REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ROMA Terza
Sezione Civile composta dai magistrati COGNOME NOME
Presidente
COGNOME NOME
Consigliere rel. COGNOME NOME COGNOME Consigliere riunita in camera di consiglio, pronuncia la seguente
S E N T E N Z A N._617_2025_- N._R.G._00006889_2021 DEL_30_01_2025 PUBBLICATA_IL_30_01_2025
nella causa civile in grado di appello iscritta al n.6889 del registro generale degli affari contenziosi dell’anno 2021, vertente tra Avv. COGNOME Avv. COGNOME NOME SVOLGIMENTO DEL PROCESSO L’appellante in epigrafe impugna la ordinanza del 25.10.2021 pronunciata dal Tribunale di Roma che, a definizione del procedimento n. 62373/2019 R.G., ha così statuito:
“1.- Con ricorso proposto ex art. 702-bis c.p.c. in data 3/10/2019 , in proprio e in qualità di erede di , e agivano in giudizio avverso la società , in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendone la condanna alla consegna di un assegno circolare per ciascun attore per l’importo complessivo di € 9.818,42, oltre agli interessi ex art. 1284, co. IV c.c. dal 25/5/2010 o, in subordine, dall’11/4/2017 al saldo, oltre al risarcimento del danno.
I ricorrenti deducevano in fatto:
– di essere creditori della in forza dell’ordinanza di assegnazione emessa nella procedura esecutiva n. R.G.E. 35860/08 intrapresa avanti al Tribunale di Roma, in cui era pignorata la – che per quietanzare il titolo esecutivo di cui sopra, l’istituto bancario aveva rimesso a parte attrice l’assegno circolare n. NUMERO_DOCUMENTO del 25/05/2010 per € 9.818,42, intestato ai ricorrenti e ad – che l’assegno era stato smarrito dai ricorrenti per un lungo periodo e, successivamente, rinvenuto;
– che, ai sensi della legge n. 266/05, gli istanti erano esclusi dal diritto al rimborso del titolo di credito in oggetto, pertanto, il diritto al rimborso della provvista del titolo sopra descritto spettava unicamente all’emittente;
– di aver richiesto, previa restituzione dell’assegno, l’emissione di un nuovo titolo di credito da parte della , senza esito;
– di avere intenzione di riconsegnare l’assegno alla resistente affinchè la relativa provvista potesse rientrare nella disponibilità della banca e che, qualora la avesse ottenuto il rimborso della provvista dell’assegno da parte della , i ricorrenti avrebbero avuto diritto di ottenere l’equivalente somma portata dall’assegno, oltre agli interessi legali dalla scadenza del titolo, ovvero dalla richiesta di restituzione;
– di avere interesse, altresì, a una pronuncia di rigetto della domanda di accertamento negativo del credito svolta – in sede di negoziazione assistita – dall’istituto bancario nei confronti della creditrice, oltre al risarcimento del danno. , costituitasi con memoria del 10/11/2020, eccepiva preliminarmente il difetto di procura dei ricorrenti, posto che la procura versata in atti dalla controparte si riferiva ai giudizi in corso e non a quelli da proporre, eccetto i procedimenti contro gli enti previdenziali, nonché l’improcedibilità dell’avversa domanda, in quanto preceduta dall’invito alla negoziazione assistita non sottoscritto dai ricorrenti. La banca eccepiva, altresì, il proprio difetto di legittimazione passiva, non avendo assunto la qualità di debitrice nella procedura esecutiva citata dalla controparte, bensì di terza pignorata.
Nel merito, la resistente contestava le avverse pretese, deducendo che il ricorrente non aveva portato all’incasso il titolo e che, decorso il termine di prescrizione dell’assegno, unico obbligo della banca è quello di riversare la provvista al Fondo Unico di Giustizia preso il Ministero dell’Economia e delle Finanze gestito dalla , ai sensi dell’art. 1, comma 345-ter L. n. 266/2005, provvista peraltro creata non con somme dell’istituto di , bensì con addebito delle stesse al correntista/debitore originario resisteva anche alla avversa domanda risarcitoria, evidenziando la mancanza dei relativi presupposti, avuto anche riguardo alla modesta entità della somma portata dall’assegno circolare per cui è causa. le note scritte di trattazione l’avv. COGNOME eccepiva la nullità della procura di controparte e chiedeva lo stralcio degli atti a firma dell’avv. COGNOME e la distrazione delle spese.
Disposta l’integrazione della procura ad litem dei ricorrenti, all’udienza del 27/09/2021 il giudice si riservava di decidere.
2.-
Quanto all’ammissibilità del presente ricorso, premesso che la verifica della compatibilità tra istruzione sommaria propria del procedimento di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c. e fattispecie concretamente portata in giudizio va effettuata con riferimento non alle sole deduzioni probatorie formulate dalle parti, bensì all’intero complesso delle difese ed argomentazioni che vengono svolte in quel dato giudizio, tenendo conto, tra l’altro, della complessità della controversia, del numero e della natura delle questioni in discussione (cfr. Cass. civ. n. 6563 del 14/03/2017), il procedimento sommario ex art. 702-bis c.p.c. è applicabile al caso di specie, trattandosi di controversia documentale, di non particolare complessità.
Relativamente alle eccezioni pregiudiziali sollevate dalla resistente, risulta integrata la procura ad litem da parte dei ricorrenti, con conseguente superamento della eccezione della resistente.
Nel merito, il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Risulta per tabulas che , in proprio e anche in qualità di eredi di , erano creditori della in virtù dell’ordinanza di assegnazione emessa all’esito della procedura esecutiva n. R.G.E. 35860/2008 intrapresa dagli odierni ricorrenti nei confronti dell avanti al Tribunale di Roma, in cui era terza pignorata la , della somma di € 9.818,42, oltre agli accessori di legge e che, al fine di adempiere l’obbligazione, la emetteva e consegnava l’assegno circolare n. NUMERO_DOCUMENTO10 del 25/05/2010 per € 9.818,42, intestato ai ricorrenti. Ciò posto, nella presente sede non si controverte sull’esistenza credito vantato dai ricorrenti, già accertato con la citata ordinanza di assegnazione, avverso la quale non risulta essere stata tempestivamente proposta opposizione agli atti esecutivi, ma sul diritto di , beneficiari del titolo di credito sopra descritto, di pretendere dalla controparte l’emissione di altro assegno o il pagamento del tantundem a seguito dell’inutile decorso del triennio dall’emissione dell’assegno circolare non riscosso dagli aventi diritto. , l’art. l, commi 343 – 345, L. n. 266/2005 ha costituito un Fondo per indennizzare le vittime di frodi finanziarie, alimentato tra l’altro dall’importo di conti correnti e rapporti bancari “dormienti”.
Assai significativamente l’art. l comma 345-ter precisa che gli importi degli assegni circolari non riscossi entro il termine di prescrizione del relativo diritto di cui all’art. 84, secondo comma, R.D. n. 1736 del 1933, sono versati al entro il 31 maggio dell’anno successivo a quello in cui scade il termine di prescrizione.
Aggiunge che resta impregiudicato il diritto del richiedente l’emissione dell’assegno circolare non riscosso alla restituzione del relativo importo.
Il citato art. 84, comma 2 della Legge sugli assegni fissa in tre anni dall’emissione il termine di prescrizione, entro cui il beneficiario può esercitare l’azione contro l’emittente, al fine di ottenere il pagamento della somma di denaro indicata sul titolo.
Il successivo art. 86, ultimo comma, stabilisce che nel caso di smarrimento, distruzione o sottrazione di un assegno circolare emesso con la clausola «non trasferibile» non si fa luogo alla procedura di ammortamento, ma il prenditore ha diritto di ottenere, dopo venti giorni dalla denunzia, il pagamento dell’assegno presso la filiale alla quale fu fatta la denunzia.
Osserva al riguardo la Suprema Corte che, nel caso in cui un assegno circolare non sia stato effettivamente riscosso dal beneficiario, il diritto al rimborso della provvista da parte del richiedente l’emissione del titolo si prescrive nell’ordinario termine decennale, che decorre dal momento in cui esso può essere fatto valere, cioè dalla scadenza del termine di tre anni previsto dall’art. 84 del r.d. n. 1736 del 1934, entro cui si prescrive l’azione del beneficiario dell’assegno contro l’istituto bancario emittente, come è confermato dall’art. 1, comma 345 ter della l. n. 266 del 2005, che prevede il versamento degli assegni circolari non riscossi al per indennizzare i risparmiatori rimasti vittime di frodi finanziarie, soltanto dopo che sia scaduto il detto termine triennale (cfr. Cass. civ. n. 5889 del 12/03/2018). Trascorso il termine triennale, il beneficiario non può più ottenere il pagamento dell’assegno, quindi il richiedente l’assegno stesso potrà ripetere la provvista, senza necessità di revocare il mandato che è oggettivamente venuto meno.
Dallo spirare del triennio decorre quindi la prescrizione del diritto.
La citata legge 266/2005 corrobora la ricostruzione effettuata, là dove da un lato afferma che gli importi degli assegni circolari non riscossi entro il ‘anno successivo a quello in cui scade tale termine, dall’altro che resta impregiudicato nei confronti del Fondo il diritto del richiedente l’emissione dell’assegno circolare non riscosso alla restituzione del relativo importo.
Peraltro, risulta prodotta in atti anche la circolare esplicativa del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 3.11.2010, con la quale si evidenzia che il Fondo istituito dalla Legge n. 266/2005 viene alimentato dagli importi dei conti correnti e dei depositi bancari definiti come “dormienti” all’interno del sistema bancario, assicurativo e finanziario, nonché dagli importi degli assegni circolari non incassati, delle polizze vita prescritte e dei buoni fruttiferi postali non riscossi.
Tali importi vengono devoluti al fondo dagli “intermediari” di cui all’art. 1 del DPR 116/2007 e, quindi, tra l’altro dalle banche italiane e succursali in Italia di banche comunitarie ed extracomunitarie, come definite dal decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385.
Nella suddetta circolare, si chiarisce che hanno diritto al rimborso delle somme versate al purchè non sia decorso il termine di prescrizione decennale, i richiedenti l’emissione degli assegni circolari di cui all’art. 1, comma 345 ter della l. n. 266 del 2005, mentre restano esclusi dal diritto al rimborso i beneficiari degli assegni circolari, una volta decorso il termine triennale di prescrizione di cui all’art. 84, comma 2 della Legge sugli assegni.
Nella circolare si precisa, altresì, che la domanda di rimborso va indirizzata alla (che appunto gestisce il Fondo per indennizzare le vittime di frodi finanziarie), producendo l’originale dell’assegno circolare, che –successivamente al rimborso- verrà restituito all’istante previo annullamento.
In caso di smarrimento, sottrazione o distruzione del titolo originale, viene richiesto l’originale del decreto di ammortamento.
Ciò posto, nel caso in esame è pacifico che il credito vantato dalla parte ricorrente trae origine da una ordinanza di assegnazione emessa dal Tribunale di Roma.
La parte ricorrente riconosce che –essendo decorsi tre anni dalla emissione dell’assegno relativo – si è ormai prescritta l’azione cartolare che il prenditore può far valere nei confronti dell’emittente per ottenere il pagamento del titolo e non contesta che il controvalore degli assegni circolari in questione -prescrittosi ex art. 84 della Legge sugli assegni– è stato rimesso al Fondo suindicato (gestito dalla.), ai sensi dell’art. 1 comma 345-ter della Legge n. 266/2005.
Riconosce, inoltre che il diritto al rimborso spetta unicamente all’emittente, nel caso di specie identificato nella , cui la parte ricorrente “manifesta la propria disponibilità alla restituzione del titolo”.
Così configurata l’azione, si deve innanzitutto evidenziare che –nel caso in esame- la.
è al tempo stesso sia il soggetto terzo pignorato (nella procedura esecutiva conclusa con la menzionata ordinanza di assegnazione), sia l’Istituto di credito che ha emesso i due assegni circolari in questione.
Quindi, la banca convenuta ricopre al tempo stesso sia la veste di soggetto richiedente l’emissione dell’assegno (in quanto obbligata al pagamento della somma in virtù della ordinanza di assegnazione), sia di soggetto Intermediario ai sensi dell’art. 1 del DPR 116/2007 (in quanto Istituto bancario che ha emesso l’assegno circolare non riscosso e tenuta a versarlo al Fondo gestito dalla.).
terzo pignorato la ha già compiutamente dato esecuzione alla ordinanza di assegnazione, che già costituisce titolo esecutivo di cui parte ricorrente ha disponibilità.
Ciò posto, non sussiste il diritto dei ricorrenti di ottenere il pagamento, da parte della resistente, della somma di € 9.818,42 o l’emissione di un assegno circolare di pari importo in sostituzione del precedente, avendo la emesso l’assegno circolare sopra menzionato quale terza pignorata, essendo debitore esecutato l’ banca, inoltre, in ottemperanza al citato art. 345-ter L. n. 266/2005, ha legittimamente versato la provvista dell’assegno circolare a favore del Fondo Unico di Giustizia presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze gestito dalla , pertanto non ha più la disponibilità della relativa somma e non è tenuta a corrispondere la somma pari alla provvista all’emittente. Quale Istituto emittente l’assegno circolare, l’obbligazione dell’emittente non può considerarsi estinta sino a quando il beneficiario del titolo non acquisti concretamente la disponibilità della somma di denaro ivi indicata, (solo in tal caso, infatti, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità e di merito si produce l’effetto liberatorio per il debitore):
circostanza che non risulta essersi verificata nel caso di specie.
Parte ricorrente, infatti, sostiene di aver diritto alla restituzione, da parte della convenuta, della complessiva somma di € 9.818.42 ovvero alla emissione di un assegno circolare di pari importo in sostituzione dei precedenti, sostenendo che l’importo suddetto sarebbe stato versato al Fondo gestito dalla.
e che la potrebbe agevolmente recuperarlo, richiedendo alla il tantundem dell’assegno prescritto.
Il presupposto della domanda restitutoria –per come prospettata dalla parte attrice- sarebbe quindi rappresentato dal diritto della società emittente l’assegno al rimborso della provvista da parte del di cui all’art. 345-ter della legge n. 266/2005.
Tuttavia, alla luce della normativa suindicata, a prescindere dalla valutazione della legittimazione in capo alla o al debitore pignorato il presupposto del diritto al rimborso può ritenersi integrato nel momento in cui il beneficiario del titolo, entro il termine di prescrizione, provveda a consegnare all’emittente l’originale dello stesso (l’assegno circolare nel caso di specie), essendo il documento originale necessario al fine di presentare la domanda di rimborso al La parte attrice, però, pur avendo dedotto di aver smarrito per lungo tempo il titolo in questione e di averlo poi casualmente ritrovato e pur essendosi dichiarata genericamente disponibile alla restituzione, di fatto non ha riconsegnato l’originale dell’assegno prescritto alla né si è offerta formalmente di farlo, né infine ha depositato l’originale in giudizio. La mancata restituzione dell’originale dell’assegno circolare in questione (prodotti nella presente sede solo in copia) impedisce alla di avviare ’ infondata, inoltre, la pretesa risarcitoria dei ricorrenti, atteso che il mancato conseguimento della somma portata dall’assegno circolare de quo è dipeso dalla mancata tempestiva riscossione del titolo nel triennio successivo alla sua emissione, condotta non imputabile alla banca resistente, essendo peraltro stata giustificata dai con la generica deduzione di aver smarrito per lungo tempo l’assegno circolare e di averlo poi rinvenuto. Ai fini della risarcibilità ex art. 1223 c.c., in relazione all’art. 1218 c.c. o agli artt. 2043 e 2056 c.c., creditore o il preteso danneggiato deve infatti allegare non solo l’altrui inadempimento ovvero allegare e provare l’altrui fatto illecito, ma in entrambi i casi deve pur sempre allegare e provare l’esistenza di una lesione, cioè della riduzione del bene della vita (patrimonio, salute, immagine, ecc.) di cui chiede il ristoro, e la riconducibilità della lesione al fatto del debitore o del danneggiante: in ciò appunto consiste il danno risarcibile, che è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente o illecita;
in difetto di tale allegazione e prova la domanda risarcitoria mancherebbe di oggetto (cfr. Cass. 5960/2005).
In adesione al principio ermeneutico basato sul concetto di danno-conseguenza in contrapposizione a quello di danno-evento ed escludendo l’ipotizzabilità di un risarcimento automatico e di un danno in re ipsa, così da coincidere con l’evento, appare quindi evidente che la domanda risarcitoria deve essere provata, sia pure ricorrendo a presunzioni, sulla base di conferente allegazione:
non si può invero provare ciò che non è stato oggetto di rituale ed adeguata allegazione (cfr. Cass. SU 26972/2008).
Nella specie difettano la prova della condotta inadempiente o illegittima della convenuta e del danno patrimoniale sofferto, oltre che del nesso causale.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo secondo i parametri di cui al D.M. 55/2004, in base alle attività svolte (escluse le fasi istruttoria e decisoria).
Visto l’art. 702-bis c.p.c.;
il Tribunale ordinario di Roma, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando nel procedimento N.R.G. 62373/2019 tra e la società , in persona del legale rappresentante pro tempore, contrariis reiectis, così provvede:
1) RIGETTA il ricorso;
2) CONDANNA i ricorrenti a rifondere alla ricorrente le spese processuali, che liquida in € 1.600,00 per compenso professionale, oltre al 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge.
” L’appellata ha chiesto il rigetto dell’impugnazione.
La causa, previa precisazione delle conclusioni, è stata trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
è dato leggere nella sentenza su riportata, il Tribunale ha respinto la domanda in quanto gli attori non hanno provveduto a consegnare ad l’originale dell’assegno circolare (prescrittosi) al fine di ottenere il tantundem eiusdem generis richiesto con l’introduzione del presente giudizio.
Rileva la Corte che in fattispecie del tutto analoga la Suprema Corte di Cassazione ha deciso come segue:
“La pronuncia condannatoria sollecitata da parte ricorrente (in principalità avente ad oggetto un facere infungibile) non può ricevere sostegno nella pregressa emissione ad opera della banca di un assegno circolare, considerata nella sua dimensione esclusivamente cartolare, cioè a dire a prescindere dalla ragione causale di rilascio del titolo.
È dirimente, al riguardo, osservare che il decorso del termine triennale di prescrizione sancito dall’art. 84, secondo comma, del r.d. n. 1736 del 1933 (circostanza allegata dagli stessi attori quale fatto costitutivo del diritto azionato), comporta il venir meno di ogni possibile azione del beneficiario dell’assegno circolare nei riguardi dell’emittente:
il rapporto tra tali soggetti originato dal titolo spira definitamente ed estinta risulta, per l’effetto, qualsivoglia obbligazione cartolare della banca emittente verso il beneficiario.
Da ciò consegue che, privato di ogni legittimazione cartolare il beneficiario dell’assegno, la sorte dell’importo costituente la provvista, oramai non più destinata al legittimo portatore del titolo, è evento che non concerne la posizione del beneficiario ed all’accertamento del quale egli non è portatore di un interesse giuridicamente qualificato.
Detto in altre parole, se la banca abbia devoluto ad altri fini la provvista con cui è stato creato l’assegno, la abbia restituita al soggetto – eventualmente diverso – ordinante l’emissione del titolo, oppure (come accaduto nella vicenda de qua) abbia fatto confluire il relativo importo nel fondo istituito dalla legge n. 266 del 2005 è circostanza che unicamente interessa il (ed incide sul) rapporto tra l’istituto emittente e il richiedente l’assegno, non già il beneficiario che, a causa della inerzia protratta nel tempo, ha perso i diritti nascenti dal titolo. Traspare allora in tutta evidenza come rispetto alla domanda articolata dagli attori sia radicalmente inconferente individuare chi tra rivesta la qualità di «richiedente l’emissione dell’assegno circolare non riscosso», il quale, in quanto tale, avrebbe diritto, a mente dell’art. 1, comma 345-ter, della legge n. 266 del 2005, al :
questione invece diffusamente analizzata dalla sentenza impugnata, oggetto di accesa disputa nelle difese dei contraddittori, ma che rimane impregiudicata nella presente occasione.
Eppure, attribuire siffatto diritto all’istituto bancario – come caldeggiato insistentemente in ricorso – non apporterebbe giovamento alcuno agli stessi ricorrenti:
e tanto perché – lo si ribadisce conclusivamente – il beneficiario di un assegno circolare non riscosso nel termine sancito dall’art. 84 della legge assegni non può, sulla base di un rapporto cartolare oramai irreversibilmente cessato, richiedere la condanna dell’istituto bancario emittente alla riemissione dell’assegno oppure al pagamento della relativa provvista.
4.4.
Neppure il rapporto causale sottostante l’assegno circolare dedotto dagli attori (odierni ricorrenti) è idoneo a sorreggere la domanda di condanna così come proposta.
All’uopo, come innanzi accennato, gli impugnanti hanno richiamato l’obbligazione incombente su quale terzo pignorato destinatario della ordinanza di assegnazione ex art. 553
cod. proc. civ., divenuto, a cagione del provvedimento, debitore diretto del creditore procedente, cessionario del credito staggito:
obbligazione – a dire degli impugnanti – non adempiuta, stante il mancato incasso della somma portata dall’assegno circolare non riscosso.
Benché strutturata su premesse in iure corrette, l’argomentazione non può condurre all’accoglimento della dispiegata azione.
È noto che l’ordinanza di assegnazione emessa ai sensi dell’art. 553 cod. proc. civ., provocando il trasferimento della titolarità del diritto di credito coattivamente ceduto, ha natura – in forza di una elaborazione pretoria risalente ad epoca remota, successivamente tradotta in ius positum – di titolo esecutivo in favore del procedente, assegnatario del credito, e contro il terzo pignorato:
sicché il primo, in ipotesi di inadempimento del secondo, può senz’altro promuovere in suo danno espropriazione forzata.
Ma da ciò consegue che il creditore assegnatario, già in possesso di un titolo esecutivo per il caso di inottemperanza del terzo pignorato, è, di regola, carente di interesse ad agire in via di cognizione onde ottenere nei confronti del medesimo soggetto un ulteriore titolo esecutivo per la stessa prestazione immediatamente conseguibile con l’espropriazione forzata.
In un’evenienza del genere, l’azione di condanna (nelle forme della cognizione ordinaria o semplificata) è ammissibile soltanto quando la parte attrice alleghi (ed asseveri) l’esistenza di uno specifico e peculiare una qualche utilità, giuridicamente apprezzabile, ritraibile dall’esperimento di detti strumenti e non già offerta dal titolo esecutivo posseduto, altrimenti difettando una invece imprescindibile condizione dell’azione.
Nella specie, gli attori non hanno mai esplicitato, durante il corso dell’intera controversia (nemmeno in sede di legittimità), l’esigenza che li ha indotti, una volta asseritamente verificatosi l’inadempimento dell’istituto bancario all’ordinanza di assegnazione, a chiedere al giudice della cognizione la condanna dello stesso istituto al pagamento di somme, anziché soddisfare direttamente la loro pretesa portando a coattiva attuazione il provvedimento ex art. 553 cod. proc. civ..
La domanda degli odierni ricorrenti non poteva pertanto trovare accoglimento per difetto di interesse ad agire.
” (Cass. 353 del 2024).
Lo stesso è a dirsi nel caso di specie.
D’altro canto, gli appellanti hanno dedotto (nell’atto d’appello):
“gli istanti si riservano, alternativamente, di riazionare esecutivamente i titoli esecutivi in danno sia degli obbligati principali che della terza pignorata ”, ad ulteriore conferma del difetto d’interesse ad agire appena rilevato.
Né vale in contrario la tesi degli appellanti secondo la quale l’interesse del creditore già in possesso di un titolo esecutivo ancorchè giudiziale che non consente l’iscrizione di ipoteca giudiziale consista nel “promuovere un nuovo giudizio cognitivo per ottenere una sentenza e/o un decreto ingiuntivo che consenta la possibilità di iscrivere ipoteca giudiziale” (così l’atto d’appello).
Osserva la Corte al riguardo che l’idoneità del titolo a consentire di iscrivere ipoteca non appartiene all’essenza del titolo esecutivo e costituisce, piuttosto, un aspetto accessorio dello stesso e, pertanto, la facoltà relativa non configura se non un interesse di fatto.
Pertanto, poiché la domanda deve essere respinta per le ragioni suesposte con la declaratoria d’inammissibilità per difetto dell’interesse ad agire, appare evidente che superfluo s’appalesa l’esame dei motivi d’appello.
Purtuttavia, sotto diverso ed autonomo profilo, laddove si dovesse diversamente opinare, rileva la Corte che gli appellanti censurano la sentenza deducendo che:
1) “censurabile è la decisione nella parte in cui ha ritenuto conditio sine qua non della domanda restitutoria la mancata riconsegna ’assegno – indiscutibilmente scaduto – alla In primo luogo:
il Tribunale ha omesso di valutare che ancora prima dell’introduzione del giudizio era stata inviata una “richiesta di pagamento mediante avviso di negoziazione assistita” a cui ha risposto negando il diritto alla restituzione in favore dei richiedenti del controvalore dell’assegno in parola (cfr. lettera dell’istituto bancario del 12/05/17 in cui si legge:
“Considerato quanto sopra riteniamo che l’invito da voi formulato non può essere accolto dalla scrivente banca”).
Allo stato, quindi, poiché ai sensi dell’art. 2919 cc:
“la costituzione in mora non è necessaria quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non volere eseguire l’obbligazione”, nessun obbligo restitutorio dell’assegno è stato violato dagli appellanti poiché la ha comunicato ai concludenti di non voler adempiere alle proprie obbligazioni.
” La critica è infondata.
E’ appena il caso di rilevare che la finalità della consegna dell’assegno circolare non è quella di costituire in mora il debitore.
2) “In secondo luogo:
la restituzione dell’assegno scaduto nulla incide sull’adempimento della alla riemissione della provvista del titolo scaduto ex l. n. 266/2005.
Ed invero, posta l’indubitabile decorrenza del termine prescrizionale triennale dalla emissione del titolo, non solo detto obbligo di “restituzione”, prospettato dal Tribunale, non figura in alcuna norma di legge ma, soprattutto, ben poteva e doveva adempire a prescindere dal possesso un “FOGLIO DI CARTA” ormai privo di valore.
Ed, invero, era a conoscenza, sin dall’invio dell’invito alla negoziazione assistita del numero dell’assegno, della sua data di emissione e dell’identità del beneficiario (per averlo emesso lei stessa) e quindi, anche della effettiva prescrizione (anche causa della sua comunicazione al Fondo ex legge 190/2008 del DL. 155/2008)
del diritto di esigere il pagamento dalla ma non già il diritto del richiedente l’emissione dell’assegno circolare non riscosso alla restituzione del relativo importo ex l. n. 266/2005 e soggetto a termine decennale.
A prescindere dal legittimo diritto attoreo a protestare quanto richiesto nel ricorso introduttivo, sottoscritto procuratore svolge qualche considerazione anche di buon senso sul perché l’istituto bancario debba incondizionatamente onerato della riemissione del controvalore dell’assegno prescritto in favore degli attori.
La convenuta, in forza dell’ordinanza di assegnazione oggetto di causa ha pagato con somme dell’originario debitore.
Il controvalore dell’assegno de quis – prescrittosi ex art. 84 LA – è stato rimesso alla SPA all’esito della prescrizione del titolo di credito ex art. 84 LA.
L’unico soggetto che può recuperare il controvalore dell’assegno alla è la che ha emesso l’assegno (leggasi anche ad intermittenza circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze sopra allegata) in forza di ordinanza di assegnazione.
I ricorrenti – beneficiari dell’assegno – non possono attivarsi presso la per ripetere la provvista dell’assegno prescritto a ciò ostandovi l’art. 1 comma 345 ter della lex 266/85 che attribuisce solo all’emittente l’A/C tale diritto e non già al beneficiario dello stesso.
L’originario debitore degli attori non può attivarsi presso la per ripetere la provvista dell’assegno prescritto a ciò ostandovi l’art. 1 comma 345 ter della lex 266/85, e ciò in quanto non risulta essere né l’emittente né il beneficiario dell’A/C prescritto (leggasi anche ad intermittenza circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze sopra allegata).
”.
Anche tale censura è infondata.
Ed invero, va osservato in primo luogo che la sentenza non attribuisce agli odierni appellanti, ma ad , l’onere di attivarsi per ottenere la provvista dell’assegno prescritto.
In secondo luogo va rilevato che è proprio la circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze invocata dai sin dal primo grado di giudizio e trascritta persino all’interno dell’atto d’appello, che prevede all’art. 6, comma V, ai fini del rimborso di quanto già versato al Fondo gestito dalla che l’originale dell’assegno prescritto venga consegnato (per essere, successivamente, annullato).
Gli appellanti, peraltro, non dubitano di questo tant’è che deducono nell’atto d’appello che “gli odierni ricorrenti intendono restituire il titolo di cui in premessa, affinchè la provvista dello stesso possa rientrare nelle disponibilità patrimoniale della e, per l’effetto, affinchè quest’ultima possa svolgere legittima domanda – alla – di rimborso di somme affluite il fondo di cui all’art. 1, comma 343, legge 266/05 entro il termine prescrizionale di legge”.
va rilevato che, malgrado ciò, i non vi hanno provveduto, come già accertato dal Tribunale.
superfluo è rilevare che la mera dichiarazione di essere disposti a consegnare l’assegno non è sufficiente.
Da quanto premesso consegue che anche l’impugnazione sul rigetto della domanda risarcitoria deve essere rigettata.
Le spese di lite seguono la soccombenza degli appellanti.
La Corte, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, deduzione o eccezione disattesa, così provvede:
respinge l’appello;
per l’effetto, condanna in solido, alla rifusione in favore di delle spese di lite che liquida in euro 4.500,00 oltre spese generali ed accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, quater, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dalla legge del 24 dicembre 2012, n.228.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28.1.2025.
Il Consigliere est. Il Presidente
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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