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Codice Penale

Responsabilità civile del magistrato – Rigetto della domanda di risarcimento per danno morale – Mancanza di prova del danno

La Corte d’Appello ha stabilito che la mera sottoposizione a un procedimento penale, rivelatosi poi infondato, non costituisce di per sé un danno risarcibile. Per ottenere il risarcimento del danno morale, è necessario che il soggetto provi l’effettiva esistenza di una sofferenza interiore e dimostri gli elementi concreti di tale pregiudizio.

Pubblicato il 29 June 2024 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

N. R.G. 461/2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DI APPELLO DI ANCONA NOME
SEZIONE CIVILE

La Corte di Appello di Ancona, composta dai magistrati:
dott. NOME COGNOME dott.ssa NOME COGNOME dott.ssa NOME COGNOME Consigliere est. ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._881_2024_- N._R.G._00000461_2021 DEL_04_06_2024 PUBBLICATA_IL_05_06_2024

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. r.g. 461/2021 promossa da (C.F. rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura dello Stato di Ancona.

APPELLANTE Contro (C.F. APPELLATO CONTUMACE OGGETTO:
appello avverso la sentenza del Tribunale di Ancona n. 202/2021 pubblicata il 12.2.2021.

CONCLUSIONI

C.F. Dell’appellante “….in accoglimento dell’appello, riformare sentenza impugnata e in via principale di merito:
– in via preliminare, dichiarare inammissibile l’avversa azione risarcitoria per difetto dei presupposti richiesti dalla l. 117/1988, ante riforma;
– nel merito, rigettare ogni avversa domanda, in quanto infondata e comunque non provata, sia nell’an sia nel quantum.
Con ogni consequenziale favorevole statuizione in ordine alle spese di lite.

FATTI DI CAUSA

I) La odierna vicenda processuale trae origine dalla domanda proposta da , ai sensi della legge n. 117/1988, diretta all’accertamento della responsabilità civile del dott. quale GIP presso il Tribunale di Bologna, ed alla condanna di quest’ultimo al risarcimento dei danni – quantificati in €. 30.000,00 e identificati nel danno morale, nel danno all’immagine pubblica e politica e nel danno patrimoniale rappresentato dalle spese legali sostenute per la difesa in giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna – asseritamente ricollegabili al fatto che il predetto magistrato aveva emesso nei confronti del un decreto penale di condanna per i reati di cui agli artt. 81 e 595 comma III c.p., nonostante le persone offese delle presunte condotte diffamatorie (due magistrati in servizio presso il Tribunale di Trieste) non avessero sporto querela.

II) Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Ancona ha ritenuto sussistente la dedotta responsabilità – rilevando che:
– l’adozione del decreto penale di condanna per un reato procedibile a querela, in mancanza della condizione di procedibilità, non trovava sostegno giuridico ed era conseguenza di una violazione grave e non scusabile;

– tale lacuna non era ascrivibile al complessivo carico di lavoro, tenuto presente che l’adempimento richiedeva una breve verifica degli atti, potendo essere esaurito in breve tempo, anche perché la nota inviata – per competenza – dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trieste conteneva la indicazione “allo stato, manca querela”.

Il primo giudice ha poi accolto parzialmente la domanda, riconoscendo esclusivamente il danno morale – corrispondente al pregiudizio che, secondo l’id quod plerumque accidit, subisce qualsiasi persona ingiustamente sottoposta a procedimento penale – liquidato in €.
1.000,00, tenuto conto della condotta del ricorrente (tale da giustificare una riduzione del risarcimento, del 50%, ex art. 1227
I comma c.c.) il quale aveva contribuito a prolungare il procedimento penale, omettendo di evidenziare, con l’atto di opposizione a decreto penale di condanna, la mancanza della condizione di procedibilità;

ha invece respinto, per il resto, la richiesta risarcitoria (con riferimento al danno all’immagine e patrimoniale), in difetto di prova dell’asserito danno;

ha infine compensato le spese di lite in considerazione della reciproca soccombenza determinata dall’accoglimento solo parziale della domanda.

III) Ha proposto appello avverso tale sentenza la chiedendo, in accoglimento del gravame, la riforma della sentenza impugnata e di dichiarare inammissibile la domanda e comunque di rigettarla integralmente in quanto infondata e non provata sia nell’an sia nel quantum.

IV) Disposta la rinnovazione della notifica dell’atto introduttivo all’appellato (non costituito) – in considerazione del fatto che la notifica era stata effettuata ai precedenti legali rinunciatari e non al nuovo difensore mediante il quale il ricorrente si era costituito, nel giudizio di primo grado, con comparsa del 15.11.2019 – e rilevata la regolarità della rinnovata notificazione, l’appellato è stato dichiarato contumace, in mancanza di costituzione:

quindi, fissata l’udienza di precisazione delle conclusioni e preso atto delle note scritte depositate, la causa è stata trattenuta in decisione assegnando il termine ex art. 190 c.p.c. per il deposito della comparsa conclusionale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1) Con il primo motivo di impugnazione l’appellante censura la sentenza per erronea applicazione dell’art. 2 della L. 117/1998, rilevando la assenza degli estremi della gravità ed inescusabilità della condotta del magistrato e la insussistenza del nesso causale tra gli atti addebitati e i danni dedotti ed evidenziando, in particolare, che:

– secondo il Tribunale l’evento dannoso subito dal ricorrente sarebbe ricollegabile all’aver subito un procedimento penale risultato improcedibile per difetto di querela, ma la sottoposizione ad un processo penale non integra di per sé gli estremi dell’illecito aquiliano, generatore di possibili danni ingiusti risarcibili;

– non può ritenersi che il solo fatto di essere stato imputato comporti la esistenza di un danno evento, in re ipsa, e sia fonte di responsabilità, dovendo il danneggiato fornire tutti i necessari elementi di prova al fine di dimostrare sul piano processuale la esistenza e la entità del danno e dovendo allegare e dimostrare i fatti costitutivi della pretesa ex art. 2043 c.c. e, quindi, il fatto illecito, la sua riferibilità alla Amministrazione, il dolo o la colpa grave, il nesso di causalità tra il fatto doloso o gravemente colposo ed il danno evento, nonché la sussistenza di un pregiudizio direttamente conseguente alla lesione (il c.d. danno conseguenza); – l’ordinamento prevede un eventuale indennizzo per il c.d. atto lecito dannoso in situazioni (quali la ingiusta detezione, la irragionevole durata del processo, l’errore giudiziario a fronte di una condanna ingiusta accertata in sede di revisione del processo)
diverse da quella in esame (in cui il Giurastante è stato prosciolto e non può quindi dolersi della ingiustizia di tale decisione):
al di fuori di questi casi, osserva l’appellante, non è ammessa alcuna riparazione (né tantomeno un risarcimento), neppure in caso di imputazione ingiusta ovvero rivelatasi poi infondata a seguito di sentenza di assoluzione o proscioglimento.

Ciò posto, l’appellante, dopo aver riepilogato la vicenda, esclude la colpa grave e cioè la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile, valorizzando le seguenti circostanze:

– come risulta dalle statistiche allegate nel procedimento di primo grado, il magistrato, nel periodo in cui è stato emesso il decreto in esame, ha depositato numerosi provvedimenti (tra le centinaia di provvedimenti di varia natura – quali ordinanze di custodia cautelare, sentenze, decreti che dispongono il giudizio, archiviazioni, intercettazioni, provvedimenti di esecuzione, sequestri ecc… – ha emesso oltre 300 decreti penali di condanna);

– se è vero che nel fascicolo trasmesso, per competenza, risultava la dicitura “allo stato manca la querela”, è pur vero che la stessa risulta scritta a mano e non di immediata lettura;

– nessun danno è ravvisabile, poiché la notizia della emissione del decreto penale (emesso il 25.1.2016 e notificato all’imputato il 18.2.2016) non ha avuto alcun risalto mediatico ed è rimasta circoscritta alle persone alle quali l’imputato lo ha volontariamente rilevato;

– il difensore in sede di opposizione (proposta in data 25.2.2016, chiedendo la definizione del procedimento mediante giudizio immediato) avrebbe potuto evidenziare la mancanza della condizione di procedibilità in modo da permettere di pronunciare una sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. senza emettere il decreto di giudizio immediato (nella specie emesso il 13.12.2017), evitando così l’udienza del 31.5.2018 in cui il Tribunale di Bologna ha pronunciato sentenza ex art. 129 I comma c.p.c. di non doversi procedere nei confronti dell’imputato per difetto di querela.

1.2) Con un ulteriore motivo l’appellante evidenzia la totale assenza di dimostrazione circa l’effettiva concretizzazione del danno morale liquidato in via equitativa dal giudice di primo grado e censura la decisione del Tribunale – fondata sostanzialmente sul ricorso alla massima d’esperienza secondo cui la sottoposizione (ingiusta) ad un processo penale comporta senz’altro una condizione di afflizione, soprattutto psicologica, a carico del soggetto che vi è sottoposto – rilevando che, secondo i più recenti orientamenti giurisprudenziali, è definitivamente superata la concezione del danno “in re ipsa”, sussistendo in capo al danneggiato, anche per il riconoscimento del danno morale, un onere di allegazione di tutti gli elementi concreti della sofferenza soggettiva di natura interiore di cui chiede il risarcimento affinché gli stessi possano trovare riscontro ed eventuale conferma nelle altre risultanze processuali.

Osserva, inoltre, l’appellante che, nel caso di specie, l’effettiva sussistenza di una condizione psicologica afflizione derivante dalla pendenza del procedimento penale iscritto a carico del sig sembrerebbe del tutto esclusa dalle stesse circostanze di fatto evidenziate nella sentenza impugnata, ed ivi riduttivamente valorizzate ai soli fini della diminuzione del risarcimento ex art.1227 comma 1 c.c.:
infatti – prosegue l’appellante – la linea difensiva adottata dal nell’atto di opposizione a decreto penale di condanna, caratterizzata da una lunga e articolata ricostruzione in punto di giurisdizione nella quale, tuttavia, manca l’eccezione principale relativa alla mancanza di querela (che, come rilevato dallo stesso Tribunale, avrebbe consentito una più rapida definizione del giudizio di opposizione innanzi al Tribunale di Bologna), non depone nel senso che la pendenza del giudizio penale di cui trattasi abbia cagionato al un particolare patema d’animo legato a tale pendenza, non essendo la sua difesa finalizzata a realizzare la sua rapida fuoriuscita dal processo in questione; conclude quindi rilevando che la sentenza andrà riformata laddove il Tribunale ha ritenuto provata la sussistenza di un danno morale causalmente riconducibile alla condotta attribuita Dott. 2) Le censure articolate dall’appellate, con il secondo motivo, finalizzate ad escludere la sussistenza del danno morale, sono fondate per le ragioni di seguito illustrate.

2.1) Va premesso che il Tribunale ha respinto, per difetto di elementi di prova a sostegno dell’assunto difensivo, sia la richiesta finalizzata ad ottenere il risarcimento del danno patrimoniale (costituito dalle spese sostenute per la difesa innanzi al Tribunale di Bologna) sia la domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale, sotto il profilo del pregiudizio all’immagine (dedotto dal ricorrente nell’atto introduttivo del procedimento di primo grado, in considerazione del ruolo pubblico-politico-sociale dal medesimo rivestito – quale ambientalista, attivista per la difesa dei diritti umani, blogger e scrittore – e del fatto che egli, a seguito della emissione del decreto penale di condanna, sarebbe stato costretto, come da Statuto del di cui è Presidente, ad informare gli organi direttivi dello stesso e, solo nel 2018, avrebbe potuto riabilitarsi attraverso la comunicazione del suo proscioglimento). L’esame di tali aspetti è quindi precluso in questa sede tenuto conto che le doglianze in esame riguardano il risarcimento del danno morale dedotto dal – per essere stato sottoposto ad un procedimento penale che, invece, non avrebbe dovuto essere celebrato – ritenuto sussistente dal primo giudice.

2.2) Ciò posto si osserva che, come osservato dalla Suprema Corte, “attenendo il pregiudizio non patrimoniale de quo ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo e può costituire anche l’unica fonte di convincimento del giudice, pur essendo onere del danneggiato l’allegazione di tutti gli elementi che nella concreta fattispecie siano idonei a fornire la serie concatenata dei fatti noti, onde consentire di risalire al fatto ignoto (cosi definitivamente superandosi la concessione del danno in re ipsa, secondo la quale il danno costituirebbe una conseguenza imprescindibile della lesione tale da rendere sufficiente la dimostrazione di quest’ultima affinché possa ritenersi sussistente il diritto al risarcimento)” (Cass. civ. n. 25164/2020). I giudici di legittimità hanno altresì evidenziato che “…il danno da sofferenza morale dovrà essere allegato e provato specificamente anche a mezzo di presunzioni, ma senza che queste, eludendo gli oneri asserivi e probatori, si traducano in automatismi che finiscano per determinare (anche) una erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella legale” (Cass. civ. n. 7753/2020).

2.3) Da tali principi si desume che il danno morale (quale quello di cui si tratta in questa sede), deve essere specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, non potendo considerarsi in re ipsa, e che la sua liquidazione deve essere effettuata sulla base non di valutazioni astratte, ma del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, da questa dedotto e provato, anche attraverso presunzioni, che siano però fondate su elementi indiziari diversi dall’evento in sé.

E’ quindi necessario che il danneggiato prospetti e dimostri l’insorgenza di ‘sofferenze’ di natura personale e soggettiva (che, astrattamente, potrebbero ricollegarsi al dolore manifestatosi, per esempio, come vergogna, disistima di sé, timore, disperazione ecc.) durante il periodo in cui si è protratto il procedimento, non essendo sufficiente, ai fini del risarcimento, la (sola) indicazione del fatto, costituito (nella specie) dal procedimento penale che, in mancanza di querela, non doveva iniziare.

2.4) Nel caso concreto deve registrarsi l’assenza dell’allegazione di qualsiasi situazione idonea a prospettare che dal decreto penale di condanna e dal procedimento introdotto seguito alla opposizione derivata una sofferenza morale, nel senso sopra delineato.

Questa non può desumersi, neanche in via presuntiva, dagli elementi dedotti dal al fine di evidenziare la esistenza del pregiudizio all’immagine sia perché le situazioni illustrate riguardano una diversa voce di danno, esclusa dal primo giudice, sia perché gli elementi valorizzati non hanno trovato riscontro probatorio come già accertato dal Tribunale con la sentenza che, sul punto, non essendo stata impugnata, non può essere riesaminata.

Inoltre il carattere sommario e semplificato del procedimento – che ha dato luogo al decreto penale di condanna – induce ad escludere (in difetto di elementi contrari) che la notizia del provvedimento abbia avuto un risalto mediatico e quindi comportato un patema d’animo e, più in generale, una differenza interiore in seguito alla diffusione della notizia.

Pertanto, in mancanza di specifiche indicazioni in merito al danno effettivamente patito nella vicenda illustrata e di elementi presuntivi idonei – al fine di accertare eventuali conseguenze negative ricollegabili al decreto penale di condanna ed al procedimento di opposizione – si ritiene che la domanda risarcitoria debba essere respinta, non essendo configurabile, sulla base della giurisprudenza di legittimità sopra illustrata, il danno morale, come danno in re ipsa.

2.5) Tale conclusione, alla luce del principio della ragione più liquida, assorbe l’esame del primo motivo di gravame:
di conseguenza, in accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza impugnata, va respinta la domanda proposta da (anche in relazione al danno morale).

3.) Considerata la natura e la controvertibilità delle questioni trattate si ritiene che sussistano i presupposti per compensare integralmente le spese di entrambi i gradi di giudizio.

La Corte di Appello di Ancona, respinta ogni contraria e diversa istanza ed eccezione, in accoglimento dell’appello proposto dalla nei confronti di avverso la sentenza del Tribunale di Ancona n. 202/2021 pubblicata il 12.2.2021 ed in riforma della sentenza impugnata, respinge la domanda proposta da dichiara compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Così deciso in Ancona il 15 maggio 2024.
Il Consigliere estensore Dott.ssa NOME COGNOME Il Presidente Dott. NOME COGNOME

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