REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Bergamo, Sezione Quarta Civile, in persona del
Giudice Unico dott., ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 1619/2019 pubblicata il 10/07/2019
nella causa civile n. /2018 del Ruolo Generale promossa con atto di citazione ritualmente notificato e posta in decisione all’udienza del 16 aprile 2019
d a
XXX, YYY, ZZZ e KKK,
rappresentati e difesi dall’Avv.to, procuratore anche domiciliatario, giusta procura speciale alla lite allegata all’atto introduttivo del giudizio
ATTORI
contro
JJJ s.r.l., in
persona del legale rappresentante sig., rappresentata e difesa dall’Avv.to, procuratore anche domiciliatario, giusta procura speciale alla lite allegata alla comparsa di costituzione e di risposta
CONVENUTA
contro
QQQ, in persona del legale rappresentante sig., rappresentata e difesa dall’Avv.to, procuratore anche domiciliatario, giusta procura speciale alla lite in margine alla comparsa di costituzione e di risposta
CONVENUTA
In punto: vendita di cose immobili.
CONCLUSIONI
Degli attori
Come in foglio inviato per via telematica.
Della convenuta JJJ
Come in foglio inviato per via telematica.
Della convenuta QQQ
Come in comparsa di costituzione e di risposta.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato XXX, YYY, KKK e ZZZ convenivano in giudizio avanti l’intestato Tribunale la soc. JJJ s.r.l. nonchè la soc. QQQ.
Esponevano gli attori che in data 1 marzo 2015 la JJJ aveva venduto alla QQQ dei terreni siti in al prezzo di € 287.000,00=, notevolmente inferiore a quello di mercato, invece pari ad € 523.800,00=; che i soci erano stati tenuti all’oscuro della vendita, la quale, tra l’altro, era avvenuta, senza il consenso di tutti i membri del consiglio di amministrazione della società.
Chiedevano, pertanto, l’annullamento del contratto e il risarcimento del danno.
Costituendosi in giudizio la soc. JJJ. contestava in toto gli assunti avversari.
Osservava la convenuta che i soci, non parti del contratto, non erano legittimati ad esercitare l’azione di annullamento; che neppure era configurabile una nullità, vuoi per la presunta lesione dei diritti dei soci, vuoi per l’irrisorietà del prezzo; che la pretesa ad un risarcimento a favore proprio dei soci, per un danno – in tesi – subito dalla società, era altrettanto giuridicamente infondata.
Si opponevano, pertanto, all’accoglimento della domanda attrice, e chiedevano il risarcimento del danno da lite temeraria.
Analoghe difese venivano svolte dalla soc. QQQ
La causa non veniva istruita.
Precisate le conclusioni come in epigrafe riportate, all’udienza del 16 aprile 2019 passava in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda è infondata.
Gli attori chiedono l’annullamento del contratto, ma:
– a) il contratto può essere annullato soltanto per vizi della
volontà (errore, violenza, dolo) ovvero per incapacità naturale;
– b) l’azione di annullamento spetta unicamente al soggetto nel cui interesse è stabilita dalla legge (tranne i casi di annullabilità
assoluta).
Nel caso di specie:
– a) non è stato neppure allegato un motivo di annullamento. Invero gli attori lamentano soltanto che la vendita è avvenuta ad un
prezzo vile;
– b) gli attori sono soci e/o amministratori, non già parti del
contratto, e quindi difettano anche di legittimazione ad agire.
Solo per questo motivo la domanda deve essere respinta.
E devono essere respinte sia la domanda principale (di annullamento del contratto), sia la domanda accessoria (di risarcimento del danno), tanto più che l’ipotetico danno sarebbe stato cagionato alla società, non già ai soci (donde ulteriore loro carenza di
legittimazione attiva).
Per scrupolo si esaminerà la questione della nullità, quand’anche non vi sia alcuna domanda in tal senso.
La vendita a prezzo vile non comporta di per sé alcuna nullità.
Infatti, occorre distinguere tra prezzo “irrisorio” e prezzo “simbolico” (Cass. n. 9640/2013: “Solo l’indicazione di un prezzo assolutamente privo di valore, meramente apparente e simbolico, può determinare la nullità della vendita per difetto di uno dei suoi requisiti essenziali, mentre la pattuizione di un prezzo, notevolmente inferiore al valore di mercato della cosa venduta, ma non del tutto privo di valore, pone solo un problema concernente l’adeguatezza e la corrispettività delle prestazioni ed afferisce, quindi, all’interpretazione della volontà dei contraenti ed all’eventuale configurabilità di una causa diversa del contratto”; Cass. n. 9144/1993: “Il prezzo della compravendita deve ritenersi inesistente, con conseguente nullità del contratto per mancanza di un elemento essenziale (art. 1418, 1470 cod. civ.), non nell’ipotesi di pattuizione di prezzo tenue, vile ed irrisorio, ma quando risulti concordato un prezzo obbiettivamente non serio, o perché privo di valore reale e perciò meramente apparente e simbolico, o perché programmaticamente destinato nella comune intenzione delle parti a non essere pagato. La pattuizione di un prezzo notevolmente inferiore al valore di mercato della cosa compravenduta, ma non privo del tutto di valore intrinseco, può rivelare sotto il profilo dell’individuazione del reale intento negoziale delle parti e della effettiva configurazione ed operatività della causa del contratto, ma non può determinare la nullità del medesimo per la mancanza di un requisito essenziale. Del pari, non può incidere sulla validità del contratto la circostanza che il prezzo, pur in origine seriamente pattuito, non sia stato poi in concreto pagato”).
La vendita a prezzo vile, se del caso, ove ne ricorrano i presupposti, può dar luogo a rescissione per lesione. Ma, nella fattispecie concreta, in disparte al fatto che non è stata proposta una domanda di rescissione, sono gli stessi attori ad affermare che il prezzo pattuito è inferiore del 45 % rispetto a quello di mercato, e quindi non può esservi alcuna lesione ultra dimidium.
Tutti i profili “societari” illustrati dagli attori sono inconferenti, oltre che tardivi: semmai essi avrebbero dovuto esercitare un’azione di responsabilità contro gli amministratori, innanzi al competente Tribunale delle Imprese.
Altrettanto dicasi con riguardo al tema della prelazione, del tutto nuovo e oggetto di diversa controversia con il confinante.
Le spese di lite seguono la soccombenza e, per ciascuna parte convenuta, possono liquidarsi in complessivi € 7.251,00=, oltre a spese generali nella misura del 15 %, ad iva e cpa e alle successive occorrende.
Sussistono i presupposti della responsabilità aggravata per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. nei confronti della convenuta Invernizzi che l’ha invocata. Ciò per lo meno sotto il profilo della colpa grave, essendo stata intentata un’azione a dir poco “velleitaria”.
Equo appare il risarcimento nella misura di € 10.000,00=.
P . Q . M .
Il Tribunale, ogni diversa istanza eccezione e deduzione
disattesa, definitivamente pronunciando:
– respinge la domanda;
– condanna gli attori, in solido tra di loro, a rifondere alle convenute le spese di lite, liquidate, per ciascuna di esse parti, in complessivi € 7.251,00=, oltre a spese generali nella misura del 15 %, ad iva e cpa e alle successive occorrende;
– condanna gli attori, in solido tra di loro, a risarcire alla convenuta JJJ il danno da lite temeraria, quantificato in € 10.000,00=.
Così deciso in Bergamo il 10 luglio 2019.
IL GIUDICE
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?
Prenota un appuntamento.
La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.
Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.
Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.
Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.