N. 5386 / 2015
R.G.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di PERUGIA Sezione II^ civile
Il Tribunale ordinario di Perugia in composizione monocratica in persona del giudice dott. NOME COGNOME, ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A N._1190_2024_- N._R.G._00005386_2015 DEL_05_09_2024 PUBBLICATA_IL_05_09_2024
nella causa civile di primo grado iscritta al registro generale degli affari civili per l’anno 2015 al numero 5386, e vertente TRA elettivamente domiciliata in Città di Castello (PG) INDIRIZZO press l’avv. NOME COGNOME che la assiste e difende giusta procura in atti.
RICORRENTE CONTRO elettivamente domiciliati in Città di Castello (PG), INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME che li assiste e difende giusta procura in atti.
CONVENUTI e avente ad oggetto:
merito possessorio, ex art. 704 co. 2 c.p.c.;
Sulle seguenti conclusioni:
come da verbale di udienza.
RAGIONI DI FATTO
E DI DIRITTO
1. – Viene alla decisione l’istanza di prosecuzione del procedimento possessorio introdotta da il 17 febbraio 2017 e con la quale ella, in esito alla fase interdittale che la aveva vista sostanzialmente vittoriosa, chiedeva la conferma dell’ordine di reintegra, nonché la ricollocazione degli oggetti assunti asportati dall’appartamento, e il risarcimento del danno per le spese sopportate in conseguenza dell’indisponibilità ’appartamento e dei danni cagionati in conseguenza dell’estromissione.
2. – Giova rammentare preliminarmente l’andamento della fase interdittale.
2.1.
– Con ricorso per reintegrazione nel possesso depositato il 29 settembre 2015 ha dedotto di abitare dal 1987 in un appartamento in San Giustino (PG) INDIRIZZO con la figlia proprietaria dal 1997, esponendo di avervi abitato quale familiare convivente parente di primo grado dopo il raggiungimento della maggiore età di questa il 14 maggio 1999.
Evidenziato che in ambito familiare correva ulteriore contenzioso (avendo ella domandato la divisione dell’eredità relitta dalla madre nei confronti della sorella chiedendo altresì dichiararsi la nullità di una donazione effettuata da questa in vita in favore di sua figlia e del figlio della sorella e che era in corso in quel giudizio un tentativo di accordo, rappresentava nel presente giudizio che il 18 agosto 2015, rientrando a casa alle ore 21:00 rinveniva mutata la serratura e, quindi, dopo aver suonato a lungo il campanello, le veniva aperto dalla figlia e da e la figlia le negava di rimanere presso l’abitazione, consentendole di prendere alcuni effetti personali. Anche all’esito dell’intervento delle forze dell’ordine ella rimaneva costretta a trovare una sistemazione, pernottando presso l’Hotel INDIRIZZO di dal 18 agosto, lamentando altresì che presso l’appartamento tutti i beni mobili, salvo indumenti ed accessori della figlia, erano di sua proprietà.
Sosteneva quindi in punto di diritto che la convivenza non era fondata su ragioni di servizio o di ospitalità, bensì “sullo stretto vincolo di parentela esistente tra gli occupanti” sicchè ella aveva una detenzione autonoma e come tale tutelabile con l’azione di spoglio.
Quanto alla legittimazione passiva, ha rappresentato che, in tesi, lo spoglio era stato realizzato dalla figlia unitamente al assumendo che entrambi sarebbero stati responsabili del mutamento delle serrature.
Ha, infine, illustrato la sussistenza del requisito della violenza e l’animus spoliandi.
Ha chiesto il risarcimento del danno, quantificandolo con riferimento alle spese per il pernottamento presso l’Hotel lamentando altresì ulteriori danni e disagi.
2.2.
– Si era costituita lamentando preliminarmente la mancata proposizione del ricorso dinanzi al giudice competente per il merito, individuato del giudice del procedimento per divisione ereditaria;
ha quindi esposto che in tesi non sussistevano i la disponibilità materiale del bene sarebbe avvenuta in via occasionale e saltuaria.
Ha quindi contestato la legittimazione attiva della ricorrente, dovendosi in tesi qualificare la situazione di fatto vantata da questa quale detenzione per ragioni di ospitalità, perché la stessa, pur avendo dimorato presso l’immobile di INDIRIZZOormai da anni la ricorrente ha dimorato ivi solo saltuariamente, avendo invece essa trascorso la maggior parte del tempo nell’immobile sito in INDIRIZZO”.
Ha quindi negato conseguentemente la sussistenza dei presupposti della domanda avversaria, precisando quanto ai danni lamentati che la ricorrente non aveva esigenza di recarsi in albergo potendo fruire, come si assume di consueto, dell’appartamento in INDIRIZZO pur in comproprietà con la sorella.
2.3.
– Rimessa la causa al giudice già investito dalla domanda petitoria spiegata in corso di causa da nel processo per divisione ereditaria in cui ella era convenuta per la declaratoria di nullità di una donazione anche a lei effettuata, il ricorso per reintegrazione nel possesso veniva deciso con ordinanza del giudice monocratico del 1° luglio 2016, con la quale veniva accolta la domanda assumendo il monocratico l’esistenza non già di una detenzione qualificata quanto, invece, di un vero e proprio compossesso tutelabile. Veniva invece respinta la domanda in quanto esposta nei confronti del 2.4.
– Avverso la predetta ordinanza del giudice monocratico proponeva reclamo sostenendo l’assenza di un possesso tutelabile in capo alla madre reclamava altresì il dolendosi del governo delle spese di lite per essere state compensate quelle nei suoi confronti.
Il Tribunale, in composizione collegiale, ha respinto entrambi i reclami con ordinanza 21 dicembre 2016, rep.
5021, pur modificando le ragioni di accoglimento del ricorso originariamente proposto:
ha infatti evidenziato il collegio che a ben vedere la non godeva di un compossesso, per aver posseduto uti dominus per un lungo periodo di tempo, dovendosi invece qualificare il suo rapporto con la cosa in termini di detenzione qualificata, assimilabile alla posizione di comodataria che detenga nel proprio interesse.
Quanto al governo delle spese di lite ha evidenziato il collegio che l’azione era stata introdotta nel corso di un procedimento di merito e dunque ogni decisione doveva essere assunta all’esito.
3. – Definito il procedimento di reclamo, con conferma del dispositivo dell’ordinanza di prosecuzione del procedimento, chiedendo la conferma del provvedimento interdittale, la ricollocazione di una serie di beni mobili invece posizionati nell’immobile in INDIRIZZO il risarcimento del danno.
Si costituiva la controparte per resistere all’avversa pretesa.
Venivano dunque assegnati i termini di cui all’art. 183 co. 6 c.p.c. e, all’esito, con ordinanza istruttoria venivano ammesse le prove orale come articolate dalle parti;
mutata la persona del giudice istruttore venivano dunque sentiti in interrogatorio formale, nonché quali testimoni All’esito, su concorde richiesta delle parti, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni.
A seguito di alcuni rinvii a carattere organizzativo, venivano precisate le conclusioni all’udienza del 15 maggio 2024 come da verbale (e senza ulteriori richieste istruttorie) e la causa passava in decisione, con assegnazione dei termini di cui all’art. 190 co. 1 cod. proc. civ.;
tutte le parti hanno prodotto comparse conclusionali e repliche.
4. – Viene dunque alla decisione, in cognizione piena, il merito possessorio del ricorso a suo tempo introdotto per la reintegrazione nel possesso spiegato da contro la figlia e contro assunto coautore dello spoglio.
È opportuno al riguardo rammentare, quanto alla natura del giudizio, che il procedimento dettato dall’art. 703 c.p.c. per le domande di reintegrazione e di manutenzione, è unitario e si articola in due fasi di cui la seconda, nel merito e a cognizione piena, rimessa all’iniziativa di una delle parti.
È stato del resto al riguardo affermato che “Tuttavia, l’evoluzione della struttura bifasica del procedimento in questione nei richiamati termini (con l’intervenuta “eventualizzazione” della fase di merito) non ha fatto venir meno il principio che le due fasi del giudizio possessorio sono introdotte entrambe con il ricorso proposto ai sensi dell’art. 703 c.p.c., comma 1. Da ciò discende, quindi, che la richiesta di prosecuzione del giudizio per il merito (nelle forme della cognizione piena) deve assumere, in sostanza, la connotazione di una istanza di fissazione dell’udienza per la comparizione delle parti e di trattazione della causa ai sensi dell’art. 183 c.p.c., con valore solo endo- processuale, che – come già sottolineato – è proponibile da tutte le parti del procedimento.
Di conseguenza, anche in consonanza con la prevalente dottrina occupatasi dell’argomento, deve ritenersi che la suddetta istanza non implica la prosecuzione della fase sommaria nè implica la successiva introduzione del giudizio formulato.
” (Cass. civ., Sez. Cass. civ., Sez. II, 26 marzo 2012, n.4845; sulla natura del procedimento, da svolgersi nelle forme del processo ordinario di cognizione, v. Cass. civ., Sez. II, 4 agosto 2023, n. 23860).
E’ nel corso del giudizio di merito che possono essere esaminate le domande risarcitorie, altrimenti inammissibili nella prima fase (Cass. civ., Sez. III, ord. 13 luglio 2021, n. 19990).
Ebbene, come si è detto, esponeva in ricorso che il 18 agosto 2015 sostituiva le serrature di un appartamento sito in San Giustino, INDIRIZZO dove ella abitava da tempo, quale familiare convivente della figlia proprietaria dell’immobile.
La controparte ha affermato invece che la stessa “oramai da anni (…) ha trascorso la maggior pare del tempo nell’immobile sito in INDIRIZZO trovandosi nell’appartamento in INDIRIZZO solo saltuariamente a titolo di ospitalità e negando in ogni caso che la stessa abbia mai avuto il possesso dell’appartamento di INDIRIZZO, dunque sostenendo non trattarsi di detenzione autonoma.
Ciò che emerge nella vicenda in parola in modo incontrovertibile è che disponesse dell’immobile di INDIRIZZO quale sua residenza (come emerge da certificato in atti) e che la stessa fino al 18 agosto 2015 ne avesse le chiavi – essendo pacifico il fatto che in tale data ebbe a sostituire le serrature.
Parimenti, non è stato contestato che gli arredi ivi presenti fossero di sua proprietà (né vale, ovviamente, affermare genericamente, come è stato fatto con la nota autorizzata in corso di procedimento interdittale del 25 novembre 2015 dalla controparte, la carenza di prova sul punto, atteso che affermare la carenza di prova non equivale a negare il fatto storico in sé, v. Cass. civ., Sez. VI – 3, 27 agosto 2020, n. 17889; nello stesso senso, v. Cass. civ., Sez. II – 28 settembre 2017, n. 22701; Cass. civ., Sez. III, 13 marzo 2012, n. 3974;
Cass. civ., Sez. III, 3 luglio 2008, n. 18202), essendo del resto tale circostanza coerente con la certa lunga permanenza della nell’appartamento in condivisione con la figlia;
al riguardo, si deve infatti osservare che è affermato da parte che “oramai da anni” la trascorresse “la maggior parte del proprio tempo” altrove, e non già che quantomeno in precedenza la stessa invece abitasse stabilmente presso tale immobile di INDIRIZZO
La stessa sentita in interrogatorio formale, ha chiaramente affermato che “Nella casa in cui abito io e che è di mia proprietà lei viveva in modo alternato abitando anche in via previsti dall’art. 2730 cod. civ., così come dimostra la abituale presenza della presso l’immobile di INDIRIZZO la testimonianza di della quale non si ha ragione di dubitare, sentita quale teste il 23 settembre 2021 e che (non abitando più in tale edificio dal 2015) ha detto vero di aver versato le quote condominiali indifferentemente alla o alla “che si occupava dei problemi condominiali” (così il capitolo confermato), che la stessa quando era il suo turno provvedeva personalmente alla pulizia del vano scale “fino al luglio 2015” e la sera quasi quotidianamente la incontrava “quando entrambe riponeva le auto nei rispettivi garage”. Tale testimonianza, unitamente alle risultanze dell’interrogatorio formale, sono poi del tutto congruenti con quanto dichiarato da (sorella di che ha detto vero che dopo la morte della madre, nel 2012, la stessa ha usato la casa precisando per un verso che “Io posso dire che spesso vedevo la macchina, e che spesso la sera era lì.
Qualche volta c’era qualche volta no, ma spesso vedevo la macchina” e, a domanda:
“Vero che la sera vede sempre rientrare la sig.ra nell’immobile di INDIRIZZO
” che “Io non abito lì ci passavo ogni tanto, quindi non posso dire con precisione”.
È dunque chiaro sia per i richiamati dati di certezza, che per quanto espressamente ammesso dalla che per quanto riferito dai testimoni quantomeno usava a suo piacimento della casa di INDIRIZZO vivendovi quantomeno “in modo alternato”, disponendo delle chiavi e occupandosi anche della gestione del condominio.
Ebbene, in questo quadro è evidentemente del tutto condivisibile la qualificazione di tale fatto compiuta da questo Tribunale in composizione collegiale in sede di reclamo, dove è stato affermato che la detenzione (cioè il rapporto materiale della con la cosa, rapporto del tutto pacifico in sè) doveva essere qualificato non già come esercitata per ragioni di ospitalità, bensì nel proprio interesse autonomo, trattandosi di un comodato ad uso abitativo (potendosi altresì rammentare che il comodato è un contratto reale non formale).
Ne discende, come già sostenuto da questo Ufficio, che la non poteva essere sic et simpliciter essere privata della sua autonoma detenzione – a nulla rilevando che ella avesse o meno un altro luogo dove abitare –, ben potendo fruire della tutela possessoria avverso lo spoglio violento o clandestino compiuto anche dal proprietario.
Quanto al requisito della violenza dello spoglio, basti rammentare che la violenza, quale presupposto dell’azione di reintegrazione, implica che lo spoglio venga commesso possesso o gliene impediscano l’esercizio, con la consapevolezza, da parte di chi commette lo spoglio di agire per privare il possessore della cosa.
Il riferimento alla clandestinità, invece, richiama lo stato di ignoranza di chi abbia subito lo spoglio nella impossibilità di avere conoscenza del fatto costituente spoglio nel momento in cui questo viene posto in essere (Cass. civ., Sez. II, 30 agosto 2000, n. 11453).
È stato inoltre affermato che “ricorre spoglio violento anche nella privazione dell’altrui possesso mediante alterazione dello stato di fatto in cui si trova il possessore eseguita contro la volontà anche soltanto presunta del possessore” (Cass. civ., Sez. II, 13 febbraio 1999, n. 1204).
Quanto all’animus spoliandi, poi, del tutto evidente nel caso di specie stante la chiara consapevolezza della di immutare la situazione precedente mediante il cambio delle serrature, basti rammentare che “In tema di possesso, è passibile di azione di reintegrazione, ex art. 1168 c.c., colui che, consapevole di un possesso in atto da parte di un altro soggetto, anche se ritenuto indebito, sovverta, clandestinamente o violentemente, a proprio vantaggio la signoria di fatto sul bene, nel convincimento di operare nell’esercizio di un proprio diritto reale, essendo, in tali casi, “l’animus spoliandi in re ipsa”, né potendo invocarsi il principio di legittima autotutela, il quale opera nell’immediatezza di un subìto ed illegittimo attacco al proprio possesso. ” (v. Cass. civ., Sez. II, ord. 28 luglio 2021, n. 21613).
Pertanto il provvedimento reso nella fase interdittale (e cioè l’ordinanza resa dal Tribunale in composizione collegiale) deve essere confermato laddove, respingendo il reclamo, conferma l’ordine di reintegrazione pronunciato dal primo giudice.
Tanto con la precisazione che non vi è alcuna prova del coinvolgimento (invero nemmeno morale) del egli, presente solo successivamente sui luoghi di causa (atteso che se ne afferma la presenza quando, dopo aver mutato le serrature, comunicò alla madre il fatto compiuto), non è stato da alcuno dimostrato che abbia preso parte attiva o neppure morale al concreto fatto dello spoglio.
Ne deriva che nei suoi confronti la domanda è infondata, sotto tutti i profili.
5. – Venendo all’istanza di ricollocazione di una serie di beni mobili nell’appartamento di INDIRIZZO, formulata dapprima nelle conclusioni del ricorso per rintegra, respinta in sede interdittale e riproposta, con specificazione che i beni si trovavano nell’appartamento di INDIRIZZO la stessa deve ritenersi del tutto inattuale posto che nelle comparse conclusionali parte ha esposto di aver desistito dall’ottenere la reintegra materiale nell’immobile, sicchè “Sul punto di fatto è cessata la materia del contendere, sebbene la , per la condanna al risarcimento danni subiti da ed infine per l’accertamento della soccombenza ai fini delle condanna alla spese di lite. ” (v. comparsa conclusionale pag. 3) di modo che alcuna utilità avrebbe la ricorrente da un ordine che imponga la ricollocazione di tali beni in INDIRIZZO
In ogni caso, basti il rilievo che, ovviamente, conseguita la reintegra nella detenzione dell’immobile, la ben avrebbe potuto collocare – nel quadro di una civile convivenza – nell’appartamento i mobili che avesse voluto, dovendosi altresì osservare che è mancata la prova che a spostare i mobili siano stati la ed il (negando di ricordare la circostanza tra l’altro il teste specificatamente interrogato).
6. – Venendo al risarcimento del danno non può che riconoscersi che lo spoglio subito da fu un atto illegittimo.
Vi è tuttavia che è risultato dall’istruttoria svolta che ella poteva disporre, quale comproprietaria, dell’appartamento in INDIRIZZO e che effettivamente ne disponeva dopo la morte della madre e fino a quando non furono cambiate le chiavi dell’appartamento di INDIRIZZOv. in particolare la testimonianza di In altri termini, non può imputare alla figlia propria scelta di recarsi, per alcuni mesi, in un residence, e dunque, tra l’illecito e il danno patrimoniale lamentato non vi è sufficiente nesso di causalità e comunque il danno avrebbe potuto agevolmente essere evitato dalla stessa La posta patrimoniale corrispondente alle spese sostenute per tale sistemazione, dunque, non può essere risarcita. Né sono stati esposti concreti sconvolgimenti all’agenda di vita della che possano evidenziare un danno non patrimoniale sotto la nozione di danno esistenziale né, ancora, sono stati illustrati disagi diversi, che pure dovrebbero assurgere ad una dimensione non bagatellare per poter trovare ristoro, atteso che l’art. 2059 cod. civ. consente alla tutela dei diritti della personalità e non ai disagi.
Ne deriva che, per tali ragioni, la domanda risarcitoria deve essere complessivamente respinta.
7. – Devono infine essere regolate le spese dell’intero giudizio (e dunque anche delle due fasi interdittali), tenendo conto che è stata sempre vittoriosa (nelle due fasi interdittali, oltre che nel presente giudizio) nei confronti di e, al contrario, sempre soccombente (quanto alla legittimazione passiva in prime cure, in Le spese devono essere regolate tenendo conto del valore indeterminabile basso della controversia (procedimento cautelare, senza fase istruttoria, minimi 1.615 euro, massimi 4.843 euro;
secondo procedimento cautelare, senza fase istruttoria, minimi 1.615 euro, massimi 4.843 euro;
merito possessorio, minimi 3.809 euro, massimi 11.425 euro).
Il Tribunale ordinario di Perugia, respinta ogni diversa domanda o eccezione ed assorbita ogni altra questione così definitivamente provvede nella causa in epigrafe:
– conferma l’ordinanza resa dal Tribunale di Perugia in composizione collegiale il 21 dicembre 2016, rep.
n. 5021 quanto al rigetto dell’istanza di revoca dell’ordine di reintegrazione in favore della ricorrente per l’effetto confermando anche il rigetto della domanda in quanto esperita nei confronti di – respinge per il resto le domande attoree;
– condanna al pagamento delle spese di lite in favore di per tutti i giudizi svolti, in misura di euro 11.000 oltre spese generali (15%) iva e c.p.a. come per legge;
– condanna al pagamento delle spese di lite in favore di per tutti i giudizi svolti, in misura di euro 11.000 oltre spese generali (15%) iva e c.p.a. come per legge;
Così deciso in Perugia il 5 settembre 2024 Il giudice dott. NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
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