REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI VELLETRI
SEZIONE LAVORO
in persona del giudice, dott., all’udienza del 13 ottobre 2021, ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 1485/2021 pubblicata il 13/10/2021
nella causa iscritta al n. 6151, del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell’anno 2019, pendente
TRA
XXX,
con l’avv.,
– ricorrente –
E
YYY S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,
– convenuta (contumace) –
E
INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore, con l’avv.,
– terzo chiamato –
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato in data 19/11/2019 la parte ricorrente
XXX ha chiamato in giudizio la parte convenuta
YYY S.R.L. e – premessi i fatti costitutivi delle proprie domande – ha presentato le conclusioni di cui alla pag. 11-12 del ricorso, qui di seguito integralmente riportate e trascritte:
A) Accertato e dichiarato che la ricorrente Sig.ra Xxx ha prestato la propria attività di lavoro subordinato alle dipendenze della società YYY S.r.l. per il periodo dal 23.06.2014 al 30.06.2017 con le modalità e nei termini di cui in narrativa (orario di lavoro di 40 ore settimanali, dal lunedì al venerdì, dalle ore 08.00 alle ore 13:00 e dalle ore 14:00 alle ore 17:00), svolgendo sempre mansioni corrispondenti a quelle previste per inquadramenti di cui ai livelli II e III del CCNL applicato, condannare la società YYY S.r.l., P.I. e C.F.:, in persona del legale rappresentante pro tempore, a corrispondere alla ricorrente, a titolo di differenze retributive ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 2099 C.C. e 36 Cost., la somma complessiva di € 17.533,22 (s.e.o.), comprensiva di differenze retributive, retribuzioni non corrisposte e T.F.R., o quella diversa che verrà accertata in corso di causa o che si riterrà di giustizia, con interessi e rivalutazione monetaria come per legge dalla data di maturazione sino all’effettivo pagamento.
In ogni caso condannare la resistente, altresì, alla regolarizzazione contributiva della posizione della ricorrente a fronte della corretta prestazione lavorativa subordinata prestata e dei crediti da differenze retributive maturati;
B) Con vittoria di spese e compensi, determinati sulla base del vigente D.M. n. 55/2014 per scaglione di valore della controversia, oltre rimborso spese generali, oneri ed accessori di legge.
* * *
La parte convenuta è rimasta contumace.
La causa è stata istruita con l’acquisizione dei documenti prodotti, con prova testimoniale e con interrogatorio formale della parte convenuta (che tuttavia non si è presentata a rendere l’interpello, senza fornire un giustificato motivo).
Avendo la parte ricorrente richiesto la condanna della parte convenuta alla regolarizzazione contributiva previdenziale, è stata disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti del terzo chiamato INPS (cfr. Cassazione civile sez. lav., 21/09/2020, n. 19679), che si è regolarmente costituito in giudizio, eccependo l’intervenuta prescrizione del diritto alla regolarizzazione contributiva vantato dalla parte ricorrente e chiedendo in ogni caso la condanna della parte convenuta al pagamento dei contributi non versati, nei limiti della prescrizione maturata.
La controversia è stata decisa all’udienza odierna.
* * *
Il ricorso è parzialmente fondato e va accolto, nei limiti indicati appresso.
Va premesso che l’esistenza dei vari rapporti di lavoro subordinato intercorsi tra le parti – dapprima a tempo determinato e parziale a 6 ore settimanali, nel periodo dal 23/6/2014 al 22/6/2015 (all. 2 al fascicolo di parte ricorrente), poi a tempo determinato e pieno a 40 ore settimanali, nel periodo dal 1/7/2015 al 30/6/2016 (all. 3 al fascicolo di parte ricorrente) e da ultimo a tempo determinato e pieno a 40 ore settimanali, nel periodo dal 1/7/2016 al 30/6/2017 (all. 4, 5 al fascicolo di parte ricorrente) – risulta integralmente provata in via documentale, a mezzo del contratto di lavoro e delle relative proroghe.
Parimenti risulta provato in via documentale, a mezzo del contratto di lavoro e delle correlate proroghe, il livello di inquadramento riconosciuto dalla parte convenuta alla parte ricorrente, vale a dire il 1° livello del CCNL Plastica e gomma (corrispondente alla qualifica di “addetta alle pulizie”) dal 23/6/2014 al 22/6/2015 e il 2° livello del medesimo CCNL (corrispondente alla qualifica di “operaio semplice”) dal 1/7/2016 in poi (all. 2, 3, 4, 5, 6 al fascicolo di parte ricorrente).
La parte ricorrente ha dedotto di aver svolto, nel primo periodo sopraindicato, orari di lavoro a tempo pieno (40 ore settimanali), con turni di 5 giorni a settimana e orari di 8 ore al giorno, dalle ore 8.00 alle ore 13.00 e dalle ore 14.00 alle ore 17.00, nonché mansioni corrispondenti alla qualifica di operaio semplice e dunque al 2° livello di inquadramento previsto dal CCNL cit.
La parte ricorrente ha inoltre dedotto di avere poi svolto, a partire dal 1/7/2015 e fino alla cessazione del rapporto di lavoro, mansioni corrispondenti alla qualifica di operaio specializzato e dunque al 3° livello di inquadramento previsto dal CCNL cit.
In conclusione, la parte ricorrente ha dedotto di avere diritto al pagamento di euro 17.533,22 a titolo di differenze retributive sulle seguenti componenti retributive: paga ordinaria, lavoro supplementare, T.F.R. (quest’ultimo per euro 3.679,54).
In punto di diritto, facendo applicazione dei principi giurisprudenziali relativi al riparto dell’onere della prova, si devono distinguere – tra i vari titoli indicati nei conteggi dalla parte ricorrente – quelli in riferimento ai quali la medesima parte era gravata soltanto dall’onere di provare l’esistenza del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro subordinato intercorso di fatto tra le parti (cc.dd. “rapporto contrattuale di fatto”), e di mera deduzione delle proprie pretese fondate su di esso, e quegli altri titoli in relazione ai quali la parte ricorrente era gravata dall’onere di provare l’esistenza di altri fatti costitutivi del diritto vantato.
Difatti il diritto vivente – nell’applicare i principi di cui agli artt. 1218, 1453 ss. e 2697 c.c. – ha chiarito che, in materia contrattuale, “L’esenzione del creditore dall’onere di provare il fatto negativo dell’inadempimento in tutte le ipotesi di cui all’art. 1453 c.c. ( e non soltanto nel caso di domanda di adempimento), con correlativo spostamento sul debitore convenuto dell’onere di fornire la prova del fatto positivo dell’avvenuto adempimento, è conforme al principio di riferibilità o di vicinanza della prova. In virtù di tale principio, che muove dalla considerazione che il creditore incontrerebbe difficoltà, spesso insuperabili, se dovesse dimostrare di non aver ricevuto la prestazione, l’onere della prova viene infatti ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilità per l’uno o per l’altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione. Ed appare coerente alla regola dettata dall’art. 2697 c.c., che distingue tra fatti costitutivi e fatti estintivi, ritenere che la prova dell’adempimento, fatto estintivo del diritto azionato dal creditore, spetti al debitore convenuto, che dovrà quindi dare la prova diretta e positiva dell’adempimento, trattandosi di fatto riferibile alla sua sfera di azione” (Cassazione civile SS. UU. 30 ottobre 2001 n. 13533; in senso conforme cfr. Cass. 982/2002; Cass. 13925/2002; Cass. 18315/2003; Cass. 6395/2004; Cass. 8615/2006; Cass. 13674/2006; Cass. 1743/2007).
Pertanto il creditore che agisce per l’adempimento o per la risoluzione o per il risarcimento del danno da inadempimento ha solo l’onere di dimostrare l’esistenza del titolo – cioè l’esistenza del contratto stipulato con il debitore o del rapporto di lavoro – e di dedurre lo specifico fatto costitutivo della propria domanda, gravando poi sul debitore l’onere di dimostrare di aver già adempiuto o che il proprio inadempimento è di scarsa importanza (art. 1455 c.c.) o che il termine di adempimento già inutilmente decorso non aveva natura essenziale per il creditore (art. 1457 c.c.) o che l’inadempimento o il ritardo sono stati determinati da impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore (art. 1218 c.c.).
Sono assoggettate a tale (vantaggioso) criterio di riparto dell’onere di deduzione e di prova le pretese relative alla retribuzione ordinaria, alla 13°, alla 14°, al TFR, a tutto ciò che il CCNL di settore riconosce al lavoratore senza prevedere ulteriori specifiche condizioni, all’indennità di mancato preavviso (laddove le dimissioni del lavoratore siano state cagionate proprio dall’inadempimento del datore di lavoro alla obbligazione retributiva).
Pertanto, laddove la parte convenuta non abbia fornito in giudizio la prova dell’esistenza di fatti estintivi o impeditivi delle pretese vantate dalla parte ricorrente per tali titoli, spetta alla parte ricorrente il relativo pagamento.
Sono invece assoggettate al criterio generale in materia di onere della prova ex art. 2697 c.c. (affirmanti incumbit probatio) le seguenti voci: lavoro straordinario e/o supplementare, maggiorazione lavoro festivo e domenicale, festività, ferie non godute e non retribuite, permessi non goduti e non retribuiti.
Inoltre occorre evidenziare che, in caso di contumacia della parte convenuta, opera la c.d. ficta contestatio dei fatti dedotti dalla parte ricorrente (cfr. art. 115 c.p.c.) e che, pertanto, grava interamente su quest’ultima l’onere di provare l’esistenza di fatti costitutivi delle proprie domande.
Tuttavia va altresì rimarcato che, secondo la giurisprudenza, “una volta notificata ai sensi dell’art. 292 c.p.c., comma 1, l’ordinanza ammissiva dell’interrogatorio e rispettato così il contraddittorio nel processo contumaciale, il giudice ha il potere di valutare, come nella specie, ogni altro elemento di prova e di ritenere come ammessi i fatti dedotti, ai sensi dell’art. 232, primo comma, dello stesso codice (Cass. 14 giugno 1995 n. 7626, 1^ settembre 1997 n. 8340)” (Cassazione civile, sez. lav., 31/12/2009, n. 28293).
Pertanto, laddove la parte convenuta non si presenti a rendere l’interrogatorio formale, è possibile desumere da ciò (ulteriori) elementi di prova idonei ad attestare la fondatezza delle pretese della parte ricorrente.
Nel caso di specie, accertata l’esistenza e la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti (tramite la documentazione sopra indicata) – e facendo applicazione dei principi giurisprudenziali suesposti – la parte ricorrente ha diritto al pagamento delle differenze retributive sulla paga ordinaria e sul TFR, non avendo la parte convenuta provato di aver già soddisfatto interamente tali diritti tramite il relativo pagamento e gravando sulla medesima parte convenuta l’onere di provare tale fatto estintivo.
Inoltre – ancora in applicazione dei principi giurisprudenziali illustrati in precedenza – dalla mancata presentazione della parte convenuta a rendere l’interrogatorio formale è possibile inferire, ad avviso di questo giudice, la fondatezza delle deduzioni della parte ricorrente in punto di svolgimento di lavoro supplementare e di mansioni superiori (circostanze peraltro confermate in modo pressoché integrale anche dall’istruttoria testimoniale svolta: vd. testimonianze di *** e di ***), nonché
l’ammissione, per fatti concludenti, della correttezza nei conteggi presentati da parte ricorrente, senza necessità di esperire C.T.U. contabile.
Conclusivamente, spettano alla parte ricorrente, per i titoli (causali) indicati nel ricorso, euro 17.533,22 (di cui euro 3.679,54 a titolo di T.F.R.), oltre a interessi legali e rivalutazione monetaria.
* * *
Dall’accertamento del diritto della parte ricorrente al pagamento delle suddette differenze retributive relative ai periodi di lavoro sopra menzionati (dal 23/6/2014 al 22/6/2015, dal 1/7/2015 al 30/6/2016 e dal 1/7/2016 al 30/6/2017) consegue altresì il diritto della stessa alla regolarizzazione contributiva previdenziale, in misura corrispondente.
Il terzo chiamato INPS ha tuttavia eccepito l’intervenuta prescrizione del diritto alla regolarizzazione contributiva previdenziale,
La giurisprudenza ha chiarito che “secondo l’ormai consolidato orientamento di legittimità (Cass. 9226/2018, 27163/2008, 230/2002), nella materia previdenziale, a differenza che in quella civile, il regime della prescrizione già maturata è sottratto alla disponibilità delle parti; detto principio – che attualmente è fissato dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, ed è desumibile, per il periodo precedente l’entrata in vigore di tale disposizione, dal R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 55, comma 2, – vale per ogni forma di assicurazione obbligatoria e, in base alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 10 si applica anche per i contributi prescritti prima dell’entrata in vigore della medesima legge; parimenti consolidato è il principio conseguente, secondo cui la relativa eccezione non rientra fra quelle la cui proposizione per la prima volta in appello è vietata dall’art. 437 c.p.c.; ed invero il divieto di nuove eccezioni in appello di cui all’art. 345 c.p.c. e specificamente all’art. 437 c.p.c., comma 2 per il rito del lavoro, concerne soltanto l’eccezione in senso proprio relativa a fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto fatti valere in giudizio, non rilevabili d’ufficio e non può quindi inerire all’eccezione di prescrizione in discorso” (Cassazione civile sez. lav., 04/12/2018, (ud. 18/10/2018, dep. 04/12/2018), n. 31345).
Pertanto la questione della intervenuta prescrizione dei contributi previdenziali, ove rilevante ai fini dell’esito del giudizio, può essere rilevata d’ufficio dal giudice, a prescindere dal fatto che la parte convenuta abbia o meno sollevato in via d’eccezione tale questione (e a prescindere dalla tempestività, ex art. 416 e ss. c.p.c., della proposizione di una siffatta eccezione).
Occorre inoltre ricordare che l’art. 2116, co. 1, c.c. prevede il principio generale secondo cui il lavoratore ha diritto ad ottenere l’erogazione delle prestazioni previdenziali anche nei casi in cui il datore di lavoro non abbia versato regolarmente i relativi contributi all’Istituto competente.
Il comma 2 della medesima disposizione stabilisce, inoltre, che nei casi in cui la legislazione speciale preveda deroghe al predetto principio generale – cioè ipotesi in cui il lavoratore, in caso di omesso o incompleto o irregolare versamento dei contributi da parte del suo datore di lavoro, non abbia diritto in tutto o in parte all’erogazione delle prestazioni previdenziali dall’Istituto competente – il datore di lavoro è tenuto al risarcimento del danno cagionato in tal modo al lavoratore.
Il principio generale di cui all’art. 2116, co. 1, c.c. è stato attuato dall’art. 40 della L. n. 153/1969 e dall’art. 23-ter del D.L. n. 267/1972, i quali hanno modificato l’art. 27 del R.D.L. n. 636/1939; quest’ultima disposizione ora dispone, al comma 2, che “Il requisito di contribuzione stabilito per il diritto alle prestazioni di vecchiaia, invalidità e superstiti, si intende verificato anche quando i contributi non siano effettivamente versati, ma risultino dovuti nei limiti della prescrizione […]. Il rapporto di lavoro deve risultare da documenti o prove certe” e, al comma 3, che “i periodi non coperti da contribuzione di cui al comma precedente sono considerati utili anche ai fini della determinazione della misura delle pensioni”.
L’art. 55 del R.D.L. n. 1825/1935 stabilisce che, dopo il decorso del termine di prescrizione del diritto dell’Istituto previdenziale ad ottenere il versamento dei contributi previdenziali dovuti dal datore di lavoro o dal lavoratore, non è ammesso il pagamento spontaneo tardivo da parte del soggetto obbligato: ciò costituisce un corollario del principio secondo cui “nella materia previdenziale, a differenza che in quella civile, il regime della prescrizione già maturata è sottratto dalla legge alla disponibilità delle parti, per cui deve escludersi la esistenza di un diritto soggettivo dei datori di lavoro e degli assicurati a versare i contributi previdenziali prescritti” (Cass. n. 6340 del 24/03/ 2005; Cass. n. 23116 del 10/12/2004; Cass. n. 301 dell’11/01/2001; Cass. n. 11140 del 16/08/2001; Cass. n. 330 del 12/01/2002), il quale principio comporta altresì che la prescrizione dei contributi è irrinunciabile sia dal debitore (datore di lavoro) che dal creditore (Istituto previdenziale), che il contributo eventualmente versato dal primo dopo il compimento della prescrizione è irricevibile da parte del secondo e che deve ritenersi nullo ex art. 2936 c.c. ogni patto contrario eventualmente intercorso tra datore di lavoro e Istituto previdenziale.
Deriva da ciò, inoltre, che i contributi previdenziali prescritti e pagati tardivamente dal datore di lavoro all’Istituto previdenziale vanno restituiti a cura di quest’ultimo (in tal senso vd. Circolare INPS del 13 ottobre 1995, n. 262, punto 1.2).
Il termine di prescrizione dei crediti contributivi facenti capo all’Istituto previdenziale – attualmente previsto dall’art. 3 della L. n. 335/1995 (che ha modificato l’art. 41 della L. n. 153/1969, il quale, a sua volta, aveva innovato la previsione di cui all’art. 55, co. 1, del R.D.L. n. 1825/1935) – è di 5 anni, decorrenti dal giorno in cui i singoli contributi avrebbero dovuto essere versati (il quale giorno è previsto dalla normativa relativa alle singole tipologie di contributi ed è fissato, a seconda dei casi, in riferimento al singolo mese di riferimento, o al trimestre, ecc…): ad oggi sussiste, invece, un termine di prescrizione decennale nel (solo) caso di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti, ai sensi dell’art. 3, co. 9, lett. a, II periodo, della L. n. 335/1995 (Cass. n. 9962 del 12/05/2005; Cass. n. 1372 del 29/01/2003; Cass. n. 4606/2004; Cass. n. 6173 del 7/03/2008; vd, Circ. INPS n. 31 del 2/03/2012), purché tale denuncia sia effettuata entro il termine di prescrizione quinquennale dei singoli contributi previdenziali omessi per i quali il denunciante chiede il recupero (Cass. n. 5811 del 10/03/2010) e senza che occorra comunicare tale denuncia anche al datore di lavoro (Cass. civ. sez. lav. 5/03/2009 n. 5320; Cass. n. 1372/2003, cit.).
Il combinato disposto dell’art. 27 del R.D.L. n. 636/1939 e s.m.i. e dell’art. 3 della L. n. 335/1995 costituisce una evidente deroga al principio generale di cui all’art. 2116, co. 1, c.c., comportando che, in caso di prescrizione di crediti previdenziali insoddisfatti, il lavoratore o non ha diritto alla prestazione previdenziale o ha diritto a una prestazione previdenziale di importo più basso rispetto a quella che gli sarebbe spettato se il datore di lavoro avesse regolarmente versato tutti i contributi dovuti all’Istituto previdenziale.
In altri termini, il principio di automaticità delle prestazioni previdenziali (di cui all’art. 2116 c.c.) opera limitatamente ai crediti previdenziali non prescritti, per i quali l’Istituto previdenziale opera un accreditamento figurativo in favore del lavoratore, indipendentemente dal successivo effettivo recupero dei contributi nei confronti del datore di lavoro inadempiente.
In forza dell’art. 2116, co. 2, c.c., il datore di lavoro resta comunque responsabile nei confronti del lavoratore, dopo il decorso del termine di prescrizione dei crediti contributivi vantati dall’Istituto previdenziale, per il danno arrecato al lavoratore medesimo: quest’ultimo può agire avverso il datore di lavoro per ottenere risarcimento dei danni derivati dall’omissione contributiva, facendo valere il proprio diritto alla (integrità della) posizione contributiva, entro 10 anni decorrenti dal giorno in cui l’Istituto previdenziale ha rifiutato in tutto o in parte la pensione (vd. Cass. 4/06/1988, n. 3790; Cass. civ. sez. lav. 20/01/2016, n. 983; Cass. 11/09/2013, n. 20827).
Nel caso di specie, il primo atto con il quale la parte ricorrente ha segnalato al terzo chiamato INPS l’esistenza di omissioni contributive imputabili al datore di lavoro – cioè alla parte convenuta contumace YYY SRL – è costituito dalla notificazione del presente ricorso effettuata dalla medesima parte ricorrente in data 21/4/2021 a seguito di integrazione del contraddittorio disposta dal giudice con ordinanza del 7/4/2021.
Poiché le maggiori retribuzioni riconosciute alla parte ricorrente all’esito del presente giudizio riguardano i periodi dal 23/6/2014 al 22/6/2015, dal 1/7/2015 al 30/6/2016 e dal 1/7/2016 al 30/6/2017, alla data del 21/4/2021 (in cui è avvenuta la notificazione del ricorso al terzo chiamato INPS) il termine quinquennale di prescrizione vigente in materia previdenziale (ex art. 3 della L. n. 335/1995) era già decorso in relazione ai contributi correlati alla suddette maggiori retribuzioni e non versati dal datore di lavoro della parte ricorrente fino al 21/4/2016.
Pertanto il diritto della parte ricorrente alla regolarizzazione contributiva previdenziale risulta parzialmente estinto per intervenuta prescrizione, salvo il diritto della stessa alla regolarizzazione contributiva previdenziale per quanto riguarda i (maggiori) contributi non versati dal datore di lavoro nei periodi dal 21/4/2016 al 30/6/2016 e dal 1/7/2016 al 30/6/2017.
* * *
Le spese di lite relative al rapporto tra la parte ricorrente e la parte convenuta YYY SRL seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., e si liquidano come in dispositivo.
Si precisa che sono determinate tenuto conto 1) delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, 2) dell’importanza, della natura, delle difficoltà e del valore dell’affare, 3) delle condizioni soggettive del cliente, 4) dei risultati conseguiti, 5) del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, nonché delle previsioni delle tabelle allegate al decreto del Ministro della Giustizia n. 55 del 10.3.2014, nel loro valore medio (per controversie in materia di lavoro e aventi valore compreso tra euro 5.200,00 ed euro 26.000,00): nel caso di specie, all’esito del bilanciamento operato da questo giudice tra i criteri suddetti (in particolare le condizioni soggettive delle parti, da un lato, e i risultati conseguiti e la natura dell’affare, dall’altro), si ritiene che gli importi medi (5.131,00) vadano diminuiti all’importo di euro 2.600,00.
Ai compensi si aggiunge il rimborso forfetario delle spese generali pari al 15% degli stessi (espressamente reintrodotto dall’art. 2 del D.M.), oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Le spese di lite relative al rapporto tra la parte ricorrente e il terzo chiamato INPS, nonché tra la parte convenuta YYY SRL e il medesimo terzo chiamato, vanno interamente compensate, in ragione della peculiare posizione processuale rivestita da quest’ultimo.
P.Q.M.
– dichiara il diritto della parte ricorrente al pagamento, a carico della parte convenuta YYY SRL, di euro 17.533,22, oltre a interessi legali e rivalutazione monetaria, per i titoli (causali) indicati in motivazione (di cui euro 3.679,54 a titolo di T.F.R.);
– per l’effetto, condanna la parte convenuta YYY SRL al pagamento, in favore della ricorrente, di euro 17.533,22, oltre a interessi legali e rivalutazione monetaria;
– dichiara l’estinzione, per intervenuta prescrizione, del diritto della parte ricorrente alla regolarizzazione contributiva previdenziale limitatamente al periodo anteriore al 21/4/2016;
– dichiara il diritto della parte ricorrente alla regolarizzazione contributiva previdenziale in riferimento ai periodi dal 21/4/2016 al 30/6/2016 e dal 1/7/2016 al 30/6/2017 e, per l’effetto, condanna la parte convenuta YYY SRL al pagamento, in favore del terzo chiamato INPS, dei maggiori contributi dovuti in relazione ai periodi in questione;
– condanna parte convenuta YYY SRL al pagamento delle spese processuali in favore di parte ricorrente, che liquida in euro 2.600,00, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA;
– compensa integralmente le spese di lite tra la parte ricorrente e il terzo chiamato INPS, nonché tra la parte convenuta YYY SRL e il terzo chiamato INPS.
Velletri, 13 ottobre 2021.
Il giudice
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