Nei contratti di assicurazione con rateizzazione del premio assicurativo, una volta scaduto il termine di pagamento delle rate successive alla prima, l’efficacia del contratto resta sospesa a partire dal quindicesimo giorno successivo alla scadenza, ai sensi dell’articolo 1901 c.c., senza che rilevi l’accettazione, da parte dell’assicuratore, di un pagamento tardivo.
Quest’ultimo, infatti, non costituisce una rinunzia, da parte dell’assicuratore, alla sospensione della garanzia assicurativa, ma impedisce solo la risoluzione di diritto del contratto.
Di una rinuncia dell’assicuratore agli effetti della sospensione potrebbe parlarsi solo quando tale rinuncia avvenga in modo espresso o, se tacito, inequivoco (Sez. 3, Sentenza n. 5944 del 14/03/2014; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 21571 del 30/11/2012; Sez. 3, Sentenza n. 9554 del 01/07/2002; Sez. 3, Sentenza n. 2383 del 22/03/1990; Sez. 1, Sentenza n. 17 del 08/01/1987).
Esiste un diverso orientamento, di cui sono espressione (Sez. 3, Sentenza n. 1698 del 26/01/2006; Sez. 3, Sentenza n. 13344 del 19/07/2004), ma anche ulteriori decisioni (l’ultima delle quali, tuttavia, risalente ormai a sedici anni fa: Sez. 3, Sentenza n. 27132 del 19/12/2006; Sez. L, Sentenza n. 15407 del 02/12/2000; Sez. 1, Sentenza n. 1372 del 09/02/1987).
Tale orientamento, tuttavia, non solo è stato da tempo abbandonato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, ma ad esso reputa il Supremo Consesso che comunque non possa più darsi continuità, a causa sia dell’erroneità dei presupposti su cui si fonda, sia degli esiti paradossali cui conduce.
L’orientamento secondo cui l’accettazione senza riserve del pagamento tardivo del premio da parte dell’assicuratore, quando il rischio assicurato si sia già verificato, costituirebbe una tacita rinuncia ad avvalersi della sospensione di cui all’articolo 1901 c.c.) si fonda su una motivazione così riassumibile:
a) la sospensione dell’efficacia del contratto di assicurazione in caso di mancato pagamento del premio, prevista dall’articolo 1901 c.c., costituisce una applicazione particolare del generale istituto dell’exceptio inadimpleti contractus, di cui all’articolo 1460 c.c.;
b) l’eccezione di inadempimento di cui all’articolo 1460 c.c. non può essere invocata quando il rifiuto di adempiere sia contrario alla buona fede;
c) invocare la sospensione dell’assicurazione ex articolo 1901 c.c., dopo avere accettato senza riserve il pagamento tardivo del premio assicurativo costituisce una condotta contraria a buona fede: e dunque l’assicuratore che tenesse quella condotta non potrebbe invocare gli effetti dell’articolo 1901 c.c..
L’argomentare sopra riassunto è erroneo in ogni suo passaggio.
In primo luogo, esso è erroneo nella parte in cui pretende di estendere sic et simpliciter il comma 2 dell’articolo 1460 c.c. all’ipotesi prevista dall’articolo 1901 c.c..
Se può ammettersi in linea teorica che la sospensione dell’efficacia dell’assicurazione nel caso di mancato pagamento del premio condivida con l’articolo 1460 c.c. la ratio di costituire una coazione indiretta al pagamento del premio assicurativo, le due norme in null’altro sono tra loro assimilabili.
Lo ha stabilito la Corte costituzionale (Corte Cost., 5.2.1975 n. 18), allorché venne chiamata a stabilire se fosse conforme a costituzione l’articolo 1901 c.c., nella parte in cui prevedeva solo per il contratto di assicurazione una disciplina speciale, nel caso di inadempimento.
Il Giudice delle leggi ha stabilito che le previsioni dell’articolo 1901 c.c. non violano il principio di uguaglianza, in quanto esse sono del tutto razionali e “conformi alla particolare natura e alla struttura del contratto di assicurazione, nel quale la sopportazione del rischio da parte dell’assicuratore è condizionata all’adempimento della prestazione consistente nel pagamento del premio”.
In tale contratto, l’equilibrio tecnico ed economico non si realizza nell’ambito di ogni singolo rapporto contrattuale, ma fra la totalità dei rischi assunti dall’assicuratore, e la totalità dei premi dovuti dagli assicurati (c.d. principio di comunione dei rischi).
Per effetto di tale meccanismo economico, prima ancora che giuridico, l’assicuratore quando assume su di sé l’alea del pagamento dell’indennizzo deve essere messo in condizione di poter contare sul puntuale versamento dei premi alle scadenze pattuite da parte degli assicurati, attraverso i quali dovrà costituire le riserve tecnicamente calcolate per adempiere i propri obblighi e costituire le garanzie reali imposte dalle leggi di controllo a tutela dei diritti degli assicurati.
Da ciò discende che il mancato pagamento del premio da parte dell’assicurato turba non già e non solo il singolo rapporto contrattuale, ma turba l’equilibrio del principio di comunione dei rischi.
E’, dunque, economicamente necessario che il contratto resti sospeso, per evitare – in violazione del principio di sana e prudente gestione che l’assicuratore possa trovarsi a dover sopportare rischi per i quali non ha incassato i premi.
La diversità strutturale e funzionale tra gli articoli 1460 e 1901 c.c. fa sì che mentre nei casi previsti dalla prima di tali norme è consentito al giudice il sindacato sulla buona fede di chi solleva l’eccezione di inadempimento, l’articolo 1901 c.c. non consente alcun sindacato di questo tipo, perché l’esonero dell’assicuratore dal pagamento dell’indennizzo, in caso di mancato pagamento del premio, è effetto naturale ex articolo 1374 c.c. del contratto.
Il secondo errore giuridico dell’orientamento sopra indicato consiste nel ritenere che l’assicuratore possa, ad libitum, e senza conseguenze, scegliere se indennizzare o non indennizzare sinistri avvenuti nel periodo di carenza.
Tesi, questa, tuttavia insostenibile alla luce del ricordato arresto della Consulta: se infatti l’articolo 1901 c.c. ha lo scopo di garantire l’equilibrio tecnico-economico tra premi e rischi, l’assicuratore che rinunciasse a far valere la carenza di copertura terrebbe una condotta apertamente contraria al dovere di sana e prudente gestione di cui all’articolo 3 cod. ass., e si esporrebbe al rischio di sanzioni da parte dell’Autorità di vigilanza.
Mentre, infatti, nei contratti sinallagmatici la prestazione di ciascuna delle parti è destinata all’altra, sicché ognuna delle due potrebbe liberamente all’altra parte del debito, nell’assicurazione il premio corrisposto dall’assicurato solo in minima parte costituisce remunerazione dell’assicuratore (il c.d. “caricamento”).
Nella parte restante (il c.d. “premio puro”) esso rappresenta la provvista destinata a costituire la riserva sinistri con la quale l’assicuratore dovrà far fronte agli indennizzi dovuti alla massa degli assicurati secondo quanto già esposto in precedenza.
Rinunciare a far valere il mancato pagamento del premio assicurativo significherebbe dunque depauperare la massa degli assicurati, in violazione del ricordato articolo 3 cod. ass..
Prova ne sia che, per secolare tradizione normativa, al contrario di quanto avviene nella maggior parte dei contratti sinallagmatici, non è consentito all’assicuratore stipulare assicurazioni a titolo gratuito, e anche gli sconti sul premio sono consentiti solo entro limiti molto ristretti, ed a valere sulle provvigioni dell’intermediario, ma non sul premio puro.
Ancora, l’orientamento contrasta col tradizionale principio, da tempo tenuto fermo dalla Suprema Corte, secondo cui nel nostro ordinamento il solo silenzio che può produrre effetti giuridici è il silenzio circostanziato, cioè accompagnato dal compimento di atti o fatti che rendono inequivoco il significato del silenzio: come nel caso del creditore che rifiuti il pagamento e restituisca la quietanza.
Ma colui il quale accetta il pagamento tardivo, senza nulla aggiungere, non tiene affatto una condotta inequivocabilmente dimostrativa della volontà di rinuncia alla sospensione degli effetti del contratto.
Infine, il suddetto orientamento produrrebbe effetti paradossali, e dunque non può essere condiviso, perché contrasterebbe con il tradizionale principio dell’interpretazione utile (in virtù del quale è inibito all’interprete adottare interpretazioni della norma giuridica che privino quest’ultima di qualunque effetto sensato).
Infatti, nel caso di mancato pagamento del premio assicurativo, una volta spirato il termine di cui all’articolo 1901 c.c., il contratto entra in una fase di stallo destinata immancabilmente a concludersi, in quanto delle due l’una:
– se l’assicurato paga tardivamente il premio, il contratto si riattiva con efficacia ex nunc;
– se l’assicurato non paga il premio il contratto si risolve ope legis qualora l’assicuratore non agisca per la riscossione entro sei mesi.
Se, invece, si ritenesse che l’accettazione del pagamento tardivo del premio assicurativo senza riserve, da parte dell’assicuratore, comporti sempre e comunque una tacita rinuncia a far valere l’inefficacia della polizza, si perverrebbe a questi effetti paradossali:
a) l’articolo 1901 c.c., non avrebbe alcun senso, giacché in tutti i casi di pagamento tardivo, accettato senza riserve, il contratto produrrebbe i suoi effetti;
b) si introdurrebbe a carico dell’assicuratore un onere, al momento di accettazione del pagamento tardivo del premio assicurativo, di dichiarare apertamente di non voler indennizzare sinistri già avvenuti nel periodo di carenza, onere non previsto da alcuna norma.
Ne deriva il seguente principio di diritto:
non è indennizzabile il sinistro avvenuto dopo lo spirare del termine previsto dall’articolo 1901 c.c., a nulla rilevando che l’assicuratore abbia accettato senza riserve il pagamento tardivo del premio.
Corte di Cassazione, Ordinanza n. 38216 del 03 dicembre 2021
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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