n.203/2021 R.G.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI VENEZIA SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA D’IMPRESA
La Corte d’Appello di Venezia, riunita in camera di consiglio nelle persone dei seguenti Magistrati:
dott.ssa NOME COGNOME relatore dott. NOME COGNOME Consigliere dott. NOME COGNOME Consigliere ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._389_2025_- N._R.G._00000203_2021 DEL_07_03_2025 PUBBLICATA_IL_07_03_2025
nella causa civile iscritta al ruolo il 29 gennaio 2021, promossa con atto di citazione (C.F. ), rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
appellante contro (C.F. e P.IVA ), in persona dei C.F. liquidatori, rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
appellata Oggetto: Cause di responsabilità verso gli organi amministrativi e di controllo – Appello avverso la sentenza n. 990/2022 emessa in data 25 giugno 2020 e pubblicata in data 29 giugno 2020 a definizione del giudizio iscritto al n. 7959/2016 R.G. avanti al Tribunale di Venezia – Sezione specializzata in materia d’Impresa.
CONCLUSIONI
– per parte appellante:
Precisa le conclusioni, sia nel merito che in via istruttoria, come da atto di citazione in appello soprattutto in relazione alla nullità della delibera legittimante l’azione di responsabilità promossa in primo grado e circa la mancanza di prova del dissesto sociale.
– per parte appellata:
previo ogni accertamento o declaratoria del caso, rigettare l’appello proposto in quanto inammissibile e/o infondato, confermando in ogni sua parte l’impugnata la sentenza n. 990/2020 emessa dal Tribunale di Venezia, Sezione Specializzata in Materia di Impresa, Presidente Dott.ssa NOME COGNOME Giudice Relatore dott. NOME COGNOME il 25 giugno 2020 e pubblicata il 29 giugno 2020, resa nel procedimento n° 7959/2016 R.G. (repert. n. 2049/2020 del 29 giugno 2020), non notificata e, in particolare:
– nel merito, in via principale:
respingere e rigettare l’appello proposto dalla Signora , confermando in ogni punto la sentenza appellata;
– nel merito, in via subordinata:
nella denegata e non creduta eventualità di accoglimento dell’appello, ex art. 346 c.p.c., accogliere la domanda subordinata svolta ed assorbita in primo grado che si ripropone appresso:
“In via subordinata:
nella non creduta ipotesi non dovesse trovare accoglimento la superiore domanda sub a), accertati i fatti di cui in narrativa, dichiararsi tenuta la signora (nata a Mirano-VE il 19/1/1966, Cod. Fisc. ) e condannarsi la medesima a restituire a (corrente in 30172 Venezia-Mestre (VE), INDIRIZZO Cod. Fisc./P.IVA , n. REA CODICE_FISCALE–CODICE_FISCALE), la somma di euro 382.500,00 percepita dalla signora sine titulo ovvero nella diversa somma superiore od inferiore che sarà ritenuta di giustizia, oltre alla rivalutazione monetaria maturata secondo gli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati, dalle singole operazioni eseguite indebitamente ed oltre agli interessi al saggio legale maturati sul capitale ammontante rivalutato”; – in ogni caso:
con vittoria di competenze professionali e spese, compreso il rimborso forfettario delle spese generali 15% ex DM n. 55 del 10 marzo 2014 e ex DM n. 37 del 8 marzo 2018, di entrambi i gradi di giudizio, con rifusione delle spese di CTU e CTP;
– in via istruttoria:
si è provveduto ad offrire in produzione, tramite deposito telematico con collegamenti ipertestuali, i documenti, che si specificano di seguito:
C.F. A – Copia della Sentenza n. 990/2020 emessa dal Tribunale di Venezia, Sezione Specializzata in Materia di Impresa, Presidente Dott.ssa NOME COGNOME Giudice Relatore dott. NOME COGNOME il 25 giugno 2020 e pubblicata il 29 giugno 2020, resa nel procedimento n° 7959/2016 R.G. (repert. n. 2049/2020 del 29 giugno 2020), con attestazione di conformità alla sentenza contenuta nel fascicolo telematico da cui è stata estratta;
B – Copia della notifica via pec dell’atto di citazione in appello a cura del patrocinio dell’appellante in data 29 gennaio 2021 con attestazione di conformità all’originale ricevuto;
C – Fascicolo di parte già depositato nel giudizio di primo grado avanti il Tribunale di Venezia Sezione Specializzata in Materia di Impresa n° 7959/2016 R.G. contenente gli atti e documenti di cui all’allegato elenco con relativi timbri di deposito per gli atti analogici e con attestazioni di conformità delle copie analogiche degli atti telematici;
Atti in copia informatica di originale analogico:
– atto di citazione con mandato in calce del 7/1/2016, relate di notifica per via consolare del 9/1/2016, 21/5/2016 – 1/6/2016;
– atto di citazione in rinnovazione dd.
28/9/2016, relate di notifica per via consolare, depositato telematicamente il 23/5/2017;
Atti in copia informatica di atto telematico depositato:
– memoria ex art. 183 comma 6° n. 1 c.p.c. dd. 23/6/2017, depositata in pari data con attestazione di conformità al corrispondente atto presente nel fascicolo informatico;
– memoria ex art. 183 comma 6° n. 2 c.p.c. dd. 21/7/2017, depositata in pari data con attestazione di conformità al corrispondente atto presente nel fascicolo informatico;
– foglio di precisazione delle conclusioni depositato il 27/1/2020, con attestazione di conformità al corrispondente atto presente nel fascicolo informatico;
– comparsa conclusionale dd. 1/6/2020, depositata in pari data, con attestazione di conformità al corrispondente atto presente nel fascicolo informatico;
– Memoria conclusionale di replica dd.
21/6/2020, depositata in pari data, con attestazione di conformità al corrispondente atto presente nel fascicolo informatico;
– nota spese dd. 21/6/2020 depositata in pari data, con attestazione di conformità al corrispondente atto presente nel fascicolo informatico;
Documenti:
allegati all’atto di citazione:
doc.
1: fascicolo storico doc.
2: estratto verbali assemblee soci doc.
3: copia estratti conto corrente c/o dal 2005 al 2009;
doc.
4: copia bilanci anni dal 2008 al 2011;
doc. 5:
copia avvisi vendita di beni immobili Tribunale di Belluno n. 1/2012 R.G.Es. Imm.;
doc. 6:
verbale assemblea soci dd. 5/10/2015;
doc. 7:
raccomandata a.r. 23/12/2015;
allegati alla memoria ex art. 183, 6° comma n. 2 del 21/7/2017:
doc.
8: copia fascicolo bilancio al 31/12/2012;
doc. 9: copia fascicolo bilancio al 31/12/2013;
doc.
10: copia fascicolo bilancio al 31/12/2014.
*** D – ulteriori documenti, allegati alla comparsa di costituzione in appello, ivi citati e numerati progressivamente rispetto ai precedenti, rilevanti per la trattazione della richiesta di sospensiva ex art. 283 c.p.c., ovvero:
doc. 11:
estratto fascicolo Esecuzione Immobiliare Trib. Venezia n. 521/2018 R.G. Es.Imm. ed Ispezione Conservatoria RR.II. di Venezia;
doc. 12:
estratto fascicolo Esecuzione Immobiliare Trib. Belluno n. 41/2020 R.G. Es. Imm. ed Ispezione Conservatoria RR.II. di Belluno; *** E – al fine di una più agile lettura dell’atto da parte dell’Ecc.ma Corte, si è allegata, inoltre la relazione del CTU del dott. estratta dal fascicolo d’ufficio di primo grado e le osservazioni alla medesima da parte del CTP rag. Salvis juribus.
Motivi della decisione In fatto Con atto di citazione del 7 gennaio 2016, conveniva in giudizio allegando che quest’ultima era stata amministratrice unica della società dall’ottobre del 1995 al 16 febbraio 2011 e che durante detto periodo si era resa responsabile di illeciti gestori riconducibili a condotte di carattere distrattivo.
In particolare, la società attrice affermava che la tra il 25 gennaio 2005 e il 15 aprile 2009 aveva effettuato prelevamenti dalle casse della società e pagamenti non giustificati per scopi estranei all’attività sociale.
La società attrice allegava altresì che la gestione della convenuta aveva comportato il mancato regolare pagamento di debiti sociali, in particolare delle spese condominiali dello stabile, sito in Belluno, di proprietà della società stessa che, di conseguenza, aveva subìto l’esecuzione immobiliare sul proprio unico cespite immobiliare.
Parte attrice affermava, infine, che la aveva redatto i bilanci d’esercizio nel periodo in questione in modo non veritiero, tale da alterare la rappresentazione del patrimonio sociale.
concludeva chiedendo la condanna della convenuta al risarcimento del danno pari a euro 492.000, oltre a rivalutazione e interessi.
, all’esito della rinnovazione della notifica, veniva dichiarata contumace all’udienza del 24 maggio 2017 e si costituiva in giudizio solo con comparsa di costituzione del 13 settembre 2017, maturate le preclusioni istruttorie, eccependo, in via preliminare, il difetto di legittimazione attiva della società attrice;
in particolare, la convenuta evidenziava la mancanza in atti di idonea autorizzazione assembleare a proporre l’azione sociale di responsabilità, considerato che il documento prodotto in giudizio dall’attrice, rappresentante la delibera del 5 ottobre 2015, non risultava né vidimato né estratto dal libro dei verbali delle assemblee dei soci;
peraltro la delibera era da considerarsi invalida, non essendo dimostrata la sua convocazione all’assemblea.
Nel merito, la evidenziava che la società era espressione della compagine familiare e da sempre gestita in tale ottica, posto che tutti soci, tra loro fratelli, avrebbero sistematicamente beneficiato delle risorse sociali per il loro sostentamento.
Con riferimento ai pagamenti e prelevamenti ritenuti ingiustificati, la convenuta rammentava che i versamenti eseguiti in favore del erano del tutto corretti, essendo gli stessi il corrispettivo dell’attività di commercialista e, quanto ai prelevamenti, la affermava la loro piena giustificazione causale, essendo legittimi rimborsi di finanziamenti ovvero consistenti nella remunerazione dell’attività di amministratrice, espressamente prevista dallo statuto sociale.
Parte appellata allegava, peraltro, che detti pagamenti erano conosciuti e condivisi dai soci, che avevano regolarmente approvato i bilanci d’esercizio degli anni di competenza, oltre al fatto che ella risiedeva da anni negli Stati Uniti, negando, quindi, di avere provveduto a eseguire i pagamenti o i prelevamenti bancari oggetto di lite, delegati al commercialista della società.
Veniva disposta consulenza tecnica d’ufficio nominando il dott. al quale veniva chiesto di accertare la sussistenza dei prelevamenti e delle spese eseguiti dall’amministratrice come allegati dalla società attrice, verificando per ciascuno di essi se, sulla scorta di quanto acquisito in atti, potessero o meno reputarsi giustificati, quantificando conseguentemente il complessivo importo per il quale poteva reputarsi ricorrente l’ingiustificato depauperamento del patrimonio sociale.
All’esito di istruttoria documentale, con sentenza n. 990/2020 pubblicata in data 29 giugno 2020, il Tribunale di Venezia, Sezione specializzata in materia d’Impresa, riteneva fondati gli addebiti così decidendo:
“1. condanna la convenuta a pagare in favore dell’attrice la somma di euro 492.000,00.=, oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT dalla domanda alla presente pronuncia ed interessi compensativi al tasso legale calcolati fino al saldo sulla predetta somma progressivamente rivalutata;
2. condanna la convenuta a pagare in favore della società attrice le spese di lite che si liquidano in euro 7.254,00.= per compensi ed euro 2.473,80.= per esborsi, oltre accessori di legge;
3. pone a definitivo carico di parte convenuta quanto liquidato in favore del CTU in corso di causa.
” In particolare, il Tribunale riteneva tardiva la costituzione della convenuta, quando erano già scaduti i termini per le difese assertive oltre che per le deduzioni a prova diretta, con la conseguenza che l’allegato difetto di convocazione dell’assemblea non poteva considerarsi fondante l’affermata invalidità della deliberazione.
In secondo luogo, reputava infondata la difesa secondo cui la decisione della maggioranza dei soci di non fosse idonea a costituire l’autorizzazione a proporre l’azione sociale di responsabilità in ragione della circostanza che il documento prodotto in giudizio dall’attrice non risultava vidimato e neppure estratto dal libro delle delibere assembleari, essendo “indubitabile, a fronte della volontà della maggioranza dei soci, che sia stato deciso di intraprendere l’azione di responsabilità verso l’ex amministratrice”. Inoltre, riteneva che la non avesse fornito prova del corretto adempimento dei propri obblighi gestori, dei pagamenti effettuati al e di quelli ricevuti dalla stessa giustificati come compenso della propria attività di amministratrice, essendosi costituita tardivamente, con conseguente condanna della medesima al risarcimento del danno quantificato nell’importo richiesto.
Per converso, non riteneva fondate le allegazioni attoree in punto di responsabilità risarcitoria per le irregolarità contabili, essendo principio costante che la mera irregolarità nella tenuta delle scritture non sarebbe di per sé foriera di pregiudizio patrimoniale per l’ente, né lo sarebbe il fatto che per responsabilità dell’amministratrice la società era stata sottoposta ad esecuzione immobiliare.
Avverso la sentenza, con atto di citazione del 28 gennaio 2021, proposto tempestivo appello invocandone l’integrale riforma per i seguenti motivi.
Col primo motivo di gravame, ha lamentato il fatto che la decisione di promuovere l’azione di responsabilità era stata adottata in mancanza di un requisito essenziale, ossia in assenza dell’intero capitale sociale e in mancanza di regolare convocazione, poiché la medesima appellante non aveva ricevuto, in qualità di socia, l’avviso di convocazione prima dell’effettivo svolgimento dell’assemblea.
Per tale motivo l’azione doveva essere dichiarata improcedibile e la tardività della costituzione della parte era da considerarsi irrilevante considerato che il Giudice è tenuto a rilevare in qualsiasi stato e grado del giudizio la nullità dell’atto, indipendentemente dall’attività assertiva delle parti.
Col secondo motivo, incentrato sulla natura dell’azione di responsabilità e la prova dell’origine del dissesto sociale, l’appellante ha eccepito che il era l’unico soggetto ad avere in modo pressocché ininterrotto e continuato la gestione effettiva della almeno dalla morte di fino alla liquidazione della società;
ciò sarebbe avvenuto dapprima per espressa disposizione testamentaria del defunto padre della convenuta e poi per un altro anno in forza di delibera di nomina quale amministratore unico.
Inoltre la società, non avendo prodotto i bilanci degli anni nei quali le operazioni contestate sarebbero state effettuate, non aveva provato che le stesse erano state fatte in danno alla società.
Infine, l’appellante ha impugnato la sentenza nella parte in cui il Tribunale si è discostato da quanto riferito dal c.t.u. senza adeguata motivazione.
Parte appellata, con atto di costituzione e risposta del 22 giugno 2021, ha contestato le argomentazioni e le deduzioni formulate perché ritenute infondate in fatto e in diritto.
La società ha innanzitutto eccepito l’inammissibilità dell’appello per mancanza dei requisiti minimi di forma dell’atto di appello ex art. 342, co. 1, nn. 1 e 2, c.p.c., ed altresì ex art.348 bis c.p.c., per non avere l’appello una ragionevole possibilità di essere accolto.
Quanto al primo motivo, la parte ha eccepito l’infondatezza delle doglianze relative all’irregolarità della convocazione assembleare essendo attestato il contrario nel verbale assembleare, mentre l’argomentazione avversaria in ordine alla “nullità e/o inesistenza” della delibera era priva di fondamento, attesa la regolare convocazione dell’assemblea e l’attestazione, nel verbale di assemblea, dell’esistenza dei relativi quorum costitutivi e deliberativi.
Con riguardo al secondo motivo di appello, la società appellata ha dedotto l’irrilevanza delle considerazioni svolte in merito alla “gestione familiare”, oltre al fatto che la qualificazione come amministratore “di fatto” di rivestiva valenza confessoria circa la mala gestio da parte dell’amministratrice per aver “delegato” i propri compiti istituzionali al commercialista;
ciò comunque non comporterebbe l’esclusione della responsabilità dell’amministratrice “di diritto”.
I fatti di mala gestio addebitati, il danno e il nesso di causa risultavano provati per tabulas e confermati dal c.t.u., non solo con i bilanci depositati, ma anche con gli estratti del conto corrente della società, che dimostravano proprio il nesso causale del danno patito dalla società per l’indebito depauperamento del patrimonio sociale.
Parte appellata, inoltre, nell’ipotesi di accoglimento dell’appello, in via subordinata, ha riproposto le difese svolte in primo grado, e precisamente la domanda assorbita dall’accoglimento della domanda principale con cui aveva chiesto l’accoglimento della domanda di ripetizione dell’indebito nei confronti della per euro 382.500;
inoltre, evidenziava l’errore materiale di calcolo cui sarebbe incorso il c.t.u. replicando che l’importo del danno provocato alla società da parte della amministratrice sarebbe stato di euro 250.000 e non di euro 240.000;
infine, ha lamentato l’errore in cui sarebbe incorso il c.t.u. nel non aver considerato nel calcolo del danno alle casse sociali i due bonifici senza causale effettuati a favore del La causa è stata trattenuta in decisione una prima volta all’udienza del 14 settembre 2023, previa concessione dei termini dello scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, e poi, a seguito dell’assegnazione ad altro consigliere relatore all’udienza del giorno 9 gennaio 2025, sostituita dal deposito di note scritte, ex art.127 ter c.p.c., contenenti le conclusioni precisate dalle parti come sopra trascritte e senza termini, essendo già stati concessi ed usufruiti i termini per il deposito di conclusionali e repliche ed avendo le parti rinunciato alla concessione di nuovi termini. *** In diritto L’eccezione d’inammissibilità dell’appello, sollevata da ai sensi dell’art. 342 c.p.c., va rigettata, posto che l’appellante ha indicato sia le parti della sentenza che intendeva censurare, sia – con sufficiente precisione – le ragioni di dissenso rispetto al percorso argomentativo adottato dal primo Giudice, contrapponendovi argomenti idonei, nella sua prospettazione, a determinare la modifica della decisione ed ha riproposto la domanda dichiarata inammissibile (v. Cass. sez. un. sent. n. 27199/2017; nello stesso senso, più di recente, Cass. ord. 18 gennaio 2024, n.1932).
L’eccezione di inammissibilità dell’appello formulata ex art. 348 bis c.p.c. deve ritenersi preclusa dall’ulteriore svolgimento del processo di appello, sancendo l’art. 348 ter c.p.c. che l’ordinanza di inammissibilità deve essere adottata “prima di procedere alla trattazione” e, dunque, non oltre l’udienza di cui all’art. 350 c.p.c. (cfr. Cass. 14696/2016).
, costituendosi nel giudizio di primo grado, ha eccepito il difetto di legittimazione ad agire della società in ragione della nullità/inesistenza della delibera assembleare che aveva deliberato la proposizione dell’azione di responsabilità nei suoi confronti, per vizio di convocazione dell’assemblea.
Con il primo motivo di impugnazione l’appellante censura la sentenza del Tribunale per avere ritenuto che il fatto allegato (la mancata convocazione, fondante l’invalidità della delibera) sia stato tardivamente introdotto nel processo;
il primo Giudice ha in proposito affermato:
“In effetti, se la nullità può essere rilevata d’ufficio, ciò presuppone che essa possa essere ravvisata ex actis e cioè in ragione delle allegazioni e delle prove tempestivamente introdotte dalle parti nel corso del processo.
Come detto, la convenuta si è costituita tardivamente, una volta scaduti tutti i termini per le difese assertive, oltre che per le deduzioni a prova diretta, con la conseguenza che l’allegato difetto di sua convocazione non può considerarsi fondante l’affermata invalidità della deliberazione, in quanto fatto tardivamente introdotto in giudizio”.
Il motivo non merita di essere accolto.
La mancata convocazione del socio per l’assemblea è qualificabile come vizio di nullità della deliberazione rientrante nella categoria dell’assenza assoluta di informazioni, secondo l’interpretazione prevalente della giurisprudenza di merito e di legittimità, la quale da ultimo ha avuto modo di precisare che “In tema di società a responsabilità limitata, la deliberazione dell’assemblea assunta senza la convocazione di uno dei soci è da ritenersi nulla, poiché il disposto dell’art. 2479 ter, comma 3, c.c., nella parte in cui considera le decisioni prese “in assenza assoluta di informazioni” non si riferisce soltanto alla mancanza di informazioni sugli argomenti da trattare ma anche alla mancanza di informazioni sull’avvio del procedimento deliberativo. ” (Cass. 16.09.2019 n. 22987).
In proposito la Suprema Corte ha precisato che, nell’ipotesi in cui il Giudice non sia investito dell’azione di nullità di una delibera assembleare, ma di una domanda che ha ad oggetto l’esecuzione della delibera, la rilevabilità d’ufficio della nullità della delibera va coordinato con il principio della domanda per cui il Giudice può rilevare la nullità della delibera, anche in appello, trattandosi di eccezione in senso lato, in funzione del rigetto della domanda, ma non può dichiarare la nullità della delibera impugnata ove manchi una domanda in tal senso ritualmente proposta (cfr. Cass. 18.04.2023 n.10233). Già le Sezioni Unite, componendo un contrasto tra due diversi orientamenti, con la nota sentenza n.10531/2013, avevano affermato che il Giudice può rilevare d’ufficio le eccezioni in senso lato, anche in appello, purché esse risultino documentate agli atti – ritualmente acquisiti – a prescindere dalla specifica allegazione di parte.
Il fatto posto a fondamento dell’eccezione deve essere già legittimamente acquisito sul piano probatorio.
Infatti, un conto è permettere che la parte alleghi dopo la scadenza delle preclusioni (e anche in appello), o che il Giudice rilevi, fatti già documentati o provati in atti, ossia ritualmente acquisiti.
In tal caso si consente il rilievo anche se l’eccezione non sia allegata dalla parte interessata nella fase procedimentale deputata all’esercizio dei poteri assertivi.
Invece, un altro conto sarebbe consentire di sottrarre alle preclusioni non solo il potere di allegare e rilevare fatti (già provati nel processo) ma anche di provare e, dunque, di introdurre come oggetto di prova, per la prima volta quei fatti.
In tal modo, si riaprirebbe una fase procedimentale che deve invece considerarsi ormai chiusa, nell’ordinato svolgimento del processo.
Anche di recente la Suprema Corte ha chiarito (cfr. Cass. 23.02.2024, n. 4867) che è necessario che, nel giudizio di merito, risultino acquisiti i fatti su cui si fonda la nullità.
Invece, non importa che essa non sia stata rilevata né dalla parte interessata, né dallo stesso giudice del merito.
Infatti, la nullità può “essere bensì rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ma solo là dove siano acquisiti agli atti del giudizio tutti gli elementi di fatto dai quali possa desumersene l’esistenza”.
Nel caso di specie, , si è costituita tardivamente nel giudizio di primo grado, oltre le barriere preclusive, con conseguente decadenza dal diritto di provare i fatti costituitivi dell’eccezione di nullità sollevata (ad es. con la richiesta di ordine di esibizione della sua convocazione all’assemblea e dell’avvenuta iscrizione o deposito della delibera assembleare nel registro delle imprese ovvero della sua trascrizione nel libro delle adunanze dell’assemblea).
L’eccezione di nullità della delibera assembleare del 5 ottobre 2015 va pertanto disattesa non tanto per tardività dell’allegazione del vizio contestato, ma in quanto non risultavano già acquisiti agli atti tutti gli elementi di fatto dai quali desumerne l’esistenza.
Con il secondo motivo l’appellante impugna la parte di sentenza che l’ha ritenuta responsabile dell’inadempimento dell’obbligo di conservazione del patrimonio sociale, per avere effettuato una serie di esborsi ingiustificati, nonostante mancasse la prova del danno asseritamente arrecato, non avendo parte attrice depositato i bilanci e altra documentazione contabile dalla quale poter evincere il preteso depauperamento.
Il motivo è parzialmente fondato, nei limiti di seguito esposti.
La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di ribadire, anche di recente, che, quanto al danno di cui si chiede il risarcimento con l’azione di responsabilità, il principio fondamentale è quello di causalità:
“L’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti” (Cass. 2975/2020; nello stesso senso Cass. n.25056/2020).
Gli amministratori, pertanto, rispondono dei danni conseguenza immediata e diretta della loro condotta inadempiente (v. gli artt. 1218, 1223, 1225, 1226 c.c. per la responsabilità contrattuale cui è riconducibile quella ex art. 2392 e 2476 c.c.;
tali norme sono richiamate anche dall’ art.2056 c.c. per quanto riguarda la valutazione del danno da responsabilità extracontrattuale cui è riconducibile quella ex art. 2394 c.c., salvo il 1225 c.c. che limita in caso di colpa il risarcimento ai danni prevedibili).
Nel caso di specie il contenuto dell’azione di responsabilità esercitata dalla società è tutto incentrato sul compimento da parte della amministratrice di illeciti gestori riconducibili a condotte di carattere distrattivo;
in particolare, la società attrice ha affermato che tra il 25 gennaio 2005 ed il 15 aprile 2009 avrebbe effettuato prelevamenti privi di giustificazione ed indicati come rimborsi di finanziamenti soci, eseguito pagamenti non giustificati a ed altri esborsi lesivi del patrimonio della società.
Al CTU incaricato, dott. , era stato chiesto di accertare “la sussistenza dei prelevamenti e delle spese eseguiti dall’amministratrice convenuta come allegati dalla società attrice, verificando per ciascuno di essi se, sulla scorta di quanto acquisito in atti, gli stessi possano o meno reputarsi giustificati, quantificando conseguentemente il complessivo importo per il quale può reputarsi ricorrente l’ingiustificato depauperamento del patrimonio sociale”.
Ebbene, il dott. , in relazione ai dieci bonifici eseguiti da dal 25 gennaio 2005 al 20 dicembre 2006, con causale rimborso soci/rimborso finanziamento soci ha riferito che “Al fine di esprimere un giudizio sulla giustificazione o meno di tali restituzioni è necessario sapere se alla data dei bonifici esisteva un debito verso soci per finanziamenti per pari importo.
Dall’analisi della documentazione è emerso che parte attrice non ha prodotto i bilanci riferiti al periodo 2005 e 2006, così come non sono state prodotte le schede contabili dei conti finanziamento soci, depositi cauzionali, crediti diversi e crediti verso soci che avrebbero consentito di verificare se tali bonifici avessero effettivamente ridotto il debito verso soci oppure avessero incrementato il conto crediti diversi” ed ancora “… non essendo stati prodotti i bilanci riferiti al periodo 2004-2006 non è dato conoscere la situazione finanziaria della società al momento dei pagamenti e quindi non è possibile esprimere un giudizio sulla correttezza o meno dell’operato dell’amministratore in ordine alla restituzione dei finanziamenti” per poi concludere che “non vi sia prova che i bonifici sopradescritti abbiano indebitamente depauperato il patrimonio sociale”. Neppure con riguardo al bonifico del 15 aprile 2009 per euro 40.000,00, il CTU ha riscontrato elementi utili ad affermare che l’operazione fosse ingiustificata e non funzionale allo svolgimento dell’attività sociale.
Altrettanto è a dirsi relativamente ai bonifici effettuati in favore del dott. commercialista della società, per complessivi euro 100.000, del 7 marzo 2005 e dell’11 marzo 2005, che la convenuta ha chiarito costituire pagamenti per le prestazioni professionali del predetto, affermazione che non ha trovato adeguata smentita documentale.
Come già evidenziato, infatti, parte attrice non ha prodotto i bilanci riferiti al periodo in questione, né altra documentazione utile a stabilire la correttezza o meno dell’operato dell’amministratrice ed il danno arrecato dalla sua condotta, ad es., quanto alle somme bonificate al dott. il registro delle fatture registrate.
Va infatti rimarcato che, nell’ambito dei giudizi di responsabilità promossi contro gli amministratori, ai fini della risarcibilità del preteso danno, l’attore, oltre ad allegare l’inadempimento dell’amministratore, deve anche allegare e provare, sia pure ricorrendo a presunzioni, l’esistenza di un danno concreto, cioè del depauperamento del patrimonio sociale, e la riconducibilità della lesione al fatto dell’amministratore inadempiente, quand’anche cessato dall’incarico:
in ciò appunto consiste il danno risarcibile, che è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente illecita o inadempiente.
Per converso, all’esito dell’analisi compiuta dal CTU, possono qualificarsi come ingiustificati il bonifico per euro 150.000,00 effettuato in data 6 novembre 2007, giustificato dalla come compenso per l’opera prestata in qualità di amministratrice e due bonifici eseguiti il 28 dicembre 2007 ed il 16 aprile 2008, ciascuno dell’importo di euro 50.000,00 con causale “deposito cauzionale”.
Non risulta infatti che sia mai stato deliberato un compenso a favore dell’amministratore della società, né i bilanci prodotti (redatti dalla riportano tra i costi i compensi per l’amministratore, di cui non si fa menzione neppure nella nota integrativa.
Quanto ai due bonifici effettuati con la causale “depositi cauzionali”, vale osservare che tale riferimento non appare coerente con la circostanza che le somme siano state versate sul conto dell’amministratrice In definitiva, per quanto sopra esposto, in parziale riforma della sentenza impugnata, va condannata al pagamento della somma di euro 250.000,00 in favore di , a titolo di risarcimento del danno per ingiustificato depauperamento del patrimonio sociale.
Il parziale accoglimento dell’appello comporta una nuova regolamentazione delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio, che devono essere per un terzo compensate e per i rimanenti due terzi rifuse dall’appellante, prevalentemente soccombente, all’appellata.
Le spese processuali sono liquidate per l’intero, quanto al primo grado, conformemente alla liquidazione già compiuta dal Tribunale e, quanto al presente grado di appello, applicando i parametri medi di cui al d.m. n. 147/2022 per le cause di valore compreso tra euro 52.000,01 ed euro 260.000 escludendo un compenso per la fase istruttoria che non si è tenuta.
Le spese di consulenza tecnica, già liquidate con decreto dal Tribunale, vanno definitivamente poste a carico delle parti in egual misura.
La Corte di Appello di Venezia – Sezione Specializzata in materia di Impresa, definitivamente decidendo l’appello civile n.203/2021 r.g. promosso con atto di citazione da (appellante) nei confronti di (appellata), ogni contraria domanda ed eccezione disattesa, così ha deciso:
in parziale accoglimento dell’appello e in parziale riforma dell’impugnata sentenza n. 990/2020 del Tribunale di Venezia – Sezione Specializzata in materia di Impresa, 1) condanna a pagare a la somma di euro 250.000,00, oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT dalla domanda alla presente pronuncia ed interessi compensativi al tasso legale calcolati fino al saldo sulla predetta somma progressivamente rivalutata;
2) rigetta nel resto l’appello;
3) condanna l’appellante a rifondere all’appellata i due terzi delle spese processuali che liquida nell’intero, per il primo grado di giudizio, in euro 7.254,00 per compensi ed euro 2.473,80 per anticipazioni, oltre spese generali, iva e cpa come per legge, e che liquida sempre nell’intero, per il presente grado, in complessivi euro 9.900,00per compensi, oltre spese generali, iva e cpa nella misura di legge;
compensa le spese di entrambi i gradi di giudizio per il terzo rimanente;
4) pone le spese di consulenza tecnica definitivamente a carico delle parti in egual misura.
Venezia, 4 marzo 2025 Il Presidente estensore (dott.ssa NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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