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Codice Penale

Opposizione a decreto ingiuntivo, domanda nuova

Opposizione a decreto ingiuntivo, il convenuto opposto può proporre una domanda nuova, diversa da quella di cui al ricorso per decreto ingiuntivo.

Pubblicato il 20 September 2022 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Pavia

Il giudice unico ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 1177/2022 pubblicata il 16/09/2022

nella causa civile iscritta al n. 2740/2020 R.G. promossa da

XXX (C.F.)

ATTRICE

contro

YYY S.R.L. (P.I..)

CONVENUTA

e con la chiamata in causa di

ZZZ (C.F.)

TERZO CHIAMATO

CONCLUSIONI DELL’ATTRICE OPPONENTE

Piaccia al Tribunale Ill.mo, contrariis reiectis, così giudicare:

“- Premesso ogni opportuno accertamento e le dovute declaratorie, ivi compresa la non autenticità della sottoscrizione del doc. 2 di parte opposta denominato “Addendum”, accogliere per le motivazioni spiegate in premessa la proposta opposizione e per l’effetto revocare il decreto ingiuntivo opposto;

– Accertare e dichiarare la responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c. in capo a parte avversaria e conseguentemente condannare la YYY S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata nella misura che il Giudice riterrà di liquidare in via equitativa;

IN VIA SUBORDINATA

Nella denegata e non creduta ipotesi in cui l’Ill.mo Tribunale dovesse ritenere sussistente una posizione debitoria della signora XXX nei confronti della società opposta, previa riduzione dell’importo della penale di cui all’accordo integrativo denominato “Addendum”, determinare l’importo dalla stessa eventualmente dovuto a YYY S.r.l. ed in accoglimento della domanda di manleva, dichiarare il signor ZZZtenuto a manlevare e tenere indenne l’opponente dalle somme che la stessa fosse condannata a corrispondere

alla YYY S.r.l. con corrispondente condanna conseguente alla manleva; IN OGNI CASO

Con il favore delle spese e dei compensi ex DM n. 55/2014, oltre oneri accessori (15% spese generali forf., 4% cassa e 22% IVA)”

CONCLUSIONI DELLA CONVENUTA OPPOSTA

“Voglia l’Ill.mo Tribunale Ordinario di Pavia, respinta ogni contraria eccezione e deduzione,

– in via istruttoria, ammettere le istanze di prova formulate con la seconda memoria ex art. 183, comma 6 c.p.c.; – in via principale, rigettare le domande della signora XXX e confermare il decreto ingiuntivo n. 533/2020, emesso il 9 marzo 2020;

– in via subordinata, nell’ipotesi di declaratoria di non opponibilità alla signora XXX della clausola penale contenuta nell’Addendum del 12 maggio 2010, condannare la stessa signora XXX, in solido con il sig. Giovanni Noè, al risarcimento del danno ex artt. 1223 e 1453 c.c., nella misura che risulterà dovuta all’esito del giudizio, comunque non inferiore all’importo di € 145.910,14;

– in via ulteriormente subordinata, condannare la signora XXX, ai sensi dell’art. 2033 c.c., a restituire alla YYY s.r.l. la somma di € 145.910,14, ovvero il maggiore o minore importo che risultasse dovuto. Con vittoria di spese e competenze di lite”.

CONCLUSIONI DEL TERZO CHIAMATO

“Voglia l’ill.mo Tribunale adito, respinta ogni diversa domanda, eccezione, istanza o deduzione, in accoglimento dell’opposizione proposta:

Nel merito:

– Revocare il decreto ingiuntivo opposto;

– Accertare e dichiarare che nulla parte attrice in opposizione deve alla convenuta opposta e per l’effetto respingere tutte le domande svolte o svolgende da parte di YYY S.r.l. nei confronti della stessa e/o dell’odierno terzo chiamato;

– Accertare e dichiarare l’inammissibilità di tutte le domande svolte in via subordinata e ulteriormente subordinate da parte di YYY S.r.l. nei confronti dell’opponente e/o dell’odierno terzo chiamato;

– Condannare YYY S.r.l. al risarcimento di tutti i danni, subiti e subendi, patrimoniali e non patrimoniali, anche ai sensi dell’art. 96, c. 1 e/o 3, c.p.c., in caso di accertata conoscenza o conoscibilità in capo alla stessa della falsità della firma apposta in calce all’azionato addendum; In ogni caso:

– Condannare YYY S.r.l. alla rifusione spese e dei compensi di lite”.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il decreto qui opposto è stato ingiunto a XXX di pagare la somma di € 1.363.600,00, oltre interessi e spese del procedimento, a favore di YYY s.r.l., a titolo di penale per l’inadempimento di un contratto di fornitura di materiale legnoso (doc. n. 3 di parte opponente, coincidente con il doc. n. 1 di parte opposta), stipulato in data primo marzo 2010 tra l’azienda agricola intestata all’ingiunta, la società *** s.r.l. e la società YYY s.r.l. (nel contratto e nel prosieguo di questa sentenza la società è stata e sarà definita per brevità “***”: la ragione sociale più estesa viene prescelta per l’intestazione e il dispositivo, in assenza di visura camerale, tenendo conto della procura alle liti, osservandosi peraltro che la partita I.V.A. lì indicata è la medesima riportata nel contratto).

L’ingiungente ha fondato la propria pretesa su un accordo in data 12 maggio 2010 denominato “Addendum” (doc. n. 2 di parte opposta), sulla base del quale le parti (***, *** e XXX) avrebbero concordato: i) il subentro di *** a *** nel rapporto contrattuale con l’odierna opponente; ii) la previsione di una penale a carico dell’azienda agricola XXX, in ipotesi d’inadempimento di quest’ultima, pari a € 7.000,00 per ettaro di impianti forestali che non fosse messo a completa disposizione di ***.

Secondo quanto affermato nel ricorso per decreto ingiuntivo, con la sottoscrizione di tale “Addendum”, *** avrebbe corrisposto all’azienda agricola un importo di € 216.000,00 a titolo di acconto sulla fornitura attesa, riferita a 254,00 ettari di piantumazione, ma nel prosieguo dell’esecuzione del contratto – tra il 2011 ed il 2017 – l’opponente non avrebbe garantito la consegna delle quantità attese, essendo queste risultate pari a 14.800,00 tonnellate, corrispondenti alla produzione stimata per 59,2 ettari. Assumeva l’ingiungente di aver sollecitato la fornitrice a procedere con il taglio delle residue piante esistenti sul terreno oggetto del contratto e, in difetto di adempimento da parte dell’azienda della signora XXX, protestava il pagamento della penale – determinata in € 1.363.600,00 (€ 7.000,00 per n. 194,8 ettari non tagliati).

Parte attrice proponeva opposizione contestando il documento “Addendum” prodotto da *** e disconoscendo la propria sottoscrizione. Sosteneva dunque, la signora XXX, di non essersi mai obbligata nei confronti di *** secondo quanto riportato nell’Addendum. In via subordinata l’opponente affermava la misura eccessiva e sproporzionata della penale e ne domandava la riduzione. In ogni caso l’opponente chiedeva e otteneva di chiamare in causa il proprio coniuge separato, sig. ZZZ, per essere da lui garantito secondo gli accordi assunti in sede di separazione (doc. 4 di parte opponente).

Si costituiva ***, che dichiarava di volersi avvalere del documento disconosciuto; chiedeva, quindi, che fosse disposta c.t.u. grafologica per accertare l’autenticità della sottoscrizione; contestava le argomentazioni difensive dell’opponente e insisteva per la sussistenza del proprio credito sulla base della scrittura privata denominata “Addendum”. L’opposta sosteneva altresì che, anche in caso di accertata falsità della sottoscrizione, l’accordo integrativo del 12 maggio 2010 dovesse essere ritenuto stipulato per facta concludentia o, quanto meno, tacitamente accettato dall’opponente; contestava la fondatezza della domanda di riduzione della penale e domandava, in via subordinata per il caso in cui fosse accolta la domanda dell’attrice sull’invalidità della clausola penale, la condanna dell’attrice medesima e del terzo chiamato al risarcimento dei danni derivanti dall’inadempimento contrattuale o, quanto meno, la loro condanna alla restituzione, ai sensi dell’art. 2033 c.c., della somma di € 145.910,14 che affermava indebitamente percepita.

Costituendosi in giudizio il terzo chiamato aderiva alle difese e alle conclusioni della moglie.

Ritiene in primo luogo questo giudice che la domanda di parte opposta fondata sull’Addendum datato 12 maggio 2010 debba essere respinta, essendo stata accertata la falsità dell’apparente sottoscrizione dell’opponente e dovendo escludersi che il contenuto di tale preteso accordo sia stato pattuito tra le parti per facta concludentia. Infatti, le indagini demandate a una consulente tecnica grafologa evidenziavano molti elementi sintomatici del fatto che la sottoscrizione del documento denominato “Addendum” sia stata formata mediante l’imitazione (peraltro piuttosto grossolana) di scritture autografe dell’opponente, tanto che la c.t.u. ha concluso senza dubbio alcuno nel senso che la firma sul documento sia falsa. Deve essere condiviso pienamente, nel metodo e nel merito, l’operato della c.t.u. e deve essere qui interamente richiamato il contenuto della relazione di consulenza, che peraltro non è stata oggetto di contestazioni da parte della convenuta opposta. Va osservato che la c.t.u. ha esaminato sufficienti scritture di comparazione rispetto alla sottoscrizione contestata e ha rilevato numerosissime e sostanziali differenze di scrittura, non solo per la forma delle lettere ma anche per ciò che concerne la gestione dello spazio, la continuità dei tratti e la pressione esercitata sul foglio.

A conferma del fatto che l’Addendum sia stato redatto in assenza di qualunque accordo con l’opponente vi sono numerosi elementi ulteriori rispetto all’accertata falsificazione della firma.

In primo luogo si osserva che gli stessi capitoli di prova orale dedotti da parte convenuta opposta non indicano in alcun modo che vi sia stato un incontro di volontà sul contenuto dell’Addendum (al di là di un generico riferimento a trattative al riguardo, i capitoli riguardano la sottoscrizione esclusivamente del contratto del primo marzo 2010): per questo motivo non solo i capitoli non sono stati ammessi, ma essi – provenendo dalla stessa parte che afferma l’avvenuto accordo – costituiscono altresì una conferma implicita dell’inesistenza dell’accordo medesimo.

Deve aggiungersi che nel testo dell’Addendum (diversamente da quello del contratto) è riportato erroneamente il nome dell’impresa attrice (indicata come Società invece che come Azienda Agricola), manca il timbro della stessa e manca altresì il timbro del terzo contraente ***.

Va, inoltre, escluso che le pattuizioni contenute nel documento siano state concluse per facta concludentia o, comunque, siano state accettate dall’opponente, perché gli elementi di prova addotti da parte opposta al riguardo hanno valenza tutt’altro che univoca.

Se è vero, come sostiene ***, che per la pattuizione di una penale non è necessaria la forma scritta, l’entità della stessa rispetto al sinallagma contrattuale stabilito con il contratto del primo marzo 2010 rende inverosimile che una pattuizione di tal genere potesse essere concordata verbalmente.

In ogni caso, laddove parte opposta afferma che il contenuto dell’Addendum avrebbe avuto esecuzione negli anni successivi, in realtà fa riferimento a comportamenti delle parti che possono essere riferiti all’attuazione dell’accordo del primo marzo 2010. Infatti in tale contratto:

– già si dava atto della natura trilaterale dell’accordo, al quale partecipavano contestualmente *** quale “Compratore” e *** (che nell’intestazione è indicata come prima delle tre parti ed è quella tenuta a versare l’acconto) quale destinataria delle forniture (v. terza premessa), con previsione della possibilità per l’odierna opposta di succedere a *** nella posizione contrattuale (v. art. 7);

– si prevedeva il versamento di un acconto sulle forniture di € 180.000,00 oltre I.V.A. da parte di *** e non di *** (art. 5).

Dunque il fatto che dopo la stipulazione del contratto il legname e le biomasse siano state consegnate a *** e il fatto le fatture dell’opponente siano state emesse nei confronti di quest’ultima (docc. sub 4 di parte opposta) non dimostrano che tra le parti siano stati stipulati accordi aggiuntivi rispetto al contratto del primo marzo 2010 nei termini previsti dall’Addendum: in particolare manca qualunque elemento per ritenere che vi sia stato un accordo sulla penale.

Del resto se, anche in considerazione di una certa approssimazione nel testo contrattuale che già vincolava le tre parti (per esempio non v’è alcuna giustificazione rispetto al fatto che l’acconto fosse direttamente versato dalla società destinataria del legname e delle biomasse, nonostante mancasse un rapporto diretto con l’azienda agricola), è certamente plausibile che vi siano stati accordi orali integrativi, volti soprattutto a chiarire le posizioni di *** e di ***, non è altrettanto plausibile che una clausola della portata della penale di cui si tratta sia stata concordata solo oralmente, anzi il ricorso a un documento con sottoscrizione apocrifa e la mancanza di capitoli di prova orale idonei a dimostrare l’incontro di volontà sul punto escludono la pattuizione di cui si tratta. Né può confortare la tesi di parte convenuta la mera circostanza che l’opponente non abbia contestato le pec inviate all’azienda agricola nel 2019 (docc. 5, 6 e 6b di parte convenuta), che facevano riferimento all’Addendum, inviando soltanto pec di risposta prive di contenuto (docc. 7a, 7b e 7c sempre di parte convenuta), che peraltro potrebbero essere state inviate per errore: si tratta, invero, di un unico elemento presuntivo, contrastante con numerosi altri elementi di segno contrario (v. art. 2729 c.c.) e dunque inidoneo a provare la stipulazione della penale.

Vi sono poi incongruenze rispetto alla tesi di parte opposta secondo cui la stipulazione dell’Addendum sarebbe provata dal pagamento dell’acconto richiamato nel medesimo Addendum, in quanto:

– come s’è detto, l’acconto era già previsto nel contratto;

– contestualmente alla stipulazione di quest’ultimo, ossia il primo marzo 2010, l’opponente emise nei confronti di *** (e non invece di ***, a dimostrazione del fatto che il pagamento non avveniva quale adempimento del terzo ex art. 1180 c.c.) la fattura di € 216.000,00, ossia € 180.000,00 + I.V.A., con indicazione di pagamento a mezzo bonifico entro 30 giorni; la fattura venne registrata da *** il 31 marzo 2010 (v. prima delle fatture depositate da parte opposta sub 4); è dunque evidente che già al momento della sottoscrizione del contratto le posizioni di *** e di *** erano di fatto interscambiabili, pur non essendo chiaramente esposto nel testo contrattuale quali fossero i rapporti tra le due società e perché fosse prevista tale situazione poco chiara (né, del resto, l’opposta si è fatta carico di depositare in giudizio il contratto che la vincolava a ***);

– il pagamento della fattura avvenne per la parte di € 36.000,00 in data 19 aprile 2010 a mezzo bonifico bancario e per la restante parte di € 180.000,00 a mezzo assegno bancario in data 14 maggio 2010 (docc. sub 3 di parte opposta, non contestati dall’opponente); dunque viene smentito quanto contenuto nell’Addendum in merito al pagamento contestuale alla sottoscrizione di quel patto, nel quale sono riportati gli estremi di un assegno bancario che però non è allegato in copia al preteso accordo (del resto la richiesta all’istituto di credito di emissione dell’assegno è successiva alla data dell’Addendum).

Infine si osserva che tutte le fatture emesse dall’opponente dal primo marzo 2010 al 31 gennaio 2017 e pagate da *** (già richiamati docc. 4 di parte opposta) fanno espresso riferimento al contratto del primo marzo 2010, senza in alcun modo richiamare i pretesi accordi del 12 maggio successivo. Quest’ultima circostanza contrasta con la tesi dell’opposta secondo cui il contratto del primo marzo non avrebbe mai avuto esecuzione.

In sintesi, dunque, se è vero che le parti integrarono le pattuizioni del contratto del primo marzo 2020 con ulteriori accordi (presumibilmente verbali), non v’è alcun elemento di prova (il cui onere incombeva a parte convenuta) atto a dimostrare che tali accordi furono quelli contenuti nel documento per il quale è stata accertata la falsità della sottoscrizione e che pare essere stato confezionato ex post proprio al fine di dimostrare l’esistenza di una penale mai effettivamente concordata.

Per tutte le ragioni sin qui illustrate il credito oggetto del ricorso monitorio deve ritenersi insussistente e pertanto il decreto ingiuntivo deve essere revocato, senza la necessità di affrontare il tema dei presupposti per la riduzione della penale.

Devono ora essere esaminate le domande svolte in via subordinata da *** in sede di comparsa di costituzione e risposta, delle quali sia l’opponente sia il terzo chiamato hanno eccepito l’inammissibilità e il terzo chiamato ha eccepito la tardività.

Quanto a quest’ultimo profilo, le domande non possono ritenersi tardive in quanto la costituzione è avvenuta, nel rispetto degli artt. 166 e 167 c.p.c., nei venti giorni precedenti la prima udienza come differita a seguito dell’autorizzazione concessa a parte attrice per la chiamata del terzo (v., al riguardo, Cass. n. 14288/2007 e Cass. n. 8684/2015).

Quanto alla questione dell’ammissibilità delle domande, secondo recentissima giurisprudenza di legittimità, innovativa rispetto a quella citata da parte opponente e dal terzo chiamato, “In tema di opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto opposto può proporre con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata una domanda nuova, diversa da quella posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, anche nel caso in cui l’opponente non abbia proposto una domanda o un’eccezione riconvenzionale e sia limitato a proporre eccezioni chiedendo la revoca del decreto opposto, qualora tale domanda si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attenga allo stesso sostanziale bene della vita e sia connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta” (Cass. n. 9633/2022).

La pronuncia in esame (alla quale questo giudice ritiene di aderire), al fine di perseguire i princìpi di economia processuale e di ragionevole durata del processo e nel solco di precedenti delle Sezioni Unite che proprio in virtù di tali princìpi ha dato una lettura estensiva dello jus variandi (S.U. n. 12310/2015 e S.U., n. 22404/2018), ha superato il precedente orientamento restrittivo, che consentiva a parte convenuta opposta la proposizione di una domanda diversa da quella posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo nel solo caso in cui la necessità di proporre la domanda nuova nascesse dal fatto che l’opponente aveva proposto una domanda o un’eccezione riconvenzionale.

Nel caso che ci occupa, pur non avendo l’opponente e il terzo chiamato ampliato il thema decidendum, le nuove domande proposte da *** devono ritenersi ammissibili, poiché consequenziali alle difese svolte dall’opponente, che ha (fondatamente) negato la sussistenza dell’accordo sulla penale, e attinenti alla medesima vicenda svolta in giudizio, trovando la propria fonte del contratto inter partes. Infatti, come si è accennato, l’opposta ha chiesto, in caso di accoglimento della tesi dell’opponente, la condanna della stessa, in via solidale con il marito, al risarcimento del danno o, quanto meno, alla restituzione degli importi incassati a titolo di acconto, con esclusione delle trattenute già operate sui corrispettivi dovuti per le prestazioni effettivamente rese nel corso degli anni.

Costituisce circostanza pacifica tra tutte le parti che l’opponente non abbia ceduto all’opposta (né a ***) il legname e le biomasse riferite ai 254 ettari di bosco indicati nel contratto. Poco importa, al fine della decisione che ci occupa, se l’opponente abbia o meno ricevuto personalmente le pec di diffida inviate dall’opposta all’indirizzo certificato dell’azienda agricola (docc. 5/7 di tale parte) e se confidasse o meno che alle medesime rispondesse il marito in virtù dei patti con il medesimo concordati in data 15 marzo 2019 in occasione della separazione personale dei coniugi (doc. 4 di parte opponente). Infatti il contratto oggetto di lite vede quali parti da un lato l’opponente e dall’altro lato *** e l’opposta: solo la prima (e non il marito) era quindi responsabile delle obbligazioni contrattuali assunte; né v’è alcuna prova che i patti a margine della separazione siano stati portati a conoscenza dell’opposta e che quest’ultima vi abbia aderito. Deve aggiungersi che l’opponente non si è offerta, neppure all’atto di costituzione in giudizio, di provvedere alla consegna del legname e delle biomasse (con l’eventuale collaborazione dovuta dal terzo chiamato in virtù degli accordi tra loro intercorsi) e dunque deve ravvedersi un inadempimento tale da fondare la richiesta risarcitoria avanzata da parte opposta. Quest’ultima non ha, invero, domandato la risoluzione del contratto, ma ciò non esclude che possa aver diritto alla restituzione della somma versata a titolo di acconto e non recuperata allorché ha pagato le forniture effettivamente attuate, in quanto si tratta di una somma che rimane priva di titolo e che può quindi essere considerata come perdita patrimoniale derivante dall’inadempimento e dunque risarcibile.

Anche il quantum della pretesa risulta corretto, posto che dalle fatture emesse dall’opponente risulta che è stato decurtato dai corrispettivi per le forniture il 15 % del prezzo, per il complessivo importo di € 34.089,86; detraendo tale somma da € 180.000,00 (che, come s’è detto, costituisce l’acconto versato dall’opposta), si ottiene l’importo di € 145.910,14, che corrisponde alla richiesta risarcitoria.

Deve quindi pronunciarsi la condanna dell’opponente al pagamento della predetta somma a favore dell’opposta, con interessi legali dalla domanda al saldo.

Va, invece, respinta la domanda di *** nei confronti del terzo chiamato, posto che egli non è stato parte del contratto e dunque non ha assunto alcuna obbligazione solidale con la moglie.

Infine deve essere accolta la domanda dell’opponente nei confronti del terzo chiamato. Infatti, nonostante l’estratto delle condizioni di separazione (citato doc. 4 di parte opponente, peraltro incompleto) non sia chiaro rispetto alla garanzia prestata da ZZZ nei confronti della moglie con riguardo al contratto per il quale è causa, il primo ha espressamente ammesso di esserne garante, limitandosi ad avversare esclusivamente le domande di parte opposta. Ne deriva che ZZZ deve essere condannato a garantire XXX rispetto alle somme che la stessa deve a ***.

Nonostante l’uso, da parte di quest’ultima, di un documento falsamente formato, non si ravvedono i presupposti per la pronuncia della condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c., tenendo conto del fatto che la domanda di parte convenuta nei confronti dell’opponente è comunque risultata fondata, seppure in una misura ampiamente inferiore a quella oggetto dell’ingiunzione e per un titolo diverso rispetto alla penale invocata.

Sussistono plurimi motivi per compensare le spese di lite relative al rapporto processuale tra opponente e opposta: non solo, come s’è appena detto, il decreto ingiuntivo va revocato e la condanna interviene per una somma molto inferiore a quella ingiunta, ma va anche rilevato che l’accoglimento della domanda subordinata dell’opposta consegue a un mutamento giurisprudenziale intervenuto nel corso del giudizio (v. art. 92, II comma, c.p.c.).

Il terzo chiamato deve invece essere condannato a rifondere all’opponente le spese di lite, secondo il principio di soccombenza. Per il medesimo principio parte opposta, che ha infondatamente esteso le proprie domande subordinate al terzo chiamato, deve essere condannata a rifondergli le spese di lite.

Le spese vengono liquidate in dispositivo con riferimento allo scaglione relativo alla misura della condanna e non a quella dell’ingiunzione (v. art. 5 del tariffario professionale), con distrazione a favore dell’avv. , dichiaratosi antistatario.

Le spese della consulenza tecnica d’ufficio, già liquidate in corso di causa, devono definitivamente essere poste a carico di parte convenuta opposta, che ha dato causa a questa attività istruttoria, chiedendo la verificazione di una scrittura rivelatasi falsa.

Questa sentenza è stata redatta con la collaborazione della dott.ssa, addetta all’Ufficio per il Processo.

PER QUESTI MOTIVI

il giudice monocratico del tribunale di Pavia, definitivamente pronunciando nella causa promossa da XXX con atto di citazione notificato il 19 giugno 2020 a YYY s.r.l., con la chiamata in causa di ZZZ, così decide, disattesa o assorbita ogni altra conclusione, di merito e istruttoria delle parti:

1) revoca il decreto ingiuntivo n. 533/2020, emesso dal giudice monocratico di questo tribunale in data 8 marzo 2020, depositato il 9 marzo 2020;

2) condanna XXX a pagare a YYY s.r.l. la somma di € 145.910,14, con interessi legali dalla domanda al saldo;

3) condanna ZZZ a garantire XXX rispetto alla somma che la stessa è tenuta a versare a YYY s.r.l. in relazione al capo che precede;

4) compensa interamente tra parte attrice opponente e parte convenuta opposta le spese di lite;

5) condanna ZZZ a rifondere a XXX le spese di lite, che liquida in € 11.000,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15 % dei compensi, I.V.A. e C.P.A. se e come dovuti per legge;

6) condanna YYY s.r.l. a rifondere a ZZZ le spese di lite, che liquida in € 11.000,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15 % dei compensi, I.V.A. e C.P.A. se e come dovuti per legge, con distrazione a favore dell’avv., dichiaratosi antistatario;

7) pone definitivamente a carico di YYY s.r.l. le spese per la consulenza tecnica d’ufficio già liquidate in corso di causa.

Così deciso il 16 settembre 2022

Il giudice monocratico

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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