REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI SALERNO PRIMA SEZIONE CIVILE
SENTENZA N._966_2024_- N._R.G._00000790_2021 DEL_06_11_2024 PUBBLICATA_IL_07_11_2024
LA CORTE DI APPELLO di Salerno
in persona dei Magistrati Dott NOME COGNOME Presidente Rel Dott. NOME COGNOME Consigliere Dott. NOME COGNOME Nella causa civile iscritta al n 790/21 vertente TRA :
elettivamente domiciliata presso Avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende per procura in calce alla citazione in appello.
APPELLANTE :
elettivamente domiciliato presso il proprio studio in Salerno, rappresentata e difesa da se stessa e dall’Avv. A. COGNOME per procura in calce alla comparsa di costituzione in appello APPELLATO
Avente ad oggetto : Appello a Sent. n. 2564/21 del Tribunale di Salerno
Viste le conclusioni ed a seguito della scadenza dei termini di legge ha atto di citazione ritualmente notificato in data 12.10.2021 proponeva appello a sentenza n. 2564/21 emessa dal Tribunale di Salerno in data 16.08.2021, notificata in data 14.09.21, con la quale il primo giudice accoglieva la opposizione a decreto ingiuntivo n. 2807/16 che revocava e condannava essa appellante al pagamento di € 7.434,00 oltre rimborso spese generali, iva e cassa;
rigettava la domanda riconvenzionale con regolamentazione delle spese di lite.
Al primo motivo lamentava il vizio di ultrapetizione della sentenza sostanziato nella condanna a suo carico in virtu’ di un ricalcolo e di una riformulazione operata dal giudice di prime cure , di compensi a favore dell’Avv. non sollecitati e nè chiesti da quest’ultima nelle sue conclusioni di cui ai propri scritti difensivi, nemmeno in via riconvenzionale e/o subordinata, atteso che la appellata chiedeva nelle sue conclusioni, solo e soltanto il rigetto dell’opposizione al d.i. e la conferma del monitorio n. 2807/2016 del Tribunale di Salerno.
Al secondo motivo lamentava la erronea motivazione della sentenza e del relativo dispositivo, fondati esclusivamente sull’interpretazione e applicazione erronea di un pronunciato della Corte di Cassazione civ ( sent. n. 10984 del 26/04/2021) Al terzo motivo lamentava l’omesso svolgimento del tentativo di mediazione obbligatoria.
Al quarto motivo contestava il rigetto della domanda riconvenzionale.
Concludeva per la riforma della sentenza con riconoscimento delle spese di lite del doppio grado.
Si costituiva la parte appellata la quale contestava il contenuto dell’ appello di cui chiedeva il rigetto.
A seguito della udienza del 9.05.2024, tenuta con modalità di trattazione scritta, in cui venivano precisate le conclusioni la Corte, con del 6.06.2024 assegnava la causa a sentenza con i termini di cui all’art. 190 cpc. Alla scadenza dei termini la Corte nella camera di consiglio del 24.10.2024 decideva la controversia.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo non è fondato.
Come correttamente argomentato dal primo giudice il giudizio di opposizione rappresenta uno sviluppo, anche se meramente eventuale, della fase monitoria, e devolve al giudice il completo esame del rapporto giuridico controverso,
con la conseguenza che oggetto di tale giudizio è la fondatezza della pretesa azionata dal creditore fin dal ricorso.
L’opponente riveste solo formalmente il ruolo di attore, mentre, in concreto, è convenuto rispetto alla pretesa azionata dalla sua controparte sin dal momento della presentazione del ricorso.
E dunque l’esame devoluto al giudice della opposizione involge la disamina nel merito della domanda formulata in sede monitoria, con rigetto della opposizione e conferma del decreto ingiuntivo, se la stessa risulti integralmente fondata, ed invece con accoglimento della opposizione e revoca del decreto ingiuntivo, con rideterminazione del dovuto nel caso in cui la domanda originaria non si rilevi integralmente fondata.
Il secondo motivo non è fondato.
Il primo giudice in sentenza ha precisato che l’opponente debitrice non ha contestato il conferimento dell’incarico e l’espletamento dell’attività difensiva allegata dal difensore creditore opposto, sicché lo stesso – unitamente alla natura ed all’entità delle prestazioni – possono ritenersi provate.
Oggetto di contestazione è, invece, la quantificazione del compenso.
Nel caso che ci occupa è intervenuta la revoca del mandato in data 29.10.15, sicché è da questo momento che può considerarsi esaurita la prestazione;
la liquidazione dei compensi deve essere regolata, dunque, dal d.m. 55/2014, come modificato dal d.m. 37/2018, atteso che esso – alla data di revoca del mandato – era già in vigore (la data di entrata in vigore è, infatti, il 03.04.2014).
Va, a questo punto, stabilito il valore della causa sulla scorta del quale il compenso deve essere liquidato.
A tal fine, deve aversi riguardo alle conclusioni articolate dall’attrice nell’atto di citazione che introduceva il giudizio in relazione al quale l’avv. richiede il pagamento dei compensi:
ivi si legge che l’attrice richiedeva la condanna di solido con l risarcimento dei danni tutti, patrimoniali e non patrimoniali, patiti dall’istante così come prudenzialmente indicati in essa e come saranno accertati e determinati in corso di causa, anche a mezzo CTU che sin d’ora si chiede disporsi, oltre rivalutazione del danno secondi i dati ISTAT, ed interessi legali sulla somma rivalutata, il tutto nell’ambito della competenza del giudice adito…” Orbene, dall’esame del corpo della citazione si ricava che (cfr. par. 10) i danni patrimoniali e non vengono “.. prudenzialmente quantificati sulla scorta della CTP del dott. in € 44.140,00 per danno biologico, oltre aumento per personalizzazione, danno morale soggettivo, € 12.240,00 per ITT, € 4080,00 per ITP al 50%, € 2040,00 per ITT al 25%, € 553,62 per spese di CTP (…), € 1450,27 per spese mediche, “..
oltre danno specifico quale danno futuro da lucro cessante da inabilità permanente da accertarsi e determinarsi in corso di causa…”.
A tal proposito richiama l’insegnamento della Suprema Corte, secondo la liquidazione delle spese di lite a carico della parte la cui domanda di pagamento di somme o di risarcimento del danno sia stata rigettata, il valore della causa, che va determinato in base al “disputatum”, deve essere considerato indeterminabile quando, pur essendo stata richiesta la condanna di controparte al pagamento di una somma specifica, vi si aggiunga l’espressione “o di quella maggiore o minore che si riterrà di giustizia” o espressioni equivalenti, poiché, ai sensi dell’art. 1367 c.c., applicabile anche in materia di interpretazione degli atti processuali di parte, non può ritenersi, “a priori” che tale espressione sia solo una clausola di stile senza effetti, dovendosi, al contrario, presumere che in tal modo l’attore abbia voluto indicare solo un valore orientativo della pretesa, rimettendone al successivo accertamento giudiziale la quantificazione” (cfr. Cassazione civile, sez. I, 26/04/2021, n. 10984). Nel caso di specie l’utilizzo ripetuto di siffatte locuzioni vale ad attrarre lo scaglione del valore di lite nella fascia cosiddetta indeterminabile di media complessità – non sussistendo né essendo dedotti ragioni per l’applicazione dello scaglio di valore di bassa complessità.
L’appellante valorizza per contro altra parte della sentenza della SC citata nella quale si legge che altro è il caso in cui, proposta la domanda di pagamento di una somma determinata, seguìta dalla predetta formula di apertura, il giudizio si concluda con la condanna al pagamento di una somma individuata dal giudice:
in tal caso, applicandosi l’art. 5 d.m. cit., l’onorario sarà commisurato all’importo liquidato, che è senz’altro determinato (criterio del decisum).
Allo stato, e rileggendo l’atto iniziale del procedimento incardinato e redatto dall’Avv. a favore della , si nota come la somma che l’attrice intende chiedere ai convenuti, è ben determinata e ottenuta dal calcolo della perizia del proprio CTP dr. , e fissata , non essendo ancora concluso il giudizio pendente innanzi al Tribunale di Salerno avente n. di r.g. 2057/2012 e oggetto il risarcimento dei danni proposto da contro , in solido con incardinato questo dall’Avv. a mezzo di procura a lei rilasciata dalla , e fino al 2015 epoca della sua revoca, non è dato ancora conoscere l’importo del decisum, parametro questo utile per il calcolo delle competenze professionali a favore dell’avv. Ha chiesto quindi che la Corte disponesse la sospensione del giudizio ex art 295 cpc. Orbene premesso che a seguito della revoca del mandato il difensore ha diritto alla liquidazione del compenso per l’attività svolta sino a tale revoca, il che esclude ogni ipotesi di sospensione del giudizio, va precisato che proprio nella decisione della SRAGIONE_SOCIALE. dal giudice citata e richiamata dall’appellante, si legge che quando l’attore non abbia affatto operato nell’atto di citazione una individuazione certa del danno richiesto, ma abbia solo indicato un valore orientativo, però rimesso alla successiva indagine ed accertamento giudiziale, il quale sia del tutto mancato in ragione del rigetto della domanda o, addirittura, della conclusione in rito del giudizio, allora la causa resta indeterminabile, ai fini della liquidazione dell’onorario predetto. Inoltre, le tariffe applicabili nella specie, di cui al d.m. n. 140 del 2012, espressamente parificano, ai fini della liquidazione degli onorari di avvocato, lo «scaglione di valore indeterminato o indeterminabile».
Sicchè, premesso che la liquidazione dell’onorario del difensore per le attività svolte sino alla revoca del mandato non può che essere commisurata al disputandum va condivisa la decisione del Tribunale che ha applicato il valore indeterminabile.
difatti nel corpo della citazione relativa alla causa introdotta dall’Avv. per il risarcimento dei danni patiti da si legge che la richiesta riguarda i danni patrimoniali e non che vengono “..
prudenzialmente quantificati sulla scorta della CTP del dott. 44.140,00 per danno biologico, oltre aumento per personalizzazione, danno morale soggettivo, € 12.240,00 per ITT, € 4080,00 per ITP al 50%, € 2040,00 per ITT al 25%, € 553,62 per spese di CTP (…), € 1450,27 per spese mediche, “..
oltre danno specifico quale danno futuro da lucro cessante da inabilità permanente da accertarsi e determinarsi in corso di causa…”.
Non vi è dubbio alcuno che la somma richiesta non è, come dedotto dall’appellante, ben determinata e ottenuta dal calcolo della perizia del proprio CTP dr. , e fissata nella somma di € 64.000,00, ma è quella risultante dalla valutazione, necessariamente rimessa al giudice, dei danni patrimoniali e non (commisurati prudenzialmente sulla CTP allegata), oltre danno specifico quale danno futuro da lucro cessante da inabilità permanente da accertarsi e determinarsi in corso di causa.
Il terzo motivo non è fondato.
Il giudice di primo grado nel disattendere la eccezione di improcedibilità della domanda ha richiamato la ordinanza del 10.05.2017.
In detta ordinanza il giudice aveva rigettato la eccezione sul presupposto che l’oggetto del giudizio era sottratto sia all’istituto della mediazione obbligatoria che della negoziazione assistita.
Il motivo di appello non confuta le ragioni a sostegno della decisione (non applicabilità al caso di specie della mediazione obbligatoria) ma richiama il principio della S.C. a SS.UU. che risolve il contrasto interpretativo circa l’onere della instaurazione della procedura di mediazione a carico della parte opposta (che ovviamente si applica, emerge anche dal testo della richiamata decisione, alle controversie soggette a mediazione obbligatoria).
Il quarto motivo non è fondato.
Il primo giudice ha rilevato che la responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone (cfr. Cassazione civile, sez. III, 28/05/2021, n. 15032). Orbene, a difettare, nel caso di specie, è la prova del nesso di causalità tra il preteso inadempimento (contestazione delle conclusioni del CTU) e la mancata liquidazione del danno maggiore cui la parte aspirava;
invero, la parte si è limitata a lamentare l’omessa contestazione, da parte del legale, delle risultanze della ctu, ma non ha precisato le ragioni per le quali doveva considerarsi sussistente un’alta probabilità di accoglimento di eventuali note critiche.
Peraltro, con provvedimento del Giudice, che concedeva la richiesta provvisionale, con ordinanza del 4.2.16, era espressamente disattesa l’istanza di rinnovazione della CTU, “apparendo la relazione tecnica redatta dal nominato CTU esaustiva ed adeguatamente motivata”.
La deduzione svolta dall’appellante solo in questa sede relativamente alla ordinanza emessa in data 11.01.2020, dallo stesso giudice che precedentemente aveva rigettato la richiesta di rinnovazione, con la quale è stata disposta nuova consulenza in ragione delle risultanze Inail In primo luogo va osservato, come dedotto anche dalla parte appellata, che in primo grado la in sede di precisazione delle conclusioni non ha insistito nella domanda riconvenzionale originariamente formulata sicchè la stessa dovrebbe essere ritenuta abbandonata. In secondo luogo, ad integrazione della corretta motivazione del primo giudice, la circostanza che l’Avv. non avesse richiesto la rinnovazione della CTU non ha determinato alcun evidente riflesso negativo sulla procedura, né invero alcun danno, come argomentato dalla stessa appellante la quale a sostegno della sua doglianza afferma “se non fosse intervenuta, successivamente alla mancata contestazione della ctu da parte dell’avv la revoca della procura a lei rilasciata, ci sarebbe stato un certo e sicuro un danno economico in capo alla oggi appellante”. Pertanto l’appello va rigettato con condanna alle spese di lite a carico dell’appellante.
Sussistono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 115/2002, per il versamento a carico dell’appellante dell’ulteriore contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1- bis d.P.R. 115/2002.
PQM
Definitivamente pronunziando in merito sull’appello proposto, con atto di citazione notificato in data 12.10.2021, da sentenza n. 2564/21 emessa dal Tribunale di Salerno in data 16.08.2021, notificata in data 14.09.21così provvede:
Rigetta l’appello.
Conferma la gravata sentenza.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese di lite del grado che liquida in € 3.000,00 oltre rimborso forfettario spese generali, Iva e cpa.
i presupposti di cui all’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 115/2002, per il versamento a carico dell’appellante dell’ulteriore contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1- bis d.P.R. 115/2002.
Salerno 24.10.2024
Il Presidente Est Dott.ssa NOME COGNOME
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