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Potere di agire del condomino, proprietà e diritti reali

Potere di agire del singolo condomino, controversie afferenti al regime della proprietà e ai diritti reali relativi a parti comuni del fabbricato

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

SEZIONE QUINTA CIVILE 

in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa, ha pronunziato e dato lettura della seguente

SENTENZA n. 3553/2021 pubbl. il 01/03/2021

nella causa civile di primo grado iscritta al n. del Ruolo Generale per l’anno 2017,

TRA

XXX (C.F.), YYY (C.F.) e ZZZ (C.F.)
elettivamente domiciliati in presso lo studio dell’Avv. come da procura in calce all’atto di citazione.

ATTORI E

KKK (C.F.), JJJ (C.F.) e CONDOMINIO DI VIA QQQ N. 33 IN (C.F.), elettivamente domiciliata in presso lo studio degli Avv.ti come da procura in calce alla comparsa di costituzione

CONVENUTI

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 12.06.2017 gli attori, premesso di essere proprietari di immobili siti nel Condominio di Via QQQ n. 33 in, hanno convenuto quest’ultimo e i signori KKK e JJJ (quali comproprietari dell’unità immobiliare ubicata al piano attico – int. 9), rassegnando le seguenti conclusioni: “Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, 1. 1. accertare e dichiarare, al cospetto del Condominio di via QQQ n. 33 Roma, in persona del legale rappresentante pro-tempore, che i convenuti sig.ri KKK e JJJ hanno abusivamente annesso alla loro proprietà esclusiva una porzione del corridoio del locale cantine di proprietà comune; 2. per l’effetto, condannare i sig.ri KKK e JJJ alla immediata rimessione in pristino stato, a loro cura e spese, del corridoio del locale cantine del Condominio di via QQQ n 33 Roma; 3. ancora per l’effetto, condannare i sig.ri KKK e JJJ al risarcimento del danno per tale condotta abusiva, in favore degli attori, nella misura calcolata in via equitativa di Euro 5.000,00 per l’Ing. ZZZ, di Euro 3.000,00 per il sig. XXX e di Euro 2.000,00 per la sig.ra YYY; 4. accertare e dichiarare l’illegittimità delle ulteriori iniziative poste in essere dai sig.ri KKK e JJJ all’interno del Condominio di via QQQ 33 Roma, e meglio descritte nella parte in narrativa del presente atto, con particolare riferimento:

a) alla abusiva apposizione di rivestimento in parquet sul pianerottolo condominiale antistante l’abitazione degli odierni convenuti, ubicata al piano quarto (attico), interno 9, dell’edificio condominiale, in luogo del marmo preesistente, conforme al progetto originario dell’edificio; b) alla abusiva istallazione di strutture fisse sul terrazzo dell’unità immobiliare ubicata al piano quarto (attico), interno 9, dello stabile condominiale; c) alla abusiva pavimentazione di una porzione di una porzione del lastrico condominiale, con conseguente ristagno di acqua e fenomeni infiltrativi; d) alla abusiva installazione dei motori dei condizionatori sul predetto lastrico; e) all’abusivo utilizzo del posto auto quale locale magazzino; 5. per l’effetto, condannare i sig.ri KKK e JJJ, alla immediata rimessione in pristino stato delle suddette parti comuni illegittimamente alterate e/o modificate nonché alla cessazione delle condotte illegittime e/o abusive, stabilendosi altresì una somma per ogni giorno di ritardo nella remissione in pristino dei luoghi e per lo sgombero del posto auto, a decorrere dall’emissione della presente sentenza; 6. per l’effetto, condannare altresì i sig.ri KKK e JJJ al risarcimento del danno per tale condotta abusiva, in favore degli attori, nella misura calcolata in via equitativa di Euro 5.000,00 per l’Ing. ZZZ, di Euro 3.000,00 per il sig. XXX e di Euro 2.000,00 per la sig.ra YYY; 7. In ogni caso, condannare i sig.ri KKK e JJJ al pagamento delle spese e del compenso del presente giudizio, oltre spese generali (15%), CPA (4%) ed IVA (22%) come per legge.”

Gli attori hanno esposto che KKK e JJJ, quali proprietari dell’immobile sito al piano attico (int. 9) avrebbero posto in essere in modo illegittimo ed arbitrario una serie di attività sul proprio immobile e su parti comuni condominiali (meglio indicate nella citazione) che avrebbero modificato lo stato dei luoghi, leso il decoro architettonico e la stabilità dell’edificio condominiale nonché compromesso il pari uso di beni comuni.

I convenuti si sono costituiti in giudizio eccependo, in via preliminare, la carenza di legittimazione ad agire in giudizio degli attori, quali condomini dello stabile, ritenendo che tale legittimazione, per le censure sollevate, spetterebbe solo al condominio e non ai singoli condomini. Hanno eccepito l’infondatezza nel merito chiedendo il rigetto delle domande avanzate e proponendo domanda ex art. 96 c.p.c. per lite temeraria.

La causa è stata istruita mediante deposito documenti ed è stata disposta ed espletata la CTU.

Precisate le conclusioni all’udienza del 10 novembre 2020, a seguito di differimento disposto per l’emergenza sanitaria da Covid-19, la causa è stata trattenuta in decisione con concessione dei termini di legge per conclusionali e repliche.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Prima di entrare nel merito della controversia, occorre esaminare la preliminare eccezione sollevata dai convenuti in ordine alla carenza di legittimazione attiva degli attori. Sostengono i convenuti che la legittimazione a promuovere il presente giudizio spetterebbe al solo condominio poiché unico soggetto titolato a salvaguardare gli interessi sottesi alla fattispecie di causa.

L’eccezione è infondata e va rigettata.

Nel condominio d’edifici, vale il principio per cui il condominio non è un soggetto giuridico dotato di propria personalità distinta da quella di coloro che ne fanno parte, bensì un semplice ente di gestione, il quale opera in rappresentanza e nell’interesse comune dei partecipanti, limitatamente all’amministrazione e al buon uso della cosa comune, senza interferire nei diritti autonomi di ciascun condomino.

E così la giurisprudenza di legittimità, ha più volte ribadito che “configurandosi il condominio come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, l’esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l’amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti, esclusivi e comuni, inerenti all’edificio condominiale” (Cass. n. 1011/2010, conforme Cass. 19663/2014).

E ciò vale non solo nell’ipotesi in cui il Condominio sia costituito in giudizio, nel qual caso il singolo si affiancherebbe alla difesa dell’ente gestorio, ma anche nel caso in cui non lo sia, poiché in tale ultima evenienza la mancata difesa della collettività condominiale non può avere come effetto quello di travolgere gli interessi del singolo partecipante che questo ritenga lesi (cfr. Cass. Sez. Unite n. 10934/ 2019).

Il potere di agire del singolo condomino viene, infatti, riconosciuto nelle controversie afferenti al regime della proprietà e ai diritti reali relativi a parti comuni del fabbricato che incidono sui diritti vantati dal singolo su di un bene comune (come nel caso in esame), mentre tale potere e la conseguente legittimazione va esclusa solo nelle controversie aventi ad oggetto la gestione del condominio in quanto intesa a soddisfare esigenze solo collettive della comunità condominiale (si pensi, a titolo di esempio, all’attività diretta al recupero delle morosità). In tali ultime attività, infatti, manca la correlazione immediata tra l’interesse plurimo della collettività condominiale e l’interesse esclusivo dei singoli condomini che è solo mediato con la conseguenza che solo in tali fattispecie può parlarsi di legittimazione esclusiva del condominio a mezzo dell’amministratore (v. anche Cass. n. 4211/2018, e Cass. n. 29748/2017).

Ebbene, nella specie, avendo gli attori agito per la tutela di beni comuni, ad essi va riconosciuta piena legittimazione processuale.

Venendo al merito, la domanda è parzialmente fondata nei limiti di cui infra.

Parte attrice ha censurato la realizzazione da parte dei convenuti di una serie di opere ritenute abusive ed illegittime, oggetto di accertamento disposto d’ufficio e dettagliatamente richiamate nella consulenza tecnica depositata. Per chiarezza espositiva verranno esaminate tali censure come illustrate nella CTU.

1. Sull’accorpamento di una parte di un corridoio condominiale a piano interrato livello cantine alla cantina di proprietà esclusiva dei Sig.ri KKK e JJJ.

Va premesso che l’annessione da parte dei convenuti di una proprietà condominiale (tratto antistante le cantine condominiali) è incontestata e ciò è desumibile non solo dalle risultanze della relazione peritale ma per esplicito riconoscimento degli stessi convenuti.

Tali modifiche hanno riguardato la chiusura di varchi con setti murari – tra cui quello di accesso ai locali dell’attrice – e la demolizione di un tramezzo proprio all’interno della proprietà dei convenuti KKK e JJJ (cfr. c.t.u. in atti).

Il consulente, mediante riproduzione fotografica ed elaborati planimetrici ha accertato che le due cantine contrassegnate con i numeri 8 e 9 rispettivamente di proprietà di KKK e JJJ originariamente distinte “sono state unite con la demolizione del muro interno che le divideva e, in luogo delle due porte indipendenti, veniva collocata una sola porta di ingresso con due spallette in muratura ( Foto n. 5 e 6) , in posizione avanzata nel corridoio che distribuisce l’accesso a tutte le cantine, accorpando in questo modo una piccola superficie (mq. 1,65) di proprietà condominiale all’interno delle due cantine riunificate. La superficie indicata con un tratteggio rosso nella planimetria allegata (vedi planimetria allegato 1) che ad oggi è all’interno delle due cantine private, è chiaramente di proprietà condominiale.”

Ciò posto, deve evidenziarsi che, per giurisprudenza consolidata, in un edificio condominiale le porzioni di immobile come quelle per cui è causa, ossia il corridoio di accesso alle cantine, quale elemento essenziale per raggiungere le singole proprietà esclusive, sono per presunzione di legge incluse fra le parti comuni ex art. 1117 n. 1 c.c. e, quindi, in comproprietà fra tutti i condomini, salvo diverso titolo. L’attribuzione ex art. 1117 n. 1 c.c., quindi, può superarsi soltanto dal titolo, in virtù del quale gli aventi diritto (il proprietario originario o i condomini) dispongano la deroga e il diverso regime giuridico (proprietà superficiaria o uso esclusivo).

A ciò si aggiunga che ai sensi dell’articolo 1102 c.c., ciascun condomino può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto: a tal fine, il condomino può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa, ma non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso. L’uso della cosa comune, dunque, è sottoposto dall’art. 1102 c.c. a due limiti fondamentali, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nel divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. E’ evidente che nel caso di specie l’uso della cosa comune si è esteso oltre i limiti segnati dal citato articolo, perché una parte di essa (la parte, appunto, originariamente antistante le due cantine) è stata totalmente sottratta all’uso comune, divenendo sostanzialmente una pertinenza esclusiva delle cantine accorpate dei convenuti e rendendo interdetto in via definitiva l’uso comune di una porzione di area condominiale. Ne assume rilievo la circostanza più volte dedotta dai convenuti che l’area annessa sia di modeste dimensioni e che non sia di alcuna utilità per la comunione condominiale in quanto, trovandosi nell’ultimo tratto del corridoio, non costituirebbe area di passaggio. Per stabilire se l’utilizzo più intenso del singolo sia consentito ai sensi dell’art. 1102 c.c. deve aversi riguardo non all’uso concreto fatto dagli altri condomini in un determinato momento ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno.

Il concetto di pari uso di cui alla norma citata, infatti, non vuol dire pari altrui diritto né uso identico e contemporaneo, risultando sufficiente che gli altri partecipanti alla comunione siano in grado di poter soddisfare anche le potenziali loro esigenze (cfr. Cass. n. 28111/2018). In buona sostanza, nel caso di utilizzo del bene comune da parte del singolo condomino, occorre solo verificare se lo specifico uso possa comportare una definitiva sottrazione del bene alla disponibilità degli altri condòmini ovvero se con tale utilizzo sia rimasta invariata la destinazione principale del bene. E’ evidente che i convenuti, accorpando il tratto di corridoio nella proprietà delle loro cantine, hanno sottratto in modo definitivo la disponibilità dello spazio comune agli altri partecipanti.

Detto questo, ci si discosta dalle conclusioni cui è pervenuto il consulente il quale, andando oltre il mandato ad esso conferito e richiamando pronunce – tra l’altro non pertinenti al caso di specie – è giunto ad affermare che “tale intervento non ha alterato o modificato la cosa comune (il corridoio) che rimane perfettamente utilizzabile da tutte le cantine…” .

Solo un titolo contrario rispetto alla natura comune del bene o una convenzione con volontà espressa da tutti i condomini avrebbe potuto conferire a tale annessione il carattere di liceità.

Risulta pertanto illegittima la realizzazione del manufatto che i convenuti dovranno rimuovere con riduzione in pristino dello stato dei luoghi mediante abbattimento del muro e di ogni altra opera impeditiva come indicato nella CTU.

2, Sulla pavimentazione in parquet realizzata nel pianerottolo condominiale adiacente le proprietà dei convenuti e sulla tinteggiatura difforme delle pareti.

Anche per tale opera, oltre a risultare dalle evidenze documentali, ne è ammessa la realizzazione da parte dei convenuti che la considerano, però, una miglioria in quanto, a loro dire, incrementerebbe il pregio estetico della palazzina.

Tali osservazioni non possono essere condivise. Sul punto è, in parte, di ausilio la CTU che, con argomentazioni logicamente motivate, fondate sui documenti acquisiti al processo e, dunque, pienamente ricevibili, ha innanzitutto accertato che il pianerottolo del quarto piano ove sono ubicati gli immobili di proprietà dei convenuti è stato rivestito in parquet rispetto al marmo grigio di carrara presente in tutti i piani dello stabile (scale) e che da tale piano si accede al lastrico solare con l’innalzamento, dunque, di un ulteriore piano. Ha poi precisato e concluso che “…la personalizzazione dello spazio comune (il pianerottolo) così trasformato compromette, altera e modifica, anche nella ridotta dimensione, la proprietà condominiale e incide sul decoro interno dell’edificio”.

Anche tali opere, dunque, andranno rimosse e ne va ordinata la riduzione in pristino mediante le opere dettagliatamente indicate nella CTU.

Nessuna evidenza, invece, è stata riscontrata dal CTU in ordine alla tinteggiatura delle pareti del pianerottolo che, a detta degli attori, sarebbe difforme rispetto a quella presente sul resto delle pareti delle scale. Il CTU, infatti, ha accertato di non aver ravvisato, allo stato, alcuna difformità o discromia tra un piano e l’altro delle scale concludendo nel senso di non ritenere ravvisabile alcuna violazione al decoro dell’edificio condominiale. E da tali considerazioni non può che desumersi il dato obiettivo dell’infondatezza delle censure mosse dagli attori che vanno, pertanto, rigettate seppur non oggetto di specifica domanda come da essi chiarito.

Quanto al concetto di decoro architettonico e alle condizioni che ne determinano una sua alterazione si tratterà nel punto che segue.

3. Sulle due strutture fisse realizzate sulle terrazze di proprietà esclusiva dei convenuti.

Si osserva che l’edificio condominiale di Via QQQ n. 33 come decritto dal CTU “possiede una forma particolare che non può riferirsi ad una palazzina convenzionale”. Tale linea è data anche dalla particolare conformazione dei terrazzi (tra cui quelli di proprietà dei convenuti) che presentano una forma triangolare protesa verso l’esterno (aggettanti) e che conferiscono all’edificio una particolare linea architettonica. Il consulente nel descrivere le opere realizzate dai convenuti si è soffermato anche sulle loro caratteristiche al fine di valutare l’impatto visivo che tali opere potrebbero avere sull’edifico condominiale. E così è stato accertato che sui terrazzi di proprietà dei convenuti sono state costruite due strutture (definite A e B) munite di copertura realizzata con elementi fissi, parzialmente chiuse ed attrezzate nel loro interno, di dimensioni simili (la struttura A pari a mq 27,35 e la struttura B mq 23,20) e che occupano i due terrazzi: la prima (A) per circa la metà delle superficie, la seconda (B) per la quasi totalità del terrazzo. Il CTU ha, inoltre precisato, per quanto di interesse, che “…la struttura denominata A (Allegato 3 e 3.1), in riferimento alla sua funzione ed al suo sistema costruttivo non è certo definibile precaria, in quanto assolve ad una necessità permanente dell’abitazione (area pranzo attrezzata) completa di impianti fissi. In tale caso si ravvede la denominazione, se non di veranda, sicuramente di tettoia di grande dimensione, e pertanto soggetta, per la sua realizzazione, ai permessi edilizi del caso. Parimenti la struttura denominata B (Allegato 3 e 3.2), per la sua funzione ed il suo sistema costruttivo non ha caratteristiche di precarietà, in quanto la struttura assolve ad una necessità permanente dell’abitazione (area pranzo attrezzata) completa di impianti fissi. In tale caso si ravvede la denominazione certa di veranda e pertanto soggetta, per la sua realizzazione, ai permessi edilizi del caso.” Sul punto occorre precisare che il richiamo alle norme in tema di illeciti edilizi è inconferente al caso di specie atteso che, nelle controversie fra privati, queste possono essere invocate solo se una disposizione di legge ‘in ambito privatistico’ espressamente le richiami (v. ad esempio gli artt. 872 e 873 cc) mentre laddove, come nel caso in esame, tali richiami non vi sono, nessun rilievo possono assumere sicché è irrilevante accertare se le opere contestate siano o meno state assentite dalla p.a.. In ordine, invece, all’impatto visivo che le opere hanno sulla particolare conformazione del palazzo il CTU si è espresso nel senso di ritenere che “..le due strutture poste sul terrazzo si riescono appena ad intravedere dall’esterno a causa della loro arretratezza e alla presenza delle molte piante nel giardino, ed in realtà non vanno ad impattare le linee “pure” delle facciate a spigolo protese, a similitudine di altri tipi di chiusura di terrazzini/logge laterali effettuati dai condomini negli anni sul fianco dell’edificio, pur se alcuni sono stati chiusi ed altri no…… Per tale motivo, ….. non si ritiene che le due strutture tolgano eleganza ed originalità alla volumetria particolare dell’edificio né che sviluppino un pregiudizio economico che comporti un deprezzamento sia dell’intero fabbricato che delle porzioni in esso comprese”.

Il CTU conclude ritenendo che le due strutture “ pur non in netto contrasto con il decoro architettonico dell’edifico, sicuramente ne alterano il prospetto e comportano un peso supplementare…..”

Ora in ordine al concetto di decoro architettonico, occorre osservare che esso viene inteso dalla giurisprudenza ormai consolidata come l’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture architettoniche, che connotano il fabbricato e gli imprimono una determinata armonica fisionomia. L’alterazione di tale decoro può dipendere dalla realizzazione di opere, che incidono sull’originario aspetto soltanto di singoli elementi o punti dell’edificio, tutte le volte che tali modifiche siano suscettibili di riflettersi sull’insieme dell’aspetto del fabbricato. In particolare, la S.C. (sent. n. 16098 del 27/10/2003) ha chiarito che “la tutela del decoro architettonico – di cui all’art. 1120, secondo comma, cod. civ. – è stata disciplinata in considerazione della apprezzabile alterazione delle linee e delle strutture fondamentali dell’edificio, od anche di sue singole parti o elementi dotati di sostanziale autonomia, e della consequenziale diminuzione del valore dell’intero edificio e, quindi, anche di ciascuna delle unità immobiliari che lo compongono”.

Ne consegue che il giudice, per un verso, deve accertare che l’alterazione sia appariscente e di non trascurabile entità e tale da provocare un pregiudizio estetico dell’insieme suscettibile di un apprezzabile valutazione economica. Per altro verso, lo stesso giudice deve adottare, caso per caso, criteri di maggiore o minore rigore in considerazione delle caratteristiche del singolo edificio e/o della parte di esso interessata, accertando anche se esso avesse originariamente ed in qual misura una unitarietà di linee e di stile, suscettibile di significativa alterazione in rapporto alla modifica del condomino (cfr. Cass. 5417/2002 e Cass. n. 1286/2010).

Nello stesso senso si è espressa di recente la giurisprudenza di legittimità ribadendo il principio in base al quale “costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio” (cfr. Cass. Sez. 2, ordinanza n. 18928 del 11/09/2020).

La lesione del decoro dunque, per essere apprezzabile, deve concretizzarsi in modifiche che siano visibili dall’esterno, mentre non ricorre nel caso in cui siano invisibili o parzialmente visibili solo osservando da particolari angolazioni o da visuale sopraelevata, posto che il decoro si riferisce alle linee essenziali del fabbricato che gli conferiscono la sua particolare struttura e fisionomia, presupponendo quindi che tali linee essenziali siano esposte alla vista. Ebbene, prendendo in esame gli allegati fotografici della relazione peritale si può tranquillamente osservare che le due verande, oltre a non impattare sull’aspetto armonico dell’edificio condominiale che, in ogni caso, prescinde dal particolare pregio storico – artistico, non sono visibili dall’esterno, non ne alterano il prospetto e, dunque, non concretizzano un’alterazione del decoro architettonico a differenza di quanto conclusivamente sostenuto dal consulente d’ufficio. Tra l’altro, i materiali e le tinte usate per la realizzazione delle due strutture si inseriscono, senza alterarlo, nell’aspetto armonico del palazzo, producendo un risultato esteticamente non sgradevole.

Per quanto riguarda, invece le conclusioni a cui è giunto il consulente in merito alla stabilità dell’edifico, questo giudice non può condividere la generica affermazione contenuta nella perizia in assenza di dati oggettivi riscontrabili. Non può assurgersi a dato certo della compromissione della stabilità la circostanza rilevata dal CTU per il quale le due strutture “..comportano un perso supplementare sulla superficie dei terrazzi che, pur se non determinante, non poteva certo essere stato calcolato al tempo della progettazione dell’edificio”-

La domanda, dunque, sul punto avanzata dagli attori va rigettata non ritenendo questo giudice che la realizzazione delle opere compiute dai convenuti sui terrazzi di loro proprietà siano lesive del decoro architettonico né che alterino la stabilità dell’edificio condominiale.

4. Sulla pavimentazione di una porzione del lastrico solare di proprietà comune

Sostengono gli attori che i convenuti hanno realizzato una nuova pavimentazione del lastrico solare di pertinenza condominiale, che funge da copertura anche del loro appartamento. Tale pavimentazione avrebbe determinato, oltre ad un’alterazione dello stato dei luoghi, una zona di ristagno dell’acqua piovana per il formarsi di una un gradino che avrebbe obbligato in più occasioni il Condominio ad eseguire interventi riparatori a proprie spese. Gli attori hanno anche precisato che i convenuti, a seguito di una perizia fatta realizzare dal condominio, si erano impegnati con dichiarazioni espresse in occasione di un’assemblea condominiale a completare la pavimentazione realizzata estesa all’intero lastrico condominiale. Impegno, poi, non mantenuto.

Occorre osservare che tale ultima censura non rileva nel presente giudizio riguardando un impegno non eseguito dai convenuti come tale estraneo al thema decidendum.

In ogni caso, il CTU ha accertato che “la pavimentazione è posata sul preesistente lastrico solare, leggermente sopraelevata rispetto al lastrico perimetrale. Sono presenti caditoie (Foto n. 36) e pendenze che allontanano l’acqua meteorica, e dopo tutto questo è provato dal fatto che, dopo molto tempo, i soffitti dell’appartamento sottostante degli stessi Sig.ri Pedrazzoli e JJJ, che si estende sotto a tutta la superficie del terrazzo, non mostrano segni di umidità o di perdite. Parimenti la cosa comune (l’area adibita a stenditoio coperto) non appare alterata o modificata in quanto la pavimentazione sicuramente conferisce una migliore pulizia e funzionalità. In merito al decoro sicuramente la pavimentazione è migliorativa del pavimento preesistente (che non è stato citato in nessun atto e che quindi si presume non sia stato di particolare pregio, sempre se esistente). Infine non si ravvedono problemi in merito alla stabilità dello stabile per tale pavimentazione ”. In aderenza a tali rilievi ed in assenza di dimostrazioni contrarie in ordine ai fenomeni infiltrativi denunciati dagli attori non si ritiene fondata la domanda sul punto. In ogni caso, il nuovo pavimento della terrazza, a prescindere dal rilievo che esso possa aver determinato un miglioramento della preesistente situazione del lastrico, non incide sul decoro attesa la sua posizione non visibile dall’esterno.

5. Sul posizionamento di macchine di condizionamento aria sul lastrico di proprietà condominiale.

Censurano gli attori che i conventi hanno fatto installare sul lastrico solare di proprietà comune, senza alcuna autorizzazione, i motori dei condizionatori della loro unità immobiliare, praticando rilevanti fori nelle pareti comuni del lastrico e con scarico a terra della condensa, andando così ad alterare il decoro architettonico dell’edificio, ad appesantire il lastrico solare e generando pericolo di fenomeni infiltrativi.

Quanto ai condizionatori, si rileva che i convenuti hanno agito nei limiti di quanto consentito dall’art. 1102 c.c.. Il CTU ha, difatti, accertato che le tre macchine sono collocate

in un angolo del terrazzo di copertura dell’edificio, addossate al muro del torrino e lo spazio su cui sono appoggiate non è accessibile a persone in quanto, per motivi di sicurezza, è delimitato da un’alta cancellata. In tal modo, non è ridotto lo spazio adibito a stenditoio coperto utilizzabile dai condomini. Inoltre, ha precisato che “l’acqua di condensa di tali gruppi di ventilazione poi segue la normale pendenza delle acque meteoriche, senza arrecare problemi infiltrativi o altro” e che, in ogni caso, tale spazio comune è stato utilizzato dai condomini anche per il collocamento di antenne paraboliche (Foto n. 46 e 47 della perizia). Ha evidenziato, infine, che per la collocazione delle macchine, del tutto non visibile dall’esterno, non altera il decoro architettonico. La domanda, sul punto, va dunque, rigettata.

6. Sull’utilizzo di un’area comune posta nel locale interrato adibito a garage come ripostiglio e/o archivio. La domanda va accolta in quanto contraria al disposto di cui all’art. 1102 c.c.

Il CTU, sulla base della documentazione acquisita, ha innanzitutto accertato che il locale adibito a garage è un’autorimessa comune dove i posti auto non sono stati assegnati ai singoli condomini, quantomeno con un atto formale. Ha constatato che in prossimità del posto auto occupato dagli attori esiste “una rientranza di circa mt. 3,00 x 4,00 (Foto n. 37 e 38) che non è possibile adibire a posto auto in quanto il parcheggio di una autovettura ne pregiudica l’accesso a mezzi di una certa dimensione. In tale rientranza i Sig.ri *** e JJJ hanno montato alcune scaffalature metalliche (Foto n. 39 e 40), e lo spazio è stato adibito a deposito di materiale vario ( scatole cartoni, faldoni di ufficio, biciclette, cassette, materiale cartaceo in genere, Foto n.41 e 42 )”. Detta circostanza non è stata smentita dai convenuti che si sono limitati a contestare la normativa antincendi citata dal CTU al fine di confutare le affermazioni di quest’ultimo in ordine allo stato di pericolo determinato dal materiale rinvenuto in detta area comune da essi occupata.

Anche nella specie va fatto richiamo dell’art. 1117 c.c. il quale stabilisce una presunzione di condominialità delle parti dell’edificio destinate strutturalmente o funzionalmente al servizio delle singole unità immobiliari. Tale presunzione, come già detto, può essere vinta, per gli elementi non essenziali, laddove vi sia un titolo contrario che provi la proprietà esclusiva di tali elementi. Nella specie tale prova non solo non è stata offerta dai convenuti ma non è contestata neanche la natura comune di tale spazio.

Ebbene, ferma l’esistenza, quale bene comune, dello spazio in questione l’uso esclusivo di tale spazio da parte dei soli convenuti mediante occupazione permanente di tale area impedisce la possibilità del pari uso degli altri condomini nel senso delineato dall’art. 1102 c.c. avendo i convenuti alterato la destinazione del bene comune (autorimessa) ed impedendo agli altri partecipanti di farne un pari uso secondo il loro diritto.

Per tale ragione va ordinata, a carico dei convenuti, la rimozione da tale spazio di tutti i materiali ivi presenti come indicati dal CTU.

7. Sulla domanda risarcitoria avanzata dagli attori

Quanto alla domanda risarcitoria essa va accolta limitatamente all’annessione della porzione de corridoio comune nel locale cantine, mentre va rigettata in ordine alle ulteriori doglianze sollevate dall’attrice. Risulta provato, infatti, che l’opera realizzata dai convenuti KKK e JJJ (occupazione del tratto di corridoio mediante innalzamento di setti murari ed accorpamento nella proprietà esclusiva) ha comportato la definitiva sottrazione del bene alla disponibilità degli altri condòmini. Il fatto illecito posto in essere dai convenuti mediante la realizzazione di tale opera, ha necessariamente inibito la naturale destinazione d’uso del bene ed ostacolato la libera fruibilità dell’area agli altri comproprietari e, quindi, anche agli attori che non hanno avuto alcuna possibilità di servirsi, anche solo potenzialmente, dello spazio di proprietà condominiale. Tale danno ben può essere liquidato in via equitativa nella misura pari a complessivi euro 2.000,00 considerando anche l’esiguità dello spazio compromesso.

A tal proposito il Supremo Collegio ricorda come “ove sia provata l’utilizzazione da parte di uno dei condomini della cosa comune in modo da impedirne l’uso, anche potenziale, agli altri partecipanti, possa dirsi risarcibile, in quanto in re ipsa, il danno patrimoniale per il lucro interrotto, come quello impedito nel suo potenziale esplicarsi (cfr. Cass. Sez. 2, 07/08/2012, n. 14213; Cass. Sez. 2, 12/05/2010, n. 11486, Cass., sez. 2, del 10/4/2018 n. 17460 – recentemente Cass. ordinanza n. 468/2019) Al contrario, “non è invece certamente configurabile come in re ipsa un danno non patrimoniale, inteso come disagio psico-fisico, conseguente alla mancata utilizzazione di un’area comune condominiale, potendosi ammettere il risarcimento del danno non patrimoniale solo in conseguenza della lesione di interessi della persona di rango costituzionale, oppure nei casi espressamente previsti dalla legge, ai sensi dell’art. 2059 c.c., e sempre che si tratti di una lesione grave e di un pregiudizio non futile”(arg. da Cass. Sez. U, 11/11/2008, n. 26972).

Sulla base di tali ultime considerazioni della Suprema Corte va, invece, escluso il danno per l’utilizzo improprio operato dai convenuti dello spazio comune nel locale autorimessa antistante il proprio posto auto in quanto non risulta provato che l’occupazione di tale area comune (con materiale di vario genere di proprietà dei convenuti) sia stato a tal punto esteso da impedirne ai condomini attori il pari uso. Ne consegue il rigetto della domanda. Va infine rigettata la domanda di responsabilità aggravata ex art. 96 c.pc avanzata dai convenuti, non emergendo dagli atti il carattere temerario della lite, che va ravvisato nella coscienza della infondatezza della domanda e delle tesi sostenute, ovvero nel difetto della normale diligenza per l’acquisizione di detta consapevolezza, non già nella mera opinabilità del diritto fatto valere (Cass. 6 giugno 2003, n. 9060).

Peraltro, la richiesta richiede pur sempre la prova incombente alla parte istante sia dell'”an”, sia del “quantum debeatur” o che, pur essendo la liquidazione effettuabile d’ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa (Cass. 08/06/2007, n.13395). Nella specie, di tali elementi non vi è prova.

Con riguardo alle spese di lite, si reputa comunque prevalente la soccombenza processuale della parte convenuta, che viene pertanto condannata alla refusione delle spese legali sostenute dagli attori, nella misura liquidata in dispositivo secondo quanto dispone il D.M. n. 55/2014.

Parimenti a carico della parte convenuta vanno poste, definitivamente e per intero, le spese di CTU, già liquidate con precedente decreto.

P.Q.M

Il Tribunale, definitamente pronunciando, disattesa o assorbita ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede:

– condanna KKK e JJJ alla riduzione in pristino dell’area del corridoio comune antistante le due cantine di loro proprietà mediante le opere meglio indicate nella perizia (pag. 25) ;

– condanna KKK e JJJ alla riduzione in pristino del pianerottolo condominiale antistate i il loro appartamento (int. 9) mediante rimozione del parquet e quant’altro necessario per la ricostruzione dello status ex ante come indicato nella CTU(pagg. 25 e 26);

– condanna KKK e JJJ a rimuovere dalla rientranza situata nel locale autorimessa comune tutto il materiale ivi depositato di cui all’elenco fornito nella CTU e rilevato con le foto in atti (foto 39,40, 41 e 42 – pag. 11);

– condanna KKK e JJJ al risarcimento del danno in favore degli attori per violazione dell’art. 1102 c.c. come meglio indicato in motivazione che si liquida in via equitativa nella misura di euro 2.000,00;

– rigetta le restanti domande avanzate dagli attori;

– rigetta la domanda ex art.. 96 c.cp.c avanzata dai convenuti;

– condanna tutti i convenuti, in solido tra loro, alla refusione, in favore della parte attrice, delle spese di lite che liquida in complessivi euro 5.235,00 di cui euro 400,00 per spese ed euro 4.835,00 per onorari di giudizio, oltre accessori di legge e rimborso forfettario al 15%.

Pone definitivamente e per intero a carico di parte convenuta le spese di C.T.U..

Così deciso in Roma il 1° marzo 2021

Il Giudice

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