REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale Ordinario di Cosenza
Sezione Lavoro
Il Giudice del Lavoro, Dott.ssa, ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 1313/2022 pubblicata il 16/09/2022
nella causa iscritta al n. 3275/2020 R.G. TRA
XXX rappresentata e difesa dall’avv.
Ricorrente
E
YYY, rappresentata e difesa dagli avv.ti;
Resistente
OGGETTO: Differenze retributive.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato in data 27.08.2020, la sig.ra XXX conveniva in giudizio la dott.ssa YYY affinché venisse condannata a corrispondere la somma di € 6.840,09 (ovvero la somma maggiore o minore accertata in corso di causa) a titolo di differenze sulla retribuzione ordinaria, lavoro straordinario, 13^ e 14^ mensilità, ferie, festività e permessi non goduti, TFR oltre interessi e rivalutazione monetaria, con ulteriore condanna della convenuta al pagamento delle spese e competenze del giudizio da distrarsi.
Esponeva in punto di fatto:
– Di aver lavorato alle dipendenze della dott.ssa YYY dal 05.12.2016 al 18.05.2017 come assistente alla poltrona;
– Di aver concretamente svolto le mansioni di assistenza alla poltrona, disinfezione degli attrezzi e delle poltrone, annotazione degli appuntamenti, ricevimento della clientela;
– Di aver lavorato dal lunedì al venerdì, dalle 9,30 alle 18,30;
– Di aver percepito una retribuzione di € 400,00 mensili;
– Di non aver percepito la retribuzione ordinaria prevista dal CCNL di settore in relazione alla quantità e qualità di lavoro prestato;
– Di non aver percepito la 13^ né la 14^ mensilità;
– Di non aver goduto di ferie, festività e permessi;
– Di non aver ricevuto retribuzione per il lavoro straordinario prestato;
– Di non aver percepito il TFR maturato;
– Di non aver ricevuto le buste paga per il periodo di tempo in cui ha svolto l’attività lavorativa;
– Di aver ricevuto dalla YYY, a definizione di una vertenza instaurata in sede stragiudiziale, la somma di € 1.368,42 quale acconto sulle spettanze dovute.
In data 04.12.2020, si costituiva in giudizio la convenuta, eccependo, in via pregiudiziale, l’inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato inter partes, e, nel merito, l’infondatezza del ricorso proposto, concludendo per il suo rigetto. Eccepiva, in via subordinata, di aver corrisposto alla ricorrente la somma di € 240,00 oltre a quella corrisposta per effetto della transazione stragiudiziale intercorsa fra le parti e pari ad € 1.368,42, concludendo – dunque – per la riduzione della pretesa avanzata da parte ricorrente. Spiegava, infine, eccezione riconvenzionale di compensazione in considerazione della sentenza n. 49/2019 con la quale il giudice di pace di San Giovanni in Fiore aveva
condannato la ricorrente a corrispondere alla YYY la somma pari ad € 2.025,00, chiedendo – dunque – la riduzione della pretesa avanzata dalla ricorrente.
Nel corso del giudizio venivano escussi i testimoni delle parti, nonché disposta CTU contabile.
All’udienza del 14.09.2022 – celebrata con le modalità di cui all’art. 221, co. 4 del D.L. n. 34 del 2020 convertito in L.
n. 77 del 2020 – le parti, con note depositate telematicamente hanno insistito nelle conclusioni rese.
Il procedimento è stato quindi definito con sentenza.
Il ricorso dev’essere accolto nei limiti di cui in motivazione.
Parte ricorrente fonda le sue pretese retributive sul presupposto della sussistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata instauratosi con la resistente nel periodo compreso fra il 05.12.2016 ed il 18.05.2017. In particolare, la ricorrente afferma di aver prestato attività di assistente alla poltrona.
La resistente, di contro, nega la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, pur ammettendo che la ricorrente “occasionalmente” ha prestato la propria attività lavorativa limitata alla sola pulizia di alcuni strumenti di lavoro. Pertanto, la resistente contesta sia la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso, sia le modalità di svolgimento (sotto il profilo della quantità e della qualità) dedotte in ricorso e poste a fondamento della domanda di condanna alla corresponsione delle differenze retributive.
Tanto rilevato, poiché il merito della vicenda investe la nota questione degli elementi caratterizzanti un rapporto di lavoro subordinato, è opportuno richiamare alcuni ormai consolidati orientamenti giurisprudenziali rilevanti ai fini della soluzione della controversia sottoposta all’attenzione del giudicante.
Elemento distintivo del rapporto di lavoro subordinato è il vincolo della subordinazione, che si sostanzia nell’assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro; subordinazione da intendersi come vincolo di natura personale che assoggetta il prestatore ad un potere datoriale che si manifesta in direttive inerenti, di volta in volta, alle modalità di svolgimento delle mansioni e che si traduce in una limitazione dell’autonomia del lavoratore (cfr., tra le tante, Cass. n. 18660/2005; Cass. n. 20669/2004; Cass. n. 20002/2004; Cass. n. 15275/2004).
Pochi dubbi si pongono allorquando la relazione di supremazia, che produce l’assoggettamento, si concreta nell’emanazione di ordini specifici, nell’esercizio di una assidua e costante attività di vigilanza e controllo nell’esecuzione delle prestazioni, nello stabile e continuativo inserimento nell’organizzazione produttiva dell’impresa.
Constatato, però, che qualsiasi attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che autonomo (Cass. n. 7171/2003; Cass. n. 14664/2001; Cass. n. 4036/2000; Cass. n. 14284/1999) – quanto meno nel senso che la natura dell’attività svolta dal lavoratore deve indurre il giudice a ritenere la sussistenza della subordinazione non già in relazione all’oggetto della prestazione lavorativa, bensì in relazione agli elementi tipici della subordinazione (così precisa Cass. n. 6570/2000) – quando risulti difficile l’accertamento diretto del tratto essenziale del lavoro subordinato come sopra delineato, vuoi per la peculiarità delle mansioni svolte, vuoi per il concreto atteggiarsi del rapporto, può farsi ricorso ad elementi di carattere sussidiario e funzione indiziaria, che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi probatori della natura subordinata del rapporto (ad es. la continuità e l’esclusività della prestazione, il carattere periodico e la misura fissa della retribuzione, l’obbligo di rispettare un orario di lavoro predeterminato e l’incidenza del rischio).
Occorre, inoltre, premettere, sul piano propriamente processuale, che, secondo i principi generali in materia di ripartizione degli oneri probatori, l’art. 2697 c.c. stabilisce che spetta a chi chieda accertarsi la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato allegare e provare elementi, come sopra delineati, idonei a configurare un simile rapporto oltre che la quantità e qualità di lavoro prestato, fatti costitutivi del diritto di credito avente ad oggetto emolumenti retributivi.
Così sinteticamente tracciate le coordinate di riferimento, ritiene il giudicante come – nel caso di specie – parte ricorrente ha dato dimostrazione del rapporto di lavoro a carattere subordinato intercorso con la resistente nel periodo compreso fra il 05.12.2016 ed il 18.05.2017.
I testi escussi (di parte ricorrente) hanno confermato la circostanza secondo cui – nel periodo per cui è causa – la XXX abbia svolto attività lavorativa alle dipendenze della resistente. In particolare, i testi hanno affermato di aver accompagnato la ricorrente (sprovvista di patente di guida) sul posto di lavoro (dalle 8,30 alle 9,30), per poi andare a riprenderla a fine giornata lavorativa (alle 18,30 di sera). Il teste *** ha precisato che la XXX “lavorava tutti i giorni” svolgendo le mansioni di “assistente alla dentista, prendendo le telefonate”. Ciò, peraltro, trova conferma nelle dichiarazioni rese dalla teste ***, la quale ha precisato di essersi recata presso lo studio dentistico della dott.ssa YYY nel Dicembre 2016 e di aver trovato la ricorrente con gli indumenti da lavoro (“camice, mascherina e guanti”). Il teste ***, inoltre, ha dichiarato che la ricorrente, per lo svolgimento dell’attività lavorativa, percepiva la complessiva somma di “€ 400,00 al mese”.
Anche il teste *** (di parte resistente) – sebbene non abbia confermato lo svolgimento dell’attività lavorativa per come dedotta da parte ricorrente – ha comunque precisato di conoscere la ricorrente in quanto “la vedevo allo studio, mi accoglieva, mi offriva il caffè […] mi apriva la porta ed era all’ingresso nella sala d’attesa”.
L’istruzione probatoria espletata, dunque, consente di ritenere dimostrati gli indici sintomatici della subordinazione, quali la continuità e l’esclusività della prestazione svolta dalla ricorrente nei confronti della resistente, il carattere periodico e la misura fissa della retribuzione, nonché l’obbligo della ricorrente di rispettare un orario di lavoro predeterminato, e, quindi, di ritenere provato il rapporto di lavoro inter partes nel periodo compreso fra il 05.12.2016 al 17.05.2017, nonché la qualifica di assistente alla poltrona svolta dalla ricorrente inquadrabile nel rispettivo livello del CCNL di settore.
Ciò precisato, parte ricorrente lamenta il mancato pagamento di quanto dovuto a titolo di differenze retributive per lavoro ordinario, straordinario, ferie, festività e permessi, 13^ e 14^ mensilità e TFR.
Orbene – con riferimento alla mancata retribuzione del lavoro ordinario – si premette come i principi generali elaborati dalla giurisprudenza civilistica di legittimità in materia di azione di adempimento trovano applicazione anche in quella particolare species di essa, consistente nella domanda di adempimento dell’obbligazione retributiva nell’ambito del rapporto di lavoro. Invero, va ricordato che – secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione – il lavoratore che assuma l’inadempimento o l’inesatto adempimento del datore di lavoro in ordine all’obbligo di pagamento della retribuzione contrattuale (o comunque di spettanze retributive connesse al rapporto di lavoro), ha l’onere di provare l’esistenza e la durata del rapporto di lavoro, nonché le mansioni espletate ed il relativo livello retributivo e che – provati i fatti costitutivi del suo diritto – non deve dare la prova del mancato ricevimento di quanto rivendicato, spettando invece al datore di lavoro l’onere di dimostrare l’avvenuto corretto adempimento o gli altri fatti estintivi, modificati o impeditivi di volta in volta allegati. Invero, la giurisprudenza di legittimità precisa come “l’onere di provare rigorosamente i relativi pagamenti eseguiti in riferimento ai singoli crediti vantati dal lavoratore e della cui sussistenza sia stata acquisita la dimostrazione” (Cass. Ord. n. 115/2020; Cass. n. 4512/19982; Cass. n. 1484/1986).
Ciò premesso si osserva come risulta provato – per le motivazioni suindicate – il rapporto di lavoro intercorso fra le parti nel periodo compreso fra il dicembre 2016 ed il maggio 2017.
Di contro, il datore di lavoro, non ha fornito alcuna prova della corresponsione della retribuzione ordinaria nei confronti della ricorrente, né di quanto ad essa spettante a titolo di 13^ e 14^ mensilità oltreché a titolo di T.F.R. Dunque, in considerazione del mancato assolvimento dell’onere probatorio posto in capo al datore di lavoro, i crediti per lo svolgimento dell’attività lavorativa ordinaria – ivi compresa la 13^ e 14^ mensilità nonché il TFR – sono dovuti.
Per ciò che concerne il lavoro straordinario, si osserva come il lavoratore che chiede in via giudiziale il compenso per il lavoro supplementare e/o lo straordinario svolto, ha l’onere di dimostrare di aver lavorato oltre l’orario normale di lavoro senza che l’assenza di tale prova possa essere supplita dalla valutazione equitativa del giudice utilizzabile solo in riferimento alla quantificazione del compenso (cfr. Cass., Sez. Lav., n. 4076/2018; Cass., Sez. Lav., n. 2144/2005).
A tal proposito, la Suprema Corte ha reiteratamente affermato che “sul lavoratore che chieda in via giudiziale il compenso per lavoro straordinario grava un onere probatorio rigoroso, che esige il preliminare adempimento dell’onere di una specifica allegazione del fatto costitutivo, senza che, al mancato assolvimento di entrambi possa supplire una valutazione equitativa del giudice” (Cass. Sez. Lav., n. 16150/2018).
Pertanto, l’affermazione correttamente ripetuta nelle massime giurisprudenziali secondo cui spetta al lavoratore che chieda il riconoscimento del compenso per lavoro straordinario (ma ciò vale anche per le ferie, festività non goduti) fornire la prova positiva dell’esecuzione della prestazione lavorativa oltre i limiti, legalmente o contrattualmente previsti, costituisce proiezione del principio guida di cui all’art. 2697 c.c. configurandosi – lo svolgimento di lavoro “in eccedenza” rispetto all’orario normale – quale fatto costitutivo della pretesa azionata.
Alla stregua di tale impostazione, la Suprema Corte ha rimarcato il particolare rigore da osservare nell’accertamento del fatto costitutivo, specificando che il lavoratore che agisca per ottenere il compenso per il lavoro straordinario ha l’onere di dimostrare di aver lavorato oltre l’orario normale di lavoro e – ove egli riconosca di aver ricevuto una retribuzione, ma ne deduca l’insufficienza – è altresì tenuto a provare il numero di ore effettivamente svolto senza che eventuali, ma non decisive, ammissioni del datore di lavoro siano idonee a determinare una inversione dell’onere della prova (cfr. Cass. Sez. Lav. n. 3714/2009). Ebbene, nel caso in esame, la ricorrente non ha fornito prova sufficiente di aver svolto la sua attività lavorativa per il numero di ore specificate in ricorso. Invero, la prova per testi espletata non ha consentito di raggiungere la certezza dello svolgimento del lavoro straordinario nei limiti e nelle quantità indicate dalla ricorrente. In particolare, la teste Cantalice non ha affermato alcunché in relazione al lavoro straordinario effettuato dalla ricorrente, ed il teste Martino ha genericamente affermato che la ricorrente finiva di lavorare alle 18,30, mentre “a volte finiva più tardi”.
Parimenti dev’essere rigettata la domanda attorea volta ad ottenere le differenze retributive relative alle ferie, permessi e festività.
Su tale questione, la Suprema Corte di legittimità ha precisato che “ai sensi dell’art. 2697 c.c., grava sul lavoratore l’onere di provare il mancato godimento delle ferie, delle festività ed anche dei permessi” (Cass. n. 26985/2009; Cass. n. 22751/2004).
Più precisamente, per quanto concerne l’indennità sostitutiva delle ferie, la giurisprudenza di legittimità precisa che “il lavoratore che agisce in giudizio per ottenere la corresponsione dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute deve provare l’avvenuta prestazione di attività lavorativa nei giorni ad esse destinati atteso che l’espletamento di attività lavorativa in eccedenza rispetto alla normale durata del periodo di effettivo lavoro annuale si pone come fatto costitutivo dell’indennità suddetta, risultando irrilevante la circostanza che il datore di lavoro abbia maggiore facilità nel provare l’avvenuta fruizione delle ferie da parte del lavoratore” (Cass. ord. n. 7696/2020; Cass. Sez. Lav., n. 12311/2003). Infatti, l’indennità sostitutiva si configura come un emolumento di natura retributiva essendo posta in relazione al lavoro
effettivamente prestato con violazione di norme a tutela del lavoratore e per il quale il lavoratore ha in ogni caso diritto alla retribuzione e, secondo i criteri generali, l’onere probatorio si ripartisce facendo riferimento alla posizione processuale, restando rispettivamente a carico di chi vuol far valere un diritto ovvero di chi ne conteseti l’esistenza, la estinzione o la modifica (cfr. Cass. sez. lav., n. 22751/2004).
Ebbene, all’esito dell’attività istruttoria, ritiene il giudicante che la prova in ordine alla mancata fruizione di tali emolumenti non sia stata raggiunta, in quanto i testi escussi – su tale punto – nulla hanno dichiarato, né è stata prodotta documentazione a supporto della pretesa attorea.
Pertanto, alla luce di quanto affermato, la ricorrente ha diritto alle differenze retributive per retribuzione ordinaria, 13^ e 14^ mensilità e TFR.
La relazione peritale a firma della CTU nominata (Dott.ssa) ha indicato in € 7.020,80 (di cui € 697,10 a titolo di TFR) il quantum dovuto alla ricorrente per i titoli indicati in ricorso. Giova precisare come tale somma sia stata calcolata al netto di quanto già corrisposto dalla resistente a titolo di retribuzione ordinaria (pari ad € 2.400,00) nonché per effetto della transazione stragiudiziale intercorsa fra le parti (pari ad € 1.368,42).
La valutazione del CTU, professionista qualificato e competente, può ritenersi condotta alla stregua delle corrette argomentazioni logico giuridiche e con accertamenti esenti da censure, sicché questo giudicante non ha nessun motivo per discostarsene.
Da tale somma, per le motivazioni suindicate, vanno detratti gli importi relativi alle festività (pari ad € 319,62), alle festività non godute (pari ad € 105,82), alle ferie (pari ad € 692,64) ed ai permessi (pari ad € 293,30), oltre alla somma pari ad € 240,00 corrisposta alla ricorrente a conclusione del rapporto di lavoro intercorso per come documentalmente dimostrato dalla resistente.
Dunque, il quantum dovuto alla ricorrente per i titoli suindicati è pari alla complessiva somma di € 5.369,42 (di cui € 697,10 a titolo di TFR).
Con riferimento all’eccezione di compensazione sollevata dalla resistente, giova precisare come affinché sia eccepibile la compensazione (legale) di due debiti, è necessario che ricorra non soltanto il requisito della liquidità ed esigibilità, ma anche quello della certezza dei reciproci crediti. Tale requisito ricorre se il credito eccepito sia stato accertato giudizialmente con provvedimento passato in giudicato e, dunque, non solo provvisoriamente esecutivo.
Su tale questione, la giurisprudenza di legittimità ha precisato come “l’operatività dell’effetto estintivo presuppone il definitivo accertamento del credito da opporre in compensazione e quindi della compensazione medesima, sicché non può derivare da situazioni provvisorie” (Cass., Sez. I, n. 325/1992; Cass. Sez. Lav., n. 4423/1987). Infatti, “un credito contestato in un separato giudizio non è suscettibile di compensazione legale, attesa la sua illiquidità; né di compensazione giudiziale, poiché potrà essere liquidato soltanto in quel giudizio, salvo che in quella sede la parte interessata alleghi ritualmente che il credito contestato è stato definitivamente accertato nell’altro giudizio con l’efficacia di giudicato” (Cass. Sez. Lav., n. 1695/2015).
Pertanto, il requisito della certezza del credito (oltre a quelli della liquidità ed esigibilità) è implicitamente richiesto come elemento necessario dalla norma di cui all’art. 1243 c.c., atteso che la contestazione della esistenza del credito viene a risolversi, in ogni caso, anche in un difetto del requisito di liquidità (in questo senso, Cass., sez. III, n. 13279/2016; Cass., Sez. III, n. 2308/2010; Cass., Sez. lav., n. 1695/2015).
Ciò premesso, la resistente ha dato dimostrazione di essere creditrice della somma di € 2.025,00 nei confronti della ricorrente derivante dalla sentenza n. 49/2019 (passata in giudicato) con la quale il Giudice di Pace di San Giovanni in Fiore ha condannato la sig.ra XXX a corrispondere alla dott.ssa YYY la somma suindicata. Parte ricorrente non ha preso posizione sull’allegazione di parte resistente, né ha dato dimostrazione dell’avvenuto pagamento della somma indicata.
Per tali motivi, dunque, l’eccezione di compensazione legale dev’essere accolta e – per l’effetto – il credito della ricorrente pari ad € 5.369,42 dovrà essere parzialmente compensato (e, dunque, ridotto) in misura corrispondente al controcredito vantato dalla resistente e pari ad € 2.025,00. Quindi la resistente dovrà corrispondere alla ricorrente la somma di € 3.344,42 (di cui € 697,10 a titolo di TFR).
In ragione del parziale accoglimento del ricorso e dell’accoglimento dell’eccezione di compensazione legale sollevata da parte resistente, si ritiene giustificata la compensazione delle spese di lite.
Le spese di CTU sono poste a carico della resistente e vengono liquidate come da separato decreto.
PQM
Accoglie il ricorso e, per l’effetto, condanna parte resistente a corrispondere alla ricorrente la complessiva somma di € 3.344,42 oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Compensa le spese di lite.
Condanna parte resistente al pagamento delle spese di CTU che liquida come da separato decreto.
Così deciso in Cosenza, 16/09/2022
Il giudice Dott.ssa
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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