R.G. 23329/2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO QUARTA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._63_2025_- N._R.G._00023329_2022 DEL_06_01_2025 PUBBLICATA_IL_06_01_2025
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 23329/2022 promossa da:
(C.F. , con il patrocinio dell’avv. e COGNOME NOME COGNOME ( ) INDIRIZZO 95123 CATANIA;
, elettivamente domiciliato in presso il difensore avv. COGNOME contro (C.F. ), in proprio, nonché assieme ad (C.F. ), quali esercenti la potestà genitoriale di (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. COGNOME e COGNOME ( ) INDIRIZZO 24121 BERGAMO;
elettivamente domiciliato in INDIRIZZO 24121 BERGAMO presso il difensore avv. COGNOME CONVENUTO
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da note scritte depositate in sostituzione dell’udienza ex art. 127 – ter c.p.c. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione ha convenuto in giudizio in proprio e, assieme ad , quale genitore esercente la responsabilità genitoriale e legale rappresentanza della figlia minore per sentir accogliere le seguenti conclusioni:
IN INDIRIZZO
– previ gli accertamenti del caso in ordine all’inadempimento contrattuale posto in essere dall’acquirente, dichiarare la risoluzione della vendita a favore di terzi stipulata in data 22.06.21 a rogito del Notaio dott.ssa con atto n.290 di repertorio e n.188 di raccolta, trascritto all’Agenzia del Territorio di Bergamo il 06.07.21 ai nn.39827/27702;
C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. – conseguentemente, condannare il signor , nato a Bergamo il 12.10.1967 (C.F. ), domiciliato ai fini dell’atto di compravendita in Segrate, INDIRIZZO INDIRIZZO in proprio e quale esercente la patria potestà con la signora , nata a Campi Salentina (LE) il 03.08.1970 (C.F. ), sulla figlia minore e/o la signora se divenuta maggiorenne, attualmente intestataria degli immobili in questione, a restituire al gli immobili siti in COMUNE DI GANDELLINO (BG), Catasto Fabbricati, foglio INDIRIZZO, INDIRIZZO: mappale CODICE_FISCALE subalterno 702, Piano T, categoria A/3, classe 3, consistenza vani 5, Superficie catastale mq.79, RC Euro 284,05;
ii. mappale CODICE_FISCALE subalterno 703, Piani T-1, categoria A/3, classe 3, consistenza vani 5, Superficie catastale mq.88, RC Euro 284,05, iii.
mappale CODICE_FISCALE subalterno 704, Piano T-2, categoria A/3, classe 3, consistenza vani 4,5, Superficie catastale mq.87, RC Euro 255,65;
iv. mappale 3322 subalterno 701, pianto T, bene non censibile.
– ordinare, inoltre, al Direttore dell’Agenzia del Territorio della Provincia di Bergamo di eseguire ogni trascrizione ed annotazione conseguente, liberando parte attrice da qualunque responsabilità al riguardo;
IN INDIRIZZO
– ferma la dichiarazione di risoluzione della vendita a favore di terzi stipulata in data 22.06.21 a rogito del Notaio dott.ssa con atto n.290 di repertorio e n.188 di raccolta, trascritto all’Agenzia del Territorio di Bergamo il 06.07.21 ai nn.39827/27702, nella denegata ipotesi in cui nelle more del giudizio intervenga la dichiarazione della signora di voler profittare del contratto ovvero gli immobili di Gandellino (BG), come sopra meglio identificati, vengano alienati a terzi, condannare il signor a restituire al padre il valore degli stessi. Si sono costituiti con comparsa di risposta del 5 ottobre 2022 instando per accertare e dichiarare l’infondatezza di ogni e qualsivoglia domanda attorea e, per l’effetto, rigettarle tutte.
Il precedente assegnatario del ruolo ha concesso i termini ex art. 183 comma sesto c.p.c. e rinviato la causa per la discussione delle eventuali istanze istruttorie all’udienza del 19 aprile 2023.
Con successiva ordinanza ha ritenuto opportuno disporre la comparizione personale delle parti per tentarne la conciliazione fissando la relativa udienza del 9 novembre 2023.
Riassegnato definitivamente il fascicolo al presente magistrato, e svolta l’udienza di cui sopra senza esiti, ha ritenuto l’intrinseca inammissibilità delle istanze istruttorie dedotte dell’attore ex art. 210 c.p.c. atteso il regime giuridico di cui all’art. 2732 c.c. e rinviato la causa all’udienza del 13 giugno 2024 per la precisazione delle conclusioni.
Le parti hanno precisato le conclusioni come da note scritte depositate telematicamente ex art. 127 – ter c.p.c. La domanda di risoluzione del contratto è manifestamente infondata e va respinta.
L’unica quaestio facti che si pone all’attenzione del Tribunale concerne l’intervenuto pagamento o meno del prezzo della compravendita immobiliare conclusa inter partes il 22 giugno 2021.
Fatto che integrerebbe la prestazione dovuta dal compratore quale oggetto dell’obbligazione nascente dalla compravendita il cui inadempimento costituirebbe una grave lesione all’interesse creditorio ex art. 1455 c.c. come tale legittimante la domanda di risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c..
E’ noto come il creditore che agisca per la risoluzione del contratto debba provare il titolo (contratto ed esigibilità dell’altrui prestazione) mentre po’ limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento vertendo sul C.F. debitore l’onere di dimostrare l’intervenuto adempimento o altri fatti estintivi, modificativi o impeditivi del rapporto ex art. 2697 comma secondo c.c..
Purtuttavia, le regole sull’onere della prova sono regole residuali di giudizio in conseguenza delle quali la mancanza, in seno alle risultanze istruttorie, di elementi idonei all’accertamento della sussistenza del diritto in contestazione determina la soccombenza della parte onerata della dimostrazione dei relativi fatti costitutivi, ovvero impeditivi, modificativi o estintivi.
Esse lasciano fermo il principio di acquisizione probatoria, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute (e quale che sia la parte ad iniziativa della quale sono state raggiunte), concorrono, tutte ed indistintamente, alla formazione del libero convincimento del giudice, senza che la relativa provenienza possa condizionare tale convincimento in un senso o nell’altro (infra Cass. L, Ord. 28 agosto 2024, n. 23286; Cass. 16 giugno 1998, n. 5980; 16 giugno 2000, n. 8195; 7 agosto 2002, n. 11911; 21 marzo 2003, n. 4126).
Le regole sull’onere probatorio trovano perciò applicazione solo in presenza di fatto rilevante rimasto ignoto sulla base delle risultanze istruttorie (Cass. III, 13 aprile 2023, n. 9863).
Coordinate ermeneutiche che trovano diretta applicazione nella fattispecie introdotta dall’attore in quanto l’atto pubblico prodotto (doc. 1 fasc. ATTORE) reca seco:
la prova del titolo;
la prova del fatto estintivo dell’obbligazione ovvero la quietanza di pagamento del prezzo con la sua analitica descrizione.
Trattasi di un atto pubblico che fa fidefacenza sia della provenienza che delle dichiarazioni espresse dal venditore, oggi attore, rispetto al suo estrinseco.
Si riportano gli stralci di atto su cui si appunta, sin dalla comparsa di costituzione, la difesa dei convenuti (infra doc. 1 fasc. ATTORE).
Tale assetto negoziale e ricognitivo osta a qualsiasi offerta di prova di segno inverso da parte dell’attore che ebbe ad introdurlo nel processo.
La quietanza costituisce atto unilaterale di riconoscimento del pagamento ed integra, tra le parti, confessione stragiudiziale – proveniente dal creditore e rivolta al debitore-che fa piena prova della corresponsione di una specifica somma di denaro per un determinato titolo.
L’esistenza del fatto estintivo (pagamento) da essa attestato può essere contestata soltanto mediante la prova degli stessi fatti (errore di fatto o violenza) richiesti dall’art. 2732 c.c. per privare di efficacia la confessione, essendo irrilevanti il dolo e la simulazione.
In senso tecnico, peraltro, non dovrebbe discorrersi di “simulazione” della quietanza in quanto dichiarazione di scienza ( e non negozio volontaristico) quanto piuttosto di esistenza di un patto aggiunto e contrario alla clausola di pagamento del prezzo.
Ne segue che non è ammissibile la prova testimoniale o per presunzioni diretta a dimostrare la simulazione assoluta della quietanza, che dell’avvenuto pagamento costituisce documentazione scritta, ostandovi l’art. 2726 c.c., il quale, estendendo al pagamento il divieto, sancito dall’art. 2722 dello stesso codice, di provare con testimoni patti aggiunti o contrari al contenuto del documento contrattuale, esclude che con tale mezzo istruttorio possa dimostrarsi l’esistenza di un accordo simulatorio concluso allo specifico fine di negare l’esistenza giuridica della quietanza, nei confronti della quale esso si configura come uno di quei patti, anteriori o contestuali al documento, vietati in virtù del combinato disposto dei citati artt. 2722 e 2726 c.c. (Cass. n. 3921 del 22/02/2006; Cass. n. 26325 del 31.10.2008). L’indicazione del venditore, contenuta nell’atto notarile di compravendita, che il “pagamento del prezzo complessivo è avvenuto contestualmente alla firma del presente atto” non è coperto da fede privilegiata ex art. 2700 c.c., ma ha natura confessoria, con la conseguenza che il quietanziante non è ammesso alla prova contraria per testi o per presunzioni, salvo che dimostri, in applicazione analogica dell’art. 2732 c.c., che il rilascio della quietanza è avvenuto per errore di fatto o per violenza o salvo che se ne deduca la simulazione; quest’ultima nel rapporto tra le parti deve essere provata mediante contro dichiarazione scritta (infra Cass. II, Ord. 29 settembre 2020, n. 20520).
La difesa attorea non ha impugnato la confessione stragiudiziale prestata nell’atto per errore o violenza sicchè l’offerta di prova di cui alla seconda memoria ex ar.t 183 comma sesto c.p.c. non poteva che ritenersi inammissibile.
A corredo finale di tale impianto giuridico non appare peregrino – quantomeno ai fini della stimmate di cui all’art. 96 comma terzo c.p.c. – richiamare l’asserto ( e la giurisprudenza) della difesa convenuta circa la capacità estintiva della consegna degli assegni come indicati analiticamente nell’atto di compravendita.
L’assegno bancario ha natura di mezzo di pagamento, onde la sua consegna dal debitore al creditore, in assenza di diverse specificazioni contenute negli accordi intervenuti tra i predetti soggetti, fa presumere l’intervenuta estinzione dell’obbligazione di pagamento di una somma determinata.
Il creditore, che ha ricevuto l’assegno, è onerato di procedere alla sua presentazione per ottenere l’accredito della somma in esso indicata, trattandosi di comportamento rientrante nel suo generale dovere di collaborare per assicurare l’adempimento dell’obbligazione.
Ove tale collaborazione non venga assicurata dal creditore in assenza di giusta causa si realizza comunque l’effetto estintivo dell’obbligazione stessa, in base al combinato disposto degli artt.1175 e 1197 c.c. Né il creditore che sia rimasto inerte senza motivo è legittimato ad invocare in proprio favore la clausola del “salvo buon fine”, posto che essa attiene all’esistenza della provvista sul rapporto tra emittente e istituto di credito o alla validità ed efficacia di quest’ultimo, e quindi trova la sua giustificazione causale nel predetto rapporto di provvista e riguarda, in ultima analisi, il comportamento del debitore. Ove quest’ultimo abbia agito correttamente, consegnando al proprio creditore un assegno bancario coperto, tratto su un rapporto di provvista valido ed efficace, del quale l’emittente aveva pieno diritto di disporre, il buon fine dell’assegno non può essere lecitamente impedito dalla condotta inerte e non collaborativa del creditore, alla quale non corrisponda alcun valido motivo (infra Cass. II, 17 dicembre 2019, n. 33428).
In definitiva “In base alla regola di correttezza posta dall’art.1175 c.c. l’obbligazione del debitore si estingue a seguito della mancata tempestiva presentazione all’incasso dell’assegno bancario da parte del creditore, che in tal modo, viene meno al suo dovere di cooperare in modo leale e fattivo all’adempimento del debitore.
Se il creditore omette, violando la predetta regola di correttezza, di compiere gli adempimenti necessari affinché il titolo sia pagato, nei termini di legge, dalla banca trattaria (o da altro istituto bancario), tale comportamento omissivo dev’essere equiparato a tutti gli effetti di legge all’avvenuta esecuzione della diversa prestazione, con conseguente estinzione dell’obbligazione ex art.1197 c.c.” (Cass. III, 24 maggio 2007, n.12079).
L’attore afferma di aver ricevuto anche gli assegni con una dichiarazione contra se contenuta in un atto pubblico sicchè il contenuto inveridico della stessa non poteva che essere “attaccato” allegato l’errore in cui era incorso o la violenza, anche morale, che avrebbe subito nel rilasciarla.
Tanto basta per rigettare la domanda di risoluzione.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in € 7.616,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, I.V.A., se dovuta, e C.P.A. La natura e il merito delle difese interposte dall’attore conducono questo giudice a ritenere che la domanda sia stata pretestuosa e, pertanto, abusiva.
Questo giudizio viene espresso non tanto con riferimento alla posizione dei convenuti ma, soprattutto, rispetto all’insieme del sistema giurisdizionale che ha dovuto distrarre risorse- di per sé assai limitate- per la trattazione di una controversia inesistente.
Lo stesso attore ha prodotto la prova civilistica dell’estinzione dell’obbligazione;
prova costituita da una confessione stragiudiziale raccolta da un pubblico ufficiale e che non è stato oggetto di alcuna impugnativa negoziale.
Tale condanna è volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonché interessi della parte vittoriosa ed a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall’art. 88 c.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso della “potestas agendi” con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per sé legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte. Ne consegue che la condanna, al pagamento della somma equitativamente determinata, non richiede né la domanda di parte né la prova del danno, essendo tuttavia necessario l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza- da ultimo Cass. SS.UU. 13 settembre 2018, n. 22405).
La norma in discorso, infatti, istituisce una ipotesi di condanna di natura sanzionatoria e officiosa prevista per l’offesa arrecata alla giurisdizione (Corte Cost., sentenza 23 giugno 2016 n. 152; Cass. III, 29 settembre 2016, n. 19285).
L’importanza di tale strumento processuale in chiave deterrente è stata ribadita dal legislatore (d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149.- applicabile ratione temporis ai soli processi instaurati dal 1à marzo 2023) con l’inserimento del quarto comma all’articolo in discorso prescrittivo di una condanna ad una vera e propria sanzione pubblicistica:
“Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000”.
Nel disporre che il soccombente può essere condannato a pagare alla controparte una “somma equitativamente determinata”, non fissa alcun limite quantitativo per la condanna alle spese della parte soccombente, sicché il giudice, nel rispetto del criterio equitativo e del principio di ragionevolezza, può quantificare detta somma sulla base dell’importo delle spese processuali (o di un loro multiplo) o anche del valore della controversia (infra VI-III Ord. 18 marzo 2022; n. 8943 del 18/03/2022 (Cass. III, Ordi. 20 novembre 2020, n. 26435) avrebbe dovuto astenersi dal promuovere e coltivare l’odierna azione e, pertanto, va condannata al pagamento di un’ulteriore somma equitativamente determinata nell’ammontare della metà dei compensi liquidati al difensore di controparte ovvero € 3.808,00.
il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni domanda o eccezione avversa rigetta la domanda proposta da condanna alla rifusione delle spese processuali sostenute da in proprio e, assieme ad , nella citata qualità genitoriale, che si liquidano in € 7.616,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, I.V.A., se dovuta e C.P.A.;
condanna al pagamento della somma equitativamente determinata di € 3.808,00 in favore di in proprio e, assieme ad , nella citata qualità genitoriale, per le ragioni esposte in motivazione.
Milano, 6 gennaio 2025 Il Giudice NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?
Prenota un appuntamento.
La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.
Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.
Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.
Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.