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Codice Civile
Codice Penale

Pianificazione urbanistica e risarcimento del danno

La sentenza conferma il principio di diritto secondo cui la valutazione della legittimità dell’attività di pianificazione urbanistica, come l’adozione o meno di un POC, rientra nella discrezionalità politico-amministrativa degli enti locali. Di conseguenza, la domanda di risarcimento danni per mancata adozione di un POC, essendo fondata sulla contestazione dell’esercizio di tale potere discrezionale, rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo.

N.R.G. 10224/2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA SECONDA
SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._2269_2024_- N._R.G._00010224_2021 DEL_01_08_2024 PUBBLICATA_IL_02_08_2024

nella causa civile di I grado iscritta al n. R.G. 10224/2021 promossa da: ) e ), in persona dei legali rappresentanti pro tempore, con sede legale a Casalecchio di Reno (BO), con il patrocinio dell’Avv. COGNOME NOME e dell’Avv. COGNOME NOME;
attori CONTRO ), in persona del Sindaco in carica, con il patrocinio dell’Avv. COGNOME NOME e dell’Avv. COGNOME NOME, elettivamente domiciliato presso l’Avvocatura del convenuto

CONCLUSIONI

Parti attrici chiedono e concludono:
“Voglia Codesto Ecc.mo Tribunale, contrariis reiectis:
I)
In via preliminare: respingere le eccezioni preliminari formulate da Controparte in sede di comparsa di costituzione e risposta dichiarando la sussistenza della propria giurisdizione nonché accertando l’insussistenza di presupposti ostativi alla pronuncia sulla domanda azionata rigettando l’eccezione di litispendenza e di giudicato esterno;
II)
in via istruttoria:
si insiste per l’ammissione dei seguenti capitoli di prova III) nel merito:
la sussistenza della responsabilità da contatto sociale qualificato dallo status di Pubblica Amministrazione in capo al per i fatti dedotti e per i motivi di diritto esposti in citazione;
IV) e per l’effetto:
condannare il a corrispondere a un risarcimento pari ad € 96.767.228,79 oltre a interessi e rivalutazione monetaria dal dì del dovuto fino al saldo, ovvero la somma maggiore o minore che risulterà in giudizio, eventualmente anche a mezzo di valutazione in via equitativa.
Vinte le spese di lite”.

Parte convenuta chiede e conclude:
“Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa:
• In via pregiudiziale, dichiarare il proprio difetto di giurisdizione in favore del Giudice Amministrativo;
• Sempre in via pregiudiziale, in subordine, dichiarare l’inammissibilità dell’atto di citazione proposto dalle società e l’improcedibilità della causa, in violazione del principio del ne bis in idem, stante la presenza del giudicato sulla medesima domanda portato dalla sentenza del TAR Emilia-Romagna, Bologna n. 115/2019;
• sempre in via pregiudiziale, in ulteriore subordine, dichiarare l’inammissibilità e/o improcedibilità della presente causa per litispendenza con la causa RG 220/2020 dinanzi al TAR Emilia-Romagna, Bologna, tra le parti in causa;
• nel merito, respingere tutte le domande proposte dalle società inerenti la supposta responsabilità da contatto qualificato dallo status di Pubblica Amministrazione del riguardo il presunto riconoscimento in concreto della qualità edificatoria per l’ambito “Savena” del PSC del 14.7.2008 di cui all’atto di citazione notificato il 27.7.2021, perché infondate, in fatto e in diritto, generiche e non provate.
Salvis juribus.
Con vittoria di spese ed onorari, oltre oneri ex art. 1, comma 208, L. n. 266/2005 in favore delle avvocature pubbliche”.

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

Con atto di citazione notificato in data 27.07.2021 le società (di seguito solo , ovvero senza denominazione sociale) convenivano in giudizio innanzi all’intestato Tribunale il al fine di ottenere l’accertamento della sua responsabilità la pretesa risarcitoria sulla lesione del legittimo affidamento riposto sull’attuazione delle scelte di pianificazione urbanistica da parte dell’Amministrazione.

1.1.
Nello specifico, nel proprio atto introduttivo le due società rappresentavano:
– di essere comproprietarie della quasi totalità delle aree che costituivano il “Sub-ambito Savena Est”, facente parte dell’“Ambito n. 148-Savena”, vale a dire una delle quattro porzioni del territorio comunale di – all’epoca dei fatti, la pianificazione urbanistica del territorio emiliano-romagnolo era caratterizzata da tre distinti strumenti:
il Piano Strutturale Comunale (PSC), il Piano Operativo Comunale (POC) e il Regolamento Urbanistico Edilizio (RUE);
il PSC era finalizzato a delimitare ed a classificare le aree in ragione della loro capacità edificatoria, mentre il POC era lo strumento deputato alla concreta attuazione di quanto individuato “a monte” dal PSC;
– tale sistema non risultava più attuale stante l’entrata in vigore della nuova legge urbanistica regionale n. 24/2017 (che considera il solo Piano Urbanistico Generale PUG);
– il approvava il proprio PSC con delibera del Consiglio n. 133 del 14.07.2008, disciplinando l’Ambito n. 148-Savena quale area strategica nell’ottica di recuperare un territorio precedentemente degradato ed abbandonato.

Le parti attrici, dunque, rappresentavano che con quel piano, proprio al fine di raggiungere tale obiettivo di rigenerazione urbana, il Comune aveva programmato in tale Ambito la realizzazione di un quartiere urbano (una c.d. “città-parco”).

Da tale circostanza, dunque, le due società avevano concretamente confidato nella possibilità di addivenire all’attuazione della stessa pianificazione contenuta nel PSC mediante l’inserimento nel piano urbanistico operativo (POC).

Sostenevano, infatti, che avendo individuati Ambiti per nuovi insediamenti ed avendone riconosciuta la necessità, l’inserimento nel POC avrebbe dovuto avvenire necessariamente e in tempi celeri.

Gli attori rafforzavano il loro affidamento sull’adozione del POC e l’inserimento in tale strumento dell’ in ragione della circostanza che il aveva costituito nel 2011 un apposito Tavolo Tecnico con le principali Associazioni di categoria, al cui termine veniva redatto un documento di sintesi (doc. n. 4).
quindi, proseguivano la narrazione in fatto, rappresentando:
– di aver pagato l’IMU per le aree di rispettiva proprietà che il PSC qualificava come edificabili;
– nonostante le istanze di sollecito e il Tavolo tecnico, il non adottava il POC;
– pertanto, data la prolungata inerzia dell’Amministrazione comunale, avanzavano in data 25.10.2017 attuativa finalizzata a provare la bontà tecnica, economica, ambientale e giuridica del progetto (doc. n. 3/A) e da una successiva integrazione trasmessa in data 15.03.2019 (doc. n. 9);
– nonostante tale istanza, il proseguiva nella propria inerzia.

Inoltre, gli attori narravano che tra le parti in causa erano pendenti più contenziosi in sede di giurisdizione amministrativa:
– una prima impugnazione della delibera n. 254732/2018 con cui la Giunta comunale stabiliva di non dar corso alla fase transitoria prevista dalla nuova legge regionale in materia urbanistica, impedendo così l’applicazione delle norme del PSC adottato nel 2008 (R.G. n. 748/2018);
– un secondo ricorso avanti al TAR Emilia Romagna-Bologna con cui era richiesto l’accertamento dell’obbligo di adottare un provvedimento espresso in risposta all’istanza del 25.10.2017;
tale giudizio, avente R.G. n. 842/2018, concludeva con sentenza n. 115/2019 con cui il giudice amministrativo accertava l’illegittimità della condotta omissiva dell’Amministrazione (doc. n. 6);
– un ricorso in ottemperanza in ragione della perdurante inerzia del a provvedere nonostante la condanna;
anche tale ricorso veniva accolto con sentenza n. 836/2019 (doc. n. 7);
– l’Amministrazione, quindi, si pronunciava con delibera del Consiglio comunale n. 564194/2019, respingendo l’istanza 25.10.20017 (doc. n. 8);
– da tale rigetto, pertanto, sorgeva un quarto giudizio avanti al Tar finalizzato all’ottenimento di una declaratoria di illegittimità di detta delibera (R.G. n. 220/2020).

Alla luce di tutto quanto rappresentato, le parti attrici deducevano la lesione del loro affidamento, legittimamente riposto nell’adozione del POC e nell’inserimento in esso degli Ambiti territoriali di loro proprietà resi edificabili dal PSC e rafforzato dalle condotte tenute dall’Amministrazione.

Per l’effetto, quindi, ne domandavano la condanna al risarcimento del danno, quantificato, come da relazione di stima allegata (doc. n. 5), nella cifra pari ad € 96.767.228,79=, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

1.2.
si costituiva tempestivamente in giudizio con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 10.11.2021, eccependo in via pregiudiziale il difetto di giurisdizione, la sussistenza di un giudicato sul tema oggetto di controversia e la litispendenza con la causa TAR R.G. n. 220/2020, e domandando nel merito l’integrale rigetto delle domande avversarie.

In particolare, parte convenuta eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario adito in favore del giudice amministrativo.

Secondo l’Amministrazione comunale, infatti, il comportamento posto in essere era di natura latamente amministrativa ed era riconducibile ad un esercizio, ancorché mediato, subordine ma sempre in via pregiudiziale, parte convenuta eccepiva l’esistenza di un giudicato esterno derivante dalla sentenza n. 115/2019, resa all’esito della causa avente n. R.G. 842/2018, con cui il giudice amministrativo aveva totalmente respinto la domanda risarcitoria (doc.
n. 8);
tale giudizio, infatti, vantava medesimi petitum e causa petendi.

Infine, in via pregiudiziale, il eccepiva la litispendenza del giudizio instaurato avanti al TAR R.G. n. 220/2020, con cui avevano impugnato la delibera consiliare n. 564194/2019 di rigetto dell’istanza di inserimento delle aree di proprietà in un POC.

Nel merito, invece, parte convenuta contestava la veridicità della rappresentazione in fatto ed in diritto di parte attrice, affermando che la natura programmatica generale del PSC è espressione di un potere pienamente discrezionale, cui si correla l’assenza di una aspettativa giuridicamente tutelabile in capo al privato.

Dal PSC, quale atto di natura pianificatoria in materia di urbanistica, non deriverebbe alcuna vincolatività per l’Amministrazione comunale all’adozione dei relativi piani operativi, né, di conseguenza, alcun diritto in capo al privato di vedersi riconosciuto il diritto di edificabilità.

Ne consegue, pertanto, che laddove non ci sia un piano operativo non può esservi neanche un legittimo affidamento da parte del cittadino, in quanto dalla discrezionalità riconosciuta in capo alla Pubblica Amministrazione deriva anche la possibilità di una mancata adozione di esso.

Valorizzando il potere a lei riconosciuto di discostarsi da quanto previsto nel PSC o di non adottare il POC, l’Amministrazione comunale concludeva eccependo in via pregiudiziale il difetto di giurisdizione e, in subordine, la inammissibilità dell’atto di citazione poiché già oggetto di giudicato intercorso tra le parti e la litispendenza con altra causa pendente avanti al giudice amministrativo.

Nel merito, infine, insisteva per il rigetto delle domande avversarie.

All’esito della prima udienza 2 dicembre 2021, tenuta con modalità cartolari stante la proroga dello stato di emergenza conseguente alla pandemia Covid-19, venivano concessi i termini per il deposito delle memorie ex art. 183, comma 6 c.p.c.

All’udienza del 12 maggio 2022, rigettata l’istanza di prova per testimoni dedotta da parte attrice, si disponeva per la decisione con fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni;
la causa era trattenuta in decisione assegnando alle parti i termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito degli scritti conclusionali.
§ § § Ritiene il giudicante che pregiudizialmente vada dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ragione della particolarità della materia è opportuno illustrare brevemente l’ordine motivazionale del presente provvedimento;
trattasi di esigenza connessa alla complessità del tema del riparto di giurisdizione ed alla moltitudine di pronunce giurisprudenziali che ne hanno interessato l’evoluzione.

In primo luogo, dunque, si procederà con una analisi della normativa regionale in tema di urbanistica, evidenziandone i principi ed i criteri direttivi, nonché l’evoluzione diacronica;
tale prima parte è invero funzionale alla conoscenza del quadro normativo di riferimento al fine della valutazione della natura amministrativa del rapporto.

Successivamente, verrà trattato il tema del riparto di giurisdizione, con specifico richiamo alle più recenti pronunce della giurisprudenza, sia amministrativa che ordinaria.

Infine, si procederà all’analisi del caso di specie ed all’esposizione dei motivi in diritto che sorreggono la preannunciata declaratoria di difetto di giurisdizione.

3.2.
La presente controversia origina dalle domande di accertamento della responsabilità precontrattuale/contrattuale da contatto sociale qualificato e di condanna al risarcimento del danno che due imprese edili avanzano nei confronti del In particolare, gli attori affermano di aver sostenuto ingenti spese di investimento, nonché di aver perduto altrettanto ingenti occasioni di lucro, in ragione dell’affidamento riposto sulle disposizioni contenute nel Piano Strutturale Comunale (PSC) adottato in data 14.07.2008 cui l’Amministrazione non ha, però, dato seguito. All’epoca dei fatti la disciplina urbanistica regionale di riferimento era contenuta nella legge regionale 24 marzo 2000, n. 20.

All’art. 2 elencava gli obiettivi generali cui la pianificazione territoriale e urbanistica si informava.

In particolare, l’attività amministrativa era preordinata:
alla promozione di un ordinato sviluppo del territorio;
all’assicurazione che i processi di trasformazione fossero compatibili con la sicurezza e la tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale del territorio;
al miglioramento della qualità della vita e della salubrità degli insediamenti urbani;
alla salvaguardia delle zone ad alto valore ambientale, biologico, paesaggistico e storico;
alla riduzione della pressione degli insediamenti urbani sui sistemi ambientali e, infine, al miglioramento generale della qualità ambientale del territorio.

Già dalla lettura di tali punti di indirizzo si può evincere come l’urbanizzazione fosse intesa quale criterio recessivo e sussidiario rispetto al mantenimento del verde pubblico, al fine di una più efficace tutela delle matrici ambientali.

All’art. 2, comma 2, lett. f) viene espresso il principio per cui può essere autorizzato il consumo del territorio solo quando non sussistano alternative derivanti dalla pianificazione urbanistica, così come a livello statale previsto dalla legge 17 agosto 1942, n. 1150, si compone di un sistema di piani urbanistici c.d. a cascata, che operano dal generale al particolare, interessando più centri di potere amministrativo.

Relativamente all’ambito emiliano-romagnolo illo tempore in vigore, la L.R. n. 20/2000 prevedeva, infatti, un Piano Territoriale Regionale (PTR), un successivo Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) e gli strumenti urbanistici comunali (il PSC, il POC, il RUE e il PUA).

Ai fini della presente controversia interessa il livello comunale, in ragione della circostanza che le parti attrici indirizzano le proprie domande, di accertamento e di condanna, alla sola Amministrazione comunale.

3.2.1.
A “monte” del sistema di pianificazione urbanistica comunale si poneva il Piano Strutturale Comunale (PSC) che, nel periodo di vigenza della L.R. n. 20/2000, rappresentava lo « strumento di pianificazione urbanistica generale che deve essere predisposto dal Comune, con riguardo a tutto il proprio territorio, per delineare le scelte strategiche di assetto e sviluppo e per tutelare l’integrità fisica ed ambientale e l’identità culturale dello stesso» (art. 28).

Fin da ora appare utile evidenziare come al medesimo articolo si affermi che «Il PSC non attribuisce in nessun caso potestà edificatoria alle aree né conferisce alle stesse una potenzialità edificatoria subordinata all’approvazione del POC»;
nonché che all’art. 3 comma 1 del Quadro normativo del PSC è sancito che «Il Psc non assegna diritti edificatori.

Detta prescrizioni, direttive e indirizzi:
ai Poc per la disciplina operativa e attuativa;
al Rue per le aree soggette a interventi diretti, pubblici e privati»
(doc. n. 14 parte convenuta).

In altri termini, il PSC rappresentava la sede in cui l’Amministrazione comunale, valutando la consistenza e la vulnerabilità delle risorse naturali e antropiche, i principi definiti, le condizioni di sostenibilità e le infrastrutture o gli interventi di maggiore rilevanza sociale, individuava gli ambiti territoriali stabilendone gli obiettivi sociali, funzionali, ambientali (art. 28, comma 2).

L’attuazione della programmazione urbanistica contenuta nel PSC, poi, trovava concretizzazione nel Regolamento Urbanistico e Edilizio (RUE), nei Piani Urbanistici Attuativi e, per quanto di qui maggiore interesse, nel Piano Operativo Comunale (POC).

Quest’ultimo in particolare veniva descritto come lo strumento urbanistico «che individua e disciplina gli interventi di tutela e valorizzazione, di organizzazione e trasformazione del territorio da realizzare» (art. 30 L.R. n. 20/2020) e che «definisce i nuovi insediamenti da attuarsi e perimetra le aree di intervento e definisce per ciascuna di esse le destinazioni d’uso ammissibili, gli indici edilizi, le modalità di Dunque, il PSC si poneva al vertice della piramide della pianificazione urbanistica comunale e rappresentava lo strumento con cui l’Amministrazione compiva una prima valutazione discrezionale circa la destinazione degli Ambiti territoriali. Da esso, tuttavia, non derivava alcun vincolo né per il privato proprietario del terreno né per l’Amministrazione, essendo, infatti, quest’ultima libera di cambiare successivamente la propria iniziale programmazione.

Ciò si deduce, ad abundantiam, anche dall’art. A-12, comma 3, che afferma chiaramente che «Il PSC perimetra gli ambiti del territorio comunale che possono essere destinati a tali nuovi insediamenti»;
nonché dall’art. 3 comma 4 del Quadro normativo del PSC che prevede che «Le disposizioni del Psc hanno valore di indirizzo quando esprimono obiettivi in forma discorsiva, riferiti alle caratteristiche prestazionali di Sistemi, Ambiti o loro porzioni assoggettati a Piani urbanistici attuativi».

In sintesi, il PSC si poneva quale perimetro esterno entro cui gli strumenti operativi (vale a dire il POC, il RUE e il PUA) avrebbero dovuto produrre i propri effetti, ma ben potendo il POC, seppur entro tale limite, discostarsi.

Ne consegue che tanto il PSC e quanto il POC siano normativamente individuati quali strumenti attraverso cui si estrinsecano le scelte comunali di natura discrezionale – potendo sempre essere suscettibili di modifica – riconducibili ad un potere politico-amministrativo.

3.3.
Nel caso di specie, è pacifico che il adottava il proprio Piano Strutturale Comunale con delibera Consiliare P.G. n. 148289 del 14.07.2008, ivi prevedendo che i terreni di proprietà rientravano nel Sub-Ambito Savena Est come “Ambiti di nuovo insediamento” (doc. n. 13 parte convenuta).

È da tale elemento, infatti, che le parti attrici fondavano il dedotto affidamento, ritenuto legittimo e ingiustificatamente leso, all’inserimento di tali aree in un successivo POC.

Tuttavia, è altresì pacifico che nei POC adottati negli anni seguenti dal non configuravano tali terreni e che, anzi, furono adottati POC tematici relativi alla qualificazione urbana diffusa, alla rigenerazione di patrimoni pubblici abbandonati e alle attrezzature e industrie insalubri (docc. nn. 20, 21, 22, 23 e 24 parte convenuta).

In merito, Il rappresenta che tale soluzione trovava la propria giustificazione nella necessità di adeguamento ai principi espressi dalla normativa comunitaria in materia e che, a partire dalla fine della prima decade degli anni Duemila, aveva intrapreso un percorso di sostenibilità ambientale e mitigazione dell’impatto umano sul territorio (docc. nn. 17, 18 e 19).

Siamo, dunque, di fronte ad un nuovo indirizzo politico, finalizzato in primis alla valorizzazione e , tale quadro normativo veniva interessato da un’ultima modifica legislativa con l’adozione della legge regionale 21 dicembre 2017, n. 24.

Per l’effetto, la disciplina in materia di urbanistica di livello comunale è mutata nei suoi contorni, abbandonando i precedenti strumenti urbanistici e sostituendoli con l’unico Piano Urbanistico Generale (c.d. PUG);
in sua attuazione, quindi, il ha approvato il proprio PUG con la delibera di Giunta P.G. n. 254732 del 19.06.2018, interamente sostitutivo del PSC del 2008 (doc. n. 25).

Proseguendo nei termini descritti, secondo l’interpretazione avallata dalla Corte costituzionale (sent. n. 303 del 1° ottobre 2003), in seguito alla riforma costituzionale del Titolo V, la materia urbanistica è ricompresa nella più ampia categoria di cui alla locuzione «Governo del territorio», insieme all’edilizia e alle espropriazioni.

Dunque, ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost. rientra tra le materie di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni.

Attualmente, è delineato un sistema integrato di regolazione dell’urbanistica che, secondo una logica di normazione “a cascata”, interessa più livelli legislativi.

In primo luogo, lo Stato legifera dettando i principi e i criteri generali di uso del territorio (la cui disciplina di riferimento è ricompresa nella legge 17 agosto 1942 n. 1150 e nella legge 6 agosto 1967 n. 765);
poi le Regioni si dotano della propria normativa di settore (nel caso dell’Emilia-Romagna, l’attuale L.R. n. 24/2017);
infine, le singole Amministrazioni comunali adottano i propri strumenti di pianificazione.

L’urbanistica e, ampliando il perimetro, tutta la materia del governo del territorio, è per sua natura settore del diritto amministrativo fortemente impattante sulle posizioni giuridiche dei privati e, in particolar modo, sulla proprietà e sull’attività economico-produttiva.

Per tale motivo, storicamente, si è sviluppato un dibattito circa l’ampiezza del sindacato giurisdizionale sull’attività di pianificazione urbanistica, a partire dall’individuazione del giudice competente.

Tale dibattito, in realtà, trovava maggior ragione d’essere in passato quando, ancor prima dell’adozione del Codice del processo amministrativo, al giudice amministrativo non erano affidati strumenti, facoltà e prerogative in grado di riconoscere ai privati un’adeguata forma di tutela sulla falsariga del giudice ordinario.

Su tutti, infatti, il richiamo deve essere effettuato alla tutela risarcitoria in via autonoma e ai mezzi di tutela cautelare.

4.1. Per queste ragioni, il riparto di giurisdizione in materia urbanistica ha conosciuto un complesso percorso, poiché da un lato si voleva offrire al cittadino una più ampia tutela processuale che, all’epoca, solo la giurisdizione ordinaria era in grado di fornire;
dall’altro il settore urbanistico è per particolare, il dibattito si è acceso dopo la pronuncia caducatoria dell’art. 34 del D.Lgs.
n. 80/1998 ad opera della sentenza della Corte cost.
con la sentenza n. 204 del 2004, la cui ampia previsione affidava alla giurisdizione del giudice amministrativo tutte le controversie in materia edilizia e urbanistica, indipendentemente dalla circostanza che oggetto del giudizio fossero atti, provvedimenti o comportamenti della pubblica amministrazione.

Con gli articoli 33 e 34 del citato D.Lgs., infatti, il legislatore aveva devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie afferenti ai servizi pubblici e all’urbanistica, indipendentemente dalla circostanza che in tali situazioni l’Amministrazione pubblica avesse fatto uso, anche mediatamente, del potere;
il legislatore aveva scelto di operare il criterio di devoluzione della giurisdizione c.d. per blocchi di materie, per un duplice ordine di considerazioni:
il tendenziale superamento dell’allora vigente criterio di riparto della giurisdizione fondato sulla posizione soggettiva frutto dello storico “Concordato del 1929 (Cass. n. 2680/1930 e Cons. di Stato, Ad. Plen., nn. 1 e 2/1930), in favore di un riparto per blocchi di materie;
la concentrazione in un unico giudizio, dinnanzi allo stesso giudice, delle controversie sulla lesione della sfera giuridica del cittadino e del risarcimento del danno.

Tale criterio di devoluzione, tuttavia, non ha superato il vaglio di costituzionalità di cui alle note sentenze n. 204/2004 e n. 191/2006 (quest’ultima proprio in materia di urbanistica).

In tali pronunce, invero, la Consulta, richiamando gli articoli 24, 103 e 113 Cost., ha fondato il riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario sulla scorta del binomio cattivo uso del potere – carenza di potere.

Vi è, pertanto, giurisdizione amministrativa laddove l’Amministrazione abbia, ancorché illegittimamente, fatto esercizio del potere lei riconosciuto;
vi è, invece, giurisdizione ordinaria nel caso in cui l’atto, o il comportamento dell’Amministrazione, non sia in realtà espressione di esso.

Del resto, il giudice amministrativo non è il “giudice dell’Amministrazione”, quanto più il giudice delle controversie in cui si fa esercizio del potere amministrativo.

Secondo la Corte Costituzionale, «da un lato, è escluso che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo e, dall’altro lato, è escluso che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo» (punto 3.2
Corte cost. n. 204/2004).

Ne conseguiva, quindi, l’incostituzionalità degli artt. 33 e 34 D.lgs. n. 80/1998 nella parte in cui «comprendendo nella giurisdizione esclusiva – oltre “gli atti e i provvedimenti” attraverso i quali le pubbliche amministrazioni svolgono le loro funzioni pubblicistiche in materia urbanistica ed edilizia – anche “i comportamenti”, la estende a.1.1.

Tali assunti sono stati recepiti dal legislatore nel nuovo Codice del processo amministrativo.

L’art. 7 comma 1 c.p.a. devolve alla giurisdizione amministrativa « le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni.

Non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico».

Tale articolo va letto, per quanto qui di interesse, in combinato disposto con l’art. 133 comma 1 lett. f) c.p.a.
che, occupandosi delle materie di giurisdizione esclusiva, vi include anche «le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio, e ferme restando le giurisdizioni del Tribunale superiore delle acque pubbliche e del Commissario liquidatore per gli usi civici, nonché del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa». In sintesi, il legislatore radica il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo sull’esercizio, diretto o mediato, del potere nel caso concreto e relativamente alla materia del governo del territorio ne riconosce anche la giurisdizione esclusiva.

Del resto, l’urbanistica, così come tutto il governo del territorio, è per sua natura un settore in cui viene fatto ampio uso della discrezionalità amministrativa, quale massima espressione del potere autoritativo.

La corretta e più efficiente gestione del territorio, secondo una logica di ricerca dell’armonia con le matrici ambientali e con la salute pubblica, sconta un fisiologico margine di libertà d’azione per l’Amministrazione, mutevole nel tempo e adattabile alle singole condizioni spazio-temporali.

Ne è d’altronde espressione la circostanza per cui nell’adozione dei Piani urbanistici, lato sensu intesi, le Amministrazioni locali non siano tenute al rigoroso rispetto dell’obbligo motivazionale di cui all’art. 3 Legge n. 241/1990, quanto più ad un obbligo di rendicontazione meno stringente (ex multis, Cons. Stato, sent. n. 4343/2019; Cons. Stato, sent. n. 2221/2016).

Il tema, poi, dei comportamenti è da inquadrare nel riportato assetto.

Nel nostro ordinamento è ben presto emersa, inizialmente rispetto al negozio giuridico e successivamente anche nel diritto amministrativo, la consapevolezza che anche il comportamento può Vi è da anticipare, però, come nel nostro ordinamento manchi una vera e propria nozione di comportamento amministrativo.

Tuttavia, l’opera dottrinale e giurisprudenziale ha avuto modo di delineare i modelli con cui l’Amministrazione pubblica può agire:
in via autoritativa, in via intermedia e mediante l’attività c.d. paritetica.

Il primo fa richiamo al classico schema autoritativo norma-fatto-potere-effetto, secondo cui la P.A. agisce per il tramite di atti autoritativi o comportamenti immediatamente o mediatamente esecutivi di atti amministrativi.

Poi, vi è lo schema intermedio che è il risultato del contemperamento tra i profili pubblicistici e quelli privatistici.

L’esempio tradizionale di tale modulo procedimentale viene rinvenuto negli accordi sostitutivi e integrativi del provvedimento di cui all’art. 11 della Legge n. 241/1990.

Infine, si colloca l’attività amministrativa paritetica, riconducibile allo schema norma-fatto-effetto e che fa applicazione della disciplina di diritto privato.

Solo nei primi due modelli viene implicato l’uso del potere amministrativo, sicché, alla luce delle pronunce della Corte costituzionale e della codificazione dell’art. 7 c.p.a. , viene riconosciuta la giurisdizione amministrativa;
diversamente, in difetto dell’esercizio del potere – da equipararsi alla specie in cui vi è già stato un contatto tra la parte privata e la parte pubblica che agisce iure privatorum – la posizione del privato è quella di diritto soggettivo.

Vi è da sottolineare, inoltre, che il riparto della giurisdizione sui comportamenti amministrativi sconta anche della ulteriore dicotomia tra attività giuridica e attività meramente materiale.

Valorizzando, infatti, la nozione volontaristica del comportamento giuridico, vale a dire quella secondo cui anche il comportamento è mezzo attraverso cui veicolare ed esternare la volontà giuridica di un soggetto, pubblico o privato che sia, il comportamento sarà amministrativo, radicando così la giurisdizione avanti al giudice amministrativo, laddove esso sia espressione del potere amministrativo (Cass., Sez. Unite, ord. 21768/2021; Sez. Unite, ord. 33851/2021).

In altri termini, si tratta di condotte che presentano un rapporto diretto con il potere amministrativo di cui ne costituiscono l’attuazione materiale.

Diversamente, laddove la Pubblica Amministrazione ponga in essere un mero comportamento materiale, in alcun modo legato, secondo un nesso relazionale, con l’esercizio del potere, si incardinerà la giurisdizione del giudice ordinario.

5.1.
Di maggiore difficoltà interpretativa sono, poi, i c.d. comportamenti mediati, vale a dire quelle condotte realizzate dall’Amministrazione che non sono strettamente proiezione di un provvedimento.

A differenza dei comportamenti immediatamente riconducibili al potere amministrativo, infatti, nei della causalità giuridica.

Ovvero, quel dato comportamento viene considerato espressione, ancorché non immediata, del potere amministrativo laddove si inserisca all’interno di una sequenza causale per cui il potere rappresenta un antecedente logico e, appunto, causale rispetto al comportamento stesso.

Anticipando quanto verrà rappresentato in prosieguo, si ritiene che questa sia l’ipotesi sussumibile nella presente controversia.

Vi è, infatti, un atto espressione del potere politico-amministrativo “a monte” (vale a dire il PSC) che poi ha qualificato in termini amministrativi il comportamento omissivo tenuto “a valle” dall’Amministrazione; comportamento di cui le parti attrici lamentano l’illegittimità.

Del resto, la Cassazione ha avuto modo di affermare che la riconducibilità del comportamento dannoso all’esercizio del potere esige l’individuazione di una relazione con l’esercizio del potere per cui i comportamenti risultino oggettivamente riconducibili all’oggetto di esso (Cass., Sez. Unite, ord. 2052/2016);
circostanza che viene rinvenuta anche nel caso di specie, in quanto la condotta (rectius, l’omissione) tenuta a valle dall’Amministrazione comunale è espressione del potere discrezionale, a lei riconosciuto dalla L.R. n. 20/2000, di adottare o meno i piani operativi.

5.2.
Appare ora opportuno evidenziare che l’attività amministrativa può manifestarsi anche tramite omissioni.

Sebbene l’art. 2 Legge n. 241/1990 imponga alle Amministrazioni il dovere di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso, può accadere che l’Amministrazione rimanga inerte, non compiendo un’attività che il privato ritenga debba compiere oppure abbia il dovere giuridico di compiere.

In realtà, nell’economia del presente provvedimento afferente alla declaratoria di difetto di giurisdizione, il merito sulla legittimità dell’omissione del comportamento del che gli attori deducono essere illegittimo, non sarà oggetto di trattazione.

Il carattere omissivo dell’attività amministrativa, però, appare confacente a sostenere, per quanto di qui rileva, la giurisdizione del giudice amministrativo.

Infatti, l’art. 7 comma 1 c.p.a. fa espresso riferimento anche al mancato esercizio del potere amministrativo (« l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni»), riconoscendone la giurisdizione amministrativa nel sindacarne la legittimità.

Si tratta, quindi, di comportamenti omissivi di natura amministrativa, vale a dire ipotesi applicative in cui la omissione del comportamento (asseritamente) dovuto è essa stessa espressione del potere, mancato compimento dell’atto “si veste del potere amministrativo” e si qualifica quale esercizio dello stesso.

È devoluta, pertanto, alla giurisdizione del giudice amministrativo la controversia introdotta dal privato al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità e il risarcimento del danno conseguente all’omesso esercizio da parte dell’Amministrazione del potere autoritativo discrezionale.

In tali casi, infatti, il privato vanta una posizione soggettiva che non assume la natura di diritto soggettivo ma quella di interesse legittimo, sub specie interesse legittimo pretensivo.

La pretesa risarcitoria per l’omissione che il privato ritiene difforme ai canoni di correttezza e buonafede è fondata esclusivamente sull’omesso compimento dell’attività provvedimentale necessaria ad evitare l’insorgenza del dedotto pregiudizio che, nel caso de quo, è rappresentato dalla mancata adozione del POC relativo al sub-Ambito territoriale interessato (Cass., Sez. Unite, ord. 21768/2021;
Sez. Unite ord. 34555/2022; Sez. Unite, ord. 30175/2023).

In termini ancor più espliciti, «La cognizione sulla domanda risarcitoria del privato per i danni causati dalla mancata adozione di atti che avrebbero dovuto essere emanati da parte dell’autorità amministrativa competente spetta alla giurisdizione del giudice amministrativo, poiché si risolve nella contestazione circa l’omesso o cattivo (in tempi e modi non congrui) esercizio di un dato potere da parte dell’Amministrazione, donde la posizione giuridica soggettiva del danneggiato è costituita dall’interesse legittimo al corretto esercizio di tale potere» (Cass., Sez. Unite, ord. 3755/2024).

Venendo ora allo stato della giurisprudenza, è consolidato il principio che la giurisdizione vada determinata sulla base della domanda e, ai fini del riparto di giurisdizione, rileva non già la prospettazione compiuta dalle parti, bensì il petitum sostanziale, da identificarsi non tanto in funzione della concreta pronuncia che parte attrice domanda, quanto invece della causa petendi, cioè della natura della posizione giuridica dedotta dalla parte ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati (cfr., Cass., Sez. Unite, n. 615/2021, punto 38 pag. 12; Cass., Sez. Unite, n. 26500/2020). Un’approfondita analisi del contenuto dell’atto di citazione, che qualifica la causa petendi come responsabilità da contatto sociale, consente di affermare che non ci troviamo di fronte ad un’azione risarcitoria volta a colpire un mero comportamento materiale omissivo dell’Amministrazione integrante una responsabilità precontrattuale o contrattuale, bensì ad un’azione risarcitoria volta a sindacare l’omessa attivazione da parte della P.A. di condotte normative regolamentate (e asseritamente doverose secondo parte attrice) tali da ingenerare un legittimo affidamento.

Pertanto, parte attrice ha inteso sindacare, secondo la sua prospettazione, il cattivo esercizio del potere Ne consegue, per l’effetto, la giurisdizione del giudice amministrativo, quale organo giudicante competente a conoscere dei casi in cui viene fatto uso del potere.

Ancora, analizzando la fattispecie de qua si può rintracciare quel nesso di relazione oggettivo che lega la norma attributiva del potere “a monte” (la L.R. n. 20/2000 allora vigente) e il comportamento omissivo tenuto dall’Amministrazione comunale.

L’omissione “a valle” è, non solo, collegata al potere politico-amministrativo del di per sé già integrante la giurisdizione del giudice amministrativo, ma, anzi, ne rappresenta l’esercizio stesso nel settore urbanistico che, nel riconoscere massima discrezionalità, è di per sé insindacabile nel merito (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, n. 603/2022; Cons. Stato, Sez. II, n. 3163/2020; Cons. Stato, Sez. II, n. 7560/2019).

Del resto, prescindendo dal merito della questione, gli attori lamentano proprio il mancato comportamento che, secondo la loro prospettazione, il avrebbe dovuto tenere.

Trattasi, quindi, di un comportamento, non meramente materiale, oggettivamente legato al potere amministrativo e indispensabile per raggiungere l’obiettivo prefissato dalla norma, vale a dire il perseguimento dell’interesse pubblico.

La Cassazione ha, infatti, specificato che in tali situazioni «non viene in considerazione l’incolpevole affidamento del privato su un provvedimento amministrativo ampliativo legittimamente annullato in sede di autotutela (con conseguente lesione del diritto soggettivo alla conservazione dell’integrità del patrimonio), e neppure l’affidamento, circa l’emanazione di un provvedimento ampliativo, ingenerato da un comportamento della P.A. che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, essendo, al contrario, fondata la pretesa risarcitoria esclusivamente sull’omesso compimento dell’attività provvedimentale necessaria ad evitare l’insorgenza del dedotto pregiudizio» (Cass., Sez. Unite, n. 21768/2021; Cass., Sez. Unite n. 33851/2021). D’altronde, anche la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo in numerose occasioni di affermare che dall’adozione di un atto pianificatorio generale non sorge in automatico l’obbligo per l’Amministrazione di disporre l’approvazione dello strumento urbanistico attuativo, in quanto la stessa approvazione è espressione di un potere discrezionale dell’organo deputato a valutarne l’opportunità (Cons. Stato, Sez. IV, n. 10662/2022).

Infatti, l’emanazione del POC è atto non dovuto (cosa che, altrimenti, avrebbe integrato la giurisdizione del giudice ordinario):
è atto discrezionale che rientra nella scelta politico-amministrativa di governo del territorio rimessa all’Ente locale.

Pertanto, «deve ribadirsi che la cognizione sulla domanda risarcitoria del privato per i danni asseritamente causati da atti illegittimi – ovvero anche dalla mancata adozione di atti che avrebbero dovuto essere emanati da parte dell’autorità amministrativa competente – spetti alla giurisdizione.1.

La circostanza che anche nel caso di specie l’Amministrazione comunale godesse di margini di potere discrezionale nell’adottare, o meno, il POC risulta dalle disposizioni normative già richiamate (sub punto 3.2.1).

In primo luogo, l’art. 28 comma 1 della L.R. n. 20/2000 che espressamente afferma che in nessun caso il PSC attribuisce potestà edificatoria alle aree o conferisce anche una mera potenzialità edificatoria.

È il POC a concretizzare quanto statuito nel Piano Strutturale Comunale, facendo nascere così i diritti edificatori in capo ai privati, fino a quel momento in alcun modo destinatari di alcun diritto o, al contrario, limite edificatorio.

In secondo luogo, l’art. A-12 comma 3, qualifica espressamente il POC come uno strumento di adozione potenziale, frutto di una valutazione discrezionale dell’Amministrazione.

Elemento, inoltre, che viene rinvenuto anche nell’art. 3, comma 1, laddove si specifica che la pianificazione urbanistica, al fine di raggiungere una migliore complementarità con l’ambiente in cui si inserisce, è suscettibile di variazione in ordine all’adeguatezza e all’efficacia delle scelte inizialmente effettuate.

D’altronde ciò trova rafforzamento nella logica ispiratrice della disciplina urbanistica che, così come influenzata dalla normativa euro unitaria, intende l’urbanizzazione come extrema ratio;
privilegiando, invece, la valorizzazione e la riqualificazione del costruito.

In terzo luogo, la Valutazione di sostenibilità ambientale e territoriale (c.d. RAGIONE_SOCIALE) specifica che «Il dimensionamento e le percentuali di usi indicate hanno una valenza orientativa, e potranno essere meglio specificate o modificate in seguito ai necessari approfondimenti in sede di Poc, pur nel rispetto delle prestazioni e condizioni minime di sostenibilità indicate per ciascun Ambito»
(doc. n. 16, pag. 16 parte convenuta).

Il PSC dettava norme minime di sostenibilità quale limite inferiore non derogabile dalla discrezionalità amministrativa nell’adozione del piano operativo.

Rispettato tale limite, però, l’Amministrazione comunale era libera, laddove avesse deciso di adottare il POC, di esprimere i propri indirizzi programmatici, discrezionalmente.

Per ragioni di completezza, appare utile evidenziare come la giurisprudenza citata da parte attrice sia del tutto inconferente al caso di specie.

Le pronunce della Cassazione menzionate, infatti, riguardano schemi comportamentali adottati da altre Amministrazioni del tutto diversi rispetto al caso trattato nella presente controversia.

Per esempio, alcune pronunce riguardano situazioni in cui non è rinvenibile alcun collegamento, dall’Amministrazione nella gestione della procedura di cassa integrazione.

Il comportamento, però, era privo di alcun collegamento, anche solo mediato, con l’esercizio, mai attuato, del potere amministrativo correlato alla ammissione al trattamento di cassa integrazione.

D’altronde, secondo la giurisprudenza della cassazione, in materia di integrazione salariale, la posizione soggettiva del datore di lavoro di ammissione alla cassa integrazione ordinaria o straordinaria, diviene di diritto soggettivo solo dopo l’adozione del provvedimento di concessione (o autorizzazione) del trattamento (Cass., Sez. Unite, n. 310/2017);
circostanza che nel caso di specie non si era verificata.

In Cass., Sez. Unite n. 8236/2020, in mancanza del permesso a costruire, si era sviluppato un intenso rapporto tra il cittadino e il Comune di tipo privatistico; in Cass., Sez. Unite n. 12428/2021 e in Cons. Stato 1448/2021 le parti avevano stipulato una convenzione urbanistica da cui erano sorti obblighi lato sensu contrattuali.

In Cons. Stato n. 1914/2016, invece, l’Amministrazione rilasciava certificati urbanistici errati non riconducibili all’esercizio del potere;
mentre in Cons. Stato n. 1457/2018 la questione dedotta concerneva una ipotesi di provvedimento favorevole poi annullato.

In estrema sintesi, quindi, in tutti questi precedenti giurisprudenziali si controverete di meri comportamenti privi di alcun collegamento oggettivo e funzionale con il potere amministrativo.

Sono tutte ipotesi, infatti, in cui l’Amministrazione ha agito o iure privatorum o alla stregua di meri comportamenti materiali successivi a una manifestazione di volontà già palesata.

7.1.
Viene quindi affermato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

La pronuncia è in sé assorbente di ogni altra eccezione/svolta in giudizio.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono poste a carico di parte attrice secondo la liquidazione di cui al dispositivo che segue, liquidazione operata, tenuto conto che trattasi di pronuncia in rito, in applicazione dei parametri previsti dal DM n. 147/2022 secondo lo scaglione indeterminato di particolare importanza, così qualificato il valore effettivo della controversia.

Il Tribunale di Bologna, Seconda Sezione Civile definitivamente pronunciando nella causa di cui in epigrafe, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
1) in accoglimento dell’eccezione sollevata da parte convenuta, dichiara il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo;
2) condanna in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro Così deciso il 1agosto 2024 Il Giudice dott.ssa NOME COGNOME

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