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Codice Penale

Regresso INAIL per esposizione ad amianto

La sentenza analizza la fondatezza di un’azione di regresso INAIL nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento danni da esposizione ad amianto. Viene esaminata l’eccezione di prescrizione e la sussistenza della responsabilità del datore di lavoro.

Pubblicato il 01 January 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

TRIBUNALE DI ANCONA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Ancona, sez. Lavoro, in persona del Giudice dott. NOME COGNOME all’esito della trattazione scritta della causa ai sensi dell’art. 127 ter c.p.c. con termine per note sino al 19.9.2024, richiamato il contenuto narrativo degli atti di causa;

viste le deduzioni, eccezioni, istanze e conclusioni formulate dalle parti anche nelle note autorizzate depositate in data 5.9.2024, 9.9.2024, 12.9.2024, 17.9.2024;

ha pronunciato e pubblicato la seguente

SENTENZA N._618_2024_- N._R.G._00001078_2023 DEL_09_11_2024 PUBBLICATA_IL_11_11_2024

nella causa n. 1078/2023 R.G. Lav., TRA IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE PRO TEMPORE rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME giusta procura generale alle liti, elettivamente domiciliato presso l’avvocatura in INDIRIZZO

RICORRENTE IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE PRO TEMPORE rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME COGNOME e COGNOME giusta procura in calce alla memoria di costituzione e risposta, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. COGNOME in Ancona, INDIRIZZO RESISTENTE

OGGETTO: azione regresso.

RAGIONI DELLA DECISIONE agisce in regresso nei confronti della per le indenn ate ai superstiti a seguito del decesso per malattia professionale consistente in carcinoma squamoc nte ad esposizione lavorativa ad amianto.

Allega che la responsabilità della è stata accertata con pronuncia passata in giudicato nel d oggetto il risarcimento del danno vantato dagli eredi;

chiede, pertanto, il pagamento delle rate erogate e della capitalizzazione della rendita residua al coniuge superstite.

Costituendosi in giudizio, la eccepisce la prescrizione del diritto di regresso, ritenendo che i iennale debba decorrere dalla costituzione della rendita e che le missive inviate erano intervenute dopo la all’epoca dispositivi individuali che potessero proteggere il lavoratore e non essendoci una normativa specifica che vietasse l’uso dell’amianto o indicasse modalità per prevenire le patologie asbesto correlate;

il difetto di allegazione e prova dell’esposizione all’amianto del l’esclusione dell’esposizione ad amianto desumibile dallo stes Contarp;

l’incidenza del comportamento del lavoratore vista l’abitudine tabagica con conseguente limitazione della somma chiesta a titolo di regresso.

Conclude pertanto nel rigetto dell’avversa pretesa.

Con riferimento all’eccezione preliminare di prescrizione dell’azione, va rilevato che l’art. 112 DPR 1124/1965 prevede che l’azione di regresso si prescrive nel termine di tre anni dal giorno in cui la sentenza penale è divenuta irrevocabile.

La giurisprudenza, pronunciandosi su tale disposizione, ha ritenuto che, ove non sia stato iniziato alcun procedimento penale, il termine decorre dal momento di liquidazione dell’indennizzo al danneggiato (ovvero, in caso di rendita, dalla data di costituzione della stessa), il quale costituisce il fatto certo e costitutivo del diritto sorto dal rapporto assicurativo (Cass. 5160/2015), mentre nel caso in cui il procedimento penale sia iniziato entro il triennio dal pagamento dell’indennizzo o dalla costituzione della rendita, l’azione di regresso dell’ nei confronti del datore di lavoro può essere esercitata nel termine trie prescrizione previsto dall’art. 112 del D.P.R. n. 1124 del 1965, decorrente dal giorno in cui la sentenza penale di condanna è divenuta irrevocabile (Cass. 20853/2015). Nel caso di specie, la rendita è stata costituita retroattivamente in data 12.11.2019 con decorrenza dal 10.12.2017, primo giorno successivo al decesso del de cuius (doc. 5 fascicolo ricorrente), con prestazione aggiuntiva costituita con missiva del 18.11.2019 (doc. 6 fascicolo ricorrente).

Deve, dunque, ritenersi che da tali date decorresse il termine triennale in esame.

Ai fini dell’interruzione della prescrizione sono state versate in atti diffide di pagamento inviate alla costituita da due missive del 6.12.2019 (doc. 19 fascicolo ricorre.10.2020 (doc. 20 fascicolo ricorrente), asseritamente inviate tramite pec e da una missiva del 20.12.2022 inviata tramite raccomandata e ricevuta dalla convenuta in data 10.1.2023

(doc. 21 fascicolo ricorrente), allorquando il termine triennale era spirato.

A fronte dell’espressa contestazione circa la mancanza di ricezione di diffide antecedentemente al gennaio 2023 l’ nella prima udienza di discussione si è limitato a ribadire la pre di atti interruttivi della prescrizione prodotti in atti.

Soltanto con le note autorizzate per la discussione ha prodotto ulteriore documentazione per provare la data di spedizione e consegna delle missive pec del 2019 e del 2020.

A fronte della chiara tardività di tale produzione, eccepita dalla controparte, l’ invoca l’esercizio dei poteri d’ufficio ex art. 421 c.p.c. , configurandosi (diversamente dall’eccezione di prescrizione) come eccezione in senso lato, può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice in qualsiasi stato e grado del processo ancorché sulla base di allegazioni e di prove ritualmente acquisite o acquisibili al processo e, in ordine alle controversie assoggettate al rito del lavoro, sulla base dei poteri istruttori legittimamente esercitabili anche di ufficio dal giudice, che è tenuto, ai sensi dell’art. 421 c.p.c., all’accertamento della verità dei fatti rilevanti ai fini della decisione (cfr. fra le tante Cass. n. 16542 del 2010)”. Ne deriva che i documenti pur tardivamente prodotti in allegato alle note autorizzate ben possono essere acquisiti ai sensi dell’art. 421 c.p.c., trattandosi di prove attinenti un’eccezione in senso lato per le quali già vi era in atti un principio di prova con la produzione delle relative mail inviate via pec alla convenuta.

Ne deriva che risulta adeguatamente provata l’interruzione della prescrizione dapprima nel dicembre 2019, poi nell’ottobre 2020, infine nel gennaio 2023, con conseguente infondatezza dell’eccezione.

Quanto alle eccezioni relative al merito della responsabilità della e alla prova della sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi ecie di reato, va rilevato che con pronuncia passata in giudicato n. 150/2023 (doc. 18 fascicolo ricorrente, cui integralmente si rinvia anche ai fini della motivazione ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., su cui da ultimo si veda per l’applicazione anche ai giudizi di merito Cass. 29017/2021), resa dal Tribunale di Ancona è stata affermata la sussistenza di tali presupposti a fronte di un’azione risarcitoria proposta dagli eredi del sempre nei confronti di odierna convenuta. Alla luce della motivazione sopra richia le argomentazioni spese nel presente giudizio dalla resistente non siano idonee a superare le conclusioni raggiunte nella precedente causa, sicché si rinvia sul punto alla esaustiva motivazione resa nella sentenza depositata in atti che si richiama nel prosieguo per grandi linee al fine di evidenziare come essa risponda adeguatamente a tutte le censure mosse nella memoria di costituzione e risposta depositata dalla in questa causa, rendendo superfluo qualsiasi approf istruttorio. Si aggiunge sul punto che, se è vero che tale pronuncia non fa stato nel presente giudizio, è altresì vero che l’ampia istruttoria che l’ha preceduta, così come riportata nella specifica motivazione la quale affronta tutti gli aspetti e le eccezioni sollevate nel merito anche nell’odierna controversia, porta a ritenere che, quale precedente specifico dell’ufficio e alla luce delle prove assunte su cui la decisione si è fondata (che nel presente giudizio assumono il valore di prove atipiche idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti se e in quanto non smentiti dalle argomentazioni e risultanze offerte dall’odierno convenuto, Cass. 4394/2004), essa risulta elemento sufficiente per fondare la pretesa vantata nel presente giudizio dall’ , soprattutto alla luce dei precedenti particolare riguardo alla sussistenza di nesso causale tra attività svolta e patologia che ha portato all’exitus (carcinoma squamocellulare) la pronuncia n. 150/2023 è del tutto esaustiva e conforme alle altre rese da questo Tribunale in casi sovrapponibili e confermate sul punto anche dalla locale Corte di Appello. Il CTU ha evidenziato che la prima malattia che ha causato la morte del è stata l’asbestosi polmonare complicata da un carcinoma asbesto l cui rischio è stato aggravato dall’abitudine tabagica del trattandosi di due cause concorrenti di cui l’una non esclude l’in ausale dell’altra ai sensi dell’art. 41 c.p. (Cass. 15763/2019).

Il CTU ha anche evidenziato che alla luce delle mansioni svolte dal de cuius e al periodo in cui esso aveva prestato la propria attività a bordo nave era da ritenere provata con ragionevole certezza l’esposizione nociva a fibre di asbesto.

Allo stesso modo, il CTU ha rilevato la totale omissione delle misure di prevenzione imposte all’epoca a fronte di utilizzo di materiali polverosi, evidenziando che esse avrebbero diminuito il rischio per la salute, tanto più che l’asbestosi e il carcinoma sono patologie dose correlate sicché la diminuzione dell’esposizione ben poteva ridurre il rischio di contrarre la neoplasia.

Con riferimento alla colpa in senso soggettivo, la pronuncia suddetta, così come le altre rese in fattispecie analoghe, evidenzia che la nocività dell’amianto era nota sin dai primi anni del 1900;

che non era necessario a fronte di tale nocività che si conoscessero anche gli specifici esiti cancerogeni dell’esposizione a tale sostanza;

che pur in assenza di una disposizione che vietasse l’uso dell’amianto esisteva una precisa norma di legge, l’art. 21 DPR 303/1956, che imponeva la sostituzione di materiali polverosi e nocivi, che all’epoca erano sussistenti materiali alternativi che potevano sostituire l’amianto, escludendo, dunque, qualsiasi rischio di esposizione.

Tali affermazioni permettono di affermare che, al di là dell’utilizzo del criterio del riparto dell’onere probatorio sancito dall’art. 1218 c.c. e delle presunzioni, vi sia prova sufficiente della penale responsabilità del datore di lavoro per il decesso del conseguente all’esposizione a polveri di amianto, sia sotto il pro ivo sia sotto il profilo soggettivo della prevedibilità ed evitabilità dell’evento.

Con riferimento, infine, all’incidenza sulla rivalsa della responsabilità del lavoratore, si ritiene che possa agirsi in regresso nei confronti del datore di lavoro nei limiti del danno a lui strettamente imputabile in caso di concorso di una pluralità di cause.

Nella stessa pronuncia n. 150/2023, più volte richiamata si ritiene che la responsabilità del lavoratore nella causazione dell’evento vada valutata in misura pari a 1/3, sicché le somme azionate in sede di rivalsa andranno proporzionalmente ridotte, con accoglimento della pretesa dell’ nei limiti dell’importo di Euro 185.657,31.

secondo soccombenza liquidate come da dispositivo, considerato che parte convenuta non ha aderito ad una proposta conciliativa giudiziale più favorevole, seppure di poco, rispetto alla conclusione del presente giudizio.

Il Tribunale di Ancona, in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando in contraddittorio tra le parti, così provvede, ogni altra domanda, istanza ed eccezione disattesa:

1) Accoglie il ricorso e per l’effetto condanna corrispondere all’ la somma di Euro 185.6 ssi legali dall’erogazi ldo;

2) Condanna a rifondere a le spese di lite che liquida per ciascun convenuto in Euro 4.043,00, di cui Euro 43,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso forfetario spese generali, IVA e CPA se dovuti come per legge.

Così deciso in Ancona, il 9.11.2022 all’esito dello scambio di note scritte ex art. 127 ter c.p.c. con termine per note sino al 19.9.2024.

IL GIUDICE (dr.ssa NOME COGNOME (Atto sottoscritto digitalmente)

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