Inps, con distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando sull’appello proposto, con ricorso depositato il 14.2.2022, da XXX nei confronti dell’Inps avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Trani, sezione lavoro, in data 1.2.2022, così provvede: accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, condanna l’Inps ad accreditare i contributi previdenziali relativi alla posizione di XXX concernente il mese di febbraio 2017 ed a rilasciare in favore dell’appellante l’estratto certificativo aggiornato; condanna l’Inps al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida in € 1.000,00 per il primo grado ed € 1.200,00 per il secondo, oltre rimborso forfettario per spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, con distrazione in favore dell’avv..
Il Presidente relatore
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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