RG 4651/2023
TRIBUNALE ORDINARIO di TORINO Sezione Terza
Civile Il Giudice dott. NOME COGNOME preso atto delle disposizioni vigenti che consentono lo svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti mediante lo scambio e il deposito telematico di note scritte contenenti le istanze e conclusioni delle parti (sul punto, Cass., Sez. III, n. 37137/2022);
preso atto, quindi, delle “note scritte” sostitutive dell’udienza fisica in presenza depositate dalle parti ex art. 127 ter c.p.c. per discussione ex art. 281 sexies c.p.c.;
preso atto, infine, che in forza della citata normativa la sentenza ex art. 281 sexies c.p.c. può essere depositata telematicamente nei successivi 30 giorni, senza l’espletamento degli incombenti processuali non compatibili con la modalità di svolgimento del procedimento a mezzo di note scritte (id est:
lettura della sentenza alla presenza delle parti);
Pronuncia la seguente
SENTENZA N._5585_2024_- N._R.G._00004651_2023 DEL_06_11_2024 PUBBLICATA_IL_06_11_2024
ex art. 281 sexies c.p.c. e 127 ter c.p.c.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO SEZIONE TERZA CIVILE
In persona del Giudice Unico dott. NOME COGNOME
nella causa di cui al RG n. 4651/2023 promossa da: , rappresentato e difeso dalle avv.te NOME COGNOME ed NOMECOGNOME;
attore contro rappresentata e difesa dall’avv.ta NOME COGNOME
convenuta , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
terzo chiamato , contumace;
terza chiamata
avente ad oggetto:contratto di appalto, risarcimento del danno all’udienza di discussione ex art. 281 sexies c.p.c. con termine per note scritte alli 05.11.2024 ore 8.30 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
visto e richiamato integralmente l’atto di citazione con cui citava in giudizio rappresentando:
1) di aver affidato nel 2019 alla società convenuta la ristrutturazione del proprio alloggio sito in Torino, INDIRIZZO
2) che, tuttavia, si manifestavano nel corso del tempo diversi vizi che venivano prontamente denunciati all’appaltatrice, in conseguenza dei quali in data 09.02.2022 l’attore depositava ricorso per ATP, all’esito del quale il Ctu nominato riscontrava vizi dal valore di € 11.776,12 oltre Iva (fessurazioni sulla pavimentazione, assenza del termostato per l’impianto di condizionamento …);
3) di voler pertanto ottenere il risarcimento del danno patito, pari ad € 32.839,71 oltre Iva (come da Ctp attorea), oltre al rimborso delle spese di Atp;
vista e richiamata integralmente la comparsa costitutiva con cui chiedeva il rigetto dell’avversaria domanda rilevando:
1) che il geom. su incarico del committente aveva effettuato la progettazione nonché l’attività di direzione controllo dei lavori (quest’ultima in via di fatto), mentre il suo compenso era stato pagato dalla convenuta sulla base di un accordo fra le parti;
2) di aver acquistato 2 termosifoni nell’interesse dell’attore per € 500,00, mai installati per volontà di quest’ultimo, sicché non potrebbe essergli addebitato il costo da questi sostenuto per altri 2 termosifoni (€ 450,00 + Iva);
3) che decise l’utilizzo di materiali di scarsa qualità (uso di piastrella da parete per il pavimento), ragion per cui si verificarono i difetti contestati al interruttori, che tuttavia si era sempre rifiutato di sostituire;
5) l’inapplicabilità dell’art. 1669 c.c. nonché la decadenza e la prescrizione dell’azione di garanzia ex art. 1667 c.c.;
6) la mancata risposta del Ctu dell’Atp a tutti i quesiti posti dal Tribunale circa l’effettiva causa delle fessurazioni;
7) di voler che il geom. , a causa dell’attività di direttore dei lavori da lui svolta, fosse condannato a pagare direttamente all’attore i danni eventualmente riscontrati;
vista e richiamata integralmente la comparsa di costituzione e risposta con cui si costituiva in giudizio rappresentando:
1) di non essere stato il direttore dei lavori, come già accertato dalla Ctu, essendosi solamente occupato della fase progettuale e dell’ottenimento delle autorizzazioni comunali necessarie;
2) di non essersi occupato della scelta dei materiali;
3) di voler chiamare in causa per essere dalla stessa manlevato in forza della polizza assicurativa stipulata ( rimaneva poi contumace malgrado la ritualità della notifica);
rilevato che, non ammesse le istanze di prova orale dedotte dalle parti ed acquisita l’Atp già effettuata a cura del Ctu arch. , il Giudice fissava udienza di discussione ex art. 281 sexies c.p.c. assegnando alle parti termine perentorio alli 05.11.2024 ore 8.30 per il deposito di note scritte sostitutive dell’udienza;
RITENUTO che, in via preliminare, va osservato come la società convenuta ed il terzo chiamato nelle conclusioni rassegnate non abbiano domandato l’ammissione delle prove orali da loro formulate e rigettate dal Tribunale, con conseguente intervenuta decadenza dal diritto di procedere alla loro assunzione;
che, infatti, “la parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni, poiché, diversamente, le stesse dovranno ritenersi abbandonate e non potranno essere riproposte in appello.
Ciò comporta che anche nell’ipotesi in cui proceda il tribunale in composizione monocratica, per il rinvio disposto dall’art. 281 bis, è necessario che in sede di precisazione delle conclusioni la parte chieda espressamente che si provveda alla revoca dell’ordinanza emessa in tema di ammissione o on delle prove, altrimenti la questione stessa non è riproponibile davanti al giudice di appello” (Cass. civ., Sez. III, 14/10/2008, n. 25157);
che, in secondo luogo, va rigettata sotto diversi profili l’eccezione di prescrizione dalla garanzia che, infatti, anche qualora si sussumesse l’azione svolta dall’attore nell’ambito applicativo dell’art. 1667 c.c. (e non in quello dell’art. 1669 c.c.)
e anche se si ritenesse che le opere sono state terminate e consegnate in data 25.06.2019 come sostenuto dalla difesa di parte convenuta, in ogni caso nella fattispecie in esame prima della maturazione del termine prescrizionale di due anni di cui all’art. 1667 c.c. sono intervenuti numerosi atti interruttivi della prescrizione ed infatti:
1) in data 18.09.2019 sollecitava la consegna dei due termosifoni mancanti e la mancata consegna delle certificazioni degli impianti, oltre a segnalare la rottura di talune piastrelle nel bagno (fatto costituente il vizio più rilevante);
2) a novembre 2020 sostituiva alcune piastrelle e rifaceva il massetto del bagno, il che presuppone logicamente una contestazione da parte dell’attore nonché il riconoscimento dell’esistenza del vizio;
3) anche a voler ritenere non spedita la email del 23.03.2021 ( ne ha contestato la recezione), è la stessa convenuta a riconoscere di aver ricevuto nel mese di maggio 2021 (ovvero entro i 2 anni dalla consegna) una contestazione circa le fessurazioni delle piastrelle;
4) in data 21.06.2021 denunciava via email (di cui la convenuta non ha contestato l’avvenuta recezione) i vizi del condizionatore;
che, pertanto, in corrispondenza di ciascuno dei predetti atti interruttivi è iniziato a decorrere un nuovo termine di prescrizione biennale, termine che è stato nuovamente interrotto in data 21.02.2022 con la notifica del ricorso per ATP, sicché alcuna prescrizione ex art. 1667 c.c. può ritenersi maturata;
che, infatti, “a norma dell’art. 2943 c.c., il relativo decorso (ndr: della prescrizione) viene interrotto non solo dalla proposizione della domanda giudiziale, ma, altresì, da qualsiasi atto stragiudiziale (nella specie, una lettera) che valga a costituire in mora il debitore.
Ciò in quanto detto termine si riferisce non già alla sola azione di responsabilità nei confronti dell’appaltatore, ma al diritto di credito del committente, affiancato, come tutti i diritti, dalla facoltà, per il suo titolare, di farlo valere in giudizio, la quale costituisce un modo di esplicazione dello stesso, e non incide sulla sua disciplina sostanziale, ivi compresa la regolamentazione della prescrizione e delle relative cause di interruzione” (Cass. n. 1955/2000; Cass. n. 25984/2011);
che, del resto, in modo analogo la Cassazione si è pronunciata anche con riferimento alla garanzia per i vizi del contratto di vendita, affermando che “nel contratto di compravendita, costituiscono – ai sensi dell’art. 2943, comma 4, C.C. – idonei atti interruttivi della prescrizione dell’azione di garanzia per vizi, prevista dall’art. 1495, comma 3 C.C., le manifestazioni extragiudiziali di volontà del compratore compiute nelle forme di cui all’art. 1219, comma 1, C.C., con la produzione dell’effetto generale contemplato dall’art. 2945, comma 1, C.C.” (Cass. S.U. n. 18672/2019); che anche l’eccezione di decadenza per mancata denuncia entro i 60 giorni dalla scoperta del vizio è infondata alla luce delle denunce dei vizi sopra riferite, evidenziandosi in modo particolare la denuncia circa lo sgretolamento delle piastrelle del bagno operata per la prima volta contestualmente alla prima manifestazione del difetto nel mese di settembre 2019, con conseguente rispetto del termine di 60 giorni dalla scoperta, nonché con riferimento ai vizi dell’impianto di condizionamento la denuncia del 21.06.2021 contestuale alla loro scoperta (in relazione al periodo precedente l’attore ha dichiarato di non essersi accorto del malfunzionamento); che, inoltre, va pure aggiunto che l’eccezione di decadenza e prescrizione è infondata anche perché pacifica giurisprudenza afferma “che la consegna dell’opera e la sua accettazione (anche se presunta a norma dell’articolo 1665 c.c., comma 3), libera l’appaltatore esclusivamente dalla responsabilità per vizi palesi e riconoscibili dal committente, i quali devono essere necessariamente esser fatti valere in sede di verifica o collaudo (Cass. 1590/1959; Cass. 2991/1962; Cass. 444/1962; Cass. 960/1966; Cass. 4061/1968; Cass. 346/1970).
Se invece trattasi di vizi occulti o non immediatamente rilevabili, l’appaltatore non è liberato dalla garanzia, salvo che i difetti non siano denunciati tempestivamente.
Ne consegue che, in tali ipotesi, la prescrizione del diritto alla garanzia inizia a decorrere dalla scoperta, la quale è da ritenersi acquisita dal giorno in cui il committente abbia avuto conoscenza della loro dipendenza dalla imperfetta esecuzione dell’appalto mediante le necessarie indagini tecniche, con accertamento rimesso al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, salvo che per vizi di motivazione (Cass. 14199/2017; Cass. 26233/2013; Cass. 18402/2009; Cass. 15283/2005; Cass. 1655/1986; Cass. 3752/1975): Cass. n. 11/2019;
che nella fattispecie in esame, quindi, i vizi del condizionatore e delle fessurazioni sono da considerare occulti in quanto non immediatamente percepibili da un consumatore al momento della consegna dei lavori, sicché l’effettiva conoscenza della loro eziologia (conoscenza necessaria per il decorso del termine decadenziale di 60 giorni per la denuncia: Cass. n. 10048/2018; Cass. n. 9966/2014; Cass. n. 26233/2013) può ritenersi raggiunta solamente con il deposito della Ctu resa nel corso dell’Atp, sicché anche per questo motivo alcuna decadenza (così come la prescrizione) può ritenersi maturata;
che, infine, con considerazione assorbente va detto, quanto meno in relazione ai vizi relativi alle piastrelle (che peraltro costituiscono circa il 90% dei danni), che l’avvenuta sostituzione di alcune di esse nel mese di novembre 2020 con annesso rifacimento integrale del massetto del bagno da parte di rappresenta un riconoscimento dell’esistenza del vizio, sicché risulta applicabile quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui “l’impegno dell’appaltatore ad eliminare i vizi denunciati dal committente costituisce tacito riconoscimento degli stessi e, senza novare l’originaria obbligazione gravante sull’appaltatore, ha l’effetto di svincolare il diritto alla garanzia del committente dai termini di decadenza e prescrizione di cui all’art. 1667 c.c., costituendo fonte di un’autonoma obbligazione di “facere” che si affianca a quella preesistente legale di garanzia” (Cass., Sez. II, ordinanza n. 14815/2018), pure dovendosi osservare che analogo svincolamento produce anche il mero riconoscimento dei vizi non accompagnato dall’impegno di eliminare i vizi (sul punto Cass. n. 19343/2022); che, inoltre, con considerazione dirimente, va aggiunto che “il riconoscimento dell’appaltatore di vizi e difformità dell’opera, perché sia valido agli effetti dell’art. 1667 c.c., comma 2, seconda parte, non deve accompagnarsi alla confessione stragiudiziale della sua responsabilità.
Pertanto, la denuncia del committente prescritta a pena di decadenza è superflua anche quando l’appaltatore, riconoscendo l’esistenza di vizi o difformità, contesti o neghi – avendo egli imputato al fornitore la consegna di merce difettosa – di doverne rispondere (Cass. n. 27948 del 2008; Cass. n. 14598 del 2000)”:
Cass. Civ. Sez. II, n. 18289/2020), come avvenuto nella fattispecie in esame, ove l’appaltatore ha ricondotto il vizio alla scarsa qualità delle piastrelle (circostanza peraltro sconfessata dalla Ctu), ed analogo discorso può essere esteso al condizionatore, non avendo anto contestato l’esistenza dei difetti di funzionamento, quanto la propria estraneità ai vizi;
che, in altre parole, affinché il riconoscimento dell’esistenza del vizio da parte dell’appaltatore elimini l’obbligo di denuncia del vizio non è necessario che l’appaltatore riconosca anche la propria responsabilità, essendo sufficiente il riconoscimento del vizio in sé (quand’anche ascritto dall’appaltatore alla responsabilità di terzi, compreso il committente), sicché nel caso di specie la denuncia del vizio neppure poteva ritenersi necessaria alla luce della condotta serbata dalla società convenuta;
che anche la difesa della società convenuta secondo cui essa sarebbe stata qualificabile quale nudus minister nell’esecuzione dei lavori non può essere accolta, non essendovi in atti alcuna prova dell’interferenza predominante da parte del committente o del quale direttore dei lavori di fatto;
che, infatti, alcuna idonea documentazione di supporto è stata fornita, e neppure sono state dedotte prove orali ammissibili (ed in ogni caso parte convenuta non ha insistito per la loro ammissione al momento della precisazione delle conclusioni, con conseguente decadenza);
che, in effetti, circa la contestazione della convenuta sull’inadeguatezza delle piastrelle che sarebbero state unilateralmente imposte dal committente va detto che “l’appaltatore risponde dei difetti dell’opera quando accetti senza riserve i materiali fornitigli dal committente, sebbene questi presentino vizi o difformità riconoscibili da un tecnico dell’arte o non siano adatti all’opera da eseguire ed i difetti denunziati dal committente derivino da quei vizi o da quella inidoneità (Cass. nn. 470/10, 10580/94, 1569/87 e 1771/65). Egli, inoltre, è tenuto ad avvisare il committente che i materiali che questi gli abbia fornito, essendo di cattiva qualità o, comunque, inidonei rispetto all’opera commessagli, non siano tali da assicurare la buona riuscita di questa, con la conseguenza che, in difetto di tale avviso, non può eludere la responsabilità per i vizi dell’opera adducendo che i materiali erano difettosi (cfr. n. 521/70)”:
Cass., Sez. II, 23.6.2014 n. 14220, onere nel caso di specie non assolto dall’appaltatore, e peraltro va pure detto che la Ctu ha ritenuto perfettamente idonee la tipologia di piastrelle posate;
che anche dell’ingerenza predominante del quale asserito direttore dei lavori in via di fatto non vi è alcuna prova, tale non essendo la email dal terzo chiamato nel mese di ottobre 2019 con cui ha rifiutato la posa di 2 termosifoni proposta dall’appaltatore, posto che detta email è pacificamente successiva di alcuni mesi alla data di conclusione dei lavori sicché non è ad essi direttamente riconducibile (potendo essere ricondotta semplicemente all’incarico professionale conferito in sede di progettazione dall’attore o al rapporto di amicizia fra i due), e non costituendo prova neppure l’entità del compenso a lui corrisposto dalla stessa convenuta; che, infatti, per provare il ruolo di direttore dei lavori di fatto da parte di sarebbe stato necessario dimostrare che egli avesse effettivamente svolto detto ruolo e che, anzi, avesse addirittura degradato l’appaltatore a nudus minister, prova nel caso di specie totalmente assente dal momento che il compenso percepito può essere facilmente collegato all’attività di mera progettazione e a quella di redazione delle pratiche amministrative (l’importo della fattura di cui al doc. n. 28 di parte convenuta relativa ad altro cantiere nulla prova in senso contrario, posto che specie ha effettuato più pratiche oltre ad aver eseguito la progettazione, sicché il compenso da lui complessivamente percepito risulta congruo rispetto all’attività da lui ammessa come effettivamente eseguita), neppure avendo la convenuta dimostrato che l’attore (o abbiano preteso che il condizionatore fosse collocato in luogo inidoneo malgrado l’opposizione da parte della convenuta; che, infine, l’assenza di qualsivoglia ordine scritto o comunicazione di analogo tenore da parte del durante l’esecuzione dei lavori depone, in via presuntiva, per il mancato svolgimento da parte sua del ruolo di direttore dei lavori, come peraltro pure riscontrato dal Ctu;
che, pertanto, deve concludersi affermando che risponde contrattualmente verso l’attore dei danni da questi lamentati, se effettivamente esistenti;
che, quindi, venendo ad esaminare nel merito le doglianze dell’attore, il Tribunale si richiama alla Ctu dell’Atp a cura dell’arch. , al cui elaborato integralmente si richiama, anche sotto il profilo delle controdeduzioni alle consulenze di parte in conformità al noto orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui “il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, ai rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento; non è quindi necessario che egli si soffermi sulle contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le argomentazioni accolte;
le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in tal caso in mere allegazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360, n. 5, c.p.c.” (cfr. in tal senso Cass. civile, sez. III 19 giugno 2015 n. 12703; Cass. civile, sez. II, 10 aprile 2015 n. 7266; Cass. civile, sez. VI, 02 febbraio 2015 n. 1815; Cass. civile, sez. I, 09 gennaio 2009, n. 282; Cass. civile, sez. II, 13 settembre 2000, n. 12080; Cass. civile, sez. lav., 14 maggio 2003, n. 7485);
che il Ctu ha quindi ritenuto:
1) che la tipologia di piastrella in discussione (serie NOME RAGIONE_SOCIALE della con formato di cm. 15 x 60) era di qualità media e adatta all’uso residenziale e, inoltre, nello specifico, la partita di piastrelle posate era di prima scelta, in tal modo sconfessando l’opposta tesi formulata dalla società convenuta;
2) che, effettivamente, sussistano delle lievi incrinature/fessurazioni a pavimento in alcuni locali dell’alloggio;
3) che le cause dei suddetti difetti potevano essere molteplici (6 nella bozza di Ctu), tutte sostanzialmente che, infatti, ad avviso del Tribunale anche le possibili cause che il Ctu non ha direttamente collegato alla cattiva posa delle piastrelle da parte dell’appaltatore sono comunque riconducibili alla sua responsabilità, avendo l’appaltatore l’onere di riferire al committente l’inadeguatezza delle scelte tecniche e dei materiali impiegati;
che, infatti, l’appaltatore era perfettamente in grado di segnalare al committente la presenza di uno “spessore ridotto del sottofondo, che ha portato ad avere un ricoprimento esiguo di alcune tubazioni impiantistiche, soprattutto quelle posate necessariamente in pendenza come quella dello scarico condensa” (causa 3 della Ctu) o la presenza di piastrelle fallate posate in un paio di stanze (causa 6, che peraltro è riferito ad una porzione minima dei vizi riscontrati);
che, peraltro, va pure aggiunto che il Ctu nell’elaborato definitivo ha accolto l’osservazione del Ctp attoreo circa il fatto che lo spessore ridotto del sottofondo non poteva essere causa dei vizi riscontrati (causa 3), ragion per cui, eliminata detta possibile causa, i vizi ai pavimenti non possono che essere addebitati all’appaltatore senza necessità di ulteriori accertamenti tecnici in merito;
che, ancora, la tesi dell’appaltatore secondo cui il Ctu nell’esaminare i pavimenti non avrebbe rispettato la normativa UNI 11493-1, con conseguente necessità di ripetere l’accertamento peritale, non ha fondamento in quanto:
1) l’uso della scopa elettrica per il riscontro dei vizi è stato limitato in realtà soltanto a 2 camere (matrimoniale e bimbi), per il quale il perito ha riconosciuto oneri di ripristino assai modesti, pari ad € 900,00 (pag. 6 della memoria di risposta alle osservazioni dei Ctp);
2) la causa dei vizi in queste 2 camere è da ricondurre all’uso di piastrelle fallate, fatto che l’appaltatore avrebbe dovuto comunicare al committente;
che anche la doglianza dell’appaltatore circa il mancato rispetto della distanza di 1,5 metri per esaminare le piastrelle che sarebbe prescritta dalle norme UNI è infondata in quanto:
1) detta distanza è fissata solamente per valutare l’aspetto esteriore (fatto puramente estetico) della piastrella (punto 5.2.2.
delle norme UNI), e non la fessurazione/integrità delle piastrelle (punto 7.3.2.)
, per la quale non è prevista alcuna distanza minima posto che detta voce riguarda la solidità strutturale delle piastrelle posate e non il mero aspetto estetico, oltre a non essere escluso l’uso di laser (per l’esame della mera planarità delle piastrelle, invece, deve eseguirsi un esame ad una distanza di 50 cm, che nel caso di specie è stato senz’altro rispettato);
che, inoltre, come già anticipato, il Ctu non ha riscontrato il compimento da parte di posa del condizionatore che hanno determinato le problematiche evidenziate dall’attore, oltre al mancato funzionamento del termostato (che la convenuta si era offerta di cambiare);
che neppure il Ctu ha riscontrato la consegna del certificato di conformità dell’impianto di condizionamento, tale non essendo il doc. n. 26 di parte convenuta (che è costituito da un mero rapporto di intervento);
che la mancata consegna di 2 termosifoni, infine, è fatto pacifico, mentre deve essere ritenuto legittimo il rifiuto del committente espresso per il tramite di di ricevere i due termosifoni mancanti in quanto l’offerta di adempimento da parte di è avvenuta a circa 3 mesi dalla supposta fine dei lavori, ovvero all’inizio della stagione fredda, ragion per cui legittimamente ha cercato altrove i due termosifoni;
che, pertanto, affermata l’esistenza dei vizi riconducibili alla responsabilità dell’appaltatore nei limiti accertati dal Ctu, va detto che questi ha quantificato il valore delle opere di ripristino in € 11.776,12 + Iva;
che il Tribunale ritiene detto importo congruo, non essendo condivisibile il maggior importo indicato da parte attrice (€ 32.839,71) in quanto fondato, essenzialmente, sul presunto onere di rifare completamente la pavimentazione delle varie stanze (comprese le piastrelle non difettose), circostanza tuttavia esclusa dal Ctu secondo cui possono essere utilmente eseguiti degli interventi di ripristino limitati alla sostituzione delle piastrelle interessate al fenomeno della fessurazione, il che esclude altresì l’obbligo per l’attore di lasciare la propria abitazione per circa 60 giorni (l’attore ha stimato in € 9.000,00 i soli costi dell’albergo); che sulla somma riconosciuta a titolo di risarcimento del danno, trattandosi di obbligazione di valore, vanno poi riconosciuti interessi e rivalutazione come richiesto;
che la rivalutazione, infatti, non rappresenta un accessorio del credito (al contrario degli interessi legali per le obbligazioni di valuta), ma costituisce una componente intrinseca del danno e, per l’esattezza, il danno causato dal decorso del tempo (Cass. 17-9-2003 n. 13666; Cass. 18-12-1998 n. 12686; Cass. 2-12-1998 n. 12234; Cass. 6-11-1998 n. 11190; Cass. 24-8-1998 n. 8364;
Cass. 25-9-1997 n. 9396), mentre gli interessi compensativi maturano automaticamente sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno essendo il corrispettivo per il mancato tempestivo ottenimento della prestazione, a prescindere dalla liquidità o esigibilità del credito (Cass. 10884/2007), con spiccata funzione equitativa;
che il tasso degli interessi compensativi viene equitativamente (Cass. 17-2-1995 n. 1712) determinato in quello legale (art. 1284 c.c., comma primo), mentre la rivalutazione è determinata secondo gli indici Istat dei prezzi per le famiglie di operai ed impiegati;
che quanto alla decorrenza degli interessi e della rivalutazione, invece, va rilevato che “il principio secondo cui gli interessi sulle somme di denaro, liquidate a titolo risarcitorio, decorrono dalla data in cui il danno si è verificato, è applicabile solo in tema di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, in quanto, ai sensi dell’art. 1219 c.c., 2° co., il debitore del risarcimento del danno è in mora (mora ex re) dal giorno della consumazione dell’illecito.
Invece, se l’obbligazione risarcitoria derivi da inadempimento contrattuale, gli interessi decorrono dalla domanda giudiziale, che è l’atto idoneo a porre in mora il debitore” (Cass. civ., 27/01/1996, n. 637) o da altro atto idoneo alla costituzione in mora del debitore medesimo ex dell’art. 1219 c.c., 2° comma (Cass., civ., 25/09/1997, n. 9415), che nel caso di specie, in considerazione del fatto che i vari vizi si sono manifestati in epoche diverse, è costituito dalla diffida delli 02.07.2021, di cui la società convenuta non ha contestato la recezione; che successivamente alla presente sentenza, il debito risarcitorio, ormai definitivamente liquidato, diviene di valuta, sicché su di esso matureranno solamente gli interessi legali al tasso di cui all’art. 1284 c.c., comma primo;
che la domanda di manleva formulata dall’appaltatore verso non può essere accolta alla luce di quanto precede, non essendo emersa alcuna responsabilità del terzo chiamato (dal momento che tutti i vizi riscontrati attengono a vizi relativi alla fase esecutiva delle opere e non alla fase progettuale posta in essere da ), né l’assunzione da parte sua del ruolo di direttore dei lavori di fatto;
che il rigetto della domanda dell’appaltatore verso comporta l’assorbimento della domanda di manleva formulata da verso la sua assicurazione;
che le spese di lite seguono la soccombenza della società convenuta verso e verso dovendosi al riguardo ricordare che secondo Cass. Sezioni Unite, n. 32061/22, “in tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, potendo giustificarsi soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti che le spese sono poi liquidate in conformità ai valori medi dello scaglione di riferimento individuato in base al criterio del decisum (scaglione sino ad € 26.000,00) per tutte le fasi ad eccezione di quella decisoria, liquidata in base ai valori minimi stante la modesta e ripetitiva attività ivi svolta; che la società convenuta deve altresì rimborsare all’attore ed al terzo chiamato le spese legali dell’Atp, liquidate sulla base dei valori medi (scaglione sino ad € 26.000,00, istruzione preventiva);
che le spese di lite relative agli ulteriori rapporti processuali (compresi quelli dell’assicurazione contumace, anche in relazione alla posizione della società convenuta) sono integralmente compensate stante l’assenza di domande o l’assorbimento delle stesse;
che le spese della Ctu, come già liquidate in sede di Atp, sono poste definitivamente a carico solidale delle parti, con suddivisione nei soli rapporti interni a carico esclusivo di , il tutto alla luce del noto principio secondo cui “in tema di consulenza tecnica di ufficio, il compenso dovuto al consulente è posto solidalmente a carico di tutte le parti, atteso che l’attività posta in essere dal professionista è finalizzata alla realizzazione del superiore interesse della giustizia, che invece non rileva nei rapporti interni tra le parti, nei quali la ripartizione delle spese è regolata dal diverso principio della soccombenza” (Cass. civ., Sez. II, 30/12/2009, n. 28094), con diritto per ciascuna delle altre parti ad ottenere la ripetizione dalla società convenuta di quanto eventualmente già corrisposto al Ctu; che l’appaltatore, infine, deve pure essere condannato a rimborsare al committente le spese di Ctp sostenute nell’Atp (come documentate dalle fatture di cui al doc. n. 6 di parte attrice) per complessivi € 1.522,56, posto che “le spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, la quale ha natura di allegazione difensiva tecnica, rientrano tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate” (Cass. civ., Sez. III, 16/06/1990, n. 6056), mentre “la condanna del soccombente alle spese di consulenza tecnica di parte sopportate dalla controparte non presuppone la prova dell’avvenuto pagamento, ma presuppone, comunque, la prova della effettività delle stesse, ossia che la parte vittoriosa abbia quantomeno assunto la relativa obbligazione” (Cass. civ., Sez. I, 25/03/2003, n. 4357; Cass. civ., 29/06/1985, n. 3897), principi perfettamente applicabili nella fattispecie in esame, non essendo in contestazione fra le parti l’attività svolta dal professionista incaricato dall’attore:
Il Tribunale di Torino, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione disattesa, visti gli artt. 281 sexies e 127 ter c.p.c.: Condanna a pagare a la somma di € 11.776,12 + Iva di legge, oltre rivalutazione monetaria secondo indici Istat delle famiglie di operai ed impiegati ed interessi al tasso di cui all’art. 1284 c.c., comma primo, sulla somma anno per anno rivalutata, con decorrenza dal 02.07.2021 e sino alla data della presente sentenza, da quando, sulla somma così ottenuta, decorreranno gli interessi ex art. 1284 c.c., comma primo, sino alla data del saldo effettivo Rigetta ogni domanda formulata da contro Pone definitivamente le spese di Ctu dell’Atp, come in detta sede già liquidate, a carico solidale delle parti, spese che nei soli rapporti interni fra le parti medesime sono poste per intero a carico con diritto per ciascuna delle parti ad ottenere la ripetizione da quanto eventualmente già corrisposto al Ctu. Condanna a pagare a favore di le spese di lite di questo giudizio, che liquida in € 4.227,00 a titolo di compenso ed in € 545,00 a titolo di esposti, oltre contributo forfetario al 15%, Iva e Cpa come per legge e successive occorrende, ed oltre € 1.522,56 a titolo di rimborso delle spese di Ctp.
Condanna a pagare a favore di le spese di lite di questo giudizio, che liquida in € 4.227,00 a titolo di compenso ed in € 545,00 a titolo di esposti, oltre contributo forfetario al 15%, Iva e Cpa come per legge e successive occorrende.
Condanna a pagare a favore di le spese di lite dell’Atp, che liquida in € 2.337,00 a titolo di compenso oltre eventuale contributo unificato e marca, ed oltre contributo forfetario al 15%, Iva e Cpa come per legge e successive occorrende.
Condanna a pagare a favore di le spese di lite dell’ , che liquida in € 2.337,00 a titolo di compenso oltre eventuale contributo unificato e marca, ed oltre contributo forfetario al 15%, Iva e Cpa come per legge e successive occorrende.
Compensa integralmente le spese di lite in relazione ai restanti rapporti processuali.
Così deciso in Torino il 06.11.2024.
Il Giudice NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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