REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI ROMA SECONDA
SEZIONE CIVILE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA Così composta:
NOME COGNOME Presidente NOME COGNOME Consigliere Relatore NOME COGNOME Consigliere riunita in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._676_2025_- N._R.G._00002008_2022 DEL_30_01_2025 PUBBLICATA_IL_31_01_2025
Nella causa civile in grado d’appello iscritta al n. 2008 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2022 cui è riunita la n. 2043/2022 vertente TRA ( C.F. elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende per mandato in atti APPELLANTE nel giudizio 2008/2022 ( C.F. Elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv.to NOME COGNOME che la rappresenta e difende per mandato in atti APPELLANTE nel giudizio 2043/2022 ( C.F. Elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende con l’Avv. NOME COGNOME per mandato in atti APPELLATO OGGETTO : impugnazione sentenza 3123/2022 del Tribunale di Roma, sezione specializzata DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il quattro luglio 2018 e iscritto a ruolo ( r.g. 50452/2028 ) , socio di conveniva dinanzi al Tribunale di Roma, sezione specializzata imprese, amministratore dal dieci giugno 2015 al tre ottobre 2017, esercitando l’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. e chiedendo il risarcimento del danno da valutarsi anche in via equitativa.
Il convenuto si costituiva e chiedeva il rigetto della domanda.
Con sentenza 825 del ventinove novembre 2019 era dichiarato il fallimento della curatela si costituiva il ventisei gennaio 2021 facendo proprie le argomentazioni e conclusioni Sulla base dei documenti prodotti con sentenza 3123 del 2022 la domanda era respinta;
e la curatela erano condannati in solido al pagamento delle spese di lite in favore del convenuto liquidate in € 7.250,00 per compensi, oltre rimborso forfettario e accessori come per legge.
proponeva appello e concludeva chiedendo :
“in via principale, dichiarare ed accertare che l’ing. non è tenuto al pagamento delle spese di lite come liquidate dalla impugnata sentenza;
in via subordinata, per il non creduto caso in cui anche la Corte adita ritenga che l’ing. sia comunque tenuto al pagamento delle spese di lite del primo grado, rideterminarne e quantificarne l’importo nella minor misura indicata in atti”.
Il fallimento proponeva distinto appello e concludeva avanzando richiesta di interrogatorio formale a carico dell’appellato, prova testimoniale e ctu e chiedendo :
“accertata la responsabilità del Dott. per i titoli tutti meglio dedotti in atti, condannare il medesimo a risarcire i danni patrimoniali subiti dalla e dalla massa dei suoi creditori nella misura che sarà determinata e provata in corso di causa e comunque quantificata in atti, anche con riferimento allo strumento equitativo, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali”.
DELLA DECISIONE Impugnazione L’appellante contesta la condanna alle spese di lite a proprio carico in quanto sostiene che, avendo agito in sostituzione della società ed essendo poi la stessa intervenuta una volta fallita, non sarebbe tenuto al pagamento.
Il motivo è solo in parte fondato.
La condanna alle spese di lite concerne le parti costituite in giudizio a prescindere dal fatto che venga esperita un’azione nell’interesse o in sostituzione di altro soggetto.
Nel caso di specie era parte del giudizio e di conseguenza correttamente è stato destinatario della pronuncia riguardo alle spese.
Non è peraltro dovuta la fase successiva a quella in cui si è costituito il fallimento ossia la parte nel cui interesse aveva agito, fase, si rileva in cui quest’ultimo non ha più compiuto alcuna attività difensiva.
L’improcedibilità della domanda di incide unicamente in questi termini in quanto comporta per il medesimo la sopravvenuta carenza di legittimazione a proseguire nel processo.
Come condivisibilmente affermato a tale proposito da Cass. 21013/2018 nell’ipotesi di vittoria in giudizio del fallimento ma con principio applicabile anche nel caso di specie:
“ Nel caso di accoglimento di un’azione di revocatoria ordinaria promossa dal singolo creditore nei confronti del debitore poi fallito, al quale in corso di causa sia subentrato il curatore ex art. 66 l. fall., la refusione delle spese processuali spetta anche al creditore che sia rimasto in giudizio sino alla sentenza definitiva emessa nei confronti del fallimento, atteso che non costituisce forma di soccombenza né la sopravvenuta improcedibilità della sua domanda in ragione del subentro del curatore – in quanto non attribuibile all’originario attore, il quale aveva fondatamente incardinato il giudizio – né la sua mancata estromissione da parte del giudice (che avrebbe comunque dovuto comportare una refusione delle spese fino ad allora sostenute); in tale caso, tuttavia, la liquidazione delle spese in favore del singolo creditore Deve pertanto essere esclusa la fase decisionale.
Lo scaglione applicato dal Giudice di prime cure, come emerge dall’entità dell’importo liquidato per compensi, è quello di causa di valore indeterminabile di bassa complessità ( inferiore di soli 4 euro rispetto alla tariffa media ) previsto dalle tabelle all’epoca vigenti.
Togliendo la fase decisionale ( € 2.767,00 ) l’importo a carico di è quindi pari a € 4.483,00 oltre rimborso forfettario del 15%, IVA e CA.
Impugnazione Primo motivo “ Violazione degli artt. 2476 c.c., 116 e 132 c.p.c. per non avere ritenuto responsabile l’ex amministratore degli atti gestionali oggetto di contestazione, in ragione delle prove documentali depositate con conseguenziale contraddittorietà ed illogicità della ratio decidendi che rende altresì nulla la sentenza in quanto il Tribunale non ha applicato nel concreto i principi regolanti la responsabilità degli amministratori peraltro richiamati nella prima parte della motivazione”.
Secondo motivo :
“Erroneità ed ingiustizia della sentenza in relazione alle condotte delle quali il Tribunale non fa menzione avendone completamente omesso l’esame” Terzo motivo :
“erroneità ed ingiustizia della sentenza in relazione alle condotte per le quali il Tribunale ritiene che vi sia stata una previa autorizzazione assembleare” In particolare si afferma che il Giudice di primo grado, dopo avere enunciato i principi generali che regolano la responsabilità dell’amministratore, avrebbe reso una pronuncia contraria ai suddetti principi, avrebbe omesso di pronunciarsi su alcuni atti di mala gestio, per quelli su cui si è pronunciato avrebbe omesso di valutare la documentazione prodotta e avrebbe erroneamente ritenuto il fedele adempimento da parte dell’amministratore di quanto autorizzato dall’assemblea. Si afferma poi che aveva comunque “il dovere di perseguire innanzitutto l’interesse sociale anche, eventualmente, a discapito di quanto stabilito dai soci”.
Si insiste su prove orali, richiesta di esibizione e ctu avanzate in Passando alle singole operazioni contestate.
a) Transazione con l’appaltatrice Il Tribunale ha così motivato:
“….l’amministratore convenuto nel trattare la risoluzione consensuale del contratto di appalto con la si è attenuto a quanto stabilito nella decisione assembleare del dieci giugno 2015 (doc. 3 di parte convenuta) nella quale i soci, all’unanimità, avevano deliberato “di valutare la possibilità di rescindere il contratto di appalto relativo alla costruzione dell’iniziativa immobiliare sita nel comune di Marcellina con l’attuale ditta appaltatrice con una proposta transattiva di Euro 100.000,00 a saldo stralcio di qualsiasi pretesa maturata fino a tale data e di affidare l’appalto per la prosecuzione dei lavori alla ditta di riferimento del socio. ”.
Il Giudice ha pertanto ritenuto espressamente infondati i rilievi di parte attorea che aveva invece affermato che in sede transattiva l’amministratore avrebbe dovuto considerare come l’importo dei lavori eseguiti fosse pari a € 110.000,00 circa da cui dover detrarre € 65.000,00 a titolo di penale e € 30.000,00 a titolo di danni subiti dalle opere appaltate per cui la cifra da offrire sarebbe stata pari a non più di € 15.000,00.
L’appellante sul punto sostiene che quindi in sede di attuazione della delibera l’amministratore avrebbe comunque dovuto applicare le detrazioni sopra indicate al fine di tutelare l’interesse sociale.
Il motivo è infondato.
Risulta dal verbale dell’assemblea come la risoluzione in via transattiva del contratto (atecnicamente indicata come rescissione) è stata oggetto di specifica discussione al cui termine è giunta la delibera.
Si tratta poi di appalto di importo non indifferente (costruzione di un fabbricato per il corrispettivo di € 650.000,00) e quindi di importante rilevanza per i e il completamento dell’opera sarebbe stato necessario un finanziamento infruttifero di ben € 200.000,00 “ al fine di sopperire alle necessità cui dover far fronte a tutt’oggi”.
Si deve ritenere quindi che la delibera, presa all’unanimità, sia stata adottata verificando lo stato effettivo dei lavori e analizzando la documentazione contrattuale, anche considerando la professionalità specifica di uno dei soci ( – ingegnere ).
Ciò che emerge dalla delibera è in buona sostanza la necessità di sbloccare il cantiere in quanto i lavori erano stati sospesi e dovevano essere conclusi per evitare l’aggravamento della situazione.
In tale contesto l’offerta da parte dell’amministratore di un corrispettivo di € 15.000,00 o di somma comunque inferiore sensibilmente a quanto deliberato avrebbe con ogni probabilità avuto come effetto il perpetuarsi del blocco del cantiere con l’interruzione delle trattative.
Non solo, osserva il collegio come dal verbale dell’assemblea del tre ottobre 2017 ( fissata per l’approvazione del bilancio 2016 ) abbia riportato una richiesta dell’appaltatrice a settembre 2014 di ben € 200.000,00.
Atteso quanto detto il comportamento dell’amministratore risulta non solo attuativo della volontà sociale ma anche in linea con la diligenza allo stesso richiesta.
b) Recesso della ditta e affidamento incarico a In relazione al medesimo fabbricato di cui sopra la aveva stipulato nel 2009 con la fallita un contratto per la progettazione architettonica e statica nonché per l’urbanizzazione, la direzione lavori e i collaudi per un corrispettivo di € 100.000,00.
La ditta , come risulta dal verbale di assemblea del tre maggio 2016, ha dichiarato di rinunciare all’incarico e con delibera all’unanimità in pari data è stato dato all’amministratore “ogni più ampio potere di conferimento di nuovo incarico a professionista o società abilitata per tutte le attività tecniche propedeutiche alla realizzazione del piano integrato quindi attinenti eventuali progettazioni aggiuntive, direzione lavori, responsabile della sicurezza sia pubblica il tutto determinando un compenso massimo non superiore a quello attribuito alla PartDal successivo verbale di assemblea del tre ottobre 2017 emerge invero una ricostruzione del socio secondo cui il recesso sarebbe stato in buona sostanza estorto dall’amministratore e il corrispettivo residuo dovuto alla , se avesse portato a termine l’incarico sarebbe stato di soli € 10.000,00, come dalla stessa s.r.l. conteggiato in data dieci dicembre 2015; il nuovo contratto stipulato dall’amministratore con altra ditta, per un corrispettivo di € 50.000,00 sarebbe quindi foriero di un danno di € 40.000,00.
Il Tribunale ha ritenuto l’infondatezza della domanda attesa l’autorizzazione data dall’assemblea per la stipula del nuovo contratto con votazione unanime e senza successiva impugnazione.
L’appellante nel presente grado ha ribadito la propria tesi sostenendo che l’argomento sarebbe stato sottoposto “a sorpresa” in sede di assemblea e che l’amministratore avrebbe individuato la nuova ditta senza la dovuta diligenza nonché stabilito un compenso del tutto fuori linea rispetto a quanto contrattato in precedenza.
Il motivo è infondato.
Per quanto riguarda l’inserimento a sorpresa della questione nell’ambito dell’assemblea del tre maggio 2016 si rileva come nell’ordine del giorno era prevista l’introduzione di questioni varie ed eventuali;
nessun socio ha poi esercitato in tale sede la facoltà di chiedere maggiori approfondimenti e un rinvio ad altra data.
Nel nuovo contratto stipulato con il quattro maggio 2016 è stato poi espressamente specificato come il precedente incarico fosse stato conferito solo per le attività connesse alla “parte privata “ ( realizzazione del fabbricato ) del progetto integrato;
ciò ha riscontro nel contratto prodotto a carte 18 del fascicolo di primo grado di parte appellante.
Il nuovo incarico invece riguardava anche la “parte pubblica” ossia i lavori di urbanizzazione, rispetto a cui ancora era in essere la fase di programmazione;
non solo, per quanto riguardava la parte privata era dato atto dell’intervenuta scadenza del permesso a costruire.
In buona sostanza emergono elementi significativi che inducono a ritenere come il conferimento dell’incarico a comunque non abbia arrecato danno alla società anche perché si trattava di attività necessaria per il completamento delle opere in toto e Part corrispondenza allegata dall’appellante in base a cui il legale rappresentante della precedente affidataria riferisce di contrasti accesi e di frasi quasi intimidatorie rimane del tutto priva di riscontro probatorio, non inficiando comunque la convenienza dell’operazione. La richiesta di sole € 10.000,00 a saldo ( doc. 20 fascicolo parte appellante ) dell’originario contratto infine, seppur riferita alla volontà di portare a termine l’incarico, riguardava le sole spese vive per attività di sopralluogo in cantiere e riproduzione di tavole e documenti vari.
c) Affidamento di opere di urbanizzazione a Il Tribunale a tale proposito ha ritenuto l’assenza di comportamenti contrari ai doveri di amministratore e ha affermato :
“….con delibera dell’assemblea dei soci del 12/12/2016 (doc. 3 di parte convenuta ) veniva conferito all’odierno convenuto l’incarico “di affidare alla oggi RAGIONE_SOCIALE il contratto di appalto per l’esecuzione dei lavori di urbanizzazione giusta Convenzione stipulata con il in data 20.11.2009, rep. 250 ed afferente il Piano Integrato per l’importo di € 157.500,00 o €132.500,00, secondo le decisioni l’Amministrazione comunale in ordine alla richiesta di riduzione dell’importo previsto in convenzione giusta nota assunta a prot. comunale in data 05.05.2016 al n° 3518, al prezzario della Regione Lazio attualmente in vigore, dando ogni più mandato all’amministratore per l’esecuzione della presente delibera”. Anche in tale caso l’amministratore, in esecuzione della delibera assembleare, stipulava il contratto secondo le indicazioni e i poteri conferitigli dall’assemblea”.
L’appellante sostiene che l’amministratore, illegittimamente, aveva proposto in sede assembleare l’affidamento delle opere di urbanizzazione a ( società che faceva capo al socio per cui è dedotto anche il conflitto di interessi );
non era stata infatti ancora determinata con il la localizzazione e ancora non era stata accettata la richiesta di riduzione dell’importo.
Il contratto sarebbe stato poi stipulato senza attendere il rilascio del permesso di costruire e a condizioni troppo restrittive ( pagamento a trenta giorni dalla fattura ) rispetto alle capacità economiche e alle difficoltà finanziare in cui versava la società.
L’amministratore aveva poi autorizzato il pagamento di “uno stato di avanzamento afferente n. 17/2017 del 23.03.2017 (All. 3.46), anche se nello stato di avanzamento dei lavori erano incluse non le opere di urbanizzazione ma le opere di completamento all’edificio, e quindi lavori che afferivano al diverso contratto stipulato il 4 febbraio 2016 sempre con la Il motivo è infondato.
La delibera assembleare, cui non aveva preso parte il socio e che si è tenuta con la presenza del 50% del capitale, non è stata impugnata dal socio assente, attore in primo grado, che ben avrebbe potuto far rilevare il conflitto di interessi.
Il contratto di appalto è stato poi stipulato in esatto adempimento della delibera e in assenza di altri riscontri non si ravvede alcun tipo di violazione dei doveri dell’amministratore nell’aver stabilito la clausola di pagamento a trenta giorni.
Per quanto riguarda l’asserito pagamento di lavori eseguiti in riferimento ad altro contratto lo stato di avanzamento ( doc 46 fascicolo di parte appellante ) è stato sottoscritto non solo dall’appaltante e dalla committente ma anche dal direttore dei lavori che ha certificato l’esecuzione in relazione alle opere di urbanizzazione elencando le singole lavorazioni eseguite.
Anche sotto questo profilo quindi, a prescindere dalla regolarità amministrativa che riguarda altri aspetti non rilevanti in questa sede, non emergono elementi sufficienti a riscontro dell’inesistenza delle opere o di un doppio pagamento e quindi di esborsi a carico della società non dovuti.
Attività non esaminate specificamente dal Tribunale d) Incarico a ( poi ) per lo svolgimento di attività tecnico-amministrativi.
( pag. 16 appello ) fatture pag 49 appello ( 43 49 2016 e 57 2017 )
Sostiene l’appellante che l’amministratore “con il fine unico di perseguire gli interessi del socio.
ha affidato le attività tecnico-amministrative alla ’esigenza sottesa era quella di evitare che, una volta ripresi i lavori interrotti a seguito dei contrasti con l’originario appaltatore non vi fossero ulteriori problemi ( legati per esempio agli allacci all’impianto fognario comunale, servizi idrici ed elettrici e alla convenzione con il ) che ostacolassero la vendita degli appartamenti.
Detto incarico è stato conferito alla in quanto il tecnico che se ne era occupato in precedenza era passato alle dipendenze di detta società ( pag. 14 atto di citazione di primo grado ) con delibera assembleare del dieci giugno 2015, per il periodo dal primo luglio al trentuno dicembre 2015 con un corrispettivo di € 2.500,00 mensile oltre IVA.
Con delibera del tre febbraio 2016 è stato ritenuto di far slittare il periodo facendo decorrere la prestazione dalla data in cui avesse accolto l’istanza di modifica del periodo di preammortamento del mutuo che la società aveva contratto per la realizzazione delle opere.
E’ stata dedotta e non contestata la mancata concessione della proroga.
L’appellante sostiene che le fatture emesse dalla società ( n. 43/2016 per i mesi da febbraio a settembre 2026 dell’importo di € 20.000,00 oltre Iva al 22% per un totale di € 24.400,00, n. 49/2016 per i mesi di ottobre e novembre dell’importo di € 5.000,00 oltre Iva al 22% per un totale di € 6.100,00, n. 57/2016 per il mese di dicembre dell’importo di € 2.500,00 oltre Iva al 22% per un totale di € 3.050,00 ) sarebbero relative ad attività inesistenti tanto che il curatore aveva verificato la mancanza di allaccio in fogna e di collegamenti delle utenze. Afferma poi che l’amministratore avrebbe pagato in gran parte gli importi suddetti residuando solo € 6.050,00 creando così un ingiustificato ammanco.
Il motivo è infondato Si osserva in primo luogo come nell’atto di citazione di primo grado non si sostiene che l’attività non sia stata effettuata ma che “la ha dato esecuzione a tale attività solo a partire dal mese di febbraio 2016 e sino al 31 dicembre 2016”.
Si contesta invece il corrispettivo in quanto si sostiene che quello corretto sarebbe stato €15.000,00 e non € 22.500,00 oltre iva e si affermano forti inadempimenti da parte della ditta ( che sarebbe riuscita in undici mesi solo a ottenere la quantificazione dei costi per i consumi dovuti a e un preventivo dall’ENEL, non avrebbe effettuato alcuna attività per acquisire le utenze idriche, la richiesta di allaccio in fogna sarebbe stata intempestiva in Cont effettuata a novembre 2016 ossia al termine dei lavori edili mentre l’amministratore non avrebbe fatto i passi burocratici successivi necessari per attivare le utenze,). Riguardo al conteggio lo stesso risulta invero corretto poiché corrispondente al corrispettivo di € 2.500,00 mensili per i mesi fatturati.
Riguardo al resto si rileva come non emergano in atti contestazioni specifiche nel corso dell’attività tecnica, nemmeno da parte del socio originario attore e pertanto la prova, rigorosa, che l’amministratore abbia pagato nonostante evidenti inadempienze di cui si era accorto o di cui si sarebbe facilmente potuto accorgere non è stata fornita.
L’appellante poi a sostegno dei pagamenti adduce unicamente un prospetto scritto a macchina senza data né firma in calce alla fotocopia di un assegno, elemento che, per come prospettato, non attesta ex se l’effettivo pagamento né espressamente è allegata la sussistenza di altri riscontri in altra documentazione depositata.
e) Affidamento alla dei lavori di completamento del complesso immobiliare.
L’affidamento si basa su delibera assembleare del dieci giugno 2015.
L’appellante sostiene che senza verificare i prezzi di mercato e valutare altre offerte, come invece si ricaverebbe dalla delibera, si sarebbe affrettato a stipulare il contratto direttamente con la e per di più a condizioni difformi rispetto a quelle stabilite dall’assemblea.
Nella delibera era stabilito :
“l’importo dei lavori residui non potrà comunque essere affidato a un prezzo superiore a quello originariamente affidato alla l’importo eventualmente erogato a quest’ultima ditta a saldo e stralcio per i lavori finora eseguiti.
L’importo per i lavori residui affidati alla dovrà conservare la clausola della forfetizzazione e ricomprendere l’esecuzione di eventuali danni alle opere intervenuti nel periodo di forzata sospensione delle attività”.
Ebbene per quanto riguarda il primo rilievo deve ritenersi che in realtà l’affidamento autorizzato era relativo proprio alla e ciò sulla base di alcuni ordini di primo luogo dal verbale risulta che la proposta concerneva tout court l’affidamento dei lavori residui a detta società senza menzionare altre ditte o incaricare l’amministratore di effettuare ricerche di mercato.
In secondo luogo il testo, letto completamente, indica :
“ delibera di valutare la possibilità di rescindere il contratto di appalto relativo alla costruzione…..
con l’attuale ditta appaltatrice con una proposta transattiva di € 100.000,00 a saldo e stralcio di qualsiasi pretesa maturata fino a oggi, nonché di affidare l’appalto per la prosecuzione dei lavori alla ”;
in buona sostanza il dato letterale non è univoco in quanto ben potrebbe essere interpretato nel senso di riferire l’espressione “valutare la possibilità “ solo alla transazione ( in quanto ancora si era in fase iniziale di trattative ) e non alla scelta della nuova ditta.
In terzo luogo nel prosieguo della delibera laddove è stabilito l’importo a forfait si compie espresso riferimento a “lavori residui affidati alla a conferma della volontà assembleare di stipulare il contratto proprio con la suddetta.
Per quanto riguarda poi le concrete condizioni contrattuali la delibera del tre febbraio 2016 autorizza la stipula del contratto al prezzo di € 570.000,00 e non è stata impugnata.
Si rileva poi come a fronte di una nota analitica a firma del socio inviata il sette giugno 2016 con cui erano evidenziate le criticità oggi indicate nell’atto di appello e in precedenza nell’atto di citazione l’amministratore abbia risposto con email del quattordici giugno 2016, contenente il nuovo testo del contratto, con cui espressamente sono state apportate le modifiche richieste.
Non vi sono perciò elementi per ritenere che la stipula sia avvenuta in modo che, sulla base di un giudizio ex ante, fosse da ritenersi contrario all’interesse sociale.
Per ciò che concerne infine il completamento dei lavori con fatturazione e svincolo della cauzione, lo stesso appellante riporta che la relativa certificazione è stata firmata su conforme attestazione del direttore dei lavori né può imputarsi all’amministratore, che tra l’altro non è un tecnico ma un commercialista, il fatto che gli stessi in realtà presentavano carenze riscontrate sulla base di una perizia di parte che ha quantificato in € 50.000,00 l’importo dei lavori da completare.
’inadempimento dell’appaltatore non può di conseguenza, in assenza totale di altri riscontri, essere imputato a responsabilità di f) Inerzia giudiziaria a fronte della sentenza della Si afferma la violazione degli obblighi dell’ amministratore per la mancata impugnazione della sentenza 16121/2016 del Tribunale di Roma, resa nel proc. 45564/2010 e pubblicata il ventinove agosto 2016, contenente la condanna al pagamento di € 65.000,00 oltre interessi commerciali di mora dalla domanda al saldo nonché alle spese di lite per €13.946,82 oltre accessori di legge. Si tratta di somme richieste da per la stesura di un progetto relativo sempre al complesso immobiliare di ***.
L’appellante sostiene che il precetto e il pignoramento presso terzi ( in particolare presso la Banca *** ) avrebbe comportato il blocco dell’erogazione dell’ultima rata di mutuo in essere con detto istituto;
in sede di assemblea del diciassette ottobre 2016 erroneamente l’amministratore avrebbe poi affermato che non ci fossero margini per appellare la sentenza adducendo il parere in tal senso di due avvocati;
si sostiene che se avesse consultato esperti di diritto amministrativo avrebbe avuto una risposta differente;
si afferma poi che se non avesse agito in modo superficiale avrebbe potuto verificare l’esistenza di margini per impugnare la sentenza in relazione alla portata del diniego della validazione del progetto da parte del che il Tribunale, erroneamente, aveva ritenuto non ostativa al pagamento della prestazione professionale.
Il motivo è infondato.
Con delibera assembleare del diciassette ottobre 2016, assente che comunque non ha impugnato la statuizione, l’amministratore dichiarava di aver consultato due legali e il socio di averne consultato un terzo;
la prognosi di un accoglimento dell’appello era stata negativa.
Nella presente impugnazione si sostiene in buona sostanza che non sarebbero stati consultati i giusti professionisti che sicuramente avrebbero dato una valutazione differente.
Ebbene, a parte la totale omissione di produzione di un parere, dell’appello ma anche quello di cercare il prima possibile una transazione ( anche perché la stessa società vantava altro credito per circa € 10.000,00 ) che scongiurasse il pignoramento presso la banca e bloccasse il mutuo.
Si rileva poi come la sentenza fosse provvisoriamente esecutiva per cui non vi sarebbe stato blocco dell’esecuzione forzata a meno di non ottenere una sospensiva rispetto a cui il fallimento nulla deduce.
Per quanto riguarda poi l’accordo per la rateizzazione del debito, pure questo ritenuto atto di mala gestio per non aver verificato di avere i fondi necessari ed erogando € 42.500,00 solo a parziale pagamento, si tratta di affermazione del tutto infondata.
Il debito esisteva e doveva essere pagato e non è stata fornita dall’appellante una soluzione alternativa.
Non vi sono pertanto margini per ritenere che l’amministratore, sempre sulla base di una valutazione ex ante, abbia posto in essere atti lesivi dell’interesse sociale.
g) Inerzia giudiziaria a fronte del decreto ingiuntivo di Si afferma che l’amministratore colpevolmente non avrebbe dato notizia ai soci e al nuovo amministratore ( in sede di passaggio delle consegne ) nonché non avrebbe opposto il decreto ingiuntivo 14595/2017 del Tribunale di Roma, per l’importo di € 396.896,25 oltre accessori e spese, ottenuto da RAGIONE_SOCIALE ( già Il decreto, notificato il ventisette giugno 2017 e non opposto, è stato messo in esecuzione, è stata iscritta ipoteca giudiziale il primo dicembre 2017 e ciò, unitamente all’esecuzione della sentenza ottenuta di secondo la prospettazione della curatela, sarebbe stato esiziale in relazione al mutuo edilizio in essere con la Banca Popolare di Milano che difatti aveva bloccato sia l’erogazione del residuo sia il frazionamento per gli importi già erogati e poi aveva risolto il contratto. Il motivo è infondato.
ha contestato di aver ricevuto la notifica del decreto ingiuntivo a giugno 2017 e ha addotto, documentandolo, come il decreto sia stato corretto il ventinove novembre 2017 ossia dopo la notifica, in quanto era stato erroneamente indicato proprio il debitore per cui la mancata ricezione dell’atto risulta probabile;
è stata poi documentata una notifica del decreto ingiuntivo e del provvedimento di correzione avvenuta il ventuno dicembre 2017 ;
sarebbe quindi stato impossibile valutare un’opposizione essendo controversa la correttezza della prima notifica.
Manca poi la prova controfattuale poiché nulla viene dedotto riguardo alla fondatezza o meno delle pretese di che comunque aveva eseguito l’appalto commissionato.
Infine l’entità del decreto ingiuntivo, l’incapacità di provvedere al pagamento finanche del minore importo richiesto da con il precedente provvedimento monitorio costituiscono elementi che rendono altamente improbabile l’esistenza di un nesso causale diretto tra la risoluzione del mutuo e il comportamento addebitato all’amministratore relativo alla mancata opposizione al provvedimento monitorio.
Spese del giudizio di primo grado La curatela sostiene l’erroneità della pronuncia laddove ha posto a carico della suddetta anche le fasi precedenti la sua costituzione, chiedendo in subordine la condanna solo per la fase successiva.
Il motivo è fondato.
Il fallimento è stato dichiarato allorquando la fase di ammissione dei mezzi istruttori era terminata e il Giudice aveva già disposto rinvio per la precisazione delle conclusioni per cui la fase decisionale è l’unica da porre a carico della curatela (€ 2.767,00).
La ricostruzione effettuata sulla documentazione prodotta esclude la necessità di ulteriore istruttoria :
in particolare le prove orali vertono tutte su circostanze già risultanti in atti o da provare documentalmente, la richiesta di ordine di esibizione della contabilità di cantiere a è parimenti superfluo mentre la CTU è del tutto esplorativa.
Le spese del presente grado seguono i principi generali, senza fase istruttoria in quanto non tenuta:
quelle poste a carico del fallimento sono peraltro compensate per un sesto per la parziale reciproca soccombenza ( scaglione tariffario uguale a quello di primo grado ossia causa di valore indeterminabile di complessità bassa, valori medi ) e sono compensate per la metà sempre per lo stesso motivo quelle poste a carico di ( scaglione tariffario calcolato sulla somma residua cui è stato condannato – da 5.001 a € 26.000,00 – liquidazione è quella di cui in dispositivo.
La Corte, definitivamente pronunciando, in parziale riforma della sentenza impugnata condanna la curatela fallimentare di a pagare ad le spese di primo grado liquidate in complessivi € 2.767,00 oltre rimborso forfettario del 15%, IVA e CA;
condanna a pagare ad le spese di primo grado liquidate in € 4.483,00 oltre rimborso forfettario del 15%, IVA e CA.
Respinge per il resto l’appello.
Compensa per la metà le spese del presente grado tra liquidate per l’intero in € 1.984,00 oltre rimborso forfettario del 15%, IVA e CA:
condanna a pagare ad la metà di detta somma.
Compensa per un sesto le spese del presente grado tra la curatela fallimentare e liquidate per l’intero in € 6.946,00 oltre rimborso forfettario del 15%, IVA e CA:
condanna la curatela fallimentare di a pagare ad cinque sesti di detta somma.
Roma, tredici gennaio 2025 IL
CONSIGLIERE ESTENSORE IL PRESIDENTE NOME COGNOME NOME COGNOME Thellung de Courtelary
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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