REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
TRIBUNALE DI AREZZO
in composizione monocratica, in persona del giudice del lavoro, dott. , all’esito della trattazione scritta del presente giudizio, a seguito della lettura delle note scritte autorizzate
SENTENZA n. 166/2022 pubblicata il 03/08/2022
nella causa civile di I Grado iscritta al n. 368/2022 r.g. promossa da
XXX
RICORRENTE nei confronti di
INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, SEDE DI AREZZO (C.F.)
RESISTENTE
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da rispettivi scritti difensivi.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO
(art. 132 comma II n. 4 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., come novellati dalla l.69/09 del 18.6.2009)
Con ricorso depositato in data 1.6.2022, XXX propone ricorso in opposizione ex art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 e art. 6 del d. lgs. 1° settembre 2011, n. 150, avverso ordinanza ingiunzione (n. emessa il 20.4.2022 dall’INPS di Arezzo e notificata il 5.5.2022) irrogata dall’INPS, con la quale gli è stato intimato di pagare la sanzione amministrativa per omesso versamento delle ritenute previdenziali per le annualità ivi indicate, ai sensi dell’art. 2, c. 1 bis, della legge 11 novembre 1983, n. 638 assumendo l’illegittimità della medesima per una pluralità di profili di rito e di merito.
Si costituisce ritualmente l’Istituto resistente chiedendo la reiezione della pretesa ex adverso formulata, in quanto asseritamente infondata in fatto e in diritto.
Istruita in via esclusivamente documentale, la causa viene decisa nell’odierna camera di consiglio, previa trattazione scritta mediante scambio di note fra le parti.
Il ricorso è fondato e pare meritevole di accoglimento.
Appare doveroso, prima di procedere all’esame del caso de qua, ricostruire la natura giuridica del giudizio di opposizione a sanzioni amministrative e sul relativo riparto dell’onere probatorio.
L’oggetto di siffatto giudizio consiste non già e, comunque, non solo, nell’accertamento della legittimità dell’atto amministrativo impugnato, ma finanche della stessa pretesa sanzionatoria esercitata attraverso l’emissione del medesimo provvedimento, sulla base dei medesimi principi consolidatisi nella giurisprudenza di merito e di legittimità in ordine al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
In sostanza, il giudizio di opposizione a sanzione amministrativa si configura come un giudizio rivolto all’accertamento del fondamento della pretesa sanzionatoria ed il suo oggetto è delimitato, quanto alla posizione dell’opponente, dalla causa petendi fatta valere con l’opposizione e, quanto alla posizione della P.A., dal divieto di dedurre, a sostegno della propria pretesa, motivi diversi da quelli enunciati nell’ordinanza-ingiunzione (o, comunque, nel provvedimento sanzionatorio considerato equipollente), di modo che il giudizio in questione investe la legittimità formale e sostanziale di detto provvedimento, con l’esclusione del potere del giudice di rilevare d’ufficio, fuori dei limiti dell’oggetto dello stesso giudizio così delimitato, eccezioni relative a vizi del provvedimento o del procedimento che ne ha preceduto l’emanazione, salvo che essi incidano sull’esistenza dell’atto impugnato.
Sulla scorta di questa impostazione, si rileva che sull’amministrazione resistente, che viene a rivestire – dal punto di vista sostanziale – la posizione di ricorrente (ricoprendo, invece, sotto quello formale, il ruolo di parte resistenteopposta), incombe l’obbligo di fornire la prova adeguata della fondatezza della sua pretesa. All’opponente, al contrario, qualora abbia dedotto fatti specifici incidenti o sulla legittimità formale del procedimento amministrativo sanzionatorio espletato o sull’esclusione della sua responsabilità relativamente alla commissione dell’illecito, spetta provare le circostanze negative contrapposte a quelle allegate dall’amministrazione resistente (Cfr., ex pluribus, Cass. n. 3837/2001, n. 3837; Cass. n. 2363/2005; Cass. n. 5277/2007; Cass. n. 12231/2007; Cass. n. 27596/3008; Cass. S.U. n. 20930/2009; Cass. n. 5122/2011, Cass. n. 4898/2015).
In proposito è opportuno ribadire che mentre l’onere dell’allegazione è a carico dell’opponente, il quale deve indicare quali sono gli elementi della fattispecie carenti in fatto e/o in diritto, per quanto concerne l’onere della prova si applica la regola ordinaria sancita dall’art. 2697 c.c.
Tuttavia, a questo riguardo, assume rilevanza la riferita precisazione in base alla quale di fronte al giudice, una volta formulata l’opposizione, non si discute propriamente dell’atto ma della fattispecie produttiva dell’effetto, perchè nei limiti in cui la parte opponente abbia sollevato le relative contestazioni spetta alla P.A. dimostrare i fatti costitutivi ed all’opponente comprovare i fatti impeditivi, modificativi e/o estintivi dell’effetto giuridico del provvedimento sanzionatorio oggetto del giudizio.
Pertanto alla modificazione delle regole normali dell’allegazione non corrisponde una modificazione delle regole ordinarie in tema di onere probatorio: se l’opponente ha sollevato contestazioni sull’esistenza dei fatti costitutivi del suo obbligo, tali contestazioni non onerano l’opponente anche alla prova dell’inesistenza dei fatti costitutivi del suo obbligo; al contrario, la prova dell’esistenza dei fatti costitutivi dell’obbligo si pone a carico della P.A.: del resto il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, l’attuale comma 11 e art. 7, l’attuale comma 10 – così come prima la L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 11 – recitano:
“Il giudice accoglie l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente”.
Orbene, sulla scorta di tale sistematica premessa, consegue che alla P.A., nel predetto giudizio, incombe – ove costituiscano oggetto di contestazione ad opera del ritenuto trasgressore – sia l’assolvimento della prova relativa alla legittimità dell’accertamento presupposto dal provvedimento irrogativo della sanzione amministrativa sotto il profilo dell’osservanza degli adempimenti formali previsti dalla legge, sia quello della piena prova della legittimità del susseguente procedimento sanzionatorio fino al rituale compimento dell’atto finale che consente la valida conoscenza del provvedimento applicativo della sanzione alla parte che ne è destinataria (v. Cassazione civile sez. VI, Ord. n.1921 del 24.01.2019).
Questo giudicante, sulla scorta del predetto insegnamento giurisprudenziale, ritiene che non vi siano prove sufficienti in ordine alla responsabilità dell’opponente ai sensi dell’art. 6 co.11 del D.Lgs. 150/2011, in quanto l’INPS non ha dato prova della legittimità del procedimento sanzionatorio, evidentemente tardivo per violazione dell’art.14 L.689/1981, che impone, pena l’estinzione dell’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, alla P.A. di notificare gli estremi della violazione entro 90 giorni agli interessati ove residenti nel territorio dello Stato Italiano.
Difatti, posto che, in mancanza di trasmissione degli atti da parte della Procura della Repubblica, così come ammesso dall’Istituto resistente (, la potestà sanzionatoria era incontestatamente esercitabile dall’Istituto sin dal 6.2.2016, data di entrata in vigore della normativa di cui al D.Lgs. 8/2016, la quale ha previsto la depenalizzazione in illecito amministrativo della fattispecie criminosa concretantesi nell’omissione contributiva inferiore alla soglia di € 10.000,00.
Inoltre, è indubbia l’applicazione delle norme di cui alla L.689/1981 in relazione all’applicazione delle sanzioni amministrative derivanti dalla depenalizzazione delle fattispecie criminose prevista dal D.Lgs. 8/2016, per espressa previsione dell’art. 6 del D.Lgs. 8/2016, che recita quanto segue: «Nel procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dal presente decreto si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni delle sezioni I e II del capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689”. Sul punto, è inconferente la recentissima giurisprudenza del Tribunale di Ivrea citata e allegata da INPS, in quanto la stessa non pare non tener conto che è proprio l’art.6 D.Lgs. 8/2016 a legittimare l’applicazione dell’art. 14 D.Lgs. 689/1981»
Ciò premesso, occorre rilevare che l’INPS non ha dimostrato di aver rispettato il termine di cui all’art.14 L.689/1981, pacificamente decorrente dal 06.02.2016, in quanto l’atto di accertamento è stato notificato solo nel novembre 2017, ben oltre il termine prescritto dalla norma in parola, con conseguente estinzione dell’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione ai sensi dell’ultimo comma dell’art.14 cit.
In assenza di tempestiva notifica dell’atto di accertamento, avente la duplice valenza interruttiva sia del termine di decadenza di cui all’art. 14 L.689/1981 sia del termine prescrizionale di cui all’art. 28 L.689/1981, l’ordinanza ingiunzione deve essere annullata in quanto il diritto di riscuotere la sanzione amministrativa da parte dell’INPS si era già estinto, decorsi 90 giorni dal 06.02.2016, alla data di notifica dell’accertamento, avvenuta nel Giugno 2017.
Alla luce di quanto prospettato, il ricorso deve essere accolto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura dei valori minimi previsti dal D.M. 55/2014, cause previdenziali senza istruttoria, stante l’assenza di questioni giuridiche di particolare rilievo.
P.Q.M.
L’intestato Tribunale, definitivamente decidendo in ordine alla controversia in epigrafe:
1. ANNULLA Ordinanza Ingiunzione n. emessa il 20.4.2022 dall’INPS di Arezzo e notificata il 5.5.2022 e DICHIARA non dovute le somme in essa richieste;
2. CONDANNA l’INPS a rifondere a parte ricorrente i compensi professionali del presente giudizio, liquidati in € 1.775,00 oltre accessori di legge, IVA e C.P.A. e contributo unificato se dovuti.
Sentenza resa all’esito della trattazione scritta del presente giudizio, a seguito della lettura delle note scritte autorizzate.
Arezzo, 03/08/2022
Il giudice
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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