R.G. n. 1672/21
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI FIRENZE Quarta Sezione Civile La Corte di appello di Firenze, Sezione Quarta Civile, in persona dei Magistrati:
Dott. NOME COGNOME Presidente relatore Dott.ssa NOME COGNOME Dott.ssa NOME COGNOME Consigliera ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._559_2025_- N._R.G._00001672_2021 DEL_22_03_2025 PUBBLICATA_IL_25_03_2025
nella causa civile di II° grado n. 1672/21 del Ruolo Generale, promossa da:
, codice fiscale , rappresentata e difesa dall’ avv. NOME COGNOME nel cui studio in Firenze, INDIRIZZO è elettivamente domiciliata giusto mandato in atti APPELLANTE contro , codice fiscale , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME presso il cui studio in Firenze, INDIRIZZO è elettivamente domiciliata giusto mandato in atti APPELLATA Causa trattenuta in decisione sulle seguenti conclusioni:
COGNOME:
C.F. C.F. “La Sig.ra si riporta alle eccezioni e deduzioni in atti e conclude affinché la Corte d’Appello di Firenze voglia respingere l’appello proposto dall’Arch. .
Con vittoria delle spese di lite”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di appello ritualmente notificato l’arch. ha impugnato la sentenza 21/07/21 n. 1999, con la quale il Tribunale di Firenze ha respinto la sua domanda di pagamento di compensi professionali, per le prestazioni effettuate nell’interesse della sig.ra e per l’effetto la condannava a rimborsarle le spese di lite.
Con l’atto introduttivo del giudizio ha allegato di aver eseguito – su incarico della – plurimi incarichi professionali nel periodo “dal 2012 sino al 2013”, consistenti in attività di “consulenza stilistica e direzione artistica” per lo “sviluppo di progetti riguardanti borse ed accessori per conto dell’azienda RAGIONE_SOCIALE”, nonché “gioielli ed accessori per conto della , di “assistenza commerciale nella definizione dei costi di progettazione e nella trattativa commerciale” con NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME di COGNOME e COGNOME di Roma ed infine di “assistenza stilistica nella ricerca di linee di tendenza e nel mercato mondiale del gioiello, effettuando un viaggio a Basilea in occasione della fiera mondiale del gioiello”. Per tali attività in data 3.9.2014 aveva rimesso una notula professionale ( doc. 1. ), indicando un compenso totale di € 11.500,00, oltre accessori, per complessivi € 14.591,20 , dettagliato nei seguenti termini :
€ 3.500 per l’attività correlata a RAGIONE_SOCIALE, € 4.500 per quella connessa alla € 1.000 relativamente all’azienda COGNOME, ed infine € 2.500 per la partecipazione alla fiera mondiale del gioiello a Basilea.
Sollecitava infruttuosamemte il pagamento – con raccomandata spedita in data 14/11/14 – e dunque adiva l’autorità giudiziaria, per ottenere la condanna della sig.ra a corrisponderle il dovuto pagamento.
La convenuta si costituiva in giudizio, allegando, da un lato, che erano “diventate amiche e, avendo la seri problemi economici le ha proposto di collaborare con lei”, ma, dall’altro, che le uniche attività svolte dall’attrice erano quelle di natura commerciale e contabile, nonché le trattative, per le quali le aveva già integralmente corrisposto quanto concordato;
dall’attrice, come evincibile dalla documentazione contabile, contrattuale e fiscale, che pure depositava in giudizio ( doc. 4 – ).
Per l’effetto, chiedeva la reiezione della domanda, con vittoria di spese.
Il Tribunale – con ordinanza del 17.12.2019 – ha rigettato le richieste di prova testimoniale, ritenendole “generiche, valutative e comunque inammissibili ed irrilevanti per la decisione”, con le quali l’arch. chiedeva di provare che la propria collaborazione con la sig.ra aveva anche natura artistica e stilistica;
analogamente , ha respinto anche le richieste formulate dall’appellata, con le quali si intendeva dimostrare che l’arch. aveva ricevuto i propri emolumenti direttamente dalla committenza. .
Il primo Giudice nulla ha disposto in relazione alla richiesta di esibizione delle fatture, emesse dalla per conto della formulata da quest’ultima.
Ha ammesso soltanto l’interrogatorio formale della sig.ra che, all’udienza del 15/07/20, ha negato di aver richiesto alla sig.ra prestazioni quali consulenze stilistiche e direzioni artistiche, affermando che essa si è limitata “ad intervenire in poche questioni di carattere contrattuale, relativamente alla fatturazione inerente la mia attività” , che le “prestazioni per me furono fatte a titolo amichevole.
Non fu pattuito nulla” ed infine che “non ricordo se ho corrisposto qualche volta a titolo amichevole regalie in denaro alla sig.ra A fronte delle conclusioni delle parti, che insistevano, ancorché genericamente, per l’ammissione delle prove testimoniali, il Tribunale ha respinto la domanda dell’arch. per non aver provato di aver ricevuto dalla convenuta incarichi di natura onerosa;
in particolare, il Tribunale ha rilevato la mancanza della “ prova scritta della commissione” , non risultando “anticipazioni di spese e/o acconti sul compenso” , ed avendo la “documentazione in atti” e le “stesse dichiarazioni rese dalla convenuta in sede di interrogatorio formale” fatto emergere “una partecipazione a titolo amichevole all’attività professionale svolta dalla sig.ra ( sentenza impugnata, pag. 2 ).
Per l’effetto, ha condannato l’attrice a rifondere le spese di lite alla convenuta, che ha liquidato in complessivi “€ 2.500,00 oltre spese generali ed accessori di legge se dovuti”.
L’arch. ha, dunque, impugnato la sentenza.
Col primo motivo di appello ha biasimato la motivazione del Tribunale per essere incorso in contraddizione, sottolineando che la stessa sig.ra a allegato di aver “appreso COGNOME” (sentenza impugnata, pag. 2 ) ;
per altro verso, facendo propria la tesi opposta, espressa dalla nell’interrogatorio formale, ha rilevato che la partecipazione dell’appellante alla sua attività era stata compiuta “a titolo amichevole” , dunque che mancava la prova del conferimento degli incarichi a titolo oneroso.
In realtà quest’ultima si sarebbe potuta ricavare a monte dalla stessa ammissione della sig.ra , per cui il Tribunale avrebbe dovuto accertare – a valle – se le prestazioni fossero state o meno effettuate, per poi liquidarle il compenso correlato.
Col secondo motivo di appello ha lamentato che il giudice di prime cure avrebbe omesso il dovuto apprezzamento delle circostanze di fatto emerse dalla documentazione prodotta in giudizio dalla stessa sig.ra con particolare riferimento alla corrispondenza rubricata col numero progressivo 3, dalla quale emergerebbe l’avvenuta accettazione degli incarichi ed il loro svolgimento da parte dell’arch. Ha quindi concluso come in epigrafe, non riproponendo la richiesta d’ammissione delle prove testimoniali dedotte in primo grado. Si è costituita in giudizio la sig.ra chiedendo la reiezione dell’appello perché, dal materiale probatorio in atti, non sarebbe risultata, in modo chiaro ed inequivoco, la sua volontà di avvalersi dell’opera dell’appellante e, comunque, che la partecipazione di quest’ultima alla sua attività era “a titolo amichevole”, e non si era concretizzata in consulenze stilistiche e direzioni artistiche.
Anch’essa non riproponeva le richieste di prove testimoniali e l’ordine di esibizione documentale dedotte in primo grado.
Le parti hanno precisato le rispettive conclusioni all’esito dell’udienza ex art. 127 ter c.p.c. e la causa è stata trattenuta in decisione alla scadenza del termine per il deposito delle memorie ex art. 190 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Osserva la Corte che i due motivi di appello possono essere esaminati congiuntamente, in quanto entrambi pongono l’accento sull’asserito carente apprezzamento delle allegazioni di parte e del materiale istruttorio ad opera del Tribunale di Firenze, in ordine all’esistenza del rapporto contrattuale e allo svolgimento delle prestazioni da parte dell’arch. Il primo Giudice ha fondato la propria decisione muovendo dall’assunto che “il professionista che chiede il pagamento della propria prestazione d’opera deve dimostrare che gli è prestazione d’opera deve dimostrare l’avvenuto conferimento del relativo incarico, in qualsiasi forma idonea a manifestare, chiaramente e inequivocabilmente, la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente.
Infatti l’obbligo di eseguire una prestazione d’opera professionale intellettuale scaturisce da un contratto (art. 2230 c.civ) che presuppone uno scambio di consensi tra committente e professionista…” .Tuttavia , a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale, deve ritenersi formata la prova dell’esistenza del rapporto contrattuale intercorso tra le parti, per una serie di ragioni emerse dall’attività istruttoria :
la sig.ra a riconosciuto di aver voluto aiutare l’arch. , in virtù del loro rapporto amicale e delle difficoltà economiche nelle quali quest’ultima versava (comparsa di risposta di primo grado, pag. 2 );
ha ammesso di averle “proposto di collaborare con lei” (idem );
ha precisato che la sig.ra aveva svolto nel suo interesse attività “di natura contabile e commerciale”, per le quali l’appellante aveva “già riscosso quanto aveva concordato” con lei, come “risulta inequivocabilmente dalla corrispondenza allegata” ( idem, pag. 3 );
ha aggiunto che costituivano “attività già compensate” “le ( sole !
)
trattative contrattuali instaurate con e NOME RAGIONE_SOCIALE e COGNOME”( idem );
con email del giorno 8/04/2013 NOME COGNOME definiva l’arch. sua “collaboratrice” (doc. 3 pag. 221 );
è dunque evidente che vi fosse tra le parti un accordo di massima, in forza del quale l’appellante avrebbe collaborato con l’appellata in materia contabile, commerciale e contrattuale nel periodo 2012-2013, con la prospettiva di riceverne un compenso.
Dalla corrispondenza prodotta dalla sig.ra doc. INDIRIZZO – si evince, infatti, che l’appellante ha effettuato per conto dell’appellata trattative precontrattuali con la (email del 26.03.12, 16.05.12, 31.05.12.
, 7.06.12, 8.06.12, 12.06.12, 28.10.12, 29.10.12, 30.10.12, 31.10.12, 2.11.12) e con la NOME RAGIONE_SOCIALE (email del 27.07.12, 28.11.12, 23.04.13.), ha inviato proposte di collaborazione alla gioielleria COGNOME (email 5.04.12, 10.04.12, 26.04.12 , pag. 12, 236, 237), ha svolto attività di rappresentanza nella fase esecutiva del rapporto con la (email 2.04.12, 5.04.12), di riscossione dei compensi per conto della sollecitando pagamenti, inviando le fatture della e fornendo chiarimenti nel 2012 (email 22.08.12 a , emettendo fatture a nome proprio, ma per conto dell’appellata, dal 2013 (doc. 3 pag. 118- 121, 222-223, 225) per effetto della cessazione al 31/12/12 della partita IVA di quest’ultima pattuito dalla nel contratto di lavoro subordinato del 3/04/13 con l’azienda RAGIONE_SOCIALE (email 8.04.13, 23.04.13) ( doc. 4 Non altrettanto può concludersi, invece, per le attività di consulenza stilistiche e le direzioni artistiche, in ordine alle quali non risulta adeguatamente dimostrata l’esistenza di un analogo accordo. Dall’ulteriore documentazione contrattuale, contabile, fiscale e dalla corrispondenza prodotta dalla sig.ra (doc. 4 – si trae, infatti, la prova che tutta l’attività artistica (individuazione delle tendenze, scelta e ideazione dei prodotti, dei materiali e dei modelli da proporre alla committenza) e la parte preponderante della correlata corrispondenza con la committenza, è stata eseguita dalla sola sig.ra D’altra parte, sono incontestati i pagamenti ricevuti dall’arch. a remunerarne l’attività svolta nell’interesse della sig.ra COGNOME ha ammesso, infatti, di aver percepito (e si assume non riversato alla compensi direttamente dalla committenza: a fronte delle richieste istruttorie della sig.ra tese a provare tali accrediti in favore della , quest’ultima ha dichiarato “di aver emesso soltanto n. 3 notule nei confronti delle aziende (…) per un complessivo importo di euro 2.300.
Tale importo, essendo stato corrisposto dalle predette aziende direttamente all’arch. non è oggetto del presente giudizio.
La somma di euro 14.591,20 richiesta alla sig.ra nel giudizio de quo, è infatti al netto della somma di euro 2.300 che l’arch. ha ricevuto direttamente dalle suddette aziende” (memoria n. ex art. 183, co. 6, cpc).
Contestualmente ha prodotto fatture emesse nell’interesse della , con appostati compensi di complessivi € 2.800, pari ad € 2.463,52 al netto di accessori, ritenute e acconti (fattura n. 1 del 15/04/2013 a RAGIONE_SOCIALE – legale rappresentante – di € 1.200, fattura n. 2 del 13/05/2013 a RAGIONE_SOCIALE di € 800 , fattura n. 3 del 4/06/2013 a RAGIONE_SOCIALE di € 800 ).
Dall’istruttoria svolta è altresì emerso che, in data 6 giugno 2013, le parti hanno concordato tanto la cessazione del loro rapporto, quanto il compenso dovuto a saldo (doc. 3 – pag. 1 ):
l’arch. ha lamentato la scarsa riconoscenza, l’atteggiamento pietistico e l’inaffidabilità della sig.ra otto il profilo economico, dichiarando che, a seguito di riflessione, aveva deciso di chiudere la collaborazione, di € 365,00”, inclusivo delle tasse da pagare, per il “tempo dedicato a tutto ciò”, riferendosi all’assistenza nei rapporti con ed NOME RAGIONE_SOCIALE contestualmente comunicando (e dipoi dando seguito al proposito, come da contabile di bonifico prodotto dalla sig.ra doc. 3, pag. 222-223, 226 ) di versarle per intero quanto ricevuto da RAGIONE_SOCIALE a seguito di una più recente fatturazione per conto della relativa a collaborazione stilistica di quest’ultima nel maggio 2013. Quest’ultima accettava la soluzione, ringraziando l’odierna appellante per il bonifico e “per tutto quello che hai fatto per me” ( doc. 3 pag. 1 ).
Dal tenore e dalla lettera dell’email inviata il 6 giugno 2013 dall’arch. si evince, quindi, che l’accordo aveva natura transattiva:
risulta, infatti, che le parti non erano in sintonia sull’andamento della collaborazione e che l’appellante si lamentava dello scarso riconoscimento in termini economici per il lavoro fatto, nonostante avesse contribuito a creare o fornire nuova linfa a proficui rapporti commerciali con la committenza.
Ciononostante, allo scopo di chiudere ogni rapporto, rinunciava di fatto a più lauti emolumenti e si accontentava degli importi percepiti.
Dal canto suo la sig.ra non si opponeva all’unilaterale decisione della controparte di trattenere quei compensi, fatturati dall’arch. ma a lei dovuti, come evincibile dalla corrispondenza intercorsa tra le parti e la nel periodo 24/02/13 – 26/03/13, ove l’appellante fa riferimento al lavoro “svolto” e ai concept per gioielli “studiati” dalla sig.ra nell’interesse della quale aveva fatturato a proprio nome ( doc. 3 pag. 105 – 121 ).
A fronte di tale circostanza, l’arch. non ha allegato, né fornito prova, dei motivi per i quali quell’accordo doveva considerarsi invalido o inefficace, limitandosi a sottolineare che non v’era dimostrazione del pagamento a suo favore (memoria n. 1 ex art. 183, co. 6, cpc).
In realtà dalla documentazione agli atti prodotta dalla sig.ra ritenuta dall’arch. idonea a provarne il diritto al compenso preteso di € 14.591,20=, emerge che la collaborazione con l’appellata ha fruttato all’appellante almeno la somma di € 2.463,52= Nessun accenno – nell’email del 6/06/13 – all’attività correlata alla gioielleria COGNOME di Roma, in relazione alla quale, del resto, la sig.ra si è limitata a trasmettere due collaborazione , che tuttavia non risulta aver avuto alcun seguito.
Un’attività scarna per la quale, dunque, la Corte non ritiene in ogni caso di poter liquidare alcun compenso, non avendo comportato una trattativa o un’attività contabile, ed essendo il valore di quell’ attività comunque contenuto nell’impegno creativo della sig.ra Tantomeno può essere remunerata la partecipazione alla fiera mondiale del gioiello a Basilea, rientrando tale attività nell’assistenza stilistica, per la quale vi è complessivamente la prova che la sig.ra non avesse bisogno, né fatto affidamento, sulla collaborazione dell’arch. ( doc. 4 – Pertanto, deve ritenersi che l’accordo del 6/06/13 abbia prodotto un effetto estintivo del rapporto tra le parti, determinando quanto effettivamente dovuto alla sig.ra. Per ciò solo l’appello dev’essere respinto.
Relativamente al quantum debeatur, la Corte ritiene che non vi sia la prova di un eventuale maggior compenso dovuto per la prestazione resa.
Invero, né l’appellante, né il contributo all’istruttoria fornito dall’appellata hanno fatto emergere sufficienti elementi per quantificare, neanche in via equitativa, un eventuale importo ulteriore dovuto a titolo di compenso, nell’ottica di proporzionarlo, come insegna l’orientamento nomofilattico, alla natura, quantità e qualità delle prestazioni effettuate, nonché al risultato utile conseguito dalla sig.ra Cass. Civ. 24/04/18 n. 10057).
Se è vero che sussiste la prova di trattative precontrattuali compiute dalla nell’interesse dell’appellata, è altrettanto vero che non è possibile ricostruire, se non con estrema incertezza ed approssimazione, quali fossero i contratti per la cui conclusione l’appellante ha collaborato e quale fosse il valore, cui rapportare un compenso, degli incarichi ricevuti dalla sig.ra Se ne conclude, quindi, che, in mancanza di elementi probatori indispensabili per procedere alla quantificazione del compenso, la domanda va in ogni caso respinta (Cass. Civ. 29/08/2003 n. 12681). IL REGIME DELLE SPESE Le spese di lite seguono la soccombenza:
in aderenza al DM 55/14, come modificato con D.M. 147/22, al valore della causa rientrante nello scaglione di valore tra € 5.200,01= ed € , in complessivi € 3.966 (di cui € 1.134 per la fase di studio, € 921 per la fase introduttiva, € 1.911 per la fase decisoria), oltre rimborso forfettario del 15%, CPA e IVA , per l’appellata.
Poiché il presente giudizio è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e l’impugnazione è stata respinta, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dell’appellante dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione.
la Corte di Appello di Firenze, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria domanda, eccezione, istanza e deduzione, così decide:
1) rigetta l’appello di e conferma la sentenza n. 1999 emessa il 21.07.2021 dal Tribunale di Firenze;
2) condanna a rifondere a le spese di lite, che liquida in € 3.966,00= a titolo di compenso professionale, oltre 15% rimborso spese forfettario, CPA e IVA, come per legge;
3) dà atto che, per effetto della odierna decisione, sussistono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 115/2002 per il versamento da parte appellante dell’ulteriore contributo unificato previsto dall’articolo stesso.
Così deciso in Firenze, nella camera di consiglio del 4 ottobre 2024 Il Presidente est. NOME COGNOME Nota La divulgazione del presente provvedimento, al di fuori dell’ambito strettamente processuale, è condizionata all’eliminazione di tutti i dati sensibili in esso contenuti ai sensi della normativa sulla privacy ex D. Lgs 30 giugno 2003 n. 196 e successive modificazioni e integrazioni.
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