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Reintegrazione del possesso e risarcimento danni

Il Giudice accoglie il ricorso per reintegrazione del possesso condannando il resistente, che aveva arbitrariamente modificato un impianto idraulico, a ripristinare lo stato dei luoghi a proprie spese. Viene inoltre riconosciuto il diritto al risarcimento danni per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della sentenza.

Pubblicato il 27 October 2024 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

TRIBUNALE DI BARI Prima Sezione Civile

Il Giudice Designato, dott.ssa NOME COGNOME a scioglimento della riserva formulata all’udienza figurata dell’11.09.2024, previo deposito di note scritte di parte in data 10.09.2024, ha emesso la seguente

ORDINANZA R.G._00008173_2021 DEL_01_10_2024 PUBBLICATA_IL_01_10_2024

nel procedimento N. 8173/2021 R.G. proposto ai sensi degli artt. 1168 e 703 c.p.c. (azione di reintegrazione del possesso) rappresentate e difese giusta procura in atti dall’avv. NOME COGNOME

ricorrenti contro in persona dell’amministratore pro tempore, rappresentato e difeso giusta procura in atti dall’avv. NOME COGNOME

resistente MOTIVAZIONE Con la presente azione possessoria, promossa in data 23.06.2021, hanno domandato:

“IN INDIRIZZO – Ordinare al in persona dell’amministratore pro tempore (c.f. ), la immediata rimozione di tutte le opere abusivamente e arbitrariamente realizzate il 25/6/2020 nell’appartamento delle sigg.

ed il ripristino dello stato dei luoghi antecedente alle opere realizzate in data 25.6.20 e nello specifico:

ordinare la delle acque della cucina, nel tratto dall’originario punto di arrivo della montante condominiale, posto al di sotto del pavimento della cucina delle istanti, fino al lastrico solare;

la rimozione dell’ulteriore tubo di scarico della condensa del condizionatore della cucina, attualmente posto accanto al predetto abusivo prolungamento della montante condominiale;

contestuale ripristino della originaria tubazione privata utilizzata dalle attrici e del relativo originario collegamento alla colonna montante, nonché delle due tubazioni private di sfiato che si innestavano sulla stessa condotta privata delle istanti, il tutto con la realizzazione a regola d’arte dei necessari interventi edili e murari, sì da riportare il tutto in pristino stato per come esistente prima dell’intervento del 25.6.20;

per l’effetto – Condannare il in persona dell’Amministratore pro tempore (c.f.

al pagamento in favore delle sigg.re di spese e compensi legali per il presente procedimento come da separata notula”.

Hanno dedotto di essere comproprietarie di un appartamento sito in al sesto piano del Condominio di e che, a seguito di alcuni episodi di infiltrazioni lamentati dalla proprietaria dell’immobile sottostante, era intervenuta in data 25.06.2020 nel loro appartamento una ditta incaricata dal , che anziché limitarsi a pulire la colonna montante di scarico condominiale aveva invece eseguito delle opere non autorizzate, quali a titolo esemplificativo la rimozione della tubazione privata delle ricorrenti, ivi inclusi i due tubi privati di ventilazione nonchè l’installazione sia di una nuova condotta del diametro di 90 mm collegante la montante condominiale al lastrico solare sia di un ulteriore tubo di scarico della condensa del condizionatore della cucina. Hanno lamentato che la rimozione dell’originaria tubazione privata e la sostituzione con altra avente finalità e funzione difforme rappresentassero una spoliazione del possesso effettuato a loro insaputa, tant’è che a loro dire “l’allungamento della montante fognaria, in aggiunta alle ulteriori modifiche dello stato dei luoghi, oltre a spogliare le istanti del possesso dei propri impianti di scarico e ventilazione preesistenti, ha per altro verso aggravato finanche la servitù a carico dell’appartamento delle istanti, posto che la testa della montante di scarico condominiale – sigillata ab origine al di sotto del pavimento della cucina delle ricorrenti – oggi a seguito delle opere eseguite dal nel giugno 2020 si addentra nel muro della cucina delle sigg. invadendone parte del soffitto fino al lastrico solare condominiale”.

i è costituito in giudizio in data 24.09.2021, impugnando tutto quanto ex adverso dedotto e prodotto e rassegnando le seguenti conclusioni:

“dichiarare inammissibile, per mancanza dei necessari presupposti di legge, il ricorso condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese e competenze del giudizio.

In subordine, voglia comunque rigettare le richieste ex adverso formulate, in quanto totalmente prive di fondamento giuridico, con ogni relativa conseguenza anche in ordine alle spese e competenze di causa”.

Ha precisato che parte ricorrente avesse eseguito nel proprio appartamento, in data successiva alla costruzione del fabbricato, privatamente ed illegittimamente delle opere giammai autorizzate di intervento sulle parti condominiali, quale ad esempio un allaccio ad una delle montanti di ventilazioni dello scarico di condensa di un condizionatore, motivo per cui l’impresa “RAGIONE_SOCIALE su incarico del condominio aveva provveduto in data 25.06.2020 alla riparazione della lamentata perdita ed alla sostituzione dell’areazione esistente, comunque non a norma. Dopo l’audizione dei ricorrenti e dell’amministratore del resistente nonché dei rispettivi informatori, è stata espletata una C.T.U. depositata dall’arch.

in data 30.01.2024, in risposta ai seguenti quesiti:

“Il consulente, esaminata la documentazione in atti, compiuti gli accertamenti ritenuti opportuni per l’espletamento dell’incarico ed a seguito di sopralluogo:

1. accerti e descriva lo stato dei luoghi (sia prima che dopo l’esecuzione dei lavori del 25 giugno 2020), anche mediante rappresentazione fotografica;

2. verifichi se sussistano o meno le violazioni lamentate da parte ricorrente nel ricorso introduttivo;

3. verifichi se sussistevano o meno, prima dell’esecuzione dei lavori del 25 giugno 2020, sui luoghi di causa le problematiche evidenziate dal resistente nella comparsa di risposta (ovvero, un’arbitraria modifica degli impianti condominiali ad opera dei ricorrenti);

4. indichi le opere necessarie per ripristinare lo status quo ante ovvero indichi le opere necessarie per rendere conforme lo stato dei luoghi alla normativa esistente, quantificando in entrambi i casi i relativi costi (non quantificando, invece, gli eventuali danni subiti dai ricorrenti per il mancato utilizzo del vano, non essendo stata proposta alcuna domanda risarcitoria nella presente sede possessoria, comunque non esperibile)”.

Infine, le parti sono state autorizzate al deposito di note conclusive.

In tale sede, parte ricorrente ha reiterato la richiesta già formulata nelle note autorizzate depositate il 29.05.2024 chiedendo anche la condanna di parte resistente ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c. (“ai sensi e per gli effetti dell’art. 614 bis del c.p.c., condannare il in persona dell’amministratore pro tempore, al pagamento in favore delle ricorrenti sigg. dell’importo di € 100,00, o di altra somma ritenuta di Giustizia, per ogni giorno ritardo nell’attuazione dell’ordine di esecuzione delle opere di ripristino oggetto del presente procedimento…, determinando la decorrenza delle medesime opere”).

via preliminare, va rigettata l’eccezione di inammissibilità dell’azione intrapresa, sollevata da parte resistente, in quanto l’asserito difetto dei presupposti per proporre un’azione possessoria, ovvero dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo che connota la domanda ex art. 1168 c.c., di certo non afferisce ad un vizio di inammissibilità del ricorso, rientrando più propriamente nell’esame del merito del ricorso.

Nel merito, la domanda principale di reintegrazione del possesso spiegata ex art. 1168 c.c. da parte ricorrente merita accoglimento, ricorrendone i presupposti previsti ex lege.

Importa premettere che ai fini dell’accoglimento della domanda di reintegrazione del possesso è necessario accertare dapprima l’esistenza di un rapporto possessorio qualificato in capo all’istante e in secondo luogo la realizzazione di uno spoglio.

In particolare, quanto alla prova del possesso, ciò che deve essere dedotto in giudizio è una situazione di fatto, ovvero il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale;

con la conseguenza che ciò che va tutelato nell’ambito del giudizio possessorio è quello che viene tradizionalmente definito ius possessionis, ossia l’effettivo esercizio delle facoltà e dei poteri nei quali si esplica la signoria sulla cosa.

In tema di spoglio va poi precisato che l’accertamento del giudice deve riguardare sia l’elemento oggettivo della privazione totale o parziale del possesso, violenta o clandestina, che l’elemento soggettivo, ossia l’animus spoliandi (Cass. n. 14797/2014).

Ai fini della configurabilità dell’azione, lo spoglio deve essere attuato con violenza o clandestinità.

In materia di tutela possessoria, perché sussista la violenza dello spoglio non è necessario che questo sia stato compiuto con forza fisica o con armi, essendo invece sufficiente che sia avvenuto senza o contro la volontà effettiva, o anche solo presunta, del possessore, mediante una mera violenza morale, quale una minaccia (Cass. n. 26985/2013).

Costituisce, infatti, spoglio qualsiasi comportamento il cui esito consista nel far perdere al possessore il potere di fatto sulla cosa e va altresì osservato che la violenza, quale presupposto dell’azione di reintegrare, implica che lo spoglio sia commesso con atti arbitrari, i quali, contro la volontà espressa o tacita del possessore, tolgano a questo il possesso e che ne impediscano l’esercizio (Cass. n. 11453/00).

Il requisito della clandestinità, cui risulta subordinata l’azione di reintegrazione ex art. 1168 c.c., invece, importa che la privazione del potere di fatto sul bene accada all’insaputa del possessore, il quale ne venga – così – a conoscenza solo in un momento successivo (Cass. n. 3674/1999), purché l’inconsapevolezza non sia stata determinata dalla negligenza dello spogliato o di persone che lo Quanto, poi, all’animus spoliandi, occorre evidenziare che:

“l’animus spoliandi può ritenersi insito nel fatto stesso di privare del godimento della cosa il possessore contro la sua volontà, espressa o tacita, indipendentemente dalla convinzione dell’agente di operare secondo diritto ovvero di ripristinare la corrispondenza tra situazione di fatto e situazione di diritto, mentre la volontà contraria allo spoglio, da parte del possessore, può essere esclusa solo da circostanze univoche e incompatibili con l’intento di contrastare il fatto illecito come il suo consenso, l’onere della cui prova grava sul soggetto autore dello spoglio medesimo” (Cass. n. 233/2016). In altri termini, l’animus spoliandi è insito nel fatto stesso di privare altri del possesso in modo violento o clandestino, implicando la violenza o la clandestinità la consapevolezza, da parte dell’autore, di agire contro la volontà (espressa o presunta) del possessore o del detentore, onde privarlo del potere di fatto sulla cosa, cosicché, una volta accertato che vi sia stato un consapevole sovvertimento della situazione possessoria, null’altro occorre per ritenerlo sussistente.

Peraltro, la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che “in tema di possesso, è passibile di azione di reintegrazione, ai sensi dell’art. 1168 c.c., colui che, consapevole di un possesso in atto da parte di altro soggetto, anche se ritenuto indebito, sovverta, clandestinamente o violentemente, a proprio vantaggio la signoria di fatto sul bene nel convincimento di operare nell’esercizio di un proprio diritto reale, essendo, in tali casi, l’animus spoliandi in re ipsa, e non potendo invocarsi il principio di legittima autotutela, il quale opera soltanto in continenti, vale a dire nell’immediatezza di un subito ed illegittimo attacco al proprio possesso” (Cass. n. 13270/2009). Ciò chiarito, risulta provato ed incontestato che parte ricorrente abbia in passato (prima del lamentato spoglio, verificatosi il 25.06.2020) esercitato il possesso sulle tubazioni di cui si controverte, tenuto conto che le stesse sono ubicate all’interno della sua abitazione di proprietà esclusiva.

Tale possesso si desume, in primis, dalla deposizione delle ricorrenti, rese all’udienza del 06.04.2022 in quanto ha dichiarato:

“Il 25 giugno 2020 una ditta incaricata dall’amministratore condominiale pro tempore ha eseguito dei lavori nella mia abitazione per disostruire la montante condominiale che era ostruita e per far ciò hanno realizzato un allungamento della montante condominiale che passa nel pavimento, nel soffitto e nel muro della mia casa e infine l’estremità della tubazione sfiata sul lastrico solare…Prima dell’apposizione di detto prolungamento in detta area era ubicata la mia tubazione di sfiato ad uso esclusivo della mia abitazione. La mia abitazione preesistente è visibile nelle foto n. 3, 4, 5. Ad oggi non esistono più i tubi di sfiato a mio uso personale…”.

restanti ricorrenti, (figlie della ) alla medesima udienza hanno confermato quanto sopra, dichiarando in particolare la prima:

“gli operai del condominio erano entrati nella nostra casa solo per pulire la colonna montante, adempimento a cui provvidero, ma non ci chiesero mai alcuna autorizzazione per sostituire ai nostri tubi privati il prolungamento della montante.

Quindi è stata divelta ed al suo posto è stata realizzata la rete condominiale, senza dare spiegazione alcuna ai miei genitori ivi presenti”.

Quanto da loro dichiarato ha trovato riscontro nelle risultanze istruttorie.

In primo luogo, all’udienza del 06.04.2022 l’amministratore del condominio resistente, , ha ammesso che la ditta incaricata dal condominio intervenne sulla montante condominiale e provvide anche a sostituire delle tubazioni (“…ricordo che c’erano anche gli scarichi dei loro condizionatori che confluivano nella montante condominiale.

Gli operai condominiali provvidero a mettere a norma la montante condominiale facendola sfociare nel lastrico solare… nell’occasione ci autorizzò non solo a disostruire la montante, ma anche a sostituire le tubazioni.

Il giorno dopo io e mio padre incontrammo molto alterata dell’accaduto, motivo per cui non è stato mai risarcito il muro dell’appartamento dei ricorrenti…”).

Tuttavia, la circostanza riferita dall’amministratore sull’autorizzazione ricevuta dalle ricorrenti nell’eseguire i lavori sostituendo anche dei tubi di natura privata è stata smentita sia dall’informatore di parte ricorrente , che ha dichiarato:

“… il 25.06.2020 il vecchio amministratore del condominio si presentò nel nostro appartamento con gli operai RAGIONE_SOCIALE dicendoci frettolosamente che avrebbero provveduto esclusivamente alla pulizia della colonna montante…

Alla fine dei lavori ci accorgemmo che avevano totalmente rimosso la tubazione privata di nostra proprietà…” sia dall’informatore di parte resistente ( ), il quale ha riferito:

“Non so dire se l’amministratore avesse avvisato i coniugi dei lavori che avrei io effettuato nell’appartamento il 25.06.2020.

Io sono il titolare della RAGIONE_SOCIALE precisamente sono socio al 50%.

Il 25.06.2020 io stesso, con i miei operai, mi recai nell’appartamento dei ricorrenti.

I lavori eseguiti consistettero nell’eliminazione di alcuni innesti fatti male sulla tubazione privata…

Sostituimmo anche le due vecchie tubazioni di ventilazione…”.

Ancora, l’ultimo informatore di parte ricorrente ( idraulico della famiglia ) si è limitato a riferire che nel mese di maggio 2020, accortosi che vi era una risalita d’acqua nella condotta condominiale non potette intervenire per la risoluzione definitiva del problema, non essendo di sua competenza.

Dette dichiarazioni vanno lette unitamente al contenuto della C.T.U. depositata in data 30.01.2024, rigettata l’istanza di rinnovazione formulata nelle note conclusive da parte resistente), nella quale l’ausiliare del Giudice, arch. , ha rassegnato le seguenti conclusioni:

“B) La ditta RAGIONE_SOCIALE

COGNOME, incaricata dall’Amministratore p.t. (sig. , ha modificato l’assetto della tubazione privata della parte ricorrente.

C) La parte ricorrente non ha modificato gli impianti condominiali nel periodo temporale precedente all’esecuzione dei lavori del 25.06.2020.

D) Si sono indicate solo le opere necessarie per ripristinare lo status quo ante, perché le due tubazioni di ventilazione esistenti svolgevano la loro funzione di evitare la rottura delle chiusure idrauliche delle utenze condominiali;

il costo totale dell’intervento di ripristino è di 5.500,00 € (cinquemilacinquecento/00 euro).

Inoltre si precisa che Il Computo Metrico Estimativo dei lavori previsti non include:

– l’I.V.A. sul costo dei lavori;

– il costo della Progettazione;

– il costo della Direzione Lavori;

– i costi della Sicurezza (sia di Coordinamento sia degli apprestamenti di cantiere);

– le spese per il rilascio del titolo abilitativo”.

Invero, il C.T.U. al quesito se fossero o meno state poste in essere delle violazioni da parte del resistente – come sostenuto dalle ricorrenti – ha così risposto:

“…i ricorrenti non hanno apportato modifiche all’impianto fognario comune, in quanto si ritiene che “ab origine” il bicchiere (testa di imbocco) della montante verticale condominiale termina dov’è attualmente posizionato, ovvero nel massetto del pavimento della cucina, senza sovrastante tubazione verticale di ventilazione sul suo asse, sfociante direttamente sul lastrico solare condominiale per la relativa ventilazione, in quanto non vi è, corrispondentemente, traccia alcuna dell’esistenza di un pregresso “cassonetto in muratura” sul lastrico solare (V. All.to 11: Foto 10-11-12-13-14-15, (V. All.to 12: TAV.3).

La ventilazione veniva assicurata a mezzo di doppia tubazione per tutto il tratto verticale fino a sfociare nel cassonetto presente sul lastrico solare… verosimilmente fin dalla realizzazione del manufatto edile l’impianto di ventilazione è costituito da due tubi come dimostrano le foto del cassonetto delle ricorrenti prima dell’intervento del 25.06.2020 e dalla Relazione Descrittiva del geom. incaricato in data 16.03.2016, dall’assemblea del Condominio di redigere le Tabelle millesimali con l’individuazione del numero delle immissioni per ciascuna unità immobiliare… In conclusione si può affermare che la ditta RAGIONE_SOCIALE L. incaricata dall’Amministratore p.t. (sig. non si è limitata alla sola disostruzione e pulizia della colonna montante, occlusa e causa dell’umidità al piano sottostante, accertata anche dalla ditta nel maggio 2020, bensì ha modificato l’assetto della tubazione privata delle istanti con la rimozione della tubazione privata compresi i due tubi cd. T1 e T2;

la rimozione dei due tubi di ventilazione del diametro di 40 mm con l’installazione di una nuova tubazione del diametro di 80 mm orizzontale che sub-orizzontale, deviare ancora con una curva e continuare con tratto verticale come canale di ventilazione per sfociare nel cassonetto sul lastrico solare, ed infine ha installato un ulteriore scarico della condensa del condizionatore della cucina, accanto al prolungamento della colonna montante…”.

Il C.T.U., invece, in ordine al quesito relativo all’eventuale sussistenza di un’arbitraria modifica degli impianti condominiali ad opera dei ricorrenti ha verificato che:

“L’immobile di proprietà delle ricorrenti, come già narrato nei precedenti paragrafi, è stato interessato da lavori di ristrutturazione e adeguamento in merito anche alle specifiche esigenze delle stesse, con l’apporto di lievi modifiche interne senza, tuttavia, intervenire sugli impianti comuni condominiali né tantomeno modificare lo stato dei luoghi originario, con particolare riferimento sia alla montante di scarico troncata a pavimento che all’innesto nella tubazione di ventilazione primaria dello scarico della condensa del condizionatore della cucina”. Infine, in ordine all’ultimo quesito peritale relativo all’indicazione delle opere necessarie per il ripristino dello status quo ante il nominato ausiliario del Giudice ha accertato che:

“Per quanto sopra riportato si indicheranno solo le opere necessarie per ripristinare lo status quo ante, perché le due tubazioni di ventilazione esistenti svolgevano la loro funzione di evitare la rottura delle chiusure idrauliche delle utenze condominiali;

le categorie dei lavori necessari e relativi costi del suddetto ripristino sono riportati nell’All.to 14 – Computo Metrico Estimativo.

Il costo totale dell’intervento di ripristino è di 5.500,00 € (cinquemilacinquecento/00 euro)”.

Il C.T.U. ha debitamente replicato alle osservazioni dei due consulenti di parte (sebbene parte ricorrente abbia poi eccepito la tardività del deposito delle osservazioni di parte resistente a firma del C.T.P. ing. , il quale avrebbe ritrasmesso fuori termine una seconda relazione corredata da un’ulteriore foto, circostanza comunque rivelatasi irrilevante ai fini decisori) ribadendo le proprie conclusioni, da cui non vi è motivo alcuno per discostarsi.

Alla luce di tutto quanto sopra evidenziato, deve ritenersi provato l’esercizio del possesso da parte delle ricorrenti, le quali non solo sono comproprietarie dell’immobile oggetto di causa ma è incontestato che abitino in detto appartamento e che le tubazioni in esame insistano nel pavimento (rimasto divelto, con loro indubbio disagio, sin dal maggio 2020 a causa dei lavori oggetto del presente procedimento) e nel muro della loro cucina.

Quanto alla prova dello spoglio violento o clandestino richiesto dall’art. 1168 c.c. va dapprima evidenziato che parte resistente ha ammesso di essere stato l’autore dello spoglio (seppur ritenuta opera legittima dal condominio) a mezzo degli operai della ditta incaricata dallo stesso condominio sia le parti che gli informatori, come dimostrano le dichiarazioni innanzi trascritte, hanno confermato che i lavori edili ed idraulici di cui si sono dolute le ricorrenti sono stati effettuati il 25.06.2020 dagli operai condominiali, fermo restando che parte resistente ha ribadito la legittimità di tale intervento sul presupposto di aver agito su una parte condominiale per sanare un asserito e pregresso abuso operato dai condomini/ricorrenti su una colonna montante condominiale, circostanza invece recisamente smentita dal nominato C.T.U., della cui imparzialità non si dibatte in alcun modo. Dunque, plurime fonti di prova convergono nel senso di identificare l’autore dello spoglio nella parte resistente, quantomeno quale autore morale del lamentato spoglio.

Tutto quanto sopra premesso, va evidenziato che, nel caso concreto, sussistono tanto l’elemento materiale, quanto quello soggettivo dello spoglio.

Sotto il primo profilo, esso è consistito nell’aver rimosso delle tubazioni private dei ricorrenti e nell’averne installato nuove ed ulteriori ove le prime erano originariamente e da tempo ubicate, facendo perdere al possessore il potere di fatto esercitato sul bene.

Nella fattispecie de qua, la violenza e la clandestinità dello spoglio emergono dalle modalità con cui è stato posto in essere, essendo stato dimostrato che parte resistente ha agito all’insaputa delle ricorrenti, non avendo correttamente ed analiticamente esplicato i lavori che sarebbero stati posti in essere il 25.06.2020 – dalla ditta incaricata dal condominio – all’interno della proprietà privata delle ricorrenti, le quali di contro avevano inteso che detta ditta fosse intervenuta all’interno della loro abitazione esclusivamente per disostruire la montante condominiale. Quanto, poi, all’animus spoliandi, detto elemento psicologico è insito nel fatto stesso di privare altri del possesso in modo violento o clandestino, implicando la violenza o la clandestinità la consapevolezza, da parte dell’autore, di agire contro la volontà (espressa o presunta) del possessore o del detentore, onde privarlo del potere di fatto sulla cosa, cosicché, una volta accertato che vi sia stato un consapevole sovvertimento della situazione possessoria, null’altro occorre per ritenerlo sussistente.

Le circostanze innanzi illustrate dimostrano dunque come le argomentazioni svolte da parte resistente nei propri atti e scritti difensivi, per contestare il compimento di uno spoglio del possesso ai danni di parte ricorrente, non siano supportate da alcun elemento probatorio, non avendo neppure comprovato di aver compiutamente edotto i ricorrenti dei lavori che sarebbero stati posti in essere.

Per tutte le dedotte ragioni, atteso il ricorrere dei presupposti dell’azione di reintegrazione, ovvero il compossesso in capo alle ricorrenti, il compiuto spoglio, la violenza e la clandestinità di quest’ultimo (essendo stato compiuto lo spoglio delle tubazioni private all’insaputa delle ricorrenti), nonché l’animus spoliandi, manifestatosi nella messa in opera di un atto arbitrario di spoglio compiuto contro la volontà del possessore al precipuo scopo di privarlo del potere di fatto sulla cosa, la domanda principale di parte ricorrente merita accoglimento. In virtù della richiesta formulata da parte ricorrente (che, come innanzi dedotto, sin dal 2020 è costretta a convivere con un pavimento divelto all’interno della propria abitazione privata a causa della pendenza del presente contenzioso, la cui risoluzione è stata comunque osteggiata o comunque non ha trovato una soluzione transattiva nonostante le evidenti risultanze della C.T.U.), parte resistente va condannata al pagamento di una somma di denaro, liquidata come meglio specificato da dispositivo, per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del presente provvedimento ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c. Le spese del presente procedimento seguono la soccombenza processuale e sono liquidate come da dispositivo tenuto conto del valore dichiarato della controversia (ovvero € 14.250,00, dunque scaglione da € 5.201,00 ad € 26.000,00) ai sensi del D.M. 55/2014, come modificato dal D.M. 147/2022 (con applicazione dei parametri medi disciplinati dal cit. D.M. per i “procedimenti cautelari”, ivi incluse le fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisoria). In ragione della soccombenza, anche le spese occorse per la consulenza tecnica d’ufficio a firma dell’arch.

, come liquidata in corso di causa, debbono essere poste a carico di parte resistente.

ACCOGLIE il ricorso e, per l’effetto, ordina al resistente in persona dell’amministratore pro tempore, di reintegrare le ricorrenti del possesso dell’immobile di loro proprietà come specificato in atti, mediante l’immediata riduzione in pristino delle opere che comportano lesione nel possesso dell’immobile ed a mezzo rimozione di tutte le opere arbitrariamente realizzate il 25.06.2020, oltre all’esecuzione di ogni lavoro necessario al fine di ripristinare lo stato dei luoghi antecedente alle opere realizzate in data 25.06.20, con la realizzazione a regola d’arte dei necessari interventi edili e murari in conformità al computo metrico redatto dal C.T.U. arch. (all.

14 della C.T.U.), il tutto da effettuarsi entro e non oltre il 30 novembre 2024 a cura ed a spese integrali di parte resistente, senza incorrere (sino a detto termine) alla corresponsione di oneri aggiuntivi ex art. 614 bis c.p.c.;

CONDANNA parte resistente al pagamento di € 100,00 in favore delle ricorrenti in solido tra loro, per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del presente provvedimento ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c. a decorrere dal 2 dicembre 2024; parte resistente alla rifusione delle spese di lite sostenute dalle ricorrenti in solido tra loro, che liquida in complessivi € 3.655,75, di cui € 3.503,00 per compensi ed € 152,75 per spese documentate, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge; PONE a carico del resistente le spese occorse per la consulenza tecnica d’ufficio, come liquidate nel corso del giudizio con decreto del 27.02.2024 (€ 2.711,15, oltre IVA ed accessori di legge se dovuti);

MANDA alla Cancelleria per le comunicazioni di rito alle parti.

Bari, 1 ottobre 2024.

Il Giudice Designato dott.ssa NOME COGNOME

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