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Presupposti azione revocatoria e compromissione del patrimonio

La sentenza definisce i presupposti dell’azione revocatoria ordinaria, evidenziando come l’eventus damni non richieda la totale compromissione del patrimonio del debitore, ma la sua riduzione o modifica tale da rendere incerto o difficoltoso il soddisfacimento del credito. Viene inoltre analizzato l’istituto della responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., ribadendo che la sua applicazione presuppone la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, ravvisabili nell’abuso dello strumento processuale.

Pubblicato il 17 November 2024 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

CORTE D’APPELLO DI SALERNO II

SEZIONE CIVILE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte d’Appello di Salerno, riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei Sigg.

Magistrati:

1. dott. COGNOME Presidente 2. dott.ssa NOME COGNOME Consigliere 3. dott. NOME COGNOME Consigliere rel./est.

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA N._953_2024_- N._R.G._00000674_2022 DEL_04_11_2024 PUBBLICATA_IL_05_11_2024

nella causa iscritta al n. 674/2022 del ruolo generale degli affari contenziosi civili TRA , nato a Mercato San Severino l’11 aprile 1950, cod. fisc.

, rappresentato e difeso, in virtù di mandato in calce all’atto introduttivo del primo grado del giudizio, dall’avv. NOME COGNOME presso lo studio del quale elettivamente domicilia in Mercato San Severino, alla INDIRIZZO

appellante , nato a Roma il 7 dicembre 1962, residente in Santo Stefano del Sole, alla INDIRIZZO cod. fisc. , nata a Serino il 29 marzo 1963, residente in Santo Stefano del Sole, alla INDIRIZZO cod. fisc. , rappresentati e difesi, in virtù di mandato in calce alla memoria di costituzione e risposta, dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME con i quali elettivamente domiciliano in Salerno, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME;

appellati AVENTE AD OGGETTO: APPELLO AVVERSO L’

ORDINANZA

RESA DAL C.F. C.F. C.F. SEGUENTI

CONCLUSIONI

per l’appellante (come da atto di appello) – “1) in totale riforma della ordinanza di primo grado, accogliere il presente appello e per l’effetto dichiarare inefficace parzialmente, nei confronti del ricorrente, la costituzione del fondo patrimoniale, come da ricorso introduttivo;

2) condannare la controparte al pagamento delle spese diritti ed onorari di giudizio con riferimento al doppio grado di giudizio e con attribuzione al sottoscritto procuratore anticipatario”;

per gli appellati (come da memoria di costituzione) – “1) rigettare integralmente l’appello proposto dal sig. avverso l’ordinanza n. 300/2022 del Tribunale di Salerno … in quanto inammissibile, improcedibile, nullo oltre che infondato in fatto ed in diritto per tutti i motivi di cui innanzi;

2) condannare l’appellante alla refusione di spese e competenze di lite oltre spese generali ed accessori come per legge;

3) condannare l’appellante al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., nella misura che riterrà opportuna, per tutti i motivi di cui innanzi”.

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con ordinanza resa ai sensi dell’art. 702 ter, comma 5, c.p.c. il 21/24 gennaio 2022, cron. n. 300, il Tribunale di Salerno, definitivamente pronunciando nel giudizio n. 2908/2018 RGC, promosso da nei confronti dei coniugi con ricorso depositato il 27 marzo 2018, così provvedeva:

1) rigettava la domanda spiegata dal per sentir dichiarare, ai sensi dell’art. 2901, comma 1, cod. civ., l’inefficacia parziale, nei propri confronti, dell’atto pubblico per notaio da Pontecagnano Faiano del 29 maggio 2015, rep. n. 8742 – racc. n. 5209, con il quale il Viene, suo debitore in forza della sentenza n. 2137/2015 del Tribunale di Salerno, confermata dalla Corte d’Appello con sentenza n. 249/2018, aveva costituito, unitamente alla un fondo patrimoniale ove aveva conferito, per la quota di 1/2 della piena proprietà, gli immobili censiti nel catasto fabbricati del Comune di Cava de’ Tirreni al foglio, particella 35, subalterno 11, categoria A/2, nel catasto fabbricati del Comune di Salerno al foglio, particella 460, subalterni 4, categoria A/2, 54, categoria C/2, 55, categoria C/3, nel catasto fabbricati del Comune di Atripalda al foglio, particella 520, subalterni 8 e 9, categoria C/1, per la quota di 1/8 della piena proprietà, il fondo censito nel catasto terreni del Comune di Atripalda al foglio 5, particella 521, e, per l’intera piena proprietà, l’autovettura Peugeot tg. TARGA_VEICOLO e l’autocarro Ford, tg. TARGA_VEICOLO; 2) [… del e della 3) condannava il ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., al pagamento, in favore del e della della somma di euro 2.677,50.

Avverso la predetta ordinanza proponeva appello il con atto di citazione notificato il 7 luglio 2023, formulando i seguenti motivi di gravame:

1) il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda sull’erroneo presupposto dell’insussistenza dell’eventus damni, avendo ritenuto che l’offerta del di pagare all’attore la somma di euro 6.000,00 in luogo di quella dovuta di euro 6.722,00 comprovava che il suo patrimonio fosse ampiamente sufficiente a soddisfare l’avversa pretesa creditoria, senza considerare che il debitore aveva reso indisponibili i suoi beni al precipuo scopo di proporre una transazione al ribasso;

2) contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, che aveva anche riconosciuto che, per effetto dell’impugnato atto pubblico, il patrimonio del Viene aveva subito una diminuzione quantitativa e qualitativa, non ricorrevano gli estremi della lite temeraria, avendo l’attore introdotto il giudizio al fine di ottenere l’integrale soddisfacimento del proprio credito.

Costituitisi con comparsa di risposta depositata il 25 novembre 2022, il e la eccepivano, in via pregiudiziale, la tardività dell’impugnazione per inosservanza del termine stabilito dall’art. 702 quater c.p.c., la nullità delle notifiche dei due distinti atti di citazione in appello, giacché eseguite nei confronti dei difensori costituiti in primo grado, senza alcuna indicazione delle parti, la mancata iscrizione a ruolo dell’atto di appello nei confronti del Viene, soltanto allegato, privo di firma, a quello diretto alla nonché la violazione dell’art. 342, c. 1, c.p.c., contestando, nel merito, la fondatezza del gravame. La causa, nella quale non veniva svolta attività istruttoria, perveniva, per la precisazione delle conclusioni, all’udienza del 13 luglio 2013, poi sostituita, ai sensi dell’art. 127 ter c.p.c., mediante il deposito delle note scritte.

Assegnati alle parti i termini di giorni sessanta per il deposito delle comparse conclusionali e di successivi giorni venti per il deposito delle memorie di replica, la causa veniva rimessa sul ruolo per l’udienza del 3 ottobre 2024 in ragione della necessità di sostituire il consigliere relatore, determinata dal suo temporaneo esonero dall’attività giurisdizionale.

Indi, con ordinanza resa il 10 ottobre 2024 ex art. 127 ter c.p.c. e comunicata il 14 ottobre 2024, la causa veniva trattenuta in decisione, senza la concessione dei termini di cui agli artt. 190, c. 1, e 352, c. 1, c.p.c., non essendo stati nuovamente richiesti dalle parti.

L’appello è manifestamente infondato e va rigettato.

il 15 luglio 2022 e, dunque, in mancanza della comunicazione e della notificazione dell’ordinanza di primo grado, entro il termine dei sei mesi dalla sua pubblicazione, avvenuta il 24 gennaio 2022, ai sensi dell’art. 327, comma 1, c.p.c., disposizione normativa applicabile per tutti i provvedimenti a carattere decisorio e definitivo (cfr. Cass. 27 giugno 2018, n. 16893; Cass., Sez. Un., 5 ottobre 2022, n. 28975).

Per quanto attiene all’eccezione di nullità delle notifiche dei due distinti atti di appello, per essere state eseguite nei confronti dei difensori costituiti in primo grado, senza alcun riferimento alle parti, la costituzione in giudizio sia del Viene che della comportato la sanatoria di qualsiasi possibile vizio per raggiungimento dello scopo, a norma degli artt. 156, comma 3, e 160 c.p.c., determinando l’integrità del contraddittorio e consentendo l’esercizio del diritto di difesa.

Inoltre, la circostanza che l’atto di appello con il quale è stato evocato in giudizio il Viene sia stato impropriamente allegato, privo della firma digitale del difensore, a quello rivolto alla coniuge e non iscritto autonomamente a ruolo non genera decadenze o preclusioni a carico del atteso che l’eventuale declaratoria di improcedibilità di tale gravame, a norma dell’art. 348, comma 1, c.p.c., avrebbe comunque imposto di integrare il contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario, ai sensi dell’art. 331, comma 1, c.p.c., nell’ambito dell’impugnazione ritualmente incardinata nei confronti della Né, infine, è configurabile la denunciata violazione dell’art. 342, comma 1, c.p.c.. Ed invero, tale disposizione normativa, non diversamente dall’art. 434, comma 1, c.p.c. per il rito del lavoro, va interpretata nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale, come mezzo di gravame a critica libera, mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. Un., 16 novembre 2017, n. 27199; Cass. ord. 30 maggio 2018, n. 13535; Cass., Sez. Un., ord. 13 dicembre 2022, n. 36481).

L’appello proposto dal consta sia di una parte volitiva, diretta ad indicare i punti impugnati dell’ordinanza emanata dal giudice di primo grado, sia di una parte , né soluzioni alternative di risoluzione della controversia, risulta sostanzialmente conforme alla finalità sottesa all’art. 342, comma 1, c.p.c..

Ciò posto, con riguardo al merito del gravame, è opportuno premettere, in una prospettiva di carattere generale, che, ai fini della proposizione dell’azione revocatoria ordinaria, ai sensi dell’art. 2901, comma 1, cod. civ., non occorre dimostrare, sotto il profilo oggettivo, la totale compromissione della consistenza dei beni del debitore, essendo sufficiente il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, nel senso che l’eventus damni può consistere non solo in una variazione quantitativa del suo patrimonio, ma anche in una modificazione qualitativa dello stesso (cfr., ex plurimis, Cass. 29 marzo 2007, n. 7767; Cass. 9 febbraio 2012, n. 1896; Cass. 3 febbraio 2015, n. 1902).

A tal fine, il creditore è tenuto soltanto a dimostrare le intervenute diminuzioni quantitative o qualitative del patrimonio del debitore, ma non anche a provarne la consistenza e la natura all’indomani del negozio dispositivo, non potendo valutarne compiutamente la composizione e le caratteristiche.

Di contro, il convenuto ha l’onere di comprovare che, nonostante il compimento del negozio dismissivo, il patrimonio del debitore ha conservato valore e qualità tali da garantire comunque il soddisfacimento del credito senza difficoltà (cfr., ex plurimis, Cass. 14 ottobre 2005, n. 19963; Cass. 4 luglio 2006, n. 15265; Cass. ord. 19 luglio 2018, n. 19207; Cass. ord. 18 giugno 2019, n. 16221).

Il momento storico in cui deve essere verificata la sussistenza dell’eventus damni, inteso come pregiudizio alle ragioni creditorie tale da determinare l’insufficienza dei beni del debitore a garantirne la realizzazione, è quello nel quale viene compiuto il negozio dispositivo dedotto in giudizio e nel quale può apprezzarsi se il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare le attese del creditore, restando, invece, assolutamente irrilevanti, al fine anzidetto, le successive vicende patrimoniali del debitore, non collegate direttamente a quell’atto di disposizione (cfr., ex ceteris, Cass. 8 marzo 1969, n. 755; Cass. 14 novembre 2011, n. 23743; Cass. ord. 6 febbraio 2019, n. 3538).

Nella fattispecie de qua agitur, come correttamente ritenuto dal giudice di primo grado, il Viene ha comprovato, ai sensi degli artt. 2697, comma 2, cod. civ. e 115 c.p.c., che, pur avendo conferito diversi beni immobili e mobili di sua proprietà nel fondo patrimoniale costituito, unitamente alla con l’atto pubblico per notaio Pontecagnano Faiano del 29 maggio 2015, possedeva e possiede una capacità solutoria n. 249/2018, e, dunque, a rendere inconfigurabile il presupposto dell’eventus damni, rimuovendo ab imis la sussistenza del pregiudizio legittimante la declaratoria di parziale inefficacia del negozio giuridico di cui trattasi.

Ed invero, come emerge dalla documentazione prodotta in giudizio, il Viene, dopo aver raggiunto, in data 27 aprile 2018, un accordo transattivo con , vale a dire con le altre parti nei confronti delle quali, oltre che degli eredi di , era stato riconosciuto debitore dal Tribunale di Salerno con la sentenza n. 2137/2015, corrispondendo loro la somma di euro 6.000,00 ciascuno, si adoperava per estinguere la propria obbligazione anche nei riguardi dell’appellante, che, tuttavia, rifiutava, dapprima (cfr. comunicazione del suo difensore a mezzo pec del 30 aprile 2018), di pervenire ad un’analoga definizione concordata della controversia sull’erroneo convincimento che il proprio credito ammontasse ad euro 40.285,00, pari a quanto complessivamente liquidato con la predetta pronuncia in favore di tutti e sei gli aventi diritto, e, di seguito (cfr. missiva del suo difensore del 18 maggio 2018), di ricevere la quota di euro 6.000,00 versatagli con vaglia postali dell’8 maggio 2018, di cui provvedeva alla restituzione, sull’assunto di vantare un importo non inferiore ad euro 10.400,00, sicché, a fronte dell’evidente solvibilità dell’appellato, la costituzione del fondo patrimoniale del 29 maggio 2015 era ed è priva di ripercussioni negative per il creditore, per non averne leso in alcun modo le ragioni di tutela.

Proprio il pagamento della somma di euro 24.000,00 in favore degli altri creditori e la documentata volontà del Viene di estinguere il debito derivante dalla sentenza n. 2137/2015 del Tribunale di Salerno anche nei confronti dell’appellante comprovano, infatti, che l’appellato dispone di sostanze patrimoniali e, comunque, di risorse finanziarie tali da garantire il pieno ed incondizionato soddisfacimento dell’avversa pretesa creditoria, precludendo la declaratoria di parziale inefficacia dell’atto negoziale impugnato e, di conseguenza, l’assoggettabilità ad espropriazione forzata dei beni destinati alla realizzazione dei bisogni della famiglia.

Né il può sostenere, con il primo motivo di gravame, che l’esistenza dell’eventus damni era avvalorata dalla circostanza che l’offerta di pagamento formulata dal debitore si attestava ad euro 6.000,00 a fronte del maggior credito vantato di euro 6.722,00, atteso che, a seguito della restituzione dei vaglia postali, il per il tramite del proprio difensore, chiedeva al difensore dell’appellante, mediante posta elettronica certificata del ’importo di euro 40.473,36, comprensivo di capitale, rivalutazione monetaria ed interessi legali a decorrere dall’1 gennaio 2004, per come liquidato dal Tribunale di Salerno con la sentenza n. 2137/2015, e, quindi, all’integrale versamento di quanto dovuto in forza di tale pronuncia, dimostrando di essere nelle condizioni di adempiere regolarmente la sua obbligazione.

Parimenti infondato è il secondo motivo di gravame, con il quale il contesta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 96, comma 3, c.p.c. Ed invero, la responsabilità aggravata prevista dall’art. 96, terzo comma, c.p.c., che, a differenza delle fattispecie delineate dal primo e dal secondo comma, non richiede la domanda della parte vittoriosa, né la prova del danno, esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, rispettivamente intese come consapevolezza dell’inammissibilità o dell’infondatezza della propria pretesa e come mancanza di quel minimo grado di diligenza che avrebbe agevolmente consentito l’acquisizione di tale consapevolezza, non essendo sufficiente l’irragionevolezza, anche manifesta, delle tesi prospettate.

Peraltro, sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione nel suo complesso, al punto che possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in quanto tale, come nel caso di pretestuosità della domanda per contrarietà al diritto vivente e alla giurisprudenza consolidata o per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione (cfr. Cass., Sez. Un., 20 aprile 2018, n. 9912; Cass. ord. 27 ottobre 2023, n. 29831).

Pertanto, la responsabilità di cui all’art. 96, comma 3, c.p.c. presuppone, sotto il profilo soggettivo, la concreta sussistenza della mala fede o della colpa grave della parte soccombente, giacché l’agire in giudizio non è di per sé condotta rimproverabile, anche quando la pretesa ivi dedotta si riveli infondata, con la conseguenza che deve attribuirsi a tale fattispecie carattere eccezionale o residuale, al pari del correlato istituto dell’abuso del processo, ponendosi una sua interpretazione lata o, addirittura, automaticamente collegata alla sconfitta processuale in evidente contrasto con i principi sanciti dall’art. 24 Cost. (cfr. Cass. ord. 12 luglio 2023, n. 19948). In tale prospettiva, non può revocarsi in dubbio che il abbia posto in essere una condotta processuale gravemente colposa, giacché, sebbene fosse perfettamente consapevole che il suo credito corrispondeva soltanto alla sesta parte della somma avesse avuto la possibilità di ottenerne l’integrale soddisfacimento, per aver ricevuto, in data 30 maggio 2018, tramite il suo difensore, dopo la restituzione dei vaglia postali di euro 6.000,00, l’invito a comunicare le coordinate bancarie al fine di consentire al Viene di provvedere al pagamento della dovuta somma di euro 6.790,56, con le note depositate per l’udienza del 3 novembre 2021, fissata dal giudice di primo grado proprio per favorire la composizione della controversia tra le parti, continuava a sostenere che il debitore non era intenzionato “a saldare per intero quanto dovuto quale sorta capitale” e, nel riportarsi al ricorso introduttivo, ove ne aveva eccepito l’incapienza a causa della costituzione del fondo patrimoniale del 29 maggio 2015, a chiedere, in manifesta mancanza dei necessari presupposti, la declaratoria di parziale inefficacia dell’atto impugnato, con la conseguenza che il Tribunale di Salerno ha legittimamente applicato il disposto dell’art. 96, comma 3, c.p.c..

Le spese del secondo grado di giudizio, in applicazione del principio della soccombenza, sancito dall’art. 91, comma 1, c.p.c., devono gravare sul e si liquidano, come da dispositivo, sulla base dello scaglione tabellare relativo alle controversie di valore compreso tra euro 5.201,00 ed euro 26.000,00, in ragione dell’entità del credito per il quale la domanda di revoca è stata reiterata in sede di gravame, ed in rapporto all’attività difensiva espletata dai coniugi in complessivi euro 3.000,00 per compenso, di cui euro 1.000,00 per la fase di studio, euro 900,00 per la fase introduttiva ed euro 1.100,00 per la fase decisionale, oltre rimborso forfettario del 15%, Cap ed Iva, a norma degli artt. 2 e segg. D.M. n. 55/2014 e del punto 12 dell’allegata tabella, con refusione in favore degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME quali procuratori distrattari degli appellati, ex art. 93, comma 1, c.p.c.. La manifesta infondatezza dell’appello, con il quale il ha perseverato nel promuovere l’irragionevole tesi dell’idoneità dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale del 29 maggio 2015 a ledere la propria pretesa creditoria per effetto dell’impossidenza o, comunque, dell’incapacità solutoria del Viene, nonostante costui avesse dimostrato di poterne garantirne il pieno soddisfacimento, costituendo espressione di uno strumentale e dilatorio esercizio del diritto all’impugnazione e, quindi, di un agire processuale gravemente colposo, non sorretto dal doveroso impiego di quella diligenza che gli avrebbe consentito di avvertire agevolmente l’ingiustizia del proprio gravame (cfr., ex plurimis, Cass., 26 marzo 2013, n. 7620; Cass. ord. 18 novembre 2014, n. 24546; Cass. 24 novembre ’ammontare complessivo delle spese di lite (cfr., ex ceteris, 2012, n. 21570; Cass. ord. 4 luglio 2019, n. 17902; Cass. ord. 20 novembre 2020, n. 26435).

Deve darsi atto, infine, che il rigetto dell’impugnazione integra, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115/2002, il presupposto processuale occorrente per il versamento, da parte dell’appellante, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, corrispondente a quello previsto per l’iscrizione a ruolo del giudizio, se dovuto (cfr. Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2020, n. 4315).

La Corte d’Appello di Salerno, definitivamente pronunciando sull’impugnazione proposta con atto di citazione notificato il 15 luglio 2022 avverso l’ordinanza emanata dal Tribunale di Salerno il 21/24 gennaio 2022, cron. n. 300, a norma dell’art.702 ter, comma 5, c.p.c., a conclusione del procedimento sommario di cognizione n. 2908/2018 RGC, così provvede:

1. rigetta l’appello;

2. condanna alla refusione, in favore degli avv.ti degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME quali procuratori distrattari di ex art. 93, comma 1, c.p.c.., delle spese del secondo grado del giudizio, che si liquidano in complessivi euro 3.000,00 per compenso difensivo, di cui euro 1.000,00 per la fase di studio, euro 900,00 per la fase introduttiva ed euro 1.100,00 per la fase decisionale, oltre rimborso forfettario del 15%, Cap ed Iva, a norma degli artt. 2 e segg. D.M. n. 55/2014 nonché del punto 12 dell’allegata tabella; 3. condanna , ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., al pagamento, in favore di della somma di euro 1.500,00; 4. dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115/2002 nei confronti di Così deciso in Salerno, nella Camera di Consiglio del 29 ottobre 2024.

Il Consigliere estensore Il Presidente dott. NOME COGNOME dott. NOME COGNOME

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