REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte D’Appello di Messina Sezione lavoro
La Corte di Appello Sezione Lavoro, composta dai Signori Magistrati:
a scioglimento della riserva assunta alla scadenza del termine per il deposito di note sino al 4 aprile 2023 fissato ex art 127 ter c.p.c. in sostituzione dell’udienza ha emesso la seguente
SENTENZA n. 329/2023 pubblicata il 03/05/2023
nella causa n. 322/2021 promossa da:
XXX
appellante
CONTRO
YYY società in liquidazione, in persona del Soggetto Liquidatore protempore, elettivamente domiciliata in COMUNE DI MESSINA, C.F., in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato presso la casa comunale in Messina, piazza Unione Europea n. 1, elettivamente in viale Boccetta n. 20, presso e nello studio dell’avvocato
appellati
OGGETTO: mansioni superiori
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
Con sentenza del 17 dicembre 2020 il Tribunale di Messina, pronunciando sul ricorso depositato da XXX – dipendente del Comune di Messina come autista di mezzi pesanti, con qualifica di impiegato di IV livello, poi inquadrato in categoria B, posizione economica B1 – rigettava la domanda volta ad ottenere il riconoscimento di mansioni superiori corrispondenti alla categoria C) del CCNL di riferimento durante il periodo di comando presso l’YYY S.p.a. dal febbraio 2005 al 31.12.2008 ed, in parziale accoglimento della riconvenzionale proposta da quest’ultima società, condannava il ricorrente alla restituzione di un prestito concessogli per l’importo di euro 950,00; – condannava altresì il ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore del Comune di Messina, nonché alla rifusione in ragione di metà delle spese in favore dell’YYY compensando tra le parti la restante quota.
Il decidente riteneva preliminare una ricognizione dell’inquadramento del lavoratore nell’ambito del Comune di Messina con cui aveva il rapporto organico rispetto all’azienda utilizzatrice con cui aveva avuto il rapporto di servizio.
Nel primo ambito, il lavoratore era in quadrato nella cat. B del C.c.n.l. enti locali corrispondente, secondo la pianta organica aziendale prodotta da parte ricorrente al IV livello – qualifica addetti vigilanza del C.c.n.l. servizi ambientali applicato dall’YYY. Il lavoratore, invece, chiedeva il riconoscimento della superiore categoria C del C.c.n.l. regionale che, in sede aziendale, corrispondeva ai livelli V – VI della pianta organica, ossia operatore di vigilanza.
Tanto premesso, riteneva che la prova testimoniale assunta con particolare riferimento all’audizione dell’ex amministratore delegato della società, ing. ***, aveva confermato lo svolgimento mansioni ulteriori rispetto a quelle di autista personale dell’amministratore delegato, consistenti nella sorveglianza dello svolgimento del servizio e del personale LSU. Era tuttavia emerso che, in relazione a tali attività, al ricorrente venivano impartiti degli ordini generali e di massima che si concludevano con una relazione ai superiori. Quando, invece, si trattava di lavori specializzati, il ricorrente si occupava della vigilanza sull’esecuzione materiale dell’opera, non entrando nel merito della progettazione, collaudo o verifica tecnica. La prova testimoniale aveva quindi confermato che le attività svolte dal ricorrente rientravano pienamente nella qualifica di IV livello con autonomia operativa connessa ad istruzioni generali non necessariamente dettagliate, non potendosi, invece, ravvisare nelle mansioni in concreto effettuate, quella “attività di elevato contenuto professionale tecniche/amministrative” propria del V livello.
Restava quindi assorbita – proseguiva il primo giudice – la questione di natura pregiudiziale sollevata dal Comune di Messina con riferimento al difetto di titolarità del rapporto.
In ordine alla domanda riconvenzionale, rilevava preliminarmente l’infondatezza dell’eccezione di improcedibilità per mancato tentativo di conciliazione stante l’instaurazione del procedimento prima dell’entrata in vigore della legge 183/2010 e la riferibilità dell’art. 410 c.p.c., nella versione antecedente alla riforma, solo a chi aveva introdotto la causa e dunque all’attore e non anche al convenuto. Richiamava precedente del tribunale di Ivrea del 22.12.2004 secondo cui, peraltro, l’esperimento obbligatorio del tentativo di conciliazione, sarebbe risultato incompatibile con le preclusioni previste dall’art. 416 c.p.c. per la costituzione del convenuto.
Quanto al merito della domanda, riteneva convincente elemento di prova la lettera del 04.01.2008, non disconosciuta dalle parti, a firma del dipendente con cui lo stesso, premesso di essere debitore della somma di euro 1.000, chiedeva di essere ammesso alla restituzione rateale tramite trattenuta mensile di euro 100,00. Tale dichiarazione assumeva valore di riconoscimento del debito e pertanto il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare in giudizio l’esistenza di un fatto estintivo o dell’adempimento dell’obbligazione. Dalla busta paga n. 6/2008, non si evinceva, alcuna trattenuta sullo stipendio mensile mentre con riferimento all’eccezione relativa all’accordo sulla compensazione con i buoni pasto, il capitolo di prova articolato nella memoria integrativa non era ammissibile, stante la generica indicazione di tale patto, non avendo il ricorrente specificato se si trattava di buoni pasto maturati in precedenza e non goduti, ovvero di buoni pasto successivi al presunto accordo; non risultavano neppure dedotti i presupposti per il diritto alla corresponsione dell’indennità richiesta, né a monte, a titolo contrattuale, né dal punto di vista temporale – fattuale considerato che dalla valutazione dei documenti prodotti, l’orario di lavoro si svolgeva nelle ore anti meridiane.
Avverso detta pronuncia proponeva appello, con atto del 20 maggio 2021, il lavoratore cui si costituivano entrambe le controparti; il Comune di Messina insisteva nel proprio difetto di legittimazione passiva mentre l’YYY spa nel rigetto del gravame; indi, assegnato termine ex art 127ter c.p.c., in sostituzione dell’udienza, fino al 4 aprile 2023 per note di trattazione scritta, alla scadenza la causa è stata posta in decisione
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con un primo motivo l’appellante lamenta che il Tribunale, pur avendo accertato lo svolgimento delle mansioni descritte in ricorso, abbia errato nel ritenerle ascrivibili alla qualifica di appartenenza.
Assume che la declaratoria dell’area di appartenenza del CCNL mal si attaglierebbe alle attività svolta in concreto e che il primo giudice avrebbe compiuto una forzatura spostando la sua analisi sulla comparazione dei livelli di un’altra area del contratto collettivo e cioè quella tecnica e amministrativa. Nel lavoro pubblico l’indagine giudiziale resterebbe limitata all’accertamento oggettivo della riconducibilità, sulla base delle previsioni collettive, delle nuove e vecchie mansioni alla medesima area di inquadramento. Il giudicante per il solo fatto di aver fatto riferimento all’Area Tecnico e Amministrativa, invece che all’Area Conduzione avrebbe già implicitamente ammesso l’impossibilità di ricondurre le nuove mansioni alla medesima area di inquadramento e quindi, avrebbe ammesso l’illegittimità dello jus variandi dell’azienda. Ma anche a voler aderire al presupposto di equivalenza delle mansioni utilizzato dal primo giudice, si sarebbe dovuti comunque giungere ad un risultato diverso nel procedere alla comparazione tra il IV ed il V livello della nuova area tecnico-amministrativa presa a riferimento. I tratti distintivi tra le due declaratorie risiederebbero nel fatto che i lavoratori del IV livello sarebbero impiegati “d’ordine”, mentre quelli del V livello di “concetto”. E non avrebbe potuto esservi dubbio sulla natura non d’ordine delle mansioni assegnate, dovendo esso appellante scegliere come svolgere i suoi compiti, avendo egli il coordinamento e la responsabilità di una determinata attività. Il fatto invece che il lavoro sia stato svolto nell’ambito di istruzioni o direttive datoriali, non avrebbe potuto costituire l’unica differenza tra le due declaratorie poiché anche nei livelli apicali della struttura datoriale, dovrebbero rispettarsi delle direttive generali e di massima. Un’attività come la “vigilanza” sull’esecuzione materiale dell’opera presupporrebbe una certa autonomia di valutazione, come anche il “coordinamento” non compatibile con un’attività di mera esecuzione del lavoro propria degli impiegati d’ordine.
Con altra doglianza censura la sentenza per aver rigettato l’eccezione d’improcedibilità della domanda riconvenzionale. Richiamandosi ad una pronuncia del Tribunale di Milano del 10.03.2005 n 903/05 evidenzia che dal punto di vista della formulazione della norma, l’art. 410 cpc farebbe riferimento a chiunque ritenga di proporre in giudizio una domanda (e non proporre un ricorso), quindi indipendentemente dalla veste rivestita di attore, convenuto, terzo chiamato.
Il Giudice a quo non avrebbe comunque preso in considerazione la questione preliminare sollevata da questa difesa circa il difetto di legittimazione passiva del lavoratore, per le domande avanzate dall’YYY, di restituzione di alcune prestazioni economiche; la particolare natura dell’istituto del comando operante nella vicenda de qua, avrebbe dovuto indurre l’YYY a far valere l’azione nei confronti del Comune di Messina, essendo esso l’ente pagatore; sarebbe stata poi facoltà di quest’ultimo esperire l’azione di rivalsa nei confronti del lavoratore.
Contesta altresì anche l’accoglimento nel merito della domanda di rimborso di un prestito. Assume che la dazione di una somma come anticipazione di un proprio credito retributivo risulterebbe dalla lettera dell’ATO del 15.09.2006, pertanto vi sarebbe stato già un principio di prova dell’esistenza di un proprio credito retributivo. Ad ogni modo egli avrebbe articolato un capitolato di prova sul punto nella memoria integrativa nonché esperito richiesta riconvenzionale, di liquidazione dei buoni pasto mai percepiti, eccezione a differenza di quanto sostenuto da controparte, da ritenersi ammissibile, perché effettuata nei termini di legge.
Impugna infine la statuizione di condanna alle spese in considerazione dell’erroneo rigetto delle domande; in ogni caso deduce l’erroneità della condanna nei confronti del Comune di Messina stante la responsabilità dell’YYY nell’assegnare il lavoratore a mansioni superiori e l’avvenuta chiamata in causa del Comune di Messina solo per esigenza di completamento del contraddittorio in considerazione della complessa vicenda caratterizzante l’istituto del comando.
Tali le critiche alla sentenza, l’appello si presenta solo in parte fondato e va pertanto accolto nei limiti di seguito specificati.
È ius receptum nella giurisprudenza di legittimità che “in tema di pubblico impiego privatizzato, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, assegna rilievo solo al criterio dell’equivalenza formale delle mansioni, con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che il giudice possa sindacare la natura equivalente della mansione, non potendosi avere riguardo alla norma generale di cui all’art. 2103 c.c. (cfr. ex plurimis Cass., n. 18817 del 2018).
Condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, evidentemente ritenendosi che il riferimento all’aspetto, necessariamente soggettivo, del concetto di professionalità acquisita, mal si concili con le esigenze di certezza, di corrispondenza tra mansioni e posto in organico, alla stregua dello schematismo che ancora connota e caratterizza il rapporto di lavoro pubblico (cfr. Cass. n. 11835 del 2009).
Di tali principi di diritto, il tribunale ha fatto corretta applicazione poiché ha proceduto al raffronto in astratto tra declaratorie contrattuali. La questione nodale piuttosto da affrontare concerne l’individuazione del Ccnl cui fare riferimento per la formulazione del giudizio di equivalenza: se, come in sostanza fatto dal primo giudice, il C.C.N.L. servizi ambientali applicato presso l’YYY e dunque presso l’ente distaccatario, caratterizzato da declaratorie suddivise per area di attività ed all’interno di ciascuna in plurimi livelli, ovvero al C.C.N.L. enti locali in vigore presso l’ente distaccante, imperniato su una classificazione del personale articolata in 4 categoria dall’A alla D.
Per la risoluzione del quesito occorre considerare che, se è vero che il comando è finalizzato al perseguimento dell’interesse dell’amministrazione presso cui il dipendente comandato va a prestare servizio, è vero altresì che il dipendente comandato presso altra amministrazione non acquisisce un nuovo rapporto di impiego né modifica quello originario, restando sottoposto alla pregressa regolamentazione giuridica dell’ente di provenienza. In sostanza l’unica variante della prestazione di fatto del servizio a favore di una amministrazione diversa, è che quest’ultima si sostituisce al datore di lavoro, esclusivamente nell’esercizio dei poteri di supremazia gerarchica. La verifica di corrispondenza delle mansioni espletate che, per giurisprudenza unitaria, deve riguardare il triplice accertamento di corrispondenza delle mansioni esercitate rispetto a quelle di provenienza e rispetto a quelle rivendicate, non può che riguardare i profili professionali del medesimo contratto collettivo, nessuna parametrazione potendo essere operata fra le mansioni comprese nel C.C.N.L. applicato al rapporto lavorativo in oggetto e quelle inserite in una diversa contrattazione del tutto inapplicabile al lavoratore, benché in condizione di comando. Anche nel caso in cui le mansioni espletate non appaiono assimilabili a quelle comprese nella contrattazione applicata dal datore di lavoro, il ricorso alla normativa contrattuale può essere fatto per analogia.
Così nel caso di specie la comparazione va effettuata tra la categoria B in cui risulta inquadro il Cavallo e la categoria C immediatamente superiore a nulla ostando l’indicazione da parte dell’interessato di C.C.N.L. diversa, pur se recepita in sentenza, essendo esclusiva prerogativa dell’organo decidente accertare la normativa, anche contrattuale, applicabile nella fattispecie.
Resta conseguentemente travolta la doglianza relativa all’asserita comparazione tra aree professionali non omogenee perché propria di una classificazione, come già detto, non utilizzabile nella fattispecie. Ciò posto è da escludersi che le mansioni rivendicate e provate dei testi (controllo sull’esecuzione dei compiti affidati al personale LSU e controllo sulla presenza die mezzi nel parco macchina con sottoposizione degli stessi a manutenzione periodica quale cambio gomme) possano ritenersi superiori rispetto a quelle di pertinenza, comprese nella categoria B del C.C.N.L. enti locali, cui appartengono i lavoratori che svolgono attività caratterizzate da: – buone conoscenze specialistiche (la base teorica di conoscenze è acquisibile con la scuola dell’obbligo generalmente accompagnato da corsi di formazione specialistici) ed un grado di esperienza discreto;
-contenuto di tipo operativo corresponsabilità di risultati parziali rispetto a più ampi processi produttivi/amministrativi;
-discreta complessità dei problemi da affrontare discreta ampiezza delle soluzioni possibili:
-relazioni organizzative interne di tipo semplice anche tra più soggetti interagenti, relazioni esterne (con altre istituzioni) di tipo indiretto e formale.
Si tratta, invero, di mansioni che pur implicando apprezzabili margini di autonomia operativa rivestono un contenuto prettamente esecutivo richiedenti competenze di tipo generale (non specialistico) e comportanti problematiche di tipo semplice e dalle quali esulano responsabilità di risultato ed approfondita conoscenze monospecialistiche tipiche della categoria C.
Parimenti non meritevole di accogliento è la doglianza relativa al contestato rigetto dell’eccezione di improcedibilità della domanda riconvenzionale.
A prescindere dall’applicabilità o meno del tentativo obbligatorio di conciliazione alla riconvenzionale, occorre considerare che l’improcedibilità ex art 412 bis cpc è sui generis, essendo rilevabile solo anteriormente alla discussione della causa in primo grado, con la conseguenza che ove l’improcedibilità dell’azione, anche se segnalata dalla parte, non venga rilevata dal giudice entro il suddetto termine, la questione non può essere riproposta nei successivi gradi di giudizio (cfr. Cass n. 21797/2009).
Destituito altresì di fondamento è il rilievo relativo al difetto di legittimazione passiva del lavoratore con riguardo alla domanda di restituzione azionata dall’Ato poiché, venendo in rilievo il rimborso di un prestito, contraddittore della pretesa non può che essere il beneficiario della dazione cioè il soggetto debitore, a nulla rilevando i rapporti interni intercorrenti tra l’amministrazione di provenienza e l’amministrazione comandataria in relazione all’obbligo retributivo.
La doglianza, poi, sul mancato accertamento del prestito in termini di anticipazione di un credito retributivo, prima ancora che infondata, si appalesa inammissibile poiché non si confronta con la ratio decidendi trasfusa in sentenza.
Il primo giudice ha esposto le ragioni per cui ha escluso un principio di prova su tale anticipazione (lettera ricognitiva del debito datata 4 gennaio 2008) ed ha ritenuto di non ammettere la chiesta prova testimoniale (genericità del relativo capitolato) e su ambedue le motivazioni l’appellante non ha preso posizione, astenendosi dal contrapporre argomentazioni di segno contrario atte a confutarne il fondamento logico giuridico.
La richiesta, invece, di liquidazione dei buoni pasto, fondandosi su un’autonoma causa petendi, non dipendente dalla riconvenzionale azionata dall’Ato, resta sottratta alla cognizione giudiziale, trattandosi di domanda nuova e, dunque, inammissibile.
Considerazioni diverse valgono, infine, per la statuizione di condanna alle spese in favore del Comune poiché, sebbene l’istituto del comando comporti il mantenimento del rapporto d’impiego con l’amministrazione di provenienza, il che giustifica l’estensione del contraddittorio, è innegabile che legittimato ad interloquire sull’assegnazione delle mansioni sia fondamentalmente l’ente comandatario, titolare del rapporto di servizio, per cui, proprio in considerazione della posizione di sostanziale passività della amministrazione comunale, sussistono gravi ed eccezionali ragioni per compensare nei suoi confronti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Alla soccombenza del Cavallo verso l’Ato segue invece la condanna dello stesso alle spese del presente grado liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie parzialmente l’appello e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, che per il resto conferma, dichiara compensate le spese di primo grado tra XXX ed il Comune di Messina.
Pone a carico dell’appellante le spese del presente grado nei confronti dell’YYY spa che liquida in complessivi euro 3966 oltre Iva Cpa e rimborso spese generali.
Messina 2.5.2023
Il Consigliere rel. Il Presidente
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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